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Enrico Mattei. Ma ai suoi tempi, per i sussiegosi e pragmatici funzionari della diplomazia britannica, più che guardare al futuro il capo dell'Eni era l'uomo che intralciava il loro presente. Anzi, seriamente e decisamente lo minacciava.
Fino al punto di...? Alt, no, questo non si può dire. Anche se il cospicuo dossier arrivato in Italia include carte a loro modo profetiche - tipo la fotocopia di un articolo del Financial Times che a due giorni dalla morte di Mattei si chiede se questi "dovrà andarsene" (Will signor Mattei have to go?) - i documenti recuperati da Mario J. Cereghino negli archivi britannici non autorizzano forzature, né automatismi cospirativi. Eppure, a meno di tre mesi dall'incidente aereo di Bascapé, 27 ottobre 1962, in un documento classificato come "segreto", dal ministero dell'Energia scrivono al Foreign Office: "L'Eni sta diventando una crescente minaccia agli interessi britannici. Ma non dal punto di vista commerciale [...] La minaccia dell'Eni si sviluppa, in molte parti del mondo, nell'infondere una sfiducia latente nei confronti delle compagnie petrolifere occidentali". Insomma, l'Eni incoraggia "l'autarchia" energetica a scapito dell'Inghilterra.
Una questione di principio. A settembre, al ministero degli Esteri del governo di Sua Maestà, fanno il punto "sui passi per contrastare il gruppo italiano". Ovviamente "è una materia da trattare con attenzione". Ci sono questioni da girare all'intelligence: "Fino a che punto l'Eni dipende dal petrolio russo? [...] È possibile distinguere tra le attività dell'Eni e gli interessi italiani? [...] Siamo in grado di affrontare il problema della virulenta propaganda di Mattei contro l'imperialismo e contro le compagnie petrolifere?". Non si conoscono le risposte. Eppure tante altre carte ricostruiscono in modo abbastanza impressionante lo scenario, il contesto, l'atmosfera che nell'autunno del 1962 si era venuta a creare.
Lo storico Nico Perrone, il massimo studioso di Mattei, ha esaminato questi documenti: "Contengono giudizi più sottili, più articolati e più intelligenti di quelli che si trovano negli archivi americani. A Washington reagivano grossolanamente e in ritardo; mentre gli inglesi avevano capito meglio e subito".
I funzionari britannici stanno addosso al presidente dell'Eni. Abbondano le schede, i rapporti, i memorandum. Si inventano pure il termine Matteism per indicare un modo di fare politica e affari. A loro modo lo ammirano anche. Questo si legge in un rapporto del Foreign Office alla legazione britannica di Washington: "Mattei punta in alto. A nostro parere è un manager tosto e un uomo potente nonché pericoloso".
È il 1957 quando l'ambasciatore a Roma, Ashley Clarke, nota: "A differenza di molti esponenti democristiani non sembra corrotto a livello personale. Vive in modo tutto sommato modesto. Il suo unico svago è la pesca: non ci pensa due volte a volare in Alaska per una battuta di pesca di una settimana [...] Si trova nelle condizioni di fare gran bene o gran male all'Italia".
È vanesio, certo, e dittatore. Mostra "tendenze napoleoniche" ed "estrema suscettibilità". Gli americani, fanno sapere a Londra i diplomatici di Sua Maestà, pensano che "soffra di megalomania". I difetti di un personaggio ragguardevole sono spesso la faccia in ombra delle sue virtù: "Come tutti gli uomini che si sono fatti da sé, Mattei è vanitoso e non tollera il benché minimo affronto, soprattutto se proviene da uno straniero. Nel lavoro è autocratico e spietato, ma al contempo molto ammirato e rispettato".
Dinamismo e dedizione al lavoro, gli riconosce anche un dirigente della Bp: "È l'apostolo delle imprese statali. Però molti ritengono che la sua psicologia si avvicini molto al concetto de "Lo Stato sono io"". Questo orgoglio può solleticare un certo spirito sportivo degli inglesi, ma certo non li rassicura negli affari. Mattei fa il diavolo a quattro, fa abbassare i prezzi del petrolio dall'Iran all'Etiopia, dal Marocco al Pakistan all'Arabia Saudita. Un po' bluffa, ma dal punto di vista degli inglesi un po' anche bara. O almeno: "Gioca con più mazzi di carte allo stesso tempo", si legge in un memorandum del ministero dell'Energia. Clarke insiste: "È un tipo che non si ferma dinanzi a niente".
Dai documenti si capisce che il "pericolo" è doppio. Riguarda da un lato le questioni dell'energia, ma dall'altro va a sbattere sulle alleanze e sulla stabilità di intere aree del mondo, a partire dal Medio Oriente, per giunta all'indomani della crisi di Suez. Il guaio supplementare è che dell'anticolonialismo questo italiano ha fatto una bandiera. Il petrolio è un mezzo per affermare una politica sociale e nazionale: "I successi in Egitto e in Persia gli hanno dato alla testa [...] Di fatto ha dato fuoco alle navi".
Le compagnie petrolifere cominciano a "preoccuparsi seriamente della loro posizione in Italia", avvisa l'addetto commerciale dell'ambasciata di Roma nel luglio del 1960. Ma già ad agosto Clarke prevede: "Non vi è dubbio che in futuro Mattei diventerà una notevole spina nel fianco delle nostre imprese, anche in altre aree del mondo". E colpiscono le conclusioni su questo personaggio "indubbiamente infido" che "in passato ha già utilizzato tattiche ricattatorie [...] E Mattei non solo non è crollato, ma al momento è più forte che mai".
Ha appena concluso accordi commerciali con l'Urss e si dispone a stringerne con la Cina comunista: "In futuro", scrivono all'ambasciata britannica di Pechino, "potrebbe fornire ai cinesi tutto il petrolio di cui hanno bisogno". Così da Londra cercano di capire se il governo italiano ispira o si limita a coprire le scorribande dell'Eni, o se è pronto a scaricare il leader del cane a sei zampe. Le carte offrono resoconti mortificanti sui politici italiani: distratti, ambigui, sfuggenti. Il ministro degli Esteri, il liberale Martino, fa spallucce; il presidente Segni è tutto preso dall'agricoltura.
Meno vaghi, anche se sorprendentemente ostili all'Eni, appaiono due diplomatici italiani. Un funzionario del Foreign Office contatta a Londra un diplonatico italiano, Prunas: "La sua impressione è che, se non affrontato in maniera appropriata, Mattei potrebbe diventare pericoloso: e nel dirmi ciò", specifica Mr Beeley, "mi ha chiesto di mantenere il massimo riserbo". Lo stesso riserbo che in tempi non sospetti il segretario generale della Farnesina, marchese Rossi-Longhi, chiede a Mr Hohler, incaricato d'affari dell'ambasciata: "Secondo Rossi-Longhi potremmo raggiungere migliori risultati assumendo un atteggiamento fermo e piuttosto duro con Mattei".
In realtà, dai documenti trovati da Cereghino viene fuori che il governo britannico, per tutto il 1961, spinge la Bp e la Shell, due delle sette sorelle, a trovare un accordo con l'Eni: "Fino a quando", scrive nell'agosto del 1961 Mr Laskey, un funzionario dell'ambasciata, "continueranno a considerare Mattei come una sorta di verruca o di escrescenza da ignorare (o che al momento non può essere asportata) è difficile che egli si comporti in maniera amichevole".
Niente di più difficile: e infatti Mattei insiste nel suo gioco - anche se forse non si rende conto che sta oltrepassando il terreno petrolifero per entrare di slancio nel campo scivoloso degli equilibri geopolitici. È di nuovo un italiano, il banchiere Lolli, Bnl, a mettere sull'avviso gli inglesi: "I sentimenti antiamericani di Mattei sono così forti che potrebbero trasformarsi in un pericolo sostanziale. In altre parole, potrebbe commettere qualche sciocchezza". Meglio quindi che le compagnie inglesi trovino un'intesa.
L'unico leader italiano che tiene testa a Mattei è Fanfani. Nell'autunno del 1961 l'allora presidente del Consiglio convoca a Palazzo Chigi Arnold Hofland, responsabile del settore Europa meridionale della Shell. Fanfani tenta una spericolata mediazione: "Personalmente il premier non vede di buon occhio l'intesa con Mosca e si è detto pronto ad annullarla. A patto però che Mattei sia messo in condizione di aggiudicarsi quei diritti estrattivi che permetterebbero all'Italia di disporre di una fonte di rifornimento autonoma".
Il colloquio dura due ore e mezzo, ma non produce risultati. Peggio: Hofland, petroliere disincantato, concorda con l'ambasciatore sul fatto che Mattei "risulta sempre più pericoloso, anche se", aggiunge, "personalità come Paul Getty sono in grado di creare grane ben peggiori". Clarke è più risoluto e pessimista: quelli che chiama "i ricatti di Mattei" sono "meno marginali di quanto sembrano". In questo cupo scenario, pur venato da un garbato understatement, si apre il 1962: l'ultimo della vita di Mattei.
Ora, anche in politica internazionale, i "pericoli" è meglio sventarli per tempo; e nessuno ama farsi "ricattare". C'è parecchio nervosismo all'ambasciata di Roma, al ministero dell'Energia, alla Bp, alla Shell. Il 7 agosto i funzionari del Foreign Office inseriscono in un già corposo dossier una strana, ma eloquente nota semi-anonima.
La spedisce, su carta intestata, un non meglio identificato Mr Searight: "Di recente una certa persona ha sostenuto una conversazione con una importante personalità dell'industria petrolifera che recentemente è entrata in contatto con Mattei. A suo dire, Mattei gli avrebbe confidato la seguente riflessione: "Ci ho messo sette anni per condurre il governo italiano verso una apertura a sinistra (in italiano nel testo, ndr). E posso dire che ce ne vorranno di meno per far uscire l'Italia dalla Nato e metterla alla testa dei Paesi neutrali"". I "Non Allineati", come si diceva in quegli anni. Aggiunge la noticina: "Non ci sono motivi per dubitare che tali affermazioni siano state effettivamente fatte". Possibile: il personaggio era quello che era. Gli eroi da tele-fiction guarderanno pure al futuro, ma intanto è ancora la lezione del passato che bisognerebbe capire meglio.
I documenti
I documenti del Foreign Office su Enrico Mattei su cui sono basate queste pagine sono stati trovati dal ricercatore Mario J. Cereghino negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens, a sud di Londra, e sono ora consultabili presso l'Archivio Casarrubea di Partinico, in provincia di Palermo.
IL CASO MATTEI NEI DOCUMENTI DEL FOREIGN OFFICE BRITANNICO Maggio 2009 GIUSEPPE CASARRUBEA E MARIO J. CEREGHINO
Bernabei non dubita che Mattei sia stato ammazzato. Aggiunge che era tale il sospetto che qualcuno prima o poi lo volesse fare fuori che andava in giro con i suoi guardaspalle. Checchè ne pensasse Indro Montanelli che ad un certo punto era divenuto un nemico dichiarato di Mattei, Bernabei è dell’opinione che in questo delitto “non c’entrano l’America e gli interessi dei petrolieri, con cui Mattei aveva trovato un modus vivendi”. Piuttosto, chiarisce il presidente della Lux, “aveva colpito gli interessi in Nord Africa, dove appoggiava i movimenti di liberazione dal colonialismo”, a cominciare dall’Fln algerino, come ha confermato qualche giorno fa l’ottimo Mario Pirani di Repubblica. La fiction di Rai Uno è destinata, dunque, a riaprire un caso sul quale non si è sufficientemente indagato, se si eccettua l’inchiesta del giudice Calìa, e che ha implicazioni internazionali di non scarso rilievo, nonostante la inspiegabile fretta di Montanelli di liquidarlo con “l’insaziabile voglia di giallo” degli italiani. Come ricorda Dino Messina, fu lo stesso giornalista ad attaccare Mattei sul Corriere, con cinque articoli che uscirono nei mesi che precedettero il tragico incidente di Bascapè (Pavia). Le sue accuse erano piuttosto pesanti: la posizione monopolistica dell’Eni nello sfruttamento del petrolio e del metano, i risvolti politici antiamericani della lotta contro il “cartello petrolifero” o le “sette sorelle”, lo statalismo deciso che guidava le azioni di Mattei, e via di seguito. Ma Messina forse non sa che proprio in quei mesi si era attivata la produzione da parte britannica (Foreign Office e ministero dell’Energia) di una serie di memorandum segreti che mettevano in risalto la pericolosità del fondatore dell’Eni nei confronti degli interessi britannici in Africa, Asia e Medio Oriente. Memorandum, non a caso, redatti nel luglio e agosto 1962. Una sorta di sottile tam tam che precede la tempesta. Insomma gli inglesi sembrano dire: “Ora basta”. Il 25 ottobre 1962 il Financial Times di Londra pubblica una corrispondenza da Roma dal sapore inquietante. Il titolo è: “La scena italiana. Il signor Mattei dovrà andarsene”? Il fatto potrebbe apparire banale se, due giorni dopo, proprio il “signor Mattei” perdeva la vita in un presunto incidente con l’aereo in cui viaggiava. La stampa ha molte virtù e molti vizi. Uno dei più gravi è certo il suo linguaggio talvolta allusivo, se non proprio da propaganda occulta, come non si stanca di ripetere Roberto Saviano. In specie quando a pubblicare gli articoli sono organi influenti come il Financial Times. Della vicenda di Mattei si sono occupati in molti, forse troppi. Si sono scritti libri e articoli. Si sono fatti processi, inchieste, indagini, chiacchiere. Ma come spesso accade in Italia, i grandi misteri sono sepolti dall’oblìo. Come se il tempo fosse giustiziere, quando, al contrario, l’inerzia o la complicità degli uomini può renderlo colpevole. L’Italia è essa stessa un caso se si pensa alla sua storia difficile e spesso misteriosa, soprattutto dei tempi a noi più vicini. Nato il 29 aprile 1906, Mattei fu certamente un uomo straordinario, dalla vita breve e intensa. Fu partigiano bianco e medaglia di bronzo dell’Esercito statunitense, subito dopo la Liberazione. Aveva, dunque, 56 anni quando precipitò col suo aereo in quel tragico giorno d’autunno. Fu il referente della Democrazia cristiana nel Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) e divenne anche amico di Luigi Longo, esponente principale delle Brigate Garibaldi, che su di lui espresse questo giudizio: «Sa utilizzare benissimo le sue relazioni con industriali e preti». Non scopriva nulla il dirigente comunista. Aveva notato una dote rara negli uomini del suo tempo. Quella di sapersi rapportare con gli altri a un livello economico-finanziario ben preciso, come un abile tessitore di relazioni produttive. L’Italia sarebbe stata un Paese diverso se quest’uomo avesse sviluppato per intero il suo potenziale ideale e operativo. Per dare al nostro Paese autonomia in campo energetico, presupposto fondamentale della sovranità di ogni Stato che si rispetti. Al contrario l’Italia è stata, dopo la sua morte, un Paese sempre più dipendente da altre realtà nazionali dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici. La sua fine è stata per molti un sollievo, per altri, specialmente se dotati di spirito patriottico, una vera e propria sciagura. Secondo sir Ashley Clarke, ambasciatore britannico a Roma, nel 1957 Mattei aveva obiettivi molto chiari. Il primo, piuttosto ambizioso, era di “dominare la distribuzione dei prodotti petroliferi in Italia” mediante un controllo sulle fonti. Un modo per garantire al suo Paese scorte sufficienti di greggio, necessarie all’industria petrolifera nazionale e allo sviluppo industriale. Era questo un modo di continuare la Resistenza: sia perchè le grandi compagnie petrolifere costituivano oggettivamente un impero destinato a influenzare la politica e la finanza su scala planetaria, sia perchè nella sua tempra di uomo tutto d’un pezzo, la sua personale lotta contribuiva ai suoi ideali di patria e di dignità nazionale. Ma l’obiettivo di evitare la dipendenza petrolifera dai britannici e dagli americani non era un affare di poco conto. Anche per le sue gravi implicazioni geopolitiche. Basti pensare che l’Italia riveste la duplice funzione di centro nevralgico dell’anticomunismo in Europa e di controllo delle risorse energetiche del Medio Oriente. Una partita alla quale dal 1943-‘45 giocano da un lato grandi compagnie come la Standard Oil Company per gli Usa e la Shell per la Gran Bretagna con i suoi dominions in Medio Oriente, come in Iraq, Transgiordania ed Egitto; dall’altro, per l’Unione sovietica, una politica di espansione ideologica e di alleanza con gli Stati emergenti dalla lotta anticoloniale. Sarà così anche qualche anno dopo, quando Nasser si alleerà con Kruscev. Ma seguiamo adesso la sequenza degli avvenimenti, via via sempre più inquietanti e minacciosi, a cominciare dai documenti dell’estate 1962. I tentativi di mediazione messi in campo dal presidente del Consiglio Amintore Fanfani (novembre 1961) e da George Ball, del Dipartimento di Stato Usa (aprile 1962) sono falliti. Mattei non intende recedere dai suoi obiettivi strategici. A ciò deve aggiungersi un giudizio non proprio favorevole sul nostro personaggio, risalente nel tempo. Nel 1957 a osservatori come l’ambasciatore britannico a Roma non sfuggiva, ad esempio, un certo astio, dal sapore agrodolce. Mattei è “un uomo vanitoso, con modi da dittatore. A differenza di molti esponenti democristiani, non sembra essere un corrotto a livello personale. Vive in maniera tutto sommato modesta. Il suo unico svago è la pesca, un passatempo che lo coinvolge persino più dei suoi interessi petroliferi (non ci pensa due volte, ad esempio, a volare in Alaska per una battuta di pesca della durata di una settimana). Così come il presidente Gronchi, del quale è molto amico, Mattei si trova nelle condizioni di fare all’Italia o del gran bene o del gran male.” Quello che temono le potenze angloamericane non è solo la messa in discussione degli equilibri che regolano il controllo delle fonti energetiche nel mondo così come era uscito dalla seconda guerra mondiale, ma anche e soprattutto gli elementi di disturbo o di attacco all’ordine geopolitico già dato, mediante l’attivismo di personaggi come appunto Mattei. Egli mirava a raggiungere una totale sovranità per il nostro Paese, o, come diceva Jarratt, “l’autarchia petrolifera” nei paesi in via di sviluppo, guarda caso, in gran parte ex colonie britanniche. Il 7 agosto 1962, in un documento indirizzato a Jarratt (ministero dell’Energia/ settore petrolifero di Londra), qualcuno riferisce quanto avrebbe detto Mattei in una conversazione privata: “Ci ho messo sette anni per condurre il governo italiano verso una apertura a sinistra. E posso dirle che mi ci vorranno meno di sette anni per far uscire l’Italia dalla Nato e metterla alla testa dei paesi neutrali [Non Allineati]”. Manca poco più di un anno alla nascita del primo governo di centro-sinistra guidato da Aldo Moro. Riportiamo, di seguito, le traduzioni degli stralci più significativi di alcuni documenti su Mattei Documento n.° 1 DA R. G. SEARIGHT (LONDRA) A A. JARRATT (MINISTERO DELL’ENERGIA/SETTORE PETROLIFERO, LONDRA), 7 AGOSTO 1962, STRETTAMENTE PERSONALE E CONFIDENZIALE, FO. “Di recente, una certa persona ha sostenuto una conversazione con ‘una importante personalità dell’industria petrolifera’, che recentemente è entrata in contatto con Mattei. A suo dire, Mattei gli avrebbe confidato la seguente riflessione: ‘Ci ho messo sette anni per condurre il governo italiano verso una apertura a sinistra. E posso dirle che mi ci vorranno meno di sette anni per far uscire l’Italia dalla Nato e metterla alla testa dei paesi neutrali [Non Allineati]’. Non vi sono motivi per dubitare che tali affermazioni siano state effettivamente fatte. […]”. * Documento n.2 DA A. JARRATT (MINISTERO DELL’ENERGIA/SETTORE PETROLIFERO, LONDRA) A OLIVER MILES (Foreign Office, LONDRA), 15 AGOSTO 1962, SEGRETO. FO. “[…] L’Eni sta diventando una crescente minaccia agli interessi britannici. Ma non da un punto di vista commerciale: la quantità di petrolio a disposizione dell’Eni, infatti, è minima se comparata alle risorse della Shell e della Bp. La minaccia dell’Eni si sviluppa, in molte parti del mondo, nell’infondere una sfiducia latente nei confronti delle compagnie petrolifere occidentali. Inoltre, l’Eni incoraggia l’autarchia petrolifera a scapito degli investimenti e degli scambi delle imprese britanniche. […] Nel febbraio del 1961, il Foreign office divulgò una circolare sull’Eni. […] La conclusione fu che risultava di primaria importanza per le compagnie petrolifere cercare di frenare le attività dell’Eni da un punto di vista competitivo. […] Tuttavia, è indubbio che negli ultimi 18 mesi: * Documento n.° 3 DOCUMENTO ALLEGATO ALLA LETTERA DI JARRATT DEL 15 AGOSTO 1962. TITOLO: “ENI, BOZZA DI MEMORANDUM PER IL GOVERNO DI SUA MAESTA’ BRITANNICA”, CONFIDENZIALE, FO “E’ difficile comprendere molte delle politiche dell’Eni: ad esempio, la strategia della sua espansione all’estero, oppure la sua volontà di intraprendere attività apparentemente non economiche. E’ difficile, a meno di non ipotizzare che l’Eni sia ampiamente manipolato per obiettivi non commerciali. […]. Per esempio: i paesi scelti per l’espansione dell’Eni potrebbero essere stati selezionati non tanto per le loro potenzialità commerciali ma, piuttosto, per le possibilità che essi offrono alla “penetrazione economica italiana” o per promuovere la politica estera italiana; l’apparato statale italiano sarà utilizzato per promuovere l’espansione dell’Eni e per difenderlo dalla concorrenza; Sembra che le principali aree scelte per l’espansione dell’Eni siano l’Africa, il Medio oriente, il Subcontinente indiano, l’America Latina e l’Europa. Ma l’Eni ha già concluso accordi importanti con l’Urss e con altri paesi del Blocco comunista. I paesi in via sviluppo sembrano essere un obiettivo primario. […] In tal senso, un’attenzione speciale è rivolta ai paesi del Commonwealth e ai paesi amministrati (ora o in passato) dalla Gran Bretagna. Ad esempio, l’Eni ha già siglato una serie di intese con India, Ghana, Nigeria, Malta, Kenya, Tanganyka, Somalia e Sudan. Al momento, è interessato a Pakistan, Ceylon, Sierra Leone e alle Isole Mauritius. E’ probabile che lo sbarco dell’Eni in questi paesi sia rapidamente seguito da quello di altre imprese italiane. Ad esempio, la Montecatini ha già concluso un accordo in India, in collaborazione con l’Eni. Per quanto riguarda la sua espansione in Europa, è probabile che l’Eni, in futuro, utilizzi con maggiore frequenza il petrolio sovietico, provocando il crollo dei prezzi e una serie di difficoltà politiche. Le strategie dell’Eni hanno già provocato problemi ai partner dell’Italia nella Nato e nella Cee, ed è probabile che le grane si moltiplichino. […]. Ecco alcune tra le probabili ripercussioni sul petrolio e sugli interessi britannici: se l’Eni riuscisse, anche in maniera parziale, a sostituire l’attuale sistema di transazione del petrolio (basato sulla libera impresa) con una serie di accordi diretti tra le imprese petrolifere statali, le conseguenze sull’industria petrolifera britannica (di gran lunga il nostro maggior investimento all’estero) sarebbero estremamente negative e, indubbiamente, finirebbero per nuocere al contributo che la Shell e la Bp forniscono all’economia britannica; le inevitabili ripercussioni in Medio oriente finirebbero per danneggiare gli interessi britannici in quest’area; se l’Eni si piazzasse sul mercato britannico in maniera decisa, le difficoltà competitive dell’industria del carbone potrebbero intensificarsi; l’espansione dell’Eni in Gran Bretagna (e nei territori amministrati dalla Gran Bretagna all’estero) potrebbe condurre a frizioni non indifferenti fra i governi di Gran Bretagna e Italia; il successo della campagna promossa dall’Eni per assicurarsi una posizione di rilievo nei paesi del Commonwealth e in quelli amministrati (ora o in passato) dalla Gran Bretagna, finirebbe per danneggiare: la speciale posizione britannica in questi paesi, senza dimenticare che i rappresentanti italiani affermano che l’Eni viene utilizzato per promuovere gli interessi politico – economici dell’Italia all’estero; le imprese britanniche in questi paesi, soprattutto in Africa e in India. […]”. * Documento n. 4 DA K. D. JAMIESON (FO, LONDRA), A W. N. HUGH–JONES (AMBASCIATA GB, ROMA), 3 SETTEMBRE 1962, SEGRETO, FO. “Allego copia di una lettera del ministero dell’Energia [datata 15 agosto 1962, ndr], sulle attività dell’Eni e sui passi che potremmo intraprendere per contrastare il gruppo italiano. Le attività dell’Eni, infatti, puntano a danneggiare gli interessi petroliferi britannici all’estero. Ovviamente, questa è una materia da trattare con attenzione. Prima di discuterne con il ministro dell’Energia, risulterebbe utile conoscere le Sue opinioni sul tema. Siamo sicuri di una cosa: al punto in cui siamo – con i colloqui imminenti riguardo alla Cee e considerato che abbiamo bisogno del sostegno che gli italiani ci possono dare – occorre tentare di fare qualcosa di più che aggiornare la circolare del nostro ministero, la n.° 29 del 30 marzo 1961 intitolata “L’importanza dell’Eni”. Dobbiamo produrre una circolare dell’intelligence. Ecco alcune domande alle quali questa circolare delll’intelligence dovrebbe cercare di fornire una risposta: Fino a che punto l’Eni dipende dal petrolio russo? […] Di recente, Mattei avrebbe affermato che solo il 10 per cento del petrolio da lui trattato è russo. Qual’è la situazione reale? E’ possibile distinguere tra le attività dell’Eni e gli interessi italiani? Anche senza Mattei, l’Italia concorderebbe con ciò che Jarratt definisce “un’intesa concreta sul petrolio russo tra i sei membri della Cee”? Mattei cambierà idea sulla pericolosità degli scambi petroliferi internazionali, ora che egli sfrutta con successo un campo petrolifero in Persia e che sarà costretto a fissare un prezzo in grado di soddisfare i persiani da un lato e i suoi clienti [di Mattei, ndr] dall’altro? Si tratta di un tema marginale? Oppure è una questione che, in futuro, aiuterà l’Eni ad uscire dai guai? Siamo in grado di affrontare il problema della virulenta propaganda di Mattei contro l’imperialismo e contro le compagnie petrolifere? […]. La circolare dell’intelligence dovrebbe istruire i rappresentanti del governo di Sua Maestà, quando Mattei compare sulla scena, a riferire i fatti nella maniera più completa possibile. Tuttavia, per le ragioni esposte, non ritengo che noi al momento desideriamo andare oltre, e certamente non fino al punto suggerito dal ministero dell’energia nel suo ultimo paragrafo [nda: Jarratt suggeriva che la circolare fornisse direttive chiare alle sedi diplomatiche perchè intervenissero a favore delle imprese britanniche, laddove l’Eni compariva sulla scena]. Tuttavia, lasciando da parte le negoziazioni per la Cee, sarei lieto di ricevere le sue opinioni circa il suggerimento che, nei casi opportuni, le rappresentanze diplomatiche siano istruite a intervenire [...] Non sono comunque sicuro sulla forma che tale intervento debba assumere”. Così finisce la nota di Jamieson a Hugh-Jones. Siamo al 3 settembre 1962.
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