C’è sinistra nel Movimento Cinque Stelle?
Zagrebelsky, Gino Strada, Dario Fo, Rodotà, Prodi, Imposimato:
nelle urne digitali dei grillini hanno vinto
alcuni dei nomi più prestigiosi del progressismo civile italiano.
L'interrogativo e l'analisi di un fenomeno sociale che i Partiti non sanno spiegarsi
MATTEO PUCCIARELLI 14 aprile 2013

C’è sinistra nel M5S non è dire «il M5S è di sinistra». Significa però almeno una cosa positiva: che alle scorse elezioni la sinistra non è sparita del tutto, ma si è appalesata in altre forme, diverse da quelle classiche. Quanti di noi non hanno mai sentito pronunciare questa frase: «Votato Rifondazione (o Pd, o Sel, o Idv…), ma stavolta ho scelto Grillo»?

Personalmente mi è capitato almeno dieci volte, da dieci persone diverse. O forse di più. Allora, se oggi con molta facilità derubrichiamo Grillo e il M5S a “populismo di destra”, “cripto-fascismo” o definizioni del genere, tornando a quelli che votavano a sinistra e stavolta non l’hanno fatto le possibilità sono tre:

1. Si trattava di persone di sinistra che ora sono diventate di destra;

2. Si trattava di persone di destra che per motivi a noi sconosciuti votavano Rifondazione Comunista (o Pd, o Sel, o Idv…);

3. Il Movimento Cinque Stelle riesce ad attrarre voti di sinistra perché ha delle caratteristiche oggettive di sinistra.

Prima di provare a capire quali sono queste caratteristiche, bisogna dire che in effetti l’elettorato del M5S ha una provenienza non trascurabile “di sinistra”. Al di là dei numerosi sondaggi e studi che hanno confermato il dato, faccio un esempio che mi riguarda da vicino, essendo Livorno la mia città. Alle politiche del 2006, a Livorno Rifondazione conquistò il 12,5 per cento. Se si aggiungeva il risultato di Pdci, Idv e Verdi non si arrivava per poco al 20 per cento. Sette anni dopo, cioè qualche mese fa, i voti di Sel e Rivoluzione civile totalizzano il 9 per cento. Più che dimezzati. Il M5S invece prende il 27 per cento. Partendo da zero.

Nei quartieri operai di Torino, nel Sulcis in Sardegna, al quartiere Tamburi di Taranto: lì Grillo tocca il 50 per cento. Il dato di fatto è che la sinistra radicale è stata prosciugata anche, e non solo ovviamente, dalla crescita e dal successo del M5S.

Tocca quindi domandarsi di nuovo perché; ma lo si può fare solo se si individuano i punti di contatto tra Cinque Stelle e sinistra. Qui per prima cosa occorre slegare dal discorso la figura di Beppe Grillo e le oggettive contraddizioni che la diarchia con Casaleggio hanno rispetto agli slogan più noti del movimento, come «uno vale uno». Serve piuttosto prendere in mano il programma del M5S, la natura dei post sul blog di Grillo e andare a chi capire chi sono e cosa pensano i rappresentanti più in vista del movimento, che matrice politico culturale hanno.

Partiamo dal cavallo di battaglia principale del movimento. Quello contro la cosiddetta “Casta”. Raramente se ne fa cenno, ma nel 1978 insieme ai radicali ci fu Democrazia Proletaria a promuovere il referendum per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. «Più soldi prendono dallo Stato più si allontanano dalla gente», recitava lo slogan.

Il tema – che a volte rasenta il parossismo – della politica intesa come servizio, cavallo di battaglia grillino: è per caso una novità nella storia della sinistra? Anzi, non è essa stessa un’idea di sinistra? La “questione morale”, ancora, non era un punto fermo di Enrico Berlinguer? Cito di nuovo Dp: il suo statuto prevedeva un massimo di due mandati parlamentari e tentò di rimettere alla base anche la valutazione degli eletti; quanto allo stipendio, doveva essere equiparato a quello di un operaio quarto livello. La battaglia più conosciuta del M5S, quella contro la “Casta”, può pure risultare demagogica, ma è una battaglia nata a sinistra e che la sinistra ha fatto l’errore di dimenticare o di mettere in secondo piano.

Adesso, programma del M5S alla mano, ecco alcuni punti:

• Insegnamento della Costituzione ed esame obbligatorio per ogni rappresentante pubblico
• Statalizzazione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia
• Abolizione della legge Biagi
• Introdurre la responsabilità degli istituti finanziari sui prodotti proposti con una compartecipazione alle eventuali perdite
• Introduzione di un tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante o maggioritaria dello Stato
• Sostenere le società no profit
• Sussidio di disoccupazione garantito
• Disincentivi alle aziende che generano un danno sociale
• Potenziamento dei mezzi pubblici a uso collettivo e dei mezzi pubblici a uso individuale
• Blocco immediato della Tav in Val di Susa
• Garantire l’accesso alle prestazioni essenziali del Servizio Sanitario Nazionale universale e gratuito
• Ticket proporzionali al reddito per le prestazioni non essenziali
• Investire sui consultori familiari
• Finanziare la ricerca indipendente attingendo ai fondi destinati alla ricerca militare
• Promuovere e finanziare ricerche sugli effetti sulla salute, in particolare legate alle disuguaglianze sociali e all’inquinamento ambientale dando priorità ai ricercatori indipendenti
• Introduzione del reato di strage per danni sensibili e diffusi causati dalle politiche locali e nazionali che comportano malattie e decessi nei cittadini nei confronti degli amministratori pubblici
• Risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica.

Tutti, chi più chi meno, possiamo ritrovarci pezzi della storia e del presente, nonché del futuro, della sinistra.

Nel corso degli ultimi anni le posizioni espresse dalla coppia Grillo-Casaleggio sul blog sono, per la maggior parte, catalogabili a “sinistra”. A partire dall’altro richiamo forte, cioè la tematica ambientale; con lo sviluppo delle energie rinnovabili, il no al nucleare e ai termovalorizzatori, la riconversione ecologica dell’economia, il risparmio energetico, la rivoluzione dei trasporti, l’acqua pubblica, il rispetto delle biodiversità; sul lavoro, la critica alla precarietà e lo slogan caro alla nuova sinistra degli anni ’70, “lavorare meno lavorare tutti”; sui diritti civili, il sì ai matrimoni gay; in economia, una critica serrata alla finanziarizzazione, la proposta (un po’ generica) di nazionalizzare alcune banche, congelare il debito e riconsiderare la permanenza nella zona euro; lo stop alle spese militari nonché l’abbassamento delle pensioni d’oro e pene più severe per i maxi-evasori fiscali; la nazionalizzazione dell’Ilva; durante le Olimpiadi fece discutere la presa di posizione contro la retorica nazionalista; l’attacco al concetto di “esportazione della democrazia” con tutte le relative guerre e invasioni di Afghanistan, Iraq e Libia.

Sempre sul blog di Grillo l’ultimo editoriale de “La Settimana” è in realtà una frase di Stéphene Hessel: «Solo (…) la riforma dei sindacati e, più in generale, quella della sinistra, potranno frenare, come è accaduto in passato alle nazioni occidentali, i peggiori eccessi dello sfruttamento». La riforma della sinistra, quindi.

Siamo in Emilia, e a proposito di Parma, Federico Pizzarotti e il suo gruppo consiliare, fra i primi provvedimenti dopo l’insediamento, depositarono una mozione «a difesa dei valori democratici della Città, Medaglia d’Oro della Resistenza e contro ogni totalitarismo, autoritarismo e violenza», annunciando la propria partecipazione alla manifestazione antifascista contro Casa Pound.

E poi c’è il continuo riferimento all’America Latina, capace di rimettere di emanciparsi dallo strapotere del Fondo Monetario Internazionale. Ecco cosa c’era scritto in un post del deputato Alessandro Di Battista sul blog di Grillo: «I movimenti sociali ecuadoriani si incontrano con quelli argentini, i brasiliani con i peruviani, sanno di essere tutti quanti sulla stessa barca e discutono, propongono, approvano documenti. Lottano! Si sono incontrati lo scorso luglio a Rio de Janeiro in occasione del vertice RIO+20, hanno smascherato le menzogne del capitalismo verde, delle lobbies finanziare, delle Nazioni Unite che parlano di sicurezza alimentare quando dovrebbero approfondire il concetto di sovranità. Le organizzazioni latinoamericane presentano soluzioni come l’economia contadina, la riforma agraria integrale, l’implementazione di un modello energetico decentrato basato sull’auto-produzione. Si può anche accettare chi non vuole combattere, ma non chi sostiene che il mondo non si possa cambiare perché i problemi sono troppo grandi. Non c’è figura più deplorevole di colui che davanti a un’ingiustizia, un disagio o uno scandalo sa soltanto dire “beh, tanto è così dappertutto”.»

Sono alcuni esempi pratici, e sono esempi di parte ovviamente. Ci sono elementi del programma e interventi sul blog che possono essere catalogabili, invece, a destra. La verità è che il M5S è un coacervo di posizioni diverse tra loro.

Gli eletti del movimento, ancora, non sono tutti uguali. Qualcuno non ha paura di definirsi “di sinistra”. Ci sono parlamentari che hanno fatto Genova nel 2001, altri provenienti dai Verdi o dalla stessa Rifondazione. Magari erano semplici iscritti, o militanti di base. C’è un senatore che fino a quattro anni era referente di zona dei Carc.

C’è una parte del movimento pronta a seguire Grillo sempre o comunque, che può essere definita ortodossa. Ce n’è un’altra pragmatica, che chiede di poter camminare da sola, di emanciparsi dal megafono. Ce n’è infine una terza, quella movimentista, che ha maggiori affinità ideologiche e culturali con la sinistra radicale e antiliberista, che vive le lotte dei territori. Alla quale guardare con attenzione, sperando che prima o poi torni a sentirsi rappresentata da un soggetto classico di sinistra e di movimento.

È un errore voler per forza etichettare il M5S, cercando di dargli una patente specifica, magari quella che ci fa più comodo. Non si tratta di sentenziare se il M5S è di destra o di sinistra, ma di rendersi conto che esso si fa portatore di valori diversi tra loro, alcuni dei quali sono anche di sinistra. Magari inconsapevolmente, “a propria insaputa” come Claudio Scajola – senza averne gli strumenti culturali e senza analisi: ma di sinistra.

In questo senso, il movimento ricorda molto la Democrazia Cristiana. La votavano gli operai, i coltivatori diretti, gli imprenditori piccoli e grandi, così anche gli industriali. Trasversale, di sinistra ma anche di destra. Capace di sussumere a sé le spinte al futuro e al passato, al cambiamento nella restaurazione, parlando un po’ alla testa e un po’ alla pancia del Paese. Ognuno poteva trovarci dentro cosa voleva, da Carlo Donat-Cattin (uno che oggi, per le cose che diceva, sarebbe extraparlamentare) a Mario Scelba – che se c’era da ordinare qualche manganellata non si peritava.

Oggi nel Movimento Cinque Stelle ci trovi quel che vuoi. Come in un grande supermercato, con l’angolo dedicato al biologico e accanto la Nestlé.

Concludendo: perché il M5S funziona? Azzardo: perché negli ultimi venti anni di Seconda Repubblica le politiche di centrodestra e centrosinistra si sono somigliate molto. Declinando in modo diverso l’identica visione della società dove le uniche parole possibili – e inutili – sono state “riformismo”, “flessibilità”, “meritocrazia”, “responsabilità”, “mercato”, “competitività” e così via. Venti anni nei quali la sinistra non è stata capace di indicare concretamente una visione alternativa e radicale rispetto al presente. Venti anni che rendono il M5S non la causa del problema, ma l’effetto.

PS-1. Questo è il testo di una relazione tenuta al convegno promosso dal Prc a Bologna sul M5S.

PS-2. Proprio in quelle ore il M5S annunciava i 10 nomi per le Quirinarie. Tutti, chi più chi meno, ascrivibili a sinistra.



Toh, il M5S è di sinistra
12 aprile 2013 Fabio Chiusi

Zagrebelsky, Gino Strada, Dario Fo, Rodotà, Prodi, Imposimato: nelle urne digitali dei grillini hanno vinto
alcuni dei nomi più prestigiosi del progressismo civile italiano. Lunedì gli iscritti sceglieranno fra i dieci,
ma intanto ci si chiede se il Pd avrà il coraggio di controproporre un Marini o un Amato

Le travagliate «quirinarie» hanno dato il loro responso, la rosa dei dieci candidabili a capo dello Stato secondo il MoVimento 5 Stelle. E guarda a sinistra, alle figure più autorevoli dell'attivismo e della società civile di orientamento progressista. Ci sono i nomi circolati in questi giorni: la giornalista di Report, Milena Gabanelli; il giurista Stefano Rodotà; il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky. Poi i magistrati Ferdinando Imposimato e Gian Carlo Caselli, e la Radicale Emma Bonino. Oltre al fondatore di Emergency, Gino Strada. E al Nobel Dario Fo, fondatore negli anni '70 del Soccorso  Rosso milanese, e che aveva ricevuto l'endorsement di Beppe Grillo, ma lo aveva anche già rispedito al mittente: «non ho le possibilità fisiche e psichiche».

C'è anche lo stesso capo politico del M5S (se vincesse, la sua accettazione sarebbe in linea con il ruolo di semplice «garante» e - non irrilevante nel movimento - con il suo avere una condanna definitiva?). E, soprattutto, c'è Romano Prodi, cui Grillo aveva lasciato intravedere un'apertura di credito nel post con cui aveva annunciato le consultazioni online: «Non un Pertini, ma neppure più modestamente un Prodi che cancellerebbe Berlusconi dalle carte geografiche». E che Roberta Lombardi aveva definito, all'alba della votazione, «parte della vecchia politica».

L'ordine di esposizione dei nomi è rigorosamente alfabetico: nessuna classifica. Il vincitore sarà scelto in una ulteriore consultazione sul sito. Quanto ai votanti, si sa solamente che gli aventi diritto sono stati poco meno di 50 mila (in un portale da quasi un milione di iscritti, un dato che fa riflettere). Se anche avessero votato tutti, sarebbero poco più dei circa 32 mila partecipanti alle «parlamentarie» dello scorso dicembre. E in ogni caso molti meno dei 250 mila (anzi, un numero «certamente superiore») annunciati in un primo momento, alla fine della prima - e annullata - giornata di voto, dal deputato Cinque Stelle Roberto Fico. Insomma, per coniugare partecipazione e rete la strada da fare è ancora lunga.

Soprattutto dopo il problema verificatosi giovedì: l'errore di sistema che ha costretto a rifare tutto. Per Grillo si è trattato di un «attacco hacker». Ma la società di certificazione (Dnv Business Assurance) ha più genericamente scritto di una «anomalia» riscontrata durante un controllo periodo dell'«integrità di sistema». Diversi esperti di sicurezza informatica hanno sollevato seri dubbi sulla causa ipotizzata da Grillo. Dal security researcher Claudio Guarnieri all'hacker Fabio Ghioni («sul loro sito si può votare più di una volta, anche mille, con accorgimenti banali come il cambio del browser o la navigazione anonima. Non hanno, insomma, un sistema di sicurezza adeguato», ha detto al quotidiano Europa) passando per la corrosiva - ma tecnicissima - critica mossa dal blog Kein Pfusch, l'ipotesi di un errore nella piattaforma o di una manipolazione fatta senza il bisogno di ricorrere a complicate intrusioni informatiche sembra non poter essere esclusa.

Così, oltre alle tante ironie dei detrattori, in rete si è potuto leggere perfino il comunicato via Facebook di un gruppo, intitolato eloquentemente 'Waffanculo 5 Stelle', su una presunta manipolazione di massa del voto: «Negli ultimi mesi noi e i nostri amici abbiamo registrato migliaia di account sul sito di Grillo. Oggi abbiamo espresso la preferenza per il nostro candidato». Operazione ripetuta dopo il guasto. Risultato? Secondo il gruppo, che «il voto è falsificabile». Nel M5S, naturalmente, l'opinione è opposta. Con il deputato Giorgio Sorial che, a Radio 24, ha parlato di attacco «a scala mondiale».

Comunque stiano le cose, dopo la ripetizione della consultazione gli eletti a Cinque Stelle si sono chiusi in un silenzio eloquente. E dire che solamente il giorno prima si avventuravano in affermazioni ambiziose: «Stiamo compiendo una nuova democrazia, una rivoluzione democratica» (lo stesso Fico); «tra non molto guarderemo alle democrazie rappresentative come oggi guardiamo alla monarchia assoluta» (Alessandro Di Battista): «Vi rendete conto che oggi, per la prima volta al mondo, un partito che rappresenta un italiano su tre ha permesso alla rete di votare il suo candidato Presidente della Repubblica online? (...) Vi rendete conto dell'innovazione politica della cosa? (Manlio Di Stefano). Insomma, «democrazia: ON!», come ha riassunto Vito Crimi. Del resto, «il web è sovrano», aveva precisato l'altra capogruppo del M5S, Roberta Lombardi. Dopo la decisione di rivotare, solo qualche grido al complotto: «Purtroppo qualcuno ci vuole male ma vuol dire che siamo sulla giusta strada» (ancora Di Stefano); «La democrazia diretta fa paura» (di nuovo Di Battista).

Alcuni eletti avevano anche deciso di dichiarare la loro preferenza pubblicamente. Il deputato torinese Alberto Airola ha scelto la sociologa Chiara Saraceno, il collega campano Salvatore Micillo il leader delle Agende Rosse, Salvatore Borsellino. Marino Mastrangeli, oggetto delle polemiche dopo la partecipazione da Barbara D'Urso, ha votato Grillo, mentre Gianluca Castaldi ha immoratalato la sua preferenza per Gino Strada in una foto su Facebook. Vito Petrocelli, il senatore che aveva votato Grasso alla presidenza del Senato, la Gabanelli.

Altri avevano auspicato in modo esplicito un maggiore dialogo col Pd. «Mi auguro che si arrivi a una figura alta che non esca da un inciucio Pd-Pdl ma che possa essere condivisa da noi con il Pd», nelle parole del deputato Adriano Zaccagnini. «Nel caso si arrivasse al quarto scrutinio, valuteremmo tutte le soluzioni discutendone anche con il Pd perché bisogna dare al paese un presidente della Repubblica degno». Posizione condivisa dal collega a Montecitorio, Fabrizio Bocchino: «perché non dialogare anche sull'elezione di un presidente della Repubblica, o sulla formazione di un governo a 5 stelle?».

Ma il Pd, che pare essere arroccato su personalità completamente diverse (da Franco Marini a Giuliano Amato), saprebbe cogliere la sfida e votare un candidato a Cinque Stelle? Per Pippo Civati, deputato democratico e da tempo osservatore della realtà a Cinque Stelle, «nomi come Prodi, Rodotà, Bonino e Zagrebelsky vanno molto bene. Diciamo che li sento più vicini rispetto ai nomi che qualcuno del Pd fa». Civati, che non vedeva l'ora il M5S facesse i nomi, ragiona nei termini della complicata partita per l'elezione vera e propria del nuovo presidente della Repubblica: «Prodi, Rodotà e Bonino sono i nomi che piacciono di più agli italiani, e sono i nomi che abbiamo valutato in molti di noi e si sta facendo una riflessione anche all'interno del Pd». Insomma, «se solo si volesse...». Del resto, «le larghe intese non sono solo quelle con Berlusconi, sono larghe anche quelle di là».