Francesco Cossiga appartiene al
gruppo dei “presidenzialisti puri”.
Già nei primi anni sessanta
si legava ad un gruppo eterogeneo, composto da politici, militari, costituzionalisti,
avventurieri che voleva instaurare una Repubblica presidenziale. Lo stesso
tema che Cossiga, da Presidente della Repubblica, riproporrà con
scalpore, seguito da Bettino Craxi, che diverrà suo alleato in questa
battaglia.
Il gen. De Lorenzo, nei giorni del
luglio 1964 in cui pianificava il golpe, si recava spesso al Quirinale,
oppure comunicava con il Presidente Segni per mezzo di Cossiga.
“Un gruppo di potere che agisce
all’ombra di uno stuolo di protettori politici” annotava nel suo diario
il
generale Manes, inviso a De Lorenzo, incaricato di fare luce
sulle deviazioni dei servizi segreti.
Tra questi “protettori”, secondo
Manes, c’era Francesco Cossiga, che alla commissione d’inchiesta sul “piano
Solo” garantì sulla “affidabilità democratica” di quel gruppo
di ufficiali infedeli; e che negli anni successivi sponsorizzerà
ampiamente le loro carriere.
Nel 1966 Cossiga diventò
sottosegretario alla Difesa nel governo guidato da Moro. Iniziò
così a destreggiarsi fra i sottoscala del potere in cui si fa la
storia dell’Italia, parallela e segreta.
Svolgeva volentieri una serie di
lavoretti “di coraggio”, come quello di apporre gli omissis ai risultati
della commissione d’inchiesta sul “piano Solo”, in modo da coprire le responsabilità
di De Lorenzo, e partecipava alla formazione di atti amministrativi concernenti
Gladio, come lui stesso ha in seguito ammesso.
Capo dei
servizi segreti in quegli anni è il generale Vito Miceli, anch’egli
facente parte della strategia della tensione e grande amico di Cossiga.
Quando Miceli, il 30 novembre 1990, morirà, Cossiga renderà
omaggio alla sua salma ufficialmente, ignorando la manifestazione dei parenti
delle vittime delle stragi che contemporaneamente si svolgeva davanti a
Montecitorio.
Anni in
cui, come scrive lo storico Giuseppe De Lutiis nel suo “Storia dei servizi
segreti”, cambiava anche la strategia dei poteri occulti: “Fino
ad allora, la ricetta che i servizi segreti avevano seguito per curare
i mali d’Italia, aveva previsto un potenziamento dell’estrema destra, con
il concomitante sviluppo di atti terroristici e di rivolte, come quella
di Reggio Calabria, gestite dalle strutture parallele.”
Dal 1984 fino al febbraio del 1991,
fu al vertice del SISMI l’amm. Fulvio Martini,
il “rinnovatore”. Finirà travolto dalla vicenda di Gladio
assieme al suo capo di stato maggiore il gen. Paolo Inzerilli.
Parallelamente, al SISDE si succederanno
i prefetti Vincenzo Parisi (1984-1987),
che diventerà subito dopo capo della polizia, e Riccardo
Malpica (1987-1991), che verrà poi condannato per lo
scandalo dei fondi neri del SISDE.
Dalla primavera del 1992, almeno
una parte dei dirigenti degli uffici giudicava che la spinta proveniente
dal ’68 studentesco e dall’autunno caldo fosse stata riassorbita. Si riteneva
quindi possibile “bruciare” una parte dei terroristi neri, cercando di
utilizzare le loro gesta come contraltare del vero o presunto terrorismo
rosso, in modo da dare credibilità alla tesi dei cosiddetti opposti
estremismi.
Le inchieste della magistratura di
Venezia e di Padova e quella della commissione Stragi hanno consentito
di far capire che l’organizzazione Gladio, ideata per contrastare un’ipotetica
invasione sovietica, si era progressivamente trasformata in una struttura
di servizio e di copertura per altre strutture parallele che agivano per
combattere le sinistre.
Già nel documento “le forze
speciali del SIFAR e l’operazione Gladio”,
del 1 giugno 1959, era contemplata
la possibilità di sovvertimenti interni nella pianificazione delle
attività della Stay Behind.
Il generale
Fodda rivelò al giudice Mastelloni: “La struttura avrebbe dovuto
funzionare anche rispetto ai moti di piazza rilevanti, e la struttura aveva
inoltre una funzione anti-PCI”.
Un ex generale del SIFAR aveva rivelato
all'”Unità” :” I gruppi di civili organizzati dal colonnello Rocca
agli inizi degli anni sessanta coincidevano con i “gladiatori”, anche perché
erano addestrati nella base di Capomarrangiu”.
I gruppi di Rocca addestrati in
Sardegna furono impiegati il 9 ottobre 1963 per provocare incidenti nel
corso di una manifestazione che si stava svolgendo in piazza Santi Apostoli
a Roma. Una parte si era infiltrata tra gli operai; altri erano in tuta
mimetica, in mezzo alle forze di polizia.
La teorizzazione
della strategia della tensione avvenne nel corso del convegno organizzato
all’hotel Parco dei Principi di Roma, il 3 maggio del 1965, dall’istituto
di ricerche militari “Alberto Pollio”.
Il tema era “La guerra rivoluzionaria”.
L’istituto “Pollio” era stato fondato
alcuni mesi prima da Enrico de Boccard, ex repubblichino di Salò.
I soldi per l’organizzazione erano stati forniti dal SIFAR.
A capo del SIFAR, allora, era il
generale Viggiani, che attivò il generale Rocca per il reperimento
dei fondi per il convegno.
Presenti al convegno dell’hotel
Parco dei Principi, oltre a Ivan Matteo Lombardo, ex ministro socialdemocratico
nel governo nato dalle elezioni del 1948, a Gino Accame, redattore del
settimanale neofascista “Il borghese” e responsabile del movimento pacciardiano
( i fautori della Repubblica presidenziale), agli ex repubblichini di Salò
Enrico de Boccard e Pino Rauti , erano coloro, che saranno tra i principali
imputati del processo per la strage di Piazza Fontana, Guido Gianettini,
Stefano Delle Chiaie e Mario Michele Merlino.
Da un anno
era nato il primo centrosinistra e “bisognava far presto” perché
questo avvenimento veniva considerato da molti come l’avvicinamento del
comunismo al potere.
Alla fine del convegno venne letto
“un piano di difesa e contrattacco”, che delineava un progetto molto simile
al piano Solo, strutturato, un anno prima del convegno, dal colonnello
Mingarelli, colui che effettuerà i depistaggi nelle indagini sulla
strage di Peteano.
Con questo piano, a detta di Pino
Rauti, si era in grado di realizzare “l’elaborazione completa
della tattica controrivoluzionaria e della difesa”.
Nel 1966 venne ideata la “esercitazione
Delfino” che, più che di un’invasione da est, si occupava della
repressione interna.
Quel settore di Gladio, che nell’esercitazione
ipotizzava lo scenario della “sovversione”, descriveva questa come una
emanazione delle forze sindacali, dei partiti e dei giornali di sinistra
allora esistenti in Italia, con l’inizio di agitazioni e azioni sindacali
in difesa del posto di lavoro. Persino le affissioni di manifesti denuncianti
l’operato del governo venivano considerate “insorgenza”.
E’ nella seconda metà degli
anni settanta e negli anni ottanta che la Gladio italiana diventò
sempre più illegale.
Nel 1976-1977 alle strutture periferiche venne inviato uno schema per la redazione di rapporti informativi. Quindi, proprio mentre veniva varata la riforma dei servizi segreti, Gladio cominciava a svolgere attività informativa, lontanissima anche dagli scopi per cui era stata costituita.
Dal 1977 la competenza della sicurezza
interna e il compito di svolgere attività informativa furono demandati
al SISDE.
E’ interessante sapere che negli
archivi di Forte Braschi, tra i documenti di Gladio, sono state sequestrate
“schedature” sugli uomini politici di Sassari e relazioni sulla situazione
del “Corriere della Sera” relative al periodo dell’assalto piduista.