Storia della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale,
l'armata fascista che nel 1923 il dittatore, appena salito
al potere, volle affiancare alla Forza regolare dello Stato

LA PROTESI
MILITARE
DI MUSSOLINI

Mussolini con la divisa di
"caporale d'onore" della Milizia
di PAOLO DEOTTO
Come si instaura una dittatura? Ci sono diverse maniere. Si può fare un violento colpo di stato, abolire ogni libertà, imporre con la forza e il terrore i nuovi ordinamenti... certo, è un metodo rischioso; qualcuno può non essere d'accordo, e se anziché qualcuno i dissidenti sono tanti, nascono un sacco di pasticci. Ma si può anche arrivare al Governo legalmente, almeno pro forma e poi, passo dopo passo, impadronirsi dello Stato; questo metodo, molto meno pericoloso, è possibile se si soddisfano nella giusta misura gli interessi delle varie categorie che compongono la società e se, beninteso, non ci sono avversari validi a contrastare il cammino.
Senza dubbio l'ascesa al potere di Mussolini seguì questa seconda via. La nomina a Primo Ministro gli fu legalmente conferita dal Re, né si può realisticamente affermare che questi fosse coartato a farla; poi iniziò quel processo di fascistizzazione dello Stato, che nell'arco di poco più di due anni avrebbe portato alla dittatura. Questo processo iniziò praticamente subito: non erano trascorsi che due mesi dalla Marcia su Roma e già il Governo presieduto da Mussolini, con delibera del 28 dicembre 1922, approvava il testo del decreto di istituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale - MVSN, che divenne operativo col Regio Decreto 14.1.1923 n. 31.
Vogliamo quindi leggere con i nostri lettori la storia di questa Milizia, purtroppo ignorata, o al più citata en passant, da tanti frettolosi libri di testo o liquidata tra le tante manifestazioni di militarismo del regime. E' un'omissione grave, perché non a caso dicevamo che l'istituzione della MVSN fu il primo passo del processo di fascistizzazione dello Stato, peraltro supinamente accettato dalle forze non fasciste che sedevano in Parlamento (e che all'epoca erano ancora in maggioranza): infatti il Regio Decreto citato dava veste legale a una Milizia che già esisteva, la Milizia fascista, che altro non era che l'organizzazione paramilitare delle squadre d'azione. A poco varrebbe obiettare che la MVSN fu per molti versi una parodia di forza armata e che ebbe uno sviluppo soprattutto di tipo tecnico - amministrativo, aldilà delle solenni definizioni di "Guardia armata della Rivoluzione". Tutto ciò è vero, almeno in buona parte, e lo vedremo proseguendo il nostro studio; ma resta il fatto, di grande rilevanza storica, di uno Stato di diritto, come pur sempre era l'Italia, che conferisce veste e funzioni pubbliche ad un'organizzazione armata di un partito politico. Lo scempio del diritto è quindi duplice: un'organizzazione di parte che diviene organo pubblico (mantenendo, come vedremo, il suo carattere di organo di parte); un'organizzazione paramilitare, nata come braccio armato di un partito, che anziché venir disarmata e disciolta, al contrario ottiene il riconoscimento della legge.
Manichino con la divisa
di "seniore" della MVSN
Per meglio renderci conto di quanto affermato, vediamo assieme gli articoli più significativi del citato Decreto Legge.
Funzioni della Milizia (art.2): "La Milizia per la Sicurezza Nazionale è al servizio di Dio e della Patria e agli ordini del Capo del Governo. Provvede, in concorso coi corpi armati per la Pubblica Sicurezza e col Regio Esercito, a mantenere all'interno l'ordine pubblico e prepara e conserva inquadrati i cittadini per la difesa degli interessi dell'Italia nel mondo".
Reclutamento (art.3): "il reclutamento è volontario e avviene fra gli appartenenti alla milizia fascista tra i 17 e i 50 anni che ne facciano domanda e che, a giudizio del Presidente del Consiglio o delle autorità da lui delegate, ne possiedano i requisiti di capacità e moralità".
Nomine e avanzamenti degli ufficiali (art.5): "Le nomine degli ufficiali e le loro promozioni vengono compiute con nostro decreto (Regio Decreto, N.d.A.), su proposta dei Ministri per l'Interno e per la Guerra".
Oneri finanziari (art.8): "Le spese per l'istituzione e il funzionamento della Milizia per la Sicurezza Nazionale sono a carico del bilancio del ministero dell'Interno".
Divieto di altre formazioni (art.9): "Dall'entrata in vigore del presente Decreto (1.2.1923 - N.d.A.) tutte le altre formazioni a carattere o inquadramento militare di qualsiasi tipo non sono permesse".
Per meglio capire l'importanza sostanziale di queste norme, si consideri che Mussolini, Primo Ministro, Capo del Governo, aveva assunto anche la carica di Ministro dell'Interno.
Dicevamo sopra che la Milizia già esisteva, come organizzazione paramilitare delle squadre d'azione. Era stato un passo necessario da parte di Mussolini per cercare di dare ordine e centralità a quella galassia disordinata e riottosa che erano le squadre, perlopiù costituite su base locale, con forti vincoli di fedeltà e obbedienza al capo, il ras, non sempre disposto a rinunciare al proprio potere personale, per osservare la linea politica che il Duce avrebbe voluto imporre. Né si trattava solo, per Mussolini, di consolidare il proprio potere personale all'interno del partito: nella costruzione dell'immagine rassicurante di un fascismo legalitario, che usava la propria forza per ristabilire l'ordine, l'imperversare disordinato e violento delle squadre d'azione poteva essere deleterio.
Un anno prima della Marcia su Roma, il 22 novembre del 1921, Mussolini aveva proposto e fatto approvare dal comitato centrale del Partito Nazionale Fascista la costituzione di un "Comando generale per la formazione, l'organizzazione e la disciplina delle squadre di combattimento". Il Comando era retto da quattro "Ispettori Generali", Italo Balbo (tenente degli alpini), Ulisse Igliori (tenente degli arditi), Asclepia Gandolfo (maggior generale dell'esercito) e Dino Perrone Compagni (ex ufficiale dell'esercito). I quattro avevano preparato, con la fine di gennaio del 22, un primo progetto di ordinamento militare che attribuiva alla Milizia il compito di agire "… quando sia necessario far mostra di disciplina e di forza, o per tutelare il Partito dalle violenze di altri partiti… e quando la forza dello Stato si mostri deficiente o inadatta allo scopo". E' importante notare che già nel primo progetto la Milizia si attribuiva, tra l'altro, compiti di surrogazione dello Stato. L'ordinamento gerarchico e dei reparti si rifaceva alle terminologie di imperiale memoria romana: i decurioni comandavano la squadra, i centurioni la centuria, i seniori la coorte, i consoli la legione. I gradi erano elettivi, per voto di base, in stile da rivoluzione messicana, ma si ammettevano deroghe, "lasciando ad uomini provati" la direzione di certi reparti. Se questo primo progetto era stato elaborato in gran segreto, il secondo, reso necessario dagli scarsi risultati ottenuti, viene addirittura pubblicato il 12 ottobre 1922 sul Popolo d'Italia. Mancano solo 16 giorni alla Marcia su Roma e ormai si gioca a carte scoperte. Il "Regolamento di Torre Pellice" (così chiamato dalla località in cui si erano riuniti gli estensori) porta le firme di tre dei quattro futuri quadrumviri,

Per lo squadrista,
la MVSN costituiva 
la dignità di una 
divisa ufficiale 
Balbo, De Bono e De Vecchi; conferma nella sostanza l'ordinamento territoriale in legioni, a loro volte ordinate in comandi di gruppo, ma soprattutto si sofferma sulle norme disciplinari e sulle doti morali che devono contraddistinguere il milite fascista, prevedendo i casi in cui la Milizia può espellere "gli impuri, gli indegni, i traditori". I problemi principali delle squadre restano sempre quelli del comportamento, troppo spesso poco militare e molto banditesco e dell'inquadramento.
Si arriva al 28 ottobre 1922, alla Marcia su Roma. Mussolini, appena nominato Primo Ministro, ha subito diramato ai prefetti ordini tassativi per la repressione di qualsiasi violenza. Si rende conto benissimo che le squadre costituiscono, per l'immagine pulita del fascismo, la grande incognita, con la loro carica di violenza, acuita dal fatto che non pochi squadristi si sentono (e a ragione) traditi e usati per l'ascesa al potere di Mussolini, col miraggio di una rivoluzione che non c'è stata e mai avverrà. Le violenze che costellano il rientro alla base delle varie colonne di squadristi dimostrano la fondatezza di questi timori. Il 15 dicembre 1922 Mussolini, Primo Ministro da un mese e mezzo, incarica una commissione formata da Finzi, De Bono, De Vecchi, Balbo e Teruzzi, di elaborare "proposte di pratica e immediata attuazione". I cinque si mettono al lavoro e si giunge al testo del Regio Decreto 14.1.1923 n. 31.
Fatta la Milizia sulla carta, bisognava ora dotarla di un regolamento di disciplina e provvedere agli arruolamenti. Il 12 gennaio del 1922 il Gran Consiglio del Fascismo aveva dichiarato sciolte le squadre d'azione; il già citato Regio Decreto n.31, agendo di conserva con la delibera del Gran Consiglio, disponeva l'arruolamento degli squadristi in coorti, suddivise in tre bandi. Ne risulterà una forza teorica di circa 300.000 uomini, di cui 139.000 (più 8.000 ufficiali) effettivamente arruolati col primo bando. Il regolamento di disciplina, preparato dal sottosegretario Aldo Finzi, riceve anch'esso sanzione legale (Regio Decreto 8 marzo 1923 n.831) e, tra l'altro, dà del milite fascista, che fino al giorno prima era lo squadrista, una definizione di retorica a dir poco alluvionale: "Il milite della Milizia Nazionale serve l'Italia in mistica purità di spirito, con fede incrollabile ed inflessibile volontà; sprezza, al par d'ogni altra viltà, la prudenza che nasce dall'opportunismo; ambisce, come premio sommo alla sua fede, il sacrificio; sente la fiera bellezza dell'apostolato a cui tutto si vota per fare forte e sicura la gran Madre comune. Egli perciò non conosce che doveri, e non ha diritto che alla gioia di compierli…"
La Milizia era nata, ed era un ottimo esempio di quella politica di equilibri che avrebbe contraddistinto l'agire di Mussolini. La MVSN inquadrava militarmente gli squadristi e quindi tranquillizzava il cittadino medio, ma al tempo stesso gli faceva sapere che esisteva comunque un'occhiuta e ramificata vigilanza fascista. Per lo squadrista, la MVSN costituiva la dignità di una divisa ufficiale e un colpo di spugna sul passato di violenze e sopraffazioni, ma al tempo stesso lo ingabbiava nella disciplina militare. Nei confronti del Paese e dei fascisti, Mussolini poteva ormai presentarsi come il depositario unico della violenza, in grado di utilizzarla o di comprimerla, cumulando su di sé le cariche di Primo Ministro, Ministro dell'Interno, Duce del Fascismo e, come capo del Governo, comandante in capo della Milizia.
Delineiamo ora brevemente le prime norme di funzionamento della Milizia, come previste dal Regio Decreto 20 agosto 1923 n.1880 (poi convertito, con alcune modifiche che vedremo, nella Legge 17 aprile 1925 n.473).
Il Milite della MVSN non presta giuramento al Re, bensì al Duce; le camicie nere, fino al grado di caposquadra (sergente - si vedano in calce le tabelle di corrispondenza di gradi e reparti) non prestano servizio permanente; essi sono lavoratori delle varie categorie (operai, impiegati, professionisti ecc.) che attendono alle proprie normali occupazioni e sono chiamati in servizio per motivi di ordine pubblico, calamità, istruzione militare, sfilate, cerimonie, ispezioni.
Divisa da "console generale"
della Milizia
Queste chiamate avvengono a livello di reparto e possono essere effettuate dal Ministro per l'Interno, dal prefetto o anche dal sindaco (in seguito, dal podestà). La mobilitazione generale per motivi di ordine pubblico può avvenire solo per ordine di Mussolini. La chiamata si effettua con pubblici manifesti o con cartolina precetto. Il milite conserva a casa l'uniforme, mentre restituisce in caserma, al termine del servizio, l'armamento individuale (moschetto 91 e pistola per i militi, pistola per i sottufficiali e ufficiali). Anche gli ufficiali e gli aiutanti (marescialli) prestano il servizio solo quando comandati, salvo un'aliquota, circa il 10%, in servizio permanente. Questi ultimi godono di un'indennità, o stipendio che dir si voglia, mentre per tutti gli altri è previsto un compenso solo per i giorni di richiamo.
I militi indossano la divisa grigioverde, ma con camicia e cravatta nere. Al posto delle stellette, portano due piccoli fasci in metallo giallo ("fascetti").
La MVSN non adotta il saluto tipico dell'esercito, bensì il cosiddetto saluto romano: braccio destro teso in avanti obliquamente. La Milizia ha il proprio servizio sanitario, quello religioso e, nei primi anni di attività, otterrà dal ministero della Guerra edifici demaniali già destinati ad altre truppe, per uso di caserma e uffici; sempre dallo stesso ministero riceverà le prime dotazioni di armi e munizionamento.
L'appartenenza alla MVSN non esonera dagli obblighi di leva; il milite svolge regolarmente il suo servizio militare presso il Corpo a cui è assegnato, e al quale dovrà tornare per gli eventuali richiami (Da questa norma saranno esonerati solo i militi dei battaglioni Camicie Nere, le unità combattenti della MVSN, di costituzione successiva).
Per tutti, militi, sottufficiali e ufficiali è obbligatoria l'iscrizione al Partito Nazionale Fascista, dalla quale sono esentati solo i cappellani.
Abbiamo parlato della nascita e del primo ordinamento della MVSN; conviene fare un attimo di sosta e di riflessione, perché resta da capire come un Parlamento, ancora in larga parte non fascista e un Governo in cui sedevano solo tre ministri fascisti, ma che vedeva la presenza anche di popolari, nazionalisti, liberali e di due alti ufficiali (il generale Diaz e l'ammiraglio Thaon de Revel), abbiano potuto supinamente accettare la creazione della MVSN, che insieme costituiva un monstrum giuridico e una seria ipoteca sulla libertà del Paese. Ma si consideri che questo Paese da tre anni viveva in un clima di guerra civile e ormai non si desiderava che un ritorno alla normalità. Se molti erano intimoriti dall'intrinseca carica di violenza degli squadristi, tuttavia la politica dissennata di una sinistra, inutilmente barricadiera senza la capacità di essere realmente rivoluzionaria, aveva amplificato la paura, più forte e già diffusa, del sovversivismo e aveva disgustato gli ex combattenti con una gratuita campagna di oltraggi, diretta non solo contro chi aveva voluto la guerra, ma anche contro chi l'aveva fatta, i semplici soldati, in gran parte appartenenti alle classi umili. Mussolini, più che incendiario, era stato un accorto gestore degli incendi appiccati (o fatti appiccare) da altri e ora si presentava, ne parlavamo sopra, come l'unico pompiere affidabile.
Le Forze Armate, in buona parte, simpatizzavano per il fascismo, che si proponeva anche come paladino dei diritti dei militari e dei reduci; è notorio l'atteggiamento a volte assenteista, a volte di aperto appoggio, che l'esercito ebbe nei confronti delle violenze squadriste. E' rimasta famosa l'italianissima risposta (da alcuni attribuita a Diaz, da altri a Thaon de Revel o a Pecori Giraldi) data al Re, che, con le squadre fasciste che convergevano su Roma, cercava lumi sull'affidabilità dei militari: "L'esercito farà il suo dovere, ma sarà meglio non metterlo alla prova". Né si può scordare che quegli anni videro anche l'occupazione di Fiume da parte dei legionari dannunziani: un evento che, comunque lo si voglia vedere, costituiva un atto di sedizione militare. In sostanza, anche i militari preferivano lo sbrigativo realismo di Mussolini (che peraltro prometteva vantaggi anche per loro) allo stato confusionale di una classe politica che aveva perso il controllo della nazione.
Il distintivo da giubba dell'Indomita
una squadra d'azione fascista
Certo, c'era in gioco la libertà: ma l'uso che se n'era fatto nell'ultimo triennio non la rendeva più di tanto cara, né all'uomo della strada, né ai militari, né ai politici; tra questi ultimi poi era diffusa la convinzione (si crede sempre facilmente a ciò che si desidera) del carattere contingente dell'esperimento fascista. Anna Kuliscioff: "… bisogna che egli possa percorrere tutta la sua parabola, dovesse rimanere anche un paio d'anni al potere…". Ma non diversamente la pensavano Giolitti, Nitti, Amendola, Salvemini, che vedevano in Mussolini l'uomo della pacificazione, comunque sicuri che, trascorsa la breve parentesi fascista, la direzione del paese sarebbe tornata ai professionisti del Governo. E questa convinzione non era stata scalfita nemmeno dai toni aggressivi e violenti con cui Mussolini si presentò alla Camera: "Con trecentomila (moltiplicava almeno per 5 le cifre reali…) fascisti armati di tutto punto, avrei potuto fare di quest'aula grigia e sorda un bivacco di manipoli. Non ho, almeno per ora, voluto".
Quale affidabilità poteva dare una classe politica, ormai persa in un limbo che le impediva di valutare appieno la realtà? Nessuna. E proprio in questa situazione chi mancò completamente l'appuntamento con la Storia fu il Re. Vittorio Emanuele III iniziò a scavare la fossa alla Monarchia non tanto quando conferì l'incarico di Governo a Mussolini, quanto piuttosto col successivo avallo, passo dopo passo, della politica liberticida che avrebbe portato alla dittatura. La sua posizione non gli consentiva reazioni emotive (che peraltro non erano nel suo carattere), ma gli imponeva, in una situazione di totale confusione e smarrimento, di essere super partes il tutore di una Nazione libera e democratica. Nessun atto con valore di legge poteva essere tale senza la firma del Re. Ma questi, ben più pensoso delle sorti dinastiche, anziché di quelle nazionali, fece la sua scelta, che nei confronti dell'Italia aveva un solo nome: tradimento. E in fondo, a ben guardare, come massimo responsabile della Nazione, fu anche, al redde rationem del 1945, quello che pagò il conto minore. Ironie della Storia; ma forse era troppo piccolo per poter avere la grandezza di pagare grossi scotti.
E torniamo alla MVSN; se c'era tutto, o quasi, dal punto di vista normativo, mancava molto sotto quello sostanziale. In primis, bisognava capire fino in fondo quali fossero i compiti della Milizia. Infatti neanch'essa sfuggiva al magmatismo classico di tanta politica mussoliniana, funzionale del resto a una linea di condotta che era sempre quella di procedere a vista, adattando per via le situazioni, come un marinaio che persegue la sua meta non con una rotta predefinita, ma con continue correzioni, a seconda dei venti che spirano. La Milizia si presentava subito come un ibrido doppione sia delle forze dell'Ordine, sia dell'Esercito. In più l'ordinamento iniziale, che abbiamo appena studiato, non determinava il numero delle legioni e delle coorti, lasciandolo di fatto all'arbitrio del Governo. Comunque uno dei primissimi compiti affidati alla MVSN fu quello del controllo politico, con l'istituzione di un UPI ( Ufficio Politico di Investigazione) per ogni comando di Legione. L'UPI doveva "sentire l'atmosfera" del Paese, tenere aggiornati gli schedari dei possibili "perturbatori dell'ordine" (ossia degli oppositori politici) e fu la prima delle molte polizie parallele, grande passione del Duce, che della Polizia (Pubblica Sicurezza) lamentava l'inefficienza e dei Carabinieri e della Guardia di Finanza la non completa affidabilità, salvo poi servirsi degli investigatori di questi corpi per sorvegliare gli altri sorveglianti.
Ma se vogliamo un elenco dettagliato delle funzioni della milizia, quali via via si definirono, affidiamoci alla fonte, ad un testo dell'epoca fascista: "Sorta dalla trasformazione delle squadre d'azione, essa costituisce, come l'ha definita il Duce, la guardia armata della Rivoluzione; assolve compiti politico-educativo-militari e compiti propriamente militari. I primi possono

la Milizia dovette
superare non poche
crisi, dovute
in parte ai rapporti 
con l'Esercito 
riassumersi nella preparazione pre e post-militare, sicché può dirsi che è attraverso i ranghi della Milizia che lo Stato Fascista realizza il postulato della inscindibilità delle funzioni di cittadino e di soldato". Troviamo queste precisazioni nella Enciclopedia Pratica Bompiani, edizione 1938, sezione 11 - "Lo Stato fascista" - capitolo "Le Forze Armate", voce "MVSN". Lo stesso testo ci informa sui compiti militari della Milizia, che consistono nel concorso con proprie unità (i battaglioni Camicie Nere) alle operazioni di guerra con le altre Forze Armate e nella difesa contraerea e costiera, costituita da legioni speciali formate da personale giovanissimo (tra i 18 e i 20 anni) o anziano (oltre i 40).
Il testo che abbiamo citato (che pudicamente non accenna agli Uffici Politici di Investigazione…) è del 1938. Ma prima di arrivare a questa data, la Milizia dovette superare non poche crisi, dovute sia a motivi interni, sia ai rapporti con l'Esercito. La posizione di quest'ultimo era complessa: i militari, già in larga parte favorevoli al fascismo (lo vedevamo sopra) gradivano una Milizia che li sollevasse, almeno in parte, dagli sgraditissimi compiti di ordine pubblico. Ma d'altra parte provavano la normale avversione di ogni soldato professionista verso le abborracciate milizie di parte che in questo caso rischiavano poi, dato il numero rilevante degli effettivi, di presentarsi come concorrenti, anche nel capitolo (tutt'altro che secondario… ) delle assegnazioni annue di bilancio. Mussolini era ben conscio della necessità di mantenere l'appoggio delle Forze Armate; e verso queste ultime la politica fascista fu prodiga: a parte l'esaltazione patriottica indotta come contraltare all'antimilitarismo di sinistra, il nuovo governo prometteva comunque una politica espansionistica (ossia possibilità di carriera per i militari) e intanto una novantina di alti ufficiali riceveva il laticlavio: il Senato era di nomina regia, su proposta del Governo. Inoltre il nuovo grado di Maresciallo d'Italia andava a premiare non solo Diaz (che era, almeno in teoria, il vincitore della Grande Guerra), ma veniva conferito poi anche a personaggi come Cadorna, Badoglio, Giardino, Pecori Giraldi, il duca d'Aosta e Caviglia, dando così soddisfazione alle potenti associazioni combattentistiche, con un bel colpo di spugna su tutte le polemiche post-Caporetto. E si consideri che il grado, onorifico, aveva però anche un contenuto molto concreto: un appannaggio di 2 milioni.
Restava però l'ambiguità di fondo di questa formazione armata fascista, che non giurava fedeltà al Re e della quale era difficile capire anche il numero degli effettivi. Si giunse così al Regio Decreto 4 agosto 1924 n. 1292, bollato da non pochi fascisti come la "evirazione della Milizia". In esso si stabiliva (art.1) che "La MVSN fa parte delle Forze Armate dello Stato. I suoi componenti prestano giuramento di fedeltà al Re e sono soggetti alle stesse disposizioni disciplinari e penali di quelli appartenenti al Regio Esercito". Il successivo articolo stabiliva il numero delle legioni (139, ma variabile di anno in anno in sede di bilancio di previsione). Per quanto concerne gli ufficiali, il decreto prevedeva che essi venissero tratti "dalle categorie in congedo dell'esercito, marina e aeronautica, a loro domanda", conservando però il grado e l'anzianità maturati nell'arma di provenienza. Si iniziava così uno strano balletto, che durerà per tutto il periodo fascista: uomini con due divise, due gradi eventualmente diversi, che spesso torneranno nelle file dell'Esercito, per le operazioni belliche in Spagna, in Africa e poi nella seconda guerra mondiale, per poi rientrare nei ranghi della Milizia, salvo indossare una terza uniforme, quella del Partito (che ovviamente aveva le sue divise). Le restanti parti del decreto non portavano sostanziali novità. Restava invariato l'obbligo di iscrizione al Partito Nazionale Fascista come condizione sine qua non per l'appartenenza alla Milizia.
Il 28 ottobre 1924, secondo anniversario della Marcia su Roma, in tutta Italia i militi giurano fedeltà al Re: la MVSN a questo punto è costituzionalizzata e i fascisti "duri e puri" che la definiscono "evirata" non si rendono conto che la compromissione tra fascismo e monarchia è reciproca.
Reparti della Milizia Volontaria sfilano davanti 
a Mussolini a ritmo del famoso "passo romano"
Il fascismo non è ancora dittatura, ma ha compiuto un altro importante passo verso la fascistizzazione dello Stato.
Se i rapporti con le Forze Armate potevano dirsi a quel punto equilibrati, i problemi interni alla Milizia non mancavano. E il primo di questi fu il basso livello di buona parte dell'ufficialità, conseguenza inevitabile dell'immissione in ruolo ex lege, per la prima formazione della Milizia, dei componenti le squadre d'azione, nelle quali, come abbiamo visto, l'attribuzione dei gradi era perlopiù elettiva.
Comandanti generali (equiparati ai generali di corpo d'armata dell'esercito) della prima formazione della MVSN erano i quadrumviri della Marcia su Roma, Balbo, De Vecchi, Bianchi e De Bono, quest'ultimo veramente generale di corpo d'armata, e capo della polizia di fresca nomina. A Mussolini, comandante in capo, veniva attribuito il grado simbolico di primo caporale d'onore. Il primo grido d'allarme arriva da Balbo, nell'estate del 1923; a pochi mesi dalla sua costituzione ufficiale, nella MVSN si verificano gravi casi di insubordinazione (si segnalano rifiuti di obbedienza ad Alessandria, a Carrara e ad Udine). Senza dubbio una delle cause che rendono possibili questi disordini è lo scarso livello degli ufficiali. Si rende necessaria un'epurazione, dice Balbo; le mancanze più comuni sono "l'abuso di autorità, lo sfruttamento del grado della Milizia per scopi personali, l'abuso dell'uniforme, la deficienza di dignità e sensibilità militare…". Si stabilisce di tenere, in segreto, due sessioni di esami, una a Torino (presiede De Vecchi) e una a Firenze (presiede Balbo), ai quali dovranno sottoporsi i consoli (colonnelli) e i consoli generali (generali) che non ricoprano lo stesso grado nell'esercito. L'esame prevede una prova scritta e una orale, più lo svolgimento di uno schema tattico sul terreno. Le materie sono cultura generale, cultura militare e, ovviamente, storia della rivoluzione fascista, della Milizia e regolamento della stessa. Molti non si presentano e perdono il grado, salvo Farinacci, il ras di Cremona, che si rifiuta di sottoporsi ad esami, ma contro il quale non viene preso alcun provvedimento. Sono arrivati a noi solo i risultati finali della commissione presieduta da Balbo: 133 consoli esaminati, 114 idonei, 10 bocciati, 9 sospesi: questi ultimi, se vogliono conservare il grado, devono partecipare al corso di istruzione militare per consoli. Le votazioni mettono in luce Dino Grandi (uno dei migliori), mentre solo un giudizio di "scarso" spetta a Nicola Sansanelli, Achille Starace (che viene promosso per titoli personali) e Adelchi Serena, tre futuri segretari del Partito. Comunque, come si vede dalle cifre, la prevista "epurazione" diviene, nei fatti, ben poca cosa e così divengono ufficialmente colonnelli o generali della MVSN anche ex squadristi che nell'esercito erano sergenti, se non addirittura semplici soldati o caporali.
La seconda crisi per la Milizia coincide con l'omicidio di Giacomo Matteotti. E' il fascismo stesso ad essere in pericolo e Mussolini, col famoso discorso alla Camera del 3 gennaio 1925, riesce abilmente a ribaltare le responsabilità, per il resto ancora una volta aiutato dall'insipienza di un'opposizione che non aveva saputo inventare nulla di meglio dell'Aventino e ancora una volta appoggiato dal Re. Il fascismo già aveva la maggioranza in Parlamento, dopo le elezioni del 5 aprile 1924; col 3 gennaio 1925 diviene dittatura. Ma nei travagliati mesi precedenti la Milizia aveva moltiplicato i segni di inquietudine e molti consoli e consoli generali si dichiaravano pronti "a far da soli" se Mussolini non fosse riuscito a riprendere in mano la situazione. De Bono e Balbo si dimettono e il Duce nomina nuovo comandante il generale Asclepia Gandolfo.
Un gruppo di squadristi in posa davanti al fotografo:
immagine più casareccia che bellicosa
Ma qualcosa all'interno della MVSN continua a non andar bene: il 18 settembre 1928 il luogotenente generale Enrico Bazan, capo di Stato Maggiore della Milizia, comunica al Gran Consiglio del Fascismo che: "per ragioni diverse, sono stati epurati dalla Milizia 308 ufficiali e 2638 camicie nere…". Le ragioni non sono diverse dalle solite: la militarizzazione, la sottomissione al codice penale militare, la definitiva normalizzazione sono mal accettate da quanti sono rimasti, nel loro intimo, squadristi.
Un rapporto del console Renzo Montagna, comandante la legione di Asti, redatto presumibilmente nella primavera del 1930, contiene un passaggio significativo sul malessere che travaglia la Milizia: "… si è parlato molto in questi ultimi mesi, specie da Ufficiali in servizio permanente, di nuovi tipi di divisa, di aumenti di stipendio e di stato giuridico. Con eguale passione e insistenza non si è mai discusso, invece, di quelli che sono i veri problemi che riguardano la Milizia. E' anche questo un sintomo che indica come la Milizia vada perdendo le sue doti migliori, che si basavano sulla fede e sul disinteresse… "
Insomma, la Guardia Armata della Rivoluzione sta divenendo un ufficio statale come gli altri, e le successive vicende storiche dimostreranno che il console Montagna, che estende la sua polemica anche alla mancata fascistizzazione dell'esercito, proponendo un rafforzamento dei reparti combattenti della Milizia, aveva timori non infondati.
Ci rendiamo conto di aver proceduto fin qui, dal punto di vista cronologico, un poco a sbalzi, ma era inevitabile, cercando di sviscerare la storia della MVSN per settori. Mettiamo ora un po' d'ordine: abbiamo visto la nascita della Milizia, i suoi rapporti con l'esercito, i suoi problemi interni, e le sue funzioni. Abbiamo seguito l'evoluzione politica di Mussolini, Primo Ministro dal 1922, dittatore dal 1925.
Torniamo ora sul tema delle funzioni della Milizia. Il Decreto Legge n. 1292 del 4 agosto 1924, che integrava la Milizia nelle Forze Armate, non forniva però una chiara normativa sui limiti, o sull'estensione delle funzioni della MVSN, lasciando così molto spazio all'iniziativa di Mussolini. Il 4 aprile 1924 il fascismo aveva conquistato la maggioranza in Parlamento; il 3 gennaio 1925, lo vedevamo prima, segna la data di inizio del Regime; quell'anno poi gli italiani avranno un curioso regalo di Natale, il R.D. 24 dicembre 1925 n. 2263, sulle nuove attribuzioni e prerogative del Capo del Governo. Mussolini ha ormai poteri pressoché assoluti. In questo quadro politico, le funzioni della Milizia vanno così definendosi:
- Polizia politica, con i già citati UPI, a livello di comando Legione.
- Sorveglianza degli oppositori inviati al confino o nelle colonie penali.
- Funzionamento del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato; istituito con R.D. 25 novembre 1926 n.2008, è formato da 5 giudici aventi il grado di consoli della MVSN e da un Presidente, scelto tra gli ufficiali generali della Milizia o delle altre tre Forze Armate.
- Istruzione premilitare, resa obbligatoria con il Regio Decreto 29 dicembre 1930 n.1759 per i giovani che hanno raggiunto il diciottesimo anno d'età.
- Educazione fascista della gioventù (tramite l'Opera Nazionale Balilla), curata dagli ufficiali della MVSN in servizio non permanente.
- Guardia del Duce, con la costituzione dello speciale reparto dei Moschettieri del Duce.
- Funzioni militari
- Funzioni di polizia specializzata, che velocemente esamineremo ora.
Per inciso, ci sembra interessante

Le funzioni
di polizia 
specializzata
venivano espletate 
dalle Milizie Speciali
notare che l'elenco delle funzioni che riportavamo prima, tratte da un'enciclopedia del 1938, taceva pudicamente su tutte le attività più direttamente repressive.
Le funzioni di polizia specializzata venivano espletate dalle Milizie Speciali, che dipendevano, per la parte militare e disciplinare, dal comando generale della MVSN e per la parte tecnica dai diversi ministeri a cui erano addette. Ovviamente in queste Milizie Speciali operava solo personale in servizio permanente. Con diversi decreti, dal 4 agosto 1924 al 29 dicembre 1930 vengono istituite le seguenti Milizie Speciali:
- ferroviaria
- portuaria
- postale e telegrafica (poi chiamata postelegrafica)
- forestale
- confinaria
- stradale
Il personale di queste Milizie ha le qualifiche di polizia giudiziaria e agenti di Pubblica Sicurezza. Si tratta, nella sostanza, di organismi tecnici, che in alcuni casi si sovrappongono ad altri organi di polizia che già svolgono le medesime funzioni, in altri invece vanno a coprire settori precedentemente non tutelati, come nel caso della milizia forestale. Un discorso a parte meritano la milizia coloniale, che è di fatto una via di mezzo tra l'organo di polizia e il corpo militare, e che viene subito impiegata (ottobre 1923) in Libia in funzione antiguerriglia, stabilizzandosi poi in loco con due "Legioni Libiche Permanenti", e la milizia universitaria, che ha l'incombenza dell'istruzione premilitare e svolgerà pure speciali corsi per allievi ufficiali di complemento.
Le Milizie Speciali rappresentarono la parte meno politicizzata della MVSN, né vale qui ricordare l'obbligo dell'iscrizione al Partito Nazionale Fascista, che era divenuta per l'italiano medio una specie di tassa da pagare, inevitabile per chi aspirasse a una carriera pubblica; se vogliamo ricordare quanto dicevamo sopra, circa la passione di Mussolini per le polizie parallele, nel caso della Milizia erano piuttosto gli UPI gli organismi più significativi, che avevano anche il vantaggio di far parte della Milizia ordinaria e di essere quindi più direttamente utilizzabili. In sostanza, il cittadino che rispondeva ai bandi di arruolamento nelle diverse Milizie Speciali non era necessariamente un fervente fascista, ma una persona che aspirava ad un posto statale nello Stato fascista.
Negli anni cresce anche di continuo il personale: dai primi 139.000 arruolati del 1923, si arriva, alla fine del 1930 a 396.00 uomini, che diverranno addirittura 534.000 a marzo del 1939 (sempre sommando la milizia ordinaria più le milizie speciali). La MVSN diveniva un organismo ipertrofico, dove, lo dimostreranno gli eventi dopo il 25 luglio 1943, la grinta della Guardia Armata della Rivoluzione si andava sempre più annacquando. In questo senso la Milizia non faceva eccezione rispetto alle molte altre istituzioni del regime, Partito Nazionale Fascista in testa, che esprimevano comunque lo spirito di un popolo che solo il Duce, e forse neanche lui fino in fondo, reputava guerriero e anelante alla lotta.
Quelli che ancora, è presumibile, erano spinti da motivazioni ideali, pagarono il più alto tributo di sangue: ci riferiamo ai reparti combattenti della MVSN, i Battaglioni Camicie Nere, costituiti dai giovani dai 20 ai 36 anni che hanno chiesto di essere inquadrati in questi reparti che dovrebbero costituire "il fiore delle leve fasciste".
La guerra in Africa Orientale, la conquista dell'Impero sarà l'inebriante battesimo del fuoco per le Camicie Nere. La MVSN impiega in questo conflitto sei divisioni, per un totale di 112.014 militi e 3.751 ufficiali; con sovrabbondanza di mezzi, forniti dall'esercito, e contro un nemico assolutamente inconsistente, la guerra "fascistissima" con cui il duce ridà all'Italia l'Impero fa nascere molte, pericolose illusioni. I caduti sono 1.290, poco più dell'un per cento della forza messa in campo. La guerra, l'unica in cui i combattenti italiani si siano trovati dotati di tutto, è stata in verità una serie di scaramucce e di grandi marce su terreni a volte impraticabili.

Il 25 luglio 1943
il Re fa arrestare 
Mussolini e lo
sostituisce col 
maresciallo Badoglio 
La realtà è molto più dura e si paleserà con la partecipazione italiana alla guerra civile in Spagna. La battaglia, perduta, di Guadalajara mette a nudo una serie di deficienze gravi nella guida delle divisioni sul campo. Tornano a galla gli antichi problemi della Milizia, che affondano le radici nella sua stessa origine: ufficiali impreparati, ma che volevano difendere la loro indipendenza dall'esercito, si scontrano con una guerra vera, portando i loro uomini alla sconfitta. Qui non si tratta di fare parate militari o premilitari, o di tenere roboanti discorsi alle milizie, o di combattere contro gli abissini. Qui la guerra è fatta sul serio e il bilancio finale della partecipazione italiana è pesante: al 26 gennaio 1939, data conclusiva del conflitto, sono rimasti in terra spagnola 3.298 morti e 4.150 uomini sono feriti, il tutto su una forza di poco superiore alle 100.000 unità. Ossia, i caduti sono il triplo rispetto alla guerra d'Africa.
La guerra di Spagna è stata la prova generale, l'Europa è ormai alle soglie della seconda guerra mondiale e Mussolini, dopo l'amaro boccone di Guadalajara, deve far professione di realismo ed accondiscendere alle richieste del Regio Esercito: grandi unità di camicie nere non saranno più costituite e soprattutto non saranno più impiegate in modo autonomo, con propri comandi. I volontari in camicia nera verranno inquadrati all'interno delle formazioni dell'esercito: una legione di militi accanto a ogni divisione di fanteria. Il nuovo ordinamento entra in vigore il 29 ottobre 1940 e interessa una quarantina di legioni, pari a 132 battaglioni. Le camicie nere combatteranno sul fronte francese, in Africa settentrionale, in Africa Orientale, nei Balcani e sul fronte russo, dove esordiranno i nuovi reparti d'assalto formati da veterani, i Battaglioni M.
Il 1° febbraio 1943, ventesimo anniversario della fondazione della MVSN, si tirano le somme del contributo di sangue versato sui vari fronti. I caduti sono oltre 8.200, i feriti 12.856. Nei mesi successivi ci saranno altri morti in combattimento, ma non ne è rimasta traccia nei documenti pubblici.
Il 25 luglio 1943 il Re fa arrestare Mussolini e lo sostituisce col maresciallo Badoglio. La Milizia non fa assolutamente nulla per tentare di liberare il Duce. Il console Montagna, con le sue critiche di tredici anni prima, aveva visto a lunga distanza.
Tre carri armati della divisione Ariete arrivano davanti al comando generale della Milizia, in piazza Romania e puntano i loro cannoni verso le finestre dell'ufficio del generale Enzo Galbiati, capo di stato Maggiore. Ma il generale Galbiati non ha intenzioni bellicose; si affretta a comunicare che "la MVSN … rimane fedele al sacro principio di servire la Patria". Passa poi le consegne al suo successore, il generale di corpo d'armata Quirino Armellini. In Italia si scoprono in molti, quasi tutti , antifascisti; la Milizia non fa eccezione. Mentre tanti gerarchi si danno alla fuga, o si mimetizzano, mentre il Partito Fascista viene sciolto, la Milizia continua ad esistere come parte integrante delle Forze Armate. I militi si tolgono dal bavero i "fascetti" e li sostituiscono con le stellette. E' l'istituzione fascista che durerà di più, perché solo il 6 dicembre 1943, con Regio Decreto n. 16-b, verrà dichiarata decaduta.
E' la fine anche formale della duplice illusione. Militarmente, la MVSN ha fallito (nonostante i comportamenti valorosi delle Camicie nere, soprattutto sui fronti dell'Africa settentrionale e della Russia), come Guardia Armata della Rivoluzione non ha neanche tentato di agire. Espressione della dittatura che l'aveva generata, la MVSN ha dimostrato di incarnarne gli aspetti deleteri di fondamentale superficialità, di vuota retorica, sotto la quale non c'era sostanza, ma solo il sacrificio inutile di migliaia di giovani, mandati a morire con l'illusione di essere dei guerrieri.

APPENDICI
 
CORRISPONDENZA TRA I REPARTI DEL R. ESERCITO E DELLA MVSN
R. ESERCITO MVSN
SQUADRA SQUADRA
PLOTONE MANIPOLO
COMPAGNIA CENTURIA
BATTAGLIONE COORTE
REGGIMENTO LEGIONE
COMANDO DI BRIGATA COMANDO DI GRUPPO
COMANDO DI DIVISIONE COMANDO DI ZONA
CORRISPONDENZA TRA I GRADI DEL R. ESERCITO E DELLA MVSN
R. ESERCITO MVSN
Soldato ------------
Appuntato Camicia Nera
Caporale Camicia Nera Scelta
Caporal Maggiore Vice Capo Squadra
Sergente Capo Squadra
Sergente Maggiore Primo Capo Squadra
Maresciallo Ordinario Aiutante
Maresciallo Capo Aiutante Capo
Maresciallo Maggiore Primo Aiutante
Sottotenente Sotto Capo Manipolo
Tenente Capo Manipolo
Capitano Centurione
Maggiore Seniore
Tenente Colonnello Primo Seniore
Colonnello Console
Generale di Brigata Console Generale
Generale di Divisione Luogotenente Generale
Generale di Corpo d’Armata Luogotenente Generale Capo di S.M.
Generale d’Armata Comandante Generale



Bibliografia