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C'è da ascoltare anche i commenti, che vogliono restare anonimi, di alcuni magistrati della Procura e le parole pronunciare a denti stretti di molti agenti della Guardia di Finanza, per capire che, sia gli uni che gli altri, per effetto del recente decreto sicurezza del Governo, sono costretti a lavorare rischiando quotidianamente l'incriminazione.
Un militare impegnato su un'unità navale a largo di Lampedusa, che pretende l'anonimato assoluto, confessa: "Se facciamo salire a bordo della motovedetta, che è territorio italiano, gli immigrati trovati in mare, per non infrangere la legge, in pochi secondi dovremmo improvvisarci medici, per stabilire se il clandestino al quale tendiamo la mano è malato oppure no".
"Oppure essere capaci di stabilire, con un'occhiata veloce, se quel disgraziato, che non parla italiano, mezzo morto di sete e fame, mentre piange e chiede aiuto, ha diritto di ricevere asilo politico perché dal suo paese non si può che fuggire, anche a costo della vita"
Ma intanto, il procuratore Di Natale non può che dichiarare ai giornali che: "Fino a questo momento stiamo procedendo per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e omicidio colposo plurimo a carico di ignoti". L'ipotesi di omissione di soccorso per i 73 inghiottiti dal mare del Canale di Sicilia, resta sullo sfondo.
Secondo le prime ricostruzioni, l'equipaggio della motovedetta maltese, infatti, si sarebbe limitato a fornire loro cinque salvagente e il carburante per proseguire verso Lampedusa. Anzi, stando alle dichiarazioni dei maltesi, gli eritrei "stavano benissimo" e avrebbero addirittura rifiutato i soccorsi.
"La Guardia di Finanza e la Polizia italiana - spiega il procuratore - stanno svolgendo una serie di accertamenti, anche sui giubbotti di salvataggio trovati a bordo del gommone. Insomma - ha concluso il procuratore Di Natale - "si tratta di una vicenda giudiziaria molto complessa".
I corpi dei compagni morti abbandonati in mare. Nei giorni scorsi avvistati da Malta 7 cadaveri Migranti, una nuova tragedia come nel '96 "Settantrè morti e nessun soccorso" Polemica del centrosinistra e delle organizzazioni umanitarie: "Indifferenza inaccettabile" Aperta un'inchiesta, ma il Viminale frena: "Elementi contrastanti" LAMPEDUSA 20 agosto 2009 - "Siamo stati alla deriva per più di venti giorni, abbiamo incrociato almeno dieci imbarcazioni, ma solamente un pescatore si è fermato per darci cibo e acqua. Eravamo partiti in 78, siamo arrivati in cinque. Gli altri sono morti e abbiamo gettato i corpi in mare". Le parole di un ragazzo eritreo, soccorso al largo di Lampedusa insieme a quattro connazionali, proietta nel canale di Sicilia l'ombra di una nuova tragedia. Il suo racconto viene ritenuto attendibile dalle organizzazioni umanitarie mentre il Viminale esprime dubbi e perplessità. In serata le autorità maltesi hanno precisato di avere avvistato nei giorni scorsi sette cadaveri, ma di non averli recuperati perchè in acque libiche. I sopravvissuti: "Nessuno ci ha aiutato". Habeton, Allarme scattato solo oggi. I soccorritori: "Sono ridotti a scheletri". Il Viminale nega: "Elementi contrastanti". Le organizzazioni umanitarie: Centrosinistra: Centrodestra: "Prima verifichiamo i fatti". Intercettato un altro barcone. |
La legge del mare Salvatore lupo 22 agosto 2009 Anche qualche giorno dopo il Natale del 1996 le autorità marittime avevano molti dubbi, come oggi il ministro dell’Interno. Capitava a tutti, perché i cadaveri erano moltissimi. Ma nessuno li recuperava perché temevamo di avere il peschereccio bloccato per giorni dalla burocrazia che scatta in casi del genere. Sono stato io, cinque anni dopo, a raccontare questa storia. È scoppiato un grande scandalo. Ma di una cosa sono assolutamente sicuro: Ci sono molte leggi sul mare. A me è capitato di vederla violata. |
I cinque eritrei che si sono salvati raccontano
"Avvistati da almeno dieci navi ma nessuno si è fermato a salvarci" LAMPEDUSA, FRANCESCO VIVIANO- A bordo molti erano già morti, ma in tanti, almeno una trentina, eravamo ancora vivi. "Eravamo stremati, stanchi, disperati, ma gli uomini di quel peschereccio, quando l'imbarcazione si è avvicinata, ci hanno dato soltanto un paio di bottiglie d'acqua e qualcosa da mangiare. Poi sono spariti, se ne sono andati via". Hampton, 17 anni, eritreo, è il più giovane dei cinque sopravvissuti all'ultima strage del mare nel canale di Sicilia. È in infermeria del centro di accoglienza di Lampedusa insieme agli altri tre uomini e una donna, tutti eritrei, cristiani. Tutti partiti più di venti giorni fa dalle coste libiche insieme ad altri 73 connazionali. Compagni di viaggio morti per gli stenti della fame, della sete, per le ustioni del sole e dei vapori della benzina. Racconta Hampton: "Non credevamo a quello che stava accadendo, gli uomini di quel peschereccio hanno visto che stavamo morendo, ma non ci hanno portato a bordo. Non erano italiani, parlavano inglese. Speravamo che magari dessero l'allarme, che segnalassero la nostra posizione a qualcuno, invece siamo rimasti in mare per altri giorni e tutti gli altri che erano ancora vivi, tranne noi cinque, sono morti. Con noi Dio è stato buono, ma tutti gli altri, non ci sono più, sono morti e noi li abbiamo buttati in mare, come quelli di prima". Hampton è il meno grave di tutti, ma nessuno dei sopravvissuti rischia di morire. "Se la caveranno" dice una dottoressa dell'istituto nazionale migrazione e povertà che assiste gli extracomunitari ricoverati nel pronto soccorso del centro di accoglienza dell'isola. Titti racconta che è stata per un paio di mesi a lavorare, "come una schiava", nelle case dei libici. "Con me - prosegue Titti - c'erano altre mie amiche ed altri connazionali, tutti in cerca di fortuna, tutti con la speranza di raggiungere l'Italia dove da anni vivono altri nostri parenti ed amici". Titti smette poi di parlare, le spuntano le lacrime agli occhi, i ricordi di quei giorni vissuti in mare in balia delle onde e delle intemperie del giorno e della notte. È stremata e piena di ustioni in varie parti del corpo, ma a tarda sera riesce a prendere sonno e ad addormentarsi. Hampton è più loquace, ha ancora forze nonostante tutto ed ha voglia di raccontare quello che ha vissuto insieme altri atri. "Quando i trafficanti, dopo alcune settimane che ci tenevano prigionieri in dei capannoni, hanno stabilito che potevamo partire, ci hanno portato su una spiaggia. Lì c'era già un gommone pronto con delle taniche di benzina a bordo. Erano poche ed uno di noi lo ha fatto notare: "come faremo a raggiungere Lampedusa con questo carburante?". Loro ridevano, dicevano che potevamo andare anche in America, ma non era così e dopo qualche giorno, il motore si è fermato. Avevamo visto di notte le luci delle piattaforme petrolifere che i trafficanti ci avevano detto di raggiungere perché quella era la strada giusta. Ma non potevamo navigare, eravamo come rami che galleggiano nei fiumi. Il gommone andava avanti e indietro, girava attorno a se stesso. Di giorno era un inferno, il sole e l'acqua salata martoriava le nostre carni, la notte c'era freddo e non avevamo nulla per riscaldarci. Pregavamo e speravamo. Poi quel peschereccio che pensavamo ci potesse salvare e che invece se n'è andato via. Abbiamo incontrato altre barche o altre navi, almeno dieci, non li distinguevamo bene da lontano. Forse ci hanno anche visto, io e i pochi ancora con qualche energia gridavamo, sventolavamo le nostre magliette. Tutto inutile. Nessuno ci ha mai avvicinato e così cominciavamo a morire". A bordo non c'erano bambini, ed i primi che hanno finito di vivere sono state le donne. "Erano le più deboli, tentavamo di darci aiuto l'uno con l'altro, ma non potevamo fare nulla, non avevamo più niente, molti avevano cominciato a bere acqua di mare e sono stati i primi a morire. Li abbiamo dovuti buttare in mare, uno dopo l'altro, non c'era altro da fare ed è stata una cosa dolorosa anche se Dio ci perdonerà di questo". Poi, ieri mattina, dal mare è spuntata una nave grigia, era quella della guardia di finanza che in questi ultimi mesi ha soccorso altri extracomunitari in mare riportandoli però subito in Libia, senza sapere da dove venivano. Ma questa volta in quel gommone c'erano dei fantasmi, dei moribondi, |
Avvenire: Editoriale del giornale dei vescovi: "Nessuna politica di controllo consente di lasciare una barca alla deriva" Prese di posizione forti anche da monsignor Bruno Schettino e dall'Osservatore romano Migranti morti, la Chiesa accusa: "Occhi chiusi come con la Shoah" il Viminale precisa: "Da quel gommone mai ricevute richieste di soccorso ROMA 21 agosto 2009 - "L'Occidente a occhi chiusi" non ha voluto vedere il barcone degli eritrei dispersi in mare, come durante il nazismo nessuno vedeva i convogli piombati pieni di ebrei. Duro il commento del giornale dei vescovi italiani sull'ennesima strage dei migranti. E durissime le parole di monsignor Bruno Schettino, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e arcivescovo di Capua: "Una grave offesa all'umanità e al senso cristiano della vita". Il Viminale: "Nessuna richiesta di soccorso". L'Avvenire. In un editoriale pubblicato in prima pagina, Marina Corradi sostiene che c'è "almeno un equivoco "Quando, oggi, leggiamo delle deportazioni degli ebrei sotto il nazismo ci chiediamo: certo, le popolazioni non sapevano; La Cei. La morte di oltre 70 migranti che cercavano di raggiungere la Sicilia rappresenta una "grave offesa all'umanità e L'Osservatore romano. "Immigrati, il dovere del soccorso": titolo eloquente quello scelto dal giornale vaticano che affronta, in prima pagina, la tragedia di migranti. Nell'articolo si riportano tra l'altro le parole del prefetto di Agrigento, Le indagini. Almeno uno dei cinque migranti eritrei è stato interrogato dagli investigatori delegati dalla procura di Agrigento. Da fonti giudiziarie si apprende inoltre che non c'è traccia dei salvagenti che sarebbero stati lanciati ai cinque migranti |
Il leader della Lega critica il Vaticano. Pronta la replica di monsignor Vegliò: "Le società sviluppate rispettino i diritti degli immigrati e non si chiudano all'egoismo" Bossi: "Quelle dei vescovi sono parole con poco senso" Grazie alle politiche del governo, secondo il senatur, gli stranieri "partono molto meno di prima" Franceschini: "Non ci sono più dubbi, la linea della Lega è la linea di tutto il Governo" CALALZO 22 agosto 2009 - "Sono parole con poco senso". "Che le porte le apra il Vaticano che ha il reato di immigrazione, che dia lui il buon esempio". Così il leader del Carroccio Umberto Bossi, da Calalzo di Cadore dov'è in vacanza, commenta la posizione dei vescovi sull'immigrazione dopo il recupero, due giorni fa, di cinque eritrei nel Canale di Sicilia. I profughi avevano denunciato di aver perso 73 compagni durante il viaggio. Ma il Vaticano non retrocede sulla propria denuncia e oggi ribadisce la richiesta di "rispettare i diritti dei migranti". Il presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, in una intervista a Radio Vaticana sottolinea che il Vaticano è "addolorato" per "il continuo ripetersi" delle morti in mare e chiede alle società sviluppate di "rispettare sempre i diritti dei migranti" e di non "chiudersi all'egoismo". "E' legittimo il diritto degli Stati a gestire e regolare le migrazioni. C'è tuttavia un diritto umano ad essere accolti e soccorsi. Ciò - aggiunge monsignor Vegliò - si accentua in situazioni di estrema necessità, come per esempio l'essere in balia delle onde del mare". A Bossi risponde anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo: "Le sue sparate a salve - che ormai non fanno più storia perchè ci ha abituato - sono solo per i suoi seguaci e non per chi come noi vuole risolvere la situazione e sono talmente gravi al pari dei fatti incresciosi avvenuti al largo del Mediterraneo. Vorrei sapere da quali fonti di informazione Bossi deduca che il Vaticano abbia il reato di immigrazione. Sono parole del tutto gratuite". La speranza del vescovo siciliano è che "questo fronte fittiziamente compatto della maggioranza, cominci a incrinarsi. C'è qualche buon segnale da Fini. Mi auguro che prevalga non la propaganda ma la solidarietà". Contro Bossi si schiera anche il responsabile immigrazione della Caritas italiana, Oliviero Forti: "Se si soffia su fuoco dell'incomprensione e dell'intolleranza si fa il gioco populista che non aiuta nessuno", e gli "atti di razzismo e di intolleranza aumentano". Ma il senatur continua per la sua strada, contestando ai vescovi in particolare l'accostamento della Shoah alle stragi di immigrati che cercano di raggiungere le coste italiane. Parlando con i giornalisti, afferma di non credere all'ipotesi di omissione di soccorso degli eritrei dispersi in mare. "Non ci credo, non li avranno visti. La nostra marina ha l'obbligo di andare in soccorso", ha detto. E difende a oltranza la politica del Governo: grazie alle nuove leggi, secondo il leader del Carroccio, "partono molto meno di prima". E quindi "bisogna riuscire a fermarli alla partenza se no si prosegue con l'avere un sacco di morti". Per Bossi, infatti, c'è il rischio per troppa gente di mettere a repentaglio "la propria vita per niente perché quando arrivano qui non trovano posti di lavoro". Dario Franceschini, segretario del Partito democratico, prende parola per precisare come "la linea di Bossi e della Lega sull'immigrazione" sia ormai "la linea di tutto il Governo". Per lui non ci sono più dubbi "non fosse altro perchè il ministro dell'Interno appartiene a quel partito". Così, conclude, "puntualmente a ogni sparata leghista seguono atti amministrativi e legislativi totalmente allineati. E' successo sulle ronde, sul reato di immigrazione clandestina, sui respingimenti e su tutto il resto". Sull'ultima tragedia del Mediterraneo interviene nuovamente l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) che chiede sia fatta chiarezza su quanto accaduto. "Riteniamo - ha affermato la portavoce Laura Boldrini- che sia necessario far chiarezza sulle responsabilità e ci auguriamo che la magistratura proceda in questo senso. E' importante che non passi il principio dell'impunità, cioè che il Mediterraneo sia diventato una sorta di terra di nessuno". Quanto all'eventualità che i cinque sopravvissuti vengano incriminati per immigrazione clandestina, l'Unhcr ricorda che "anche in base alle nuove normative del pacchetto di sicurezza, il reato di clandestinità è sospeso per i richiedenti asilo e normalmente la quasi totalità degli eritrei che arrivano in Italia via mare fa domanda d'asilo". Invece, ha concluso Boldrini, "vista l'esperienza drammatica vissuta dai cinque eritrei sarebbe auspicabile un loro trasferimento in una struttura in cui possa essere fornita assistenza psicologica come avviene per le vittime di disastri naturali". |
l'Arci denuncia la Lega nord e il figlio di Bossi per istigazione all'odio raziale L'associazione infuriata contro il "gioco" pubblicato su Facebook dal Carroccio "Ci appelliamo alla magistratura perchè non è possibile simulare stragi vere per divertimento" ROMA 22 agosto 2009 - L'Arci denuncia la Lega Nord e Renzo Bossi per istigazione all'odio razziale. "Non è più sufficiente limitarsi all'indignazione di fronte alla barbarie cui siamo giunti - afferma Miraglia - mentre 'Rimbalza il clandestino', così l'ha chiamato il suo ideatore, quel Renzo Bossi secondogenito del leader della Lega, "Nel videogame - prosegue - appare l'immagine della nostra penisola circondata da barconi di clandestini. Verrebbe da dire: ma non è quello che già succede? Che altro sono i respingimenti in mare se non violenza programmata? "C'è però un limite - aggiunge Miraglia - cui il rispetto di noi stessi oltre che quello per il nostro prossimo, |