I morti sono 75, martiri vittime  delle nuove, criminali, razziste leggi dello Stato italiani, che violando i piu' elementari principi del diritto istiga agenti , militari, marittimi e pescatori, ad abbandonare in balia alle onde del mare uomini nel canale di Sicilia. La minaccia scritta sulle leggi è forte:
Chi soccorre i naufraghi rischia l'incriminazione, per favoreggiamento, rischia la galera, rischia il blocco per mesi
del peschereccio, rischia il sequestro dell'imbarcazione;
ed allora l'effetto è immediato: a decine, pescherecci, pattuglie e navi, sono passate vicino al gommone degli ottana naufraghi, nessuno si è fermato.
il dramma è compiuto: 75 sono morti è il Governo italiano è il colpevole
ha costretto, istigato i marinai all'omissione di soccorso.
Il procuratore della Repubblica di Agrigento, Renato Di Natale: Il reato ipotizzato contro ignoti è anche quello di omicidio colposo plurimo. Sullo sfondo resta l'ipotesi di omissione di soccorso dei 73 immigrati morti in mare. 

C'è da ascoltare anche i commenti, che vogliono restare anonimi, di alcuni magistrati della Procura e le parole pronunciare a denti stretti di molti agenti della Guardia di Finanza, per capire che, sia gli uni che gli altri, per effetto del recente decreto sicurezza del Governo, sono costretti a lavorare rischiando quotidianamente l'incriminazione.

Un militare impegnato su un'unità navale a largo di Lampedusa, che pretende l'anonimato assoluto, confessa: "Se facciamo salire a bordo della motovedetta, che è territorio italiano, gli immigrati trovati in mare, per non infrangere la legge, in pochi secondi dovremmo improvvisarci medici, per stabilire se il clandestino al quale tendiamo la mano è malato oppure no".

"Oppure essere capaci di stabilire, con un'occhiata veloce, se quel disgraziato, che non parla italiano, mezzo morto di sete e fame, mentre piange e chiede aiuto, ha diritto di ricevere asilo politico perché dal suo paese non si può che fuggire, anche a costo della vita"

Ma intanto, il procuratore Di Natale non può che dichiarare ai giornali che: "Fino a questo momento stiamo procedendo per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e omicidio colposo plurimo a carico di ignoti". L'ipotesi di omissione di soccorso per i 73 inghiottiti dal mare del Canale di Sicilia, resta sullo sfondo.

Secondo le prime ricostruzioni, l'equipaggio della motovedetta maltese, infatti, si sarebbe limitato a fornire loro cinque salvagente e il carburante per proseguire verso Lampedusa. Anzi, stando alle dichiarazioni dei maltesi, gli eritrei "stavano benissimo" e avrebbero addirittura rifiutato i soccorsi.

"La Guardia di Finanza e la Polizia italiana - spiega il procuratore - stanno svolgendo una serie di accertamenti, anche sui giubbotti di salvataggio trovati a bordo del gommone. Insomma - ha concluso il procuratore Di Natale - "si tratta di una vicenda giudiziaria molto complessa".
 

Cinque eritrei superstiti: erano partiti dalla Libia in 78, alla deriva per più di 20 giorni.
I corpi dei compagni morti abbandonati in mare.
Nei giorni scorsi avvistati da Malta 7 cadaveri Migranti, una nuova tragedia come nel '96
"Settantrè morti e nessun soccorso"
Polemica del centrosinistra e delle organizzazioni umanitarie: "Indifferenza inaccettabile"
Aperta un'inchiesta, ma il Viminale frena: "Elementi contrastanti"

LAMPEDUSA 20 agosto 2009 - "Siamo stati alla deriva per più di venti giorni, abbiamo incrociato almeno dieci imbarcazioni, ma solamente un pescatore si è fermato per darci cibo e acqua. Eravamo partiti in 78, siamo arrivati in cinque. Gli altri sono morti e abbiamo gettato i corpi in mare". Le parole di un ragazzo eritreo, soccorso al largo di Lampedusa insieme a quattro connazionali, proietta nel canale di Sicilia l'ombra di una nuova tragedia. Il suo racconto viene ritenuto attendibile dalle organizzazioni umanitarie mentre il Viminale esprime dubbi e perplessità. In serata le autorità maltesi hanno precisato di avere avvistato nei giorni scorsi sette cadaveri, ma di non averli recuperati perchè in acque libiche.

I sopravvissuti: "Nessuno ci ha aiutato". Habeton,
17 anni, ha raccontato di essere partito il 28 luglio scorso da Tripoli, a bordo di un barcone con altre 78 persone, per lo più eritree e in minima parte etiopi. Dopo 6 giorni di viaggio però erano terminati cibo, acqua, benzina e i cellulari erano ormai scarichi. L'imbarcazione, un gommone di 12 metri, avrebbe proseguito dunque spinta dal vento e priva di rotta. Le persone avrebbero cominciato a morire e man mano che morivano venivano gettate in mare. Nel corso del drammatico viaggio almeno 10 le imbarcazioni che sarebbero state incrociate a cui è stato richiesto aiuto ma inutilmente. Solo nei giorni scorsi - lunedì o martedì - i superstiti hanno detto di avere incrociato un pescatore che ha dato loro acqua e cibo.

Allarme scattato solo oggi. 
La segnalazione delle autorità maltesi è arrivata solo all'alba di oggi quando i migranti si trovavano a circa 19 miglia dall'isola, al confine con le acque di competenza italiana. Le autorità della Valletta non hanno però specificato da quanto tempo
il barcone, alla deriva per mancanza di carburante, venisse "monitorato".
La circostanza rischia di fare esplodere un nuovo caso diplomatico tra Malta e l'Italia.

I soccorritori: "Sono ridotti a scheletri".
I cinque migranti - una donna, due uomini e due minorenni - non sono in pericolo di vita, ma in precarie condizioni fisiche sì: "I loro corpi - dicono gli operatori umanitari che li hanno attesi sul molo - sono ridotti a uno scheletro". "La donna sembrava un fantasma - aggiungono -, gli occhi persi nel vuoto. Ricordava Fatima, la ragazza somala che raccogliemmo da un barcone convinti che ormai fosse morta".

Il Viminale nega: "Elementi contrastanti".
La Procura di Agrigento ha aperto un'inchiesta per verificare il racconto dei cinque eritrei e il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha chiesto una relazione al prefetto di Agrigento. L'obiettivo, spiega la portavoce Isabella Votino "è sapere come si sono svolti i fatti, perchè la vicenda presenta aspetti da chiarire e la versione fornita dai migranti è da verificare in quanto stanno emergendo elementi che contrastano con quanto riportato dai supersiti". Secondo quanto si apprende da fonti del Viminale, dai perlustramenti navali e aerei fatti nei giorni scorsi nel canale di Sicilia non sarebbero stati avvistati cadaveri:
gli unici sono i quattro recuperati da Malta. Inoltre, altro elemento discordante, i cinque eritrei arrivati a Lampedusa 
non presenterebbero segni così evidenti di persone che hanno passato in mare 20-25 giorni come hanno invece affermato.

Le organizzazioni umanitarie:
"Inacettabile". Durissima la reazione di numerose organizzazioni umanitarie che ritengono il racconto degli eritrei veritiero. "E' inaccettabile l'indifferenza crescente nei confronti dei migranti, anche in situazione di evidente gravità", commenta Carlotta Bellini di Save the Children Italia. Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, aggiunge: "Oltre 20 giorni in mare senza che nessuna imbarcazione abbia dato soccorso è un triste primato che preoccupa enormemente. Come se fosse passato il messaggio che chi arriva via mare sia una sorta di vuoto a perdere". Si dichiara scioccato Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir): "Se pensiamo che la striscia di mare tra Lampedusa e la Libia è totalmente vigilata, ci chiediamo come sia possibile che un gommone di 12 metri possa stare lì per tanto tempo senza che nessuno se ne sia reso conto. Vuol dire che è stato abbandonato al suo destino".

Centrosinistra:
"Governo riferisca al Parlamento". "Se, come tutto lascia prevedere, ci sarà la conferma degli annegati, dei venti giorni
passati alla deriva nella battutissima e sorvegliatissima zona del canale di Sicilia si porranno terribili domande".
Con queste parole il segretario del Pd Dario Franceschini chiede al Governo "di chiarire in Parlamento quello che è successo". Indignazione e richieste di spiegazioni sono arrivate anche dal deputato dell'Idv Sonia Alfano, dal segretario del Prc Paolo Ferrero, dall'ex ministro dell'Interno Enzo Bianco, dal capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi.

Centrodestra: "Prima verifichiamo i fatti".
Pronta la replica del Pdl che prima ancora dell'intervento del Viminale, chiede prudenza tramite Isabella Bertolini:
"Questo episodio non può consentire alcuna speculazione da parte dell'opposizione. Tentare di far passare il concetto
che naufraghi siano stati volutamente lasciati al loro destino da parte delle forze adibite ai pattugliamenti è inaccettabile".

Intercettato un altro barcone.
Ancora sbarchi di clandestini sulle coste siciliane. Un barcone con 40 persone a bordo è stato intercettato dalle motovedette della Capitaneria di porto a circa un miglio e mezzo da Lampedusa. A segnalare l'imbarcazione è stato un diportista.
Sono tutti uomini e in buone condizioni. Altri cinque migranti tunisini sono stati fermati oggi dopo che erano già sbarcati nell'isola con una piccola imbarcazione.


La legge del mare
Salvatore lupo 22 agosto 2009

Anche qualche giorno dopo il Natale del 1996 le autorità marittime avevano molti dubbi, come oggi il ministro dell’Interno.
Dicevano che quel naufragio - quasi trecento morti - non era avvenuto. Le ricerche, infatti, quasi subito furono sospese.
Noi pescatori, invece, non possiamo mai sospendere il nostro lavoro, a meno che non siamo costretti dalle cattive condizioni del mare. In quegli ultimi giorni del 1996 era tornato buono, così andavamo per mare. E trovavamo cadaveri.

Capitava a tutti, perché i cadaveri erano moltissimi. Ma nessuno li recuperava perché temevamo di avere il peschereccio bloccato per giorni dalla burocrazia che scatta in casi del genere.

Sono stato io, cinque anni dopo, a raccontare questa storia. È scoppiato un grande scandalo.
Si è creata molta tensione tra noi pescatori di Portopalo di Capo Passero. Da allora, da quel 2001, nel Mediterraneo
le cose sono peggiorate e io oggi rifarei la stessa scelta: direi la verità per difendere l’onore della gente del mare.
Fu un grave errore non segnalare la presenza di quei cadaveri. Le autorità marittime poterono continuare a dire
che il naufragio non era avvenuto. Cioè a nascondere la realtà, come mi sembra si voglia fare oggi.

Ma di una cosa sono assolutamente sicuro:
nessuno di noi, né in quel 1996, né negli anni successivi, avrebbe girato la testa dall’altra parte se, anziché un cadavere,
avesse incontrato una barca in difficoltà.

Ci sono molte leggi sul mare.
C’è il codice della navigazione, ci sono le norme internazionali, ci sono poi le leggi imposte dalla tecnica e i regolamenti
dei porti. A volte facciamo fatica a districarci in questo mare di leggi. Ma quella che ci impone di salvare la vita dei naufraghi è una legge molto semplice. Ed è una di quelle leggi che esprimono un sentimento che dovrebbe unire tutti gli uomini.

A me è capitato di vederla violata.
Era il 2005 e lavoravo come ufficiale in un rimorchiatore che faceva assistenza alle piattaforme che si trovano nel mare
di Melita, 60 miglia a nord-ovest di Tripoli. Sono enormi e hanno dei grandi tubi che bruciano del gas. A distanza questi fuochi possono apparire luci di qualche costa. I migranti sono naviganti inesperti. Una notte ho visto una loro barca
in avaria. Ci saranno state 150-200 persone. Si erano dirette verso la piattaforma scambiandola
per la terraferma. Quando si sono accorte di noi e della bandiera italiana hanno cominciato a sbracciarsi per chiedere aiuto. Ma eravamo sotto la giurisdizione dei libici e il comandante ha detto che non potevamo fare niente «senza un loro ordine». L’ordine non è mai arrivato e quei poveretti hanno continuato ad andare alla deriva senza acqua né cibo.
Il giorno dopo abbiamo visto decine di corpi che ritornavano verso di noi spinti dalle onde.
Quando sento dire che la Libia collabora con noi nella lotta contro l’immigrazione clandestina penso sempre a quella scena terribile. E penso che come noi pescatori anche il nostro Stato, lo Stato italiano, debba rispettare la legge del mare.


I cinque eritrei che si sono salvati raccontano
"Da una barca ci hanno lanciato dell'acqua, poi sono spariti"
"Avvistati da almeno dieci navi ma nessuno si è fermato a salvarci"

LAMPEDUSA, FRANCESCO VIVIANO-

"Quando abbiamo visto quel peschereccio avvicinarsi pensavamo di avercela fatta.
A bordo molti erano già morti, ma in tanti, almeno una trentina, eravamo ancora vivi.

"Eravamo stremati, stanchi, disperati, ma gli uomini di quel peschereccio, quando l'imbarcazione si è avvicinata, ci hanno dato soltanto un paio di bottiglie d'acqua e qualcosa da mangiare. Poi sono spariti, se ne sono andati via".

Hampton, 17 anni, eritreo, è il più giovane dei cinque sopravvissuti all'ultima strage del mare nel canale di Sicilia. È in infermeria del centro di accoglienza di Lampedusa insieme agli altri tre uomini e una donna, tutti eritrei, cristiani. Tutti partiti più di venti giorni fa dalle coste libiche insieme ad altri 73 connazionali. Compagni di viaggio morti per gli stenti della fame, della sete, per le ustioni del sole e dei vapori della benzina.

Racconta Hampton: "Non credevamo a quello che stava accadendo, gli uomini di quel peschereccio hanno visto che stavamo morendo, ma non ci hanno portato a bordo. Non erano italiani, parlavano inglese. Speravamo che magari dessero l'allarme, che segnalassero la nostra posizione a qualcuno, invece siamo rimasti in mare per altri giorni e tutti gli altri che erano ancora vivi, tranne noi cinque, sono morti. Con noi Dio è stato buono, ma tutti gli altri, non ci sono più, sono morti e noi li abbiamo buttati in mare, come quelli di prima".

Hampton è il meno grave di tutti, ma nessuno dei sopravvissuti rischia di morire. "Se la caveranno" dice una dottoressa dell'istituto nazionale migrazione e povertà che assiste gli extracomunitari ricoverati nel pronto soccorso del centro di accoglienza dell'isola.
Titti è l'unica delle trenta donne sopravvissute a questa strage. Con lei c'erano anche altri tre suoi familiari, due cugini ed un fratello che si erano imbarcati sul gommone della morte sperando di raggiungere l'Italia. Parla con difficoltà in dialetto Tigrino, la lingua della regione eritrea vicino ad Asmara, ad ascoltarla c'è un suo connazionale che lavora per "Save the children" nel centro di accoglienza di Lampedusa. "Sono arrivata in Libia alcuni mesi fa - dice Titti - è stato un viaggio faticoso e pieno di insidie e pericoli. Solo la forza della disperazione, la speranza di arrivare in Italia mi ha fatto superare tutte le difficoltà".

Titti racconta che è stata per un paio di mesi a lavorare, "come una schiava", nelle case dei libici. "Con me - prosegue Titti - c'erano altre mie amiche ed altri connazionali, tutti in cerca di fortuna, tutti con la speranza di raggiungere l'Italia dove da anni vivono altri nostri parenti ed amici".

Titti smette poi di parlare, le spuntano le lacrime agli occhi, i ricordi di quei giorni vissuti in mare in balia delle onde e delle intemperie del giorno e della notte. È stremata e piena di ustioni in varie parti del corpo, ma a tarda sera riesce a prendere sonno e ad addormentarsi. Hampton è più loquace, ha ancora forze nonostante tutto ed ha voglia di raccontare quello che ha vissuto insieme altri atri. "Quando i trafficanti, dopo alcune settimane che ci tenevano prigionieri in dei capannoni, hanno stabilito che potevamo partire, ci hanno portato su una spiaggia. Lì c'era già un gommone pronto con delle taniche di benzina a bordo. Erano poche ed uno di noi lo ha fatto notare: "come faremo a raggiungere Lampedusa con questo carburante?". Loro ridevano, dicevano che potevamo andare anche in America, ma non era così e dopo qualche giorno, il motore si è fermato. Avevamo visto di notte le luci delle piattaforme petrolifere che i trafficanti ci avevano detto di raggiungere perché quella era la strada giusta. Ma non potevamo navigare, eravamo come rami che galleggiano nei fiumi. Il gommone andava avanti e indietro, girava attorno a se stesso. Di giorno era un inferno, il sole e l'acqua salata martoriava le nostre carni, la notte c'era freddo e non avevamo nulla per riscaldarci. Pregavamo e speravamo. Poi quel peschereccio che pensavamo ci potesse salvare e che invece se n'è andato via. Abbiamo incontrato altre barche o altre navi, almeno dieci, non li distinguevamo bene da lontano. Forse ci hanno anche visto, io e i pochi ancora con qualche energia gridavamo, sventolavamo le nostre magliette. Tutto inutile. Nessuno ci ha mai avvicinato e così cominciavamo a morire".

A bordo non c'erano bambini, ed i primi che hanno finito di vivere sono state le donne. "Erano le più deboli, tentavamo di darci aiuto l'uno con l'altro, ma non potevamo fare nulla, non avevamo più niente, molti avevano cominciato a bere acqua di mare e sono stati i primi a morire. Li abbiamo dovuti buttare in mare, uno dopo l'altro, non c'era altro da fare ed è stata una cosa dolorosa anche se Dio ci perdonerà di questo". Poi, ieri mattina, dal mare è spuntata una nave grigia, era quella della guardia di finanza che in questi ultimi mesi ha soccorso altri extracomunitari in mare riportandoli però subito in Libia, senza sapere da dove venivano.

Ma questa volta in quel gommone c'erano dei fantasmi, dei moribondi,
ed il "respingimento" non è stato possibile.


Avvenire: Editoriale del giornale dei vescovi:
"Nessuna politica di controllo consente di lasciare una barca alla deriva"
Prese di posizione forti anche da monsignor Bruno Schettino e dall'Osservatore romano
Migranti morti, la Chiesa accusa: "Occhi chiusi come con la Shoah"
il Viminale precisa: "Da quel gommone mai ricevute richieste di soccorso

ROMA 21 agosto 2009 - "L'Occidente a occhi chiusi" non ha voluto vedere il barcone degli eritrei dispersi in mare, come durante il nazismo nessuno vedeva i convogli piombati pieni di ebrei. Duro il commento del giornale dei vescovi italiani sull'ennesima strage dei migranti. E durissime le parole di monsignor Bruno Schettino, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e arcivescovo di Capua: "Una grave offesa all'umanità e al senso cristiano della vita".
Così come quelle dell'Osservatore romano.

Il Viminale: "Nessuna richiesta di soccorso".
Ed è forse anche per replicare a questi pesanti giudizi che arriva la seguente nota del ministero dell'Interno: "Nessuna richiesta di soccorso, dal gommone che trasportava i cinque eritrei, è pervenuta alle autorità italiane prima di quella che ha consentito l'intervento del pattugliatore della Guardia di finanza, né l'imbarcazione è stata mai avvistata dai numerosi servizi di pattugliamento che quotidianamente si svolgono nell'area". Le parole sono state scritte dal prefetto di Agrigento nella relazione inviata al ministro dell'Interno Roberto Maroni.

L'Avvenire. In un editoriale pubblicato in prima pagina, Marina Corradi sostiene che c'è "almeno un equivoco
in cui non è ammissibile cadere. Nessuna politica di controllo dell'immigrazione consente a una comunità internazionale
di lasciare una barca carica di naufraghi al suo destino. E questa legge ordina: in mare si soccorre". E ancora:

"Quando, oggi, leggiamo delle deportazioni degli ebrei sotto il nazismo ci chiediamo: certo, le popolazioni non sapevano;
ma quei convogli piombati, le voci, le grida, nelle stazioni di transito nessuno li vedeva e sentiva?
Allora erano il totalistarismo e il terrore, a far chiudere gli occhi. Oggi no. Una quieta, rassegnata indifferenza,
se non anche una infastidita avversione. L'Occidente a occhi chiusi".

La Cei. La morte di oltre 70 migranti che cercavano di raggiungere la Sicilia rappresenta una "grave offesa all'umanità e
al senso cristiano della vita", afferma monsignor Bruno Schettino. Si percepisce "un senso di povertà dell'umanità,
non c'è attenzione verso l'altro". Quella dei migranti è stata "una morte assurda: donne e bambini innocenti gettati in mare,
è il senso dell'uomo che decade, urge l'impegno dei cristiani di attivarsi concretamente verso coloro che soffrono,
il problema è umano prima che politico".

L'Osservatore romano. "Immigrati, il dovere del soccorso": titolo eloquente quello scelto dal giornale vaticano che affronta, in prima pagina, la tragedia di migranti. Nell'articolo si riportano tra l'altro le parole del prefetto di Agrigento,
Umberto Postiglione, che ieri ha parlato di lesione dei diritti umani.

Le indagini. Almeno uno dei cinque migranti eritrei è stato interrogato dagli investigatori delegati dalla procura di Agrigento. Da fonti giudiziarie si apprende inoltre che non c'è traccia dei salvagenti che sarebbero stati lanciati ai cinque migranti
da una motovedetta di nazionalità ignota come, invece, uno di loro avrebbe riferito a un operatore umanitario
che li ha accolti a Lampedusa.


Il leader della Lega critica il Vaticano. Pronta la replica di monsignor Vegliò:
"Le società sviluppate rispettino i diritti degli immigrati e non si chiudano all'egoismo"
Migranti, scontro tra Bossi e i vescovi
Bossi: "Quelle dei vescovi sono parole con poco senso"
Grazie alle politiche del governo, secondo il senatur, gli stranieri "partono molto meno di prima"
Franceschini: "Non ci sono più dubbi, la linea della Lega è la linea di tutto il Governo"

CALALZO 22 agosto 2009 - "Sono parole con poco senso". "Che le porte le apra il Vaticano che ha il reato di immigrazione, che dia lui il buon esempio". Così il leader del Carroccio Umberto Bossi, da Calalzo di Cadore dov'è in vacanza, commenta la posizione dei vescovi sull'immigrazione dopo il recupero, due giorni fa, di cinque eritrei nel Canale di Sicilia. I profughi avevano denunciato di aver perso 73 compagni durante il viaggio. 

Ma il Vaticano non retrocede sulla propria denuncia e oggi ribadisce la richiesta di "rispettare i diritti dei migranti". Il presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, in una intervista a Radio Vaticana sottolinea che il Vaticano è "addolorato" per "il continuo ripetersi" delle morti in mare e chiede alle società sviluppate di "rispettare sempre i diritti dei migranti" e di non "chiudersi all'egoismo". 

"E' legittimo il diritto degli Stati a gestire e regolare le migrazioni. C'è tuttavia un diritto umano ad essere accolti e soccorsi. Ciò - aggiunge monsignor Vegliò - si accentua in situazioni di estrema necessità, come per esempio l'essere in balia delle onde del mare". 

A Bossi risponde anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo: "Le sue sparate a salve - che ormai non fanno più storia perchè ci ha abituato - sono solo per i suoi seguaci e non per chi come noi vuole risolvere la situazione e sono talmente gravi al pari dei fatti incresciosi avvenuti al largo del Mediterraneo. Vorrei sapere da quali fonti di informazione Bossi deduca che il Vaticano abbia il reato di immigrazione. Sono parole del tutto gratuite". La speranza del vescovo siciliano è che "questo fronte fittiziamente compatto della maggioranza, cominci a incrinarsi. C'è qualche buon segnale da Fini. Mi auguro che prevalga non la propaganda ma la solidarietà". 

Contro Bossi si schiera anche il responsabile immigrazione della Caritas italiana, Oliviero Forti: "Se si soffia su fuoco dell'incomprensione e dell'intolleranza si fa il gioco populista che non aiuta nessuno", e gli "atti di razzismo e di intolleranza aumentano". 

Ma il senatur continua per la sua strada, contestando ai vescovi in particolare l'accostamento della Shoah alle stragi di immigrati che cercano di raggiungere le coste italiane. Parlando con i giornalisti, afferma di non credere all'ipotesi di omissione di soccorso degli eritrei dispersi in mare. "Non ci credo, non li avranno visti. La nostra marina ha l'obbligo di andare in soccorso", ha detto. 

E difende a oltranza la politica del Governo: grazie alle nuove leggi, secondo il leader del Carroccio, "partono molto meno di prima". E quindi "bisogna riuscire a fermarli alla partenza se no si prosegue con l'avere un sacco di morti". Per Bossi, infatti, c'è il rischio per troppa gente di mettere a repentaglio "la propria vita per niente perché quando arrivano qui non trovano posti di lavoro". 

Dario Franceschini, segretario del Partito democratico, prende parola per precisare come "la linea di Bossi e della Lega sull'immigrazione" sia ormai "la linea di tutto il Governo". Per lui non ci sono più dubbi "non fosse altro perchè il ministro dell'Interno appartiene a quel partito". Così, conclude, "puntualmente a ogni sparata leghista seguono atti amministrativi e legislativi totalmente allineati. E' successo sulle ronde, sul reato di immigrazione clandestina, sui respingimenti e su tutto il resto". 

Sull'ultima tragedia del Mediterraneo interviene nuovamente l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) che chiede sia fatta chiarezza su quanto accaduto. "Riteniamo - ha affermato la portavoce Laura Boldrini- che sia necessario far chiarezza sulle responsabilità e ci auguriamo che la magistratura proceda in questo senso. E' importante che non passi il principio dell'impunità, cioè che il Mediterraneo sia diventato una sorta di terra di nessuno". 

Quanto all'eventualità che i cinque sopravvissuti vengano incriminati per immigrazione clandestina, l'Unhcr ricorda che "anche in base alle nuove normative del pacchetto di sicurezza, il reato di clandestinità è sospeso per i richiedenti asilo e normalmente la quasi totalità degli eritrei che arrivano in Italia via mare fa domanda d'asilo". Invece, ha concluso Boldrini, "vista l'esperienza drammatica vissuta dai cinque eritrei sarebbe auspicabile un loro trasferimento in una struttura in cui possa essere fornita assistenza psicologica come avviene per le vittime di disastri naturali". 


l'Arci denuncia la Lega nord e il figlio di Bossi per istigazione all'odio raziale
L'associazione infuriata contro il "gioco" pubblicato su Facebook dal Carroccio
"Ci appelliamo alla magistratura perchè non è possibile simulare stragi vere per divertimento"
"Rimbalza il clandestino istiga all'odio razziale"

 


ROMA  22 agosto 2009 - L'Arci denuncia la Lega Nord e Renzo Bossi per istigazione all'odio razziale.
Lo rende noto Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell'Arci dopo avere appreso che sulla pagina Facebook
del partito era online il gioco "Rimbalza il clandestino". 

"Non è più sufficiente limitarsi all'indignazione di fronte alla barbarie cui siamo giunti - afferma Miraglia - mentre
il canale di Sicilia inghiotte altre decine di esseri umani; mentre nei Cie le dure condizioni di vita e la rabbia per
una detenzione ingiustificata in uno stato di diritto spingono i migranti ad atti estremi di protesta, il sito ufficiale della Lega ospita un nuovo giochino che dovrebbe aiutare i suoi visitatori a passare il tempo fra una ronda e l'altra.

'Rimbalza il clandestino', così l'ha chiamato il suo ideatore, quel Renzo Bossi secondogenito del leader della Lega,
assurto agli onori della cronaca perchè successore designato del padre e per essere incappato nella cocciutaggine
delle commissioni di esami che per tre volte gli hanno rifiutato il diploma di maturita". 

"Nel videogame - prosegue - appare l'immagine della nostra penisola circondata da barconi di clandestini.
Bisogna col mouse farli sparire, confortati dall'eroico ideale di liberare il popolo italiota dal pericolo dell'invasione.

Verrebbe da dire: ma non è quello che già succede? Che altro sono i respingimenti in mare se non violenza programmata?
I migranti non sempre muoiono subito affogati, come nel gioco in cui il barcone sparisce, ma quali drammi li aspettano
una volta rimandati in Libia l'abbiamo già denunciato in troppi".

"C'è però un limite - aggiunge Miraglia - cui il rispetto di noi stessi oltre che quello per il nostro prossimo,
dovrebbe richiamarci. Alle leggi razziste di questo Governo abbiamo risposto con la disobbedienza, la lotta politica
e culturale a fianco dei migranti, la proposta di una grande manifestazione in autunno. A chi della vita di essere umani
fa un gioco, ne irride le tragedie, ne simula la strage per divertimento, mentre le stragi vere si ripetono, rispondiamo anche appellandoci alla magistratura perchè persegua i responsabili. La nostra legislazione prevede ancora - fino a che Bossi
non ne imporrà la revisione - il reato di incitamento all'odio razziale. Che altro è 'Rimbalza il clandestino', se non cinico, stupido, barbarico odio razziale?".