La notte del sabato dopo gli attentati, l’anarchico Enrico Di Cola viene interrogato nella questura di Roma. Gli chiedono di denunciare Pietro Valpreda "perche’ a lorro serve un responsabile per la strage di Milano". Di Cola rifiuuta. Insistono, prima offrendogli soldi poi minacciandolo. Un sottufficiale gli passa davanti alla faccia un tagliacarte d’acciaio e un’altro, mentre il funzionario che conclude l’interrogatorio e’ uscito dalla stanza, dice all’anarchico "guarda che possiamo farti fuori quando e come vogliamo. Tanto fuori di qua non sapranno mai come sei morto…". Qualche giorno dopo Di Cola viene rilasciato. Poi ci ripensano, lo vogliono arrestare di nuovo, ma Di Cola riesce a far perdere le proprie tracce e sino ad oggi e’ rimasto latitante.
Uno che invece non ha difficolta’ a riferire circostanze che si tramutano immediatamente in atti d’accusa contro Valpreda e i suoi compagni del 22 Marzo, e’ Mario Merlino. E’ stato fermato come gli altri verso le sette di sera del venerdi’, appena uun’ora e mezzo dopo l’esplosione dell’ultima bomba romana all’Altare della Patria. Siccome il primo alibi ("ero a casa mia") non e’ stato confermato dalla madre, Merlino ne ha fornito un’altro "Avevo un’appuntamento alle ore 17 in casa della signora Minetti in Via Tuuscolana 552 con il mio amico Stefano Delle Chiaie.Non lo trovai. Restai con i figli della Minetti, Riccardo e Claudio…"
Merlino comincia a deunciare gli anarchici gia’ nel secondo interrogatorio di sabato mattina: "IL 28 novembre, a Santa Maria Maggiore, duurante il concentramento degli studenti, Roberto Malder mi chiese di procurargli dell’esplosivo". "IL 10 o 11 c.m. incontrai Mander in Via Cavour, alle ore 20. Mi confermo’ quello che mi aveva detto Borghese e cioe’ che tenevano un deposito d’armi e munizioni sulla Via Casilina.." (non e’ mai stato trovato, n.d.a.). "Stamane in questura quando ho visto Mander e gli ho detto che il commissario mi aveva contestato l’esistenza del deposito ( invece e’ stato Merlino a parlarne col commissario, n.d.a.) egli ha esclamato: "sano anche questo!". "IL Borghese mi riferi’ del deposito al 22 Marzo il 9 o 10 dicembre. Pensai che volesse farmi unire a lui ed agli altri per qualche azione. Io gli dissi che non mi sembrava il caso di parlare di queste cose". Nel terzo interrogatorio del 19 dicembre, Mario Merlino fa notare al Pubblico Ministero Vittorio Occorsio che il motto di Valpreda era "Bombe sangue e anarchia". Poi suggerisce che "forse la conferenza al 22 Marzo (alla quale hanno partecipato gli altri imputati romani, e che costituisce l’alibi per il pomeriggio del 12 dicembre, n.d.r.) fu fatta per avere una copertura per gli attentati".
Il 9 gennaio, quando viene interrogato dal giudice istruttore Ernesto Cudillo, Merlino e’ costretto ad ammettere di aver partecipato al famoso viaggio in Grecia. Pero’, spiega "ci andai perche’ era gratuito, non ostante non avessi mai svolto propaganda a favore dei Colonelli", e precisa " non ci furono conferenze e non fummo ricevuti da personalita’" (ma l’incontro dei fascisti italiani col Ministro Patakos e’ docuumentato in una serie di fotografie).
Da quel giorno di gennaio Mario Merlino non e’ stato piu’ interrogato. Eppure se solo il magistrato avesse insistito di piu’, magari prendendo lo spunto dalle due curiose circostanze di un’anarchico in visita ufficiale nella Grecia dei Colonnelli e che si fa fornire un alibi dai figli di una donna, Leda Minetti, che da dieci anni e’ l’amica del piu’ noto boss del neofascismo romano, Stefano Delle Chiaie, avrebe potuto ricostruire facilmente il personaggio Mario Merlino, cosi’ come e’ stato fatto nelle pagine di questo libro. E partendo da lui, da questo Merlino fascista infiltrati fra gli anarchici, il giudice avrebbe anche potuto delineare quuesti profili di fascisti, per accorgersi si tratta di tante tessere di un mosaico al cui centro si trova la strage del 12 dicembre 1969.