Marina di Melilli, il paese che non c’è più
La storia di Marina di Melilli ex-paesino di pescatori affacciato sul mar Ionio, vicino Siracusa.
Oggi non esiste più, è stato raso al suolo per far posto alla grande industria.
Marina di Melilli era un paesino di pescatori affacciato sul mar Ionio, vicino Siracusa.
Contadini e pastori della zona montana degli Ilbei, che ad un certo punto si erano trovati privi di lavoro,
avevano pensato bene di cambiare aria,ndecidendo di trasferirsi vicino al mare e re-inventarsi pescatori.

Una cosa normale in Sicilia, se il lavoro non c’’è te lo inventi, ti adegui al territorio alle sue risorse. Siamo ad inizio anni sessanta. E gli ex contadini si trasferiscono a Marina di Mellili, in tutto sono 182 famiglie, un migliaio di abitanti. Le case sorgono in fretta e alla rinfusa, senza alcun piano regolatore, abusive, poi condonate, si sviluppano in un striscia di terra a pochi metri dal mare. In pochi anni costruiscono una chiesa, aprono una macelleria, un panificio, un bar, un tabacchino, una scuola elementare, la linea telefonica e la luce vengono regolarmente allacciate alla rete nazionale. Spianano il suolo e fanno delle strade.

Nasce e si popola cosi Marina di Mellili, nasce nel luogo che i greci avevano precedentemente battezzato Baia degli Dei, ispirati dall’incantevole mare e dalla sabbia bianca e finissima, in un golfo meraviglioso di fronte alla penisola Magnisi, l’insediamento preistorico di Thapsos tra i primi lembi di terra abitato al mondo. Tante case colorate, mezze costruite e già popolate, con le barche parcheggiate di fronte casa, pronte a prendere il largo per la battuta di pesca. Tutto intorno la fitta e profumata vegetazione, un mare immenso, e tanta voglia di ricominciare per i nuovi abitanti di Marina. La vita del paese scorre tranquilla e regolare. Si costruiscono altre case, si coltivano gli orti, si fanno le feste di paese. Come in tutti gli altri posti.

Ma tutto questo dura poco, solo vent’anni. Il sogno degli abitanti di Marina si scontra con le ambizioni degli amministratori locali. Per Marina di Melilli decidono che non c’è futuro, al suo posto deve sorgere il più grande polo industriale del sud, in quella striscia di terra devono alzarsi le ciminiere delle raffinerie, e in quel mare devono finire gli scarichi industriali perche la pesca e l’agricoltura, in Sicilia, non fruttano abbastanza. L’operazione, che ridurra Marina ad un cumolo di macerie, si chiamera con un nome quanto mai siginificativo: Tabula Rasa.

Per gli abitanti si prefigge un futuro difficile, il pellegrinaggio di queste persone deve continuare perche Marina di Melilli è destinata a scomparire. Siamo alla fine degli anni settanta, e l’operazione Tabula Rasa diventa realtà. Arrivano gli ingenieri dell’ASI (consorzio per l’Area Sviluppo Industriale formato da enti pubblici locali) e iniziano a misurare e fotografare l’area di Marina di Melilli. Per i propietari di quelle case arrivano le proposte di indennizzo(a partire da 19 lire a metro quadrato), si promettono loro soldi, nuovi appartamenti nella vicina Priolo, e addirittura c’è chi promette un villaggio costruito ex-novo per gli abitanti. La scelta è questa. Trattative non c’è ne possono essere. C’è chi resiste, chi non vuole andare via da quel paese. Ma, intanto, il progresso va avanti. In pochi anni Marina di Mellili viene circondata dalle industrie che in gran fretta vengono costruite. L’aria in paese inizia a farsi irrespirabile, il mare non è più limpido come prima.

Le famiglie iniziano ad accettare gli indennizzi, qualcuno va via senza fare tante proteste, lasciano la case che vanno incontro alla inevitabile demolizione. Qualcuno resiste ancora, anche se ne frattempo hanno staccato le linee di luce, acqua e telefono. C’è chi non vuole andare via. Si passa alla maniere forti, arrivano gli ufficiali giudiziari, i carabinieri, la mafia, gli avvoccati e i giudici compiacenti. La storia finisce nei giornali e nei tribunali. Ma la politica si muove bene per far spazio alle industrie. Si và avanti a delibere, varianti d’uso, espropi e demolizioni, per anni.

Le ruspe abbattano, una dopo l’altra, le case che sono state abbandonate, abbattono anche la chiesa e la scuola elementare. Intanto i veleni delle industrie finiscono in mare e i pescatori rimasti devono andare sempre più a largo per trovare il pesce.
Il panificio e la macelleria rimangono ancora in piedi, il pane viene fatto con l’acqua inquinata del mare, il macellaio va a prendere la carne a Priolo per rivenderla agli abitanti di Marina. Restano in piedi solo poche case, con dentro pochi abitanti. Nella parte di Marina che non c’è più sorge un’altra industria.

Arriviamo nel 1980. A Marina di Mellili sono rimaste solo otto famiglie. Ma vivono in un paese fantasma, senza alcun servizio, senza alcuna prospettiva. Le industrie intanto hanno invaso tutta la zona, protestare diventa inutile. Le ultime famiglie fanno le valige e vanno via, chi non vuol lasciare Marina viene convinto a suon di minacce. L’ultimo, ostinato, vecchietto innamorato di quel luogo non andò mai via, morì a Marina di Melilli. Fu trovato nel bagagliaio della sua macchina, legato mani e piedi,
e con una pallottola nel cuore. Si chiamava Salvatore Guerrieri, e la sua storia e stata narrata da Roselina Salemi nel libro "In nome di Marina". Oggi Marina di Mellili non esiste più, sono rimaste in piedi solo poche case, devastate dalla salsedine, dai vandali, dall’abbandono e dalle sostanza chimiche che riempiono l’aria, solo lì a testimonia la fine di un paese e la nascita di un polo industriale. Girando in questi luoghi ti accorgi di quanto bello, in potenza, era quel luogo. Basta tenere lo sguardo basso, non alzare gli occhi per evitare di vedere le ciminiere e il cielo grigio che invade questo paese che non c’è più.
Basta non avvicinarsi troppo al mare, per non accorgersi che non è più limpido, che non fà più odore di mare, ma chè è altro. Basta, semplicemente, tenere il naso turato per non accorgersi che il profumo degli alberi ha fatto posto a quello delle industrie.

Ma gli abitanti di Marina, anche se hanno fatto le valige e hanno lasciato il paese, non si sono salvati dal respirare i veleni prodotti nella zona industriale. Il triangolo che comprende i centri abitati di Priolo, Melilli, Augusta, dove si sono trasferiti,
è tra le zone più inquinate d’Italia, le industrie distano solo pochi Kilometri in linea d’aria, e gli effetti sono ancora oggi devastanti. Solo nel 1980 in questa zona si sono registrati 83 aborti spontanei e 12 nati malformati su 814 parti, una percentuale altissima. Una contabilità dell’orrore che non ha conosciuto arresto, e che si è sviluppata a ritmi impressionanti.
I dati del Centro nascite di Augusta mostrano un chiaro aumento progressivo del numero di nati con difetti congeniti; si passa dall’1,5% del 1980 al 3% dei primi anni ’90, al 3,5% del 96-97-98 fino ad un picco del 5,6% dell’anno 2000.
Anche la rivista I Siciliani, nell’1982, puntò l’attenzione sull’alta percentuale di malformazioni che si registravano nella zona,
è raccontò di un parto avvenuto all’ospedale Moscatello di Augusta: "Damiano, un neonato di quattro chili, è venuto alla luce con la mandibola atrofizzata, un buco nel palato molle, l’orecchio destro ridotto ad una piccola piaga di carne. Altri sette neonati deformi erano nati tra febbraio ed agosto negli ospedali di Augusta e Siracusa: qualcuno era sopravvissuto,
segnato per sempre da atroci deformità, gli altri erano morti dopo poche ore di agonia o al momento del parto".
Anche le morti per tumori, da quando è attivo il polo industriale, hanno registrato un forte incremento:
quasi il 33% delle morti registrate nel triangolo Augusta-Mellili-Priolo sono dovute a tumore.