TEATRO PINELLI ITINERANTE
Campagna "25000 lettere al Prefetto"
Evento Pubblico · Creato da Teatro Pinelli Occupato
La questura di Messina continua la campagna di intimidazioni nei confronti di membri del comitato, occupanti e sostenitori del Teatro in fiera Pinelli
a suon di sanzioni amministrative da 2500 a 10000 euro per la manifestazione di protesta in seguito allo sgombero del 14 febbraio.

"Se i pezzenti avidi di proprietà si gettano in politica, con l'obiettivo di fare il proprio interesse privato, non sarà affatto possibile avere una città ben amministrata; ci sarà la lotta per il potere, e una guerra civile fratricida li rovinerà con tutto il resto della città". Platone



Da tre giorni membri del comitato, occupanti e sostenitori del Teatro in Fiera Pinelli sono convocati in questura per un atto di sanzione amministrativa pecuniaria da 2500 a 10000 euro a causa del blocco stradale dopo lo sgombero del 14 febbraio 2013. Non bastavano le 4 denuncie penali per 10 occupanti?!
Ogni giorno aumenta la lista dei sanzionati, sembrerebbe che la DIGOS di Messina non abbia niente di meglio da fare che identificare cittadini dai filmati
che documentano l’azione di protesta sulle strisce pedonali. Dopo lo sgombero, infatti, legittimamente centinaia di cittadini sono scesi in piazza a manifestare contro questo estremo atto di repressione nei confronti del teatro in Fiera Pinelli, in difesa dei diritti fondamentali.

Per due mesi migliaia di persone hanno preso parte a questa esperienza, rendendo il teatro in fiera finalmente vivo dopo 20 anni di abbandono e incuria da parte dell’autorità portuale, dopo decenni di disinteresse politico. Artisti, compagnie, associazioni, singoli cittadini, hanno partecipato e sostenuto l’occupazione e il progetto costituente del teatro Pinelli. Il teatro è diventato laboratorio artistico e politico dove elaborare nuovi modelli di gestione nell’ottica dell’autogoverno dei beni comuni* e non delle privatizzazioni e delle speculazioni che mortificano il nostro territorio.
Alla luce di tutto questo, attaccare il teatro Pinelli sminuendo il livello politico a un’azione di “pochi facinorosi” o di un “collettivo di ragazzi” è molto grave.

La volontà e chiara: reprimere i cittadini che hanno a cuore il futuro della città, che cercano di invertire la tendenza pluridecennale delle istituzioni ad asservire i luoghi e le bellezze al profitto di pochi soliti noti, praticando, al contrario, azioni di liberazione e restituzione a tutte e tutti. Le denunce e le multe ingenti di questi giorni, brandite, a vuota difesa legalitaria dell’ordine, non sono altro che un paravento dietro cui si cerca di nascondere la troppo ingombrante illegittimità del progetto, chiaramente speculativo, dell’autorità portuale sull’area fiera. È curioso come ci si sia accorti del valore di quei luoghi solo dopo che un gruppo di libere cittadine e cittadini il 15 dicembre scorso hanno restituito questi luoghi alla citta: forse qualcuno ha avuto paura che da essi non si potessero più trarre profitti?

Più specificamente, l’A.P. intende predisporre un bando rivolto ad un unico soggetto privato al quale affidare in concessione l’intera area fieristica, magari tramite i “soliti”project financing (strumenti già utilizzati per favorire poche e potentissime imprese, come nel caso del Ponte sullo Stretto).
Nel progetto per l’affaccio a mare, l’A. P. parla di crocierismo e diportismo, senza alcuna attenzione alla cultura, alle arti, al sociale. Inoltre sono evidenti i conflitti di interesse, che vedono coinvolti i soliti potentati economici che sono addirittura membri del comitato portuale (come Vincenzo Franza e Ivo Blandina).

In questi 20 anni l’autorità portuale non è stata in grado di proporre alcuna apertura ai cittadini. Più volte sono stati stanziati fondi per la manutenzione della fiera, più volte sono stati presentati comunicati stampa che davano per certe riqualificazioni e ristrutturazioni, ma era la solita politica degli annunci cui siamo tristemente abituati: roboanti parole fanno da contraltare a fatti inesistenti.

La non-novità di cui gli studi di fattibilità del progetto di riqualificazione fanno prova è, noiosamente, la garanzia del profitto per i soliti avvoltoi: si fa apertamente riferimento “alla capacità del progetto di generare flussi monetari sufficienti a garantire il rimborso dei finanziamenti oltre ad una adeguata redditività per gli azionisti”. Scendendo ancora più nei dettagli si percepisce subito come la fiera, diventerà, nella visione dell’autorità portuale un luogo per la gente comune, per i messinesi, tutti… Eh già, perché tutti potranno affittare o acquistare i posti barca per maxi yacht, o i biglietti per visitare l’acquario a un prezzo minimo di 10 euro.

Come cittadine e cittadini esigiamo che l’A.P. utilizzi il suo attivo di 72 milioni di euro in maniera trasparente e nell’esclusivo interesse della città, ovvero decidendone la destinazione attraverso procedure partecipate e inclusive. Infatti, se l’A.P. si trova, in tempi di vacche magre, ad essere un ente ricco è anche perché il Comune di Messina, ha pagato, anche attraverso gli introiti delle tasse, ad esempio dai tributi sui rifiuti e sul servizio idrico, persino l’affitto per la passeggiata a mare, villa Sabin, il tram.

Ogni uso privatistico dell’area fieristica è inaccettabile e continueremo a lottare per restituire il teatro, la fiera e l’affaccio a mare ai suoi legittimi proprietari: questi luoghi sono dei cittadini che se ne prendono cura, non c'è spazio per mafia e speculazione.

Il Teatro Pinelli, in particolare, si può ristrutturare con molto meno dei tre milioni e 600 mila euro stanziati dall’A.P: pretendiamo che quei fondi vengano destinati ad altre aree di una città che marcisce. La nostra colpa è stata denunciare, anche attraverso un progetto, tuttora in fieri, di ristrutturazione partecipata, cui contribuiscono molti professionisti del settore, che un’altra montagna di denari pubblici stava per essere sacrificata sull’altare del profitto dei soliti. Per questo ci hanno sgomberato. Non possiamo permettere che la nostra città sia governata dalla massoneria e da pochi privati che vogliono speculare sulle nostre spalle. L'autorità portuale di Messina ha abbandonato il teatro e l'intera Fiera all'incuria e al degrado, mentre chiedeva canoni concessori esorbitanti ai privati e a soggetti pubblici per l'affitto di padiglioni non a norma. E intanto la città rimaneva derubata del proprio affaccio al mare e di 50 mila metri quadri di demanio marittimo.

Chi dovrebbe essere denunciato e sanzionato: gli occupanti o l'autorità portuale?

L’8, il 10 e 14 marzo 2013 è continuata la programmazione in ZTL (zone temporaneamente liberate) i luoghi verranno comunicati il giorno stesso.

Il 16 marzo siamo scesi in piazza per la manifestazione nazionale contro il Ponte e per la difesa e il futuro dei nostri territori. Il nostro futuro lo decidiamo insieme, non siamo né consumatori lobotomizzati né sudditi: riprendiamoci ciò che è nostro e prendiamocene cura. La cultura è una cosa seria.

*beni comuni = “Ciò di cui si parla, infatti, è un nuovo rapporto tra mondo delle persone e mondo dei beni, da tempo sostanzialmente affidato alla logica del mercato, dunque alla mediazione della proprietà, pubblica o privata che fosse. Ora l’ accento non è più posto sul soggetto proprietario, ma sulla funzione che un bene deve svolgere nella società. Partendo da questa premessa, si è data una prima definizione dei beni comuni: sono quelli funzionali all’ esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità, che devono essere salvaguardati sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future (…) I beni comuni sono a titolarità diffusa, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive”

“Dobbiamo trovare uno strumentario capace di mobilitarci, in questo momento. Emerge come bene comune qualcosa come oggetto di lotta, è importante poter rivendicare un’idea di cultura che non sia mercificata. La val di Susa è rivendicata come bene comune, perché quel tunnel non sia costruito e venga ad inquinare un fiume. Tante cose diventano beni comuni quando c’è qualcuno pronto a battersi per la loro difesa”. Ugo Mattei

- v. articolo 42 Cost. Questa norma, insieme a disposizioni come gli artt. 2, 3, 9 e 43 Carta fondamentale, tutela la personalità umana ed il suo svolgimento nell’ambito concreto delle pratiche politiche collettive. Il raggiungimento di questi scopi sociali passano attraverso la fruizione diretta di beni e servizi che sono appunto funzionali a perseguire e soddisfare interessi collettivi costituzionalmente rilevanti inclusa la salute (Art. 32), il lavoro (Art. 35) e soprattutto, qui rilevanti, l’arte e la scienza (Art.33). L’abbandono della Fiera e la sua sottrazione alla cittadinanza realizza una logica abusiva di esclusione, che contrasta con le istanze di solidarietà sociale: "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’ uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (Art. 3 Cost.)
 


IL VALORE DEI BENI COMUNI di Stefano Rodotà
05 gennaio 2012 
http://www.teatrovalleoccupato.it/il-valore-dei-beni-comuni-di-stefano-rodota

IL VALORE DEI BENI COMUNI

 Si può dire che il 2011 sia stato l’ anno (anche) dei beni comuni. Espressione, questa, fino a poco tempo fa assente nella discussione pubblica, del tutto priva d’ interesse per la politica, anche se il premio Nobel per l’ economia era stato assegnato nel 2009 a Elinor Ostrom proprio peri suoi studi in questa materia. Poi, quasi all’ improvviso, l’ Italia ha cominciato ad essere percorsa da quella che Franco Cassano aveva chiamato la “ragionevole follia dei beni comuni”. E questo è avvenuto perché la forza delle cose ha imposto un mutamento dell’ agenda politica con il referendum sull’ acqua come “bene comune”. Da quel momento in poi è stato tutto un succedersi di iniziative concrete e di riflessioni teoriche, che hanno portato alla scoperta di un mondo nuovo e all’ estensione di quel riferimento ai casi più disparati. Si parla di beni comuni per l’ acqua e per la conoscenza, per la Rai e per il teatro Valle occupato, per l’ impresa,e via elencando. Nelle pagine culturali di un quotidiano campeggiava qualche mese fa un titolo perentorio: “I poeti sono un bene comune”. L’ inflazione non è un pericolo soltanto in economia. Si impone, quindi, un bisogno di distinzionee di chiarimento, proprio per impedire che un uso inflattivo dell’ espressione la depotenzi. Se la categoria dei beni comuni rimane nebulosa, e in essa si include tutto e il contrario di tutto, se ad essa viene affidata una sorta di palingenesi sociale, allora può ben accadere che perda la capacità di individuare proprio le situazioni nelle quali la qualità “comune” di un bene può sprigionare tutta la sua forza. E tuttavia è cosa buona che questo continuo germogliare di ipotesi mantenga viva l’ attenzione per una questione alla quale è affidato un passaggio d’ epoca. Giustamente Roberto Esposito sottolinea come questa sia una via da percorrere per sottrarsi alla tirannia di quella che Walter Benjamin ha chiamato la “teologia economica”. Ciò di cui si parla, infatti, è un nuovo rapporto tra mondo delle persone e mondo dei beni, da tempo sostanzialmente affidato alla logica del mercato, dunque alla mediazione della proprietà, pubblica o privata che fosse. Ora l’ accento non è più posto sul soggetto proprietario, ma sulla funzione che un bene deve svolgere nella società. Partendo da questa premessa, si è data una prima definizione dei beni comuni: sono quelli funzionali all’ esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità, che devono essere salvaguardati sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future. L’ aggancio ai diritti fondamentali è essenziale, e ci porta oltre un riferimento generico alla persona. In un bel saggio, Luca Nivarra ha messo in evidenza come la prospettiva dei beni comuni sia quella che consente di contrastare una logica di mercato che vuole “appropriarsi di beni destinati al soddisfacimento di bisogni primarie diffusi, ad una fruizione collettiva”. Proprio la dimensione collettiva scardina la dicotomia pubblico-privato, intorno alla quale si è venuta organizzando nella modernità la dimensione proprietaria. Compare una dimensione diversa, che ci porta al di là dell’ individualismo proprietario e della tradizionale gestione pubblica dei beni. Non un’ altra forma di proprietà, dunque, ma «l’ opposto della proprietà», com’ è stato detto icasticamente negli Stati Uniti fin dal 2003. Di questa prospettiva vi è traccia nella nostra Costituzione che, all’ articolo 43, prevede la possibilità di affidare, oltre che ad enti pubblici, a “comunità di lavoratori o di utenti” la gestione di servizi essenziali, fonti di energia, situazioni di monopolio. Il punto chiave, di conseguenza, non è più quello dell’ “appartenenza” del bene, ma quello della sua gestione, che deve garantire l’ accesso al bene e vedere la partecipazione di soggetti interessati. I beni comuni sono “a titolarità diffusa”, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Indisponibili per il mercato, i beni comuni si presentano così come strumento essenziale perché i diritti di cittadinanza, quelli che appartengono a tutti in quanto persone, possano essere effettivamente esercitati. Al tempo stesso, però, la costruzione dei beni comuni come categoria autonoma, distinta dalle storiche visioni della proprietà, esige analisi che partano proprio dal collegamento tra specifici beni e specifici diritti, individuando le modalità secondo cui quel “patrimonio comune” si articola e si differenzia al suo interno. Se, ad esempio, si considera la conoscenza in Rete, uno dei temi centrali nella discussione, ci si avvede subito della sua specificità. Luciano Gallino ne ha giustamente parlato come di un bene pubblico globale. Ma proprio questa sua globalità rende problematico, o improponibile, uno schema istituzionale di gestione che faccia capo ad una comunità di utenti, cosa necessaria e possibile in altri casi. Come si estrae questa comunità dai miliardi di soggetti che costituiscono il popolo di Internet? Di nuovo una sfida alle categorie abituali. La tutela della conoscenza in Rete non passa attraverso l’ individuazione di un gestore, ma attraverso la definizione delle condizioni d’ uso del bene, che deve essere direttamente accessibile da tutti gli interessati, sia pure con i temperamenti minimi resi necessari dalle diverse modalità con cui la conoscenza viene prodotta. Qui, dunque, non opera il modello partecipativo e, al tempo stesso, la possibilità di fruire del bene non esige politiche redistributive di risorse perché le persone possano usarlo. È il modo stesso in cui il bene viene “costruito” a renderlo accessibile a tutti gli interessati. Ben diverso è il caso dell’ impresa, di cui pure si discute. Qui è grande il rischio della confusione. Sappiamo da tempo che l’ impresa è una “costellazione di interessi” e che sono stati costruiti modelli istituzionali volti a dar voce a tutti. Ma la partecipazione, anche nelle forme più intense di cogestione, non mette tutti i soggetti sullo stesso piano, né elimina il fatto che il punto di partenza è costituito da conflitti, non da convergenza di interessi. Parlare di bene comune è fuorviante. L’ opera di distinzione, definizione, costruzione di modelli istituzionali differenziati anche se unificati dal fine, è dunque solo all’ inizio. Ma non rimane nel cielo della teoria. Proprio l’ osservazione della realtà italiana ci offre esempi del modo in cui la logica dei beni comuni cominci a produrre effetti istituzionali. Il comune di Napoli ha istituito un assessorato per i beni comuni; la Regione Puglia ha approvato una legge, pur assai controversa, sull’ acqua pubblica; la Regione Piemonte ne ha approvata una sugli open data, sull’ accesso alle proprie informazioni; in Senato sono stati presentati due disegni di legge sui beni comuni e vi sono proposte regionali, come in Sicilia. Si sta costruendo una rete dei comuni ed una larga coalizione sociale lavora ad una Carta europea. Quel che unifica queste iniziative è la loro origine nell’ azione di gruppi e movimenti in grado di mobilitare i cittadini e di dare continuità alla loro presenza. Una novità politica che i partiti soffrono, o avversano. Ancora inconsapevoli, dunque, del fatto che non siamo di fronte ad una questione marginale o settoriale, ma ad una diversa idea della politica e delle sue forme, capace non solo di dare voce alle persone, ma di costruire soggettività politiche, di redistribuire poteri. È un tema “costituzionale”, almeno per tutti quelli che, volgendo lo sguardo sul mondo, colgono l’ insostenibilità crescente degli assetti ciecamente affidati alla legge “naturale” dei mercati.

STEFANO RODOTÀ




Ed allora si inaugura la campagna "25000 lettere al Prefetto".
per sostenere gli attivisti contro le sanzioni amministrative e la politica repressiva dei poteri forti di questa città.
Per partecipare è sufficiente scrivere a: , oppure a , o al Fax 0039.090.366777
e poi mettere in copia [email protected]

"Lettera tipo" per chi non ha tempo o voglia di scrivere:

Egregio Sig. Prefetto,

sono …

Le scrivo per esprimerle la mia preoccupazione circa il modo in cui la questione del Teatro in Fiera Pinelli è stata affrontata dalle autorità.

Apprendo, infatti, che allo sgombero che ha determinato un imponente schieramento di forze (sei camionette dei reparti mobili, un elicottero, un mezzo navale; un conseguente blocco dei trasporti pubblici causato dalla disposizione dei mezzi di polizia sulla linea tranviaria), hanno fatto seguito una denuncia penale per solo dieci tra gli occupanti e una costosissima sanzione amministrativa per l’attraversamento pedonale improvvisato dagli stessi attivisti e da un cospicuo numero di cittadini giunti ad esprimere la loro solidarietà.

La prospettiva formale -secondo cui l’occupazione e restituzione alla cittadinanza del Teatro in Fiera Pinelli e dell’ex Irrera a mare sia riducibile ad una violazione della legalità e ad una conseguente criminalizzazione di pochi- non tiene adeguatamente conto delle illegalità e delle lesioni del bene comune prodotte, nell'arco di circa diciassette anni, dall’estenuante incuria delle autorità cittadine.

Il "Pinelli" ha svolto una funzione sociale indiscutibile: da una parte ha restituito alla cittadinanza uno spazio negato grazie a spettacoli teatrali, concerti, seminari su temi giuridici e sociologici, totalmente gratuiti ed aperti, che hanno visto l’attiva partecipazione di personalità illustri dello scenario italiano ed estero; dall'altra, ha consentito a liberi cittadini di avere voce in capitolo sul destino di questo luogo-simbolo della memoria culturale collettiva- risvegliando entusiasmo e partecipazione in una città dormiente.

In questo quadro, come giustificare l'accanimento formalista che dispensa denunce penali e sanzioni amministrative? Si tratta a mio avviso di un atto offensivo, di un dispositivo che lede il diritto di partecipazione di ampie fasce di cittadinanza che in questa esperienza hanno espresso il proprio malessere e la propria voce, ma anche la possibilità di proporsi come centro propulsore di una fervida elaborazione politica coniugata ad una intensa programmazione artistica e culturale. Un dispositivo abietto che le autorità locali potrebbero rifiutarsi di usare, se solo volessero.

Concludo questa lettera, ricordandoLe di figure come Dolci e Capitini. Personaggi, specie il primo, legato a doppia mandata a questa terra. Gli attivisti del Pinelli ricordano esattamente l’esperienze di quegli uomini, mi auguro, pertanto, che la storia possa insegnare che movimenti come quello del Pinelli non vanno trattati per via poliziesca o giudiziaria. Farlo non è un modo di punire, ma un modo di generare e tramandare sfiducia nelle istituzioni, in un paese che di pessimi esempi istituzionali ne ha avuti già molti.

Distinti Saluti



Fonte: https://www.facebook.com/events/152846828209104/