Jolly Rosso: la nave dei veleni
La società armatrice Messina ci riprova con le querele….ma il silenzio non si compra !
-27 Ottobre 2012- su Mezzoeuro del 27 ottobre 2012

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Ed ecco puntuale la solita querela contro associazioni ambientaliste “sparata” dalla società Messina di Genova. Questa volta ad andarci di mezzo per aver cercato la verità sul traffico dei rifiuti tossici sono Gianfranco Posa portavoce del Comitato De Grazia di Amantea, Lavinia Bruno giornalista della La7 ed addirittura il pentito di mafia Francesco Fonti.  I tre sono colpevoli di aver raccontato la storia della Motonave Rosso spiaggiata nel 1990 in località Formiciche di Campora San Giovanni, frazione di Amantea. L’accusa è la solita. Aver “diffamato” la società Messina o meglio aver raccontato quanto avvenuto in quella famosa notte del 14 dicembre del 1990. Il processo è iniziato lo scorso 5 ottobre a Genova ed ha costretto la trasferta dalla Calabria per Gianfranco Posa e da Roma per la giornalista Lavinia Bruno. L’udienza è servita solo per calenderizzare il processo: il prossimo 18 gennaio del 2013 ci sarà l’esame degli atti acquisiti dal Pm Walter Cotugno e ci sarà la visione dell’intervista fatta e trasmessa da La7 ed infine l’esame dei testi d’accusa; l’8 febbraio ci sarà l’esame degli imputati fra i quali il pentito Francesco Fonti, e sarà senz’altro interessante sentire l’uomo che ha confessato di aver trafficato con i rifiuti tossici e di aver affondato in Calabria e davanti Maratea tre navi contenenti rifiuti tossici. Questa testimonianza, a mio modesto avviso, se confermata smantellerà tutte le accuse da parte della società Messina, che ancora oggi non vuole ammettere che la motonave Rosso era una nave dei veleni impiegata nel trasporto dei rifiuti tossici, addirittura affittata dal governo italiano per riportare in patria veleni tossici scaricati in Libano. Ci sono documenti che comprovano il ruolo di questa motonave. Dal libro di Andrea Palladino, non sappiamo se già querelato anche lui, “BANDIERA NERA (manifesto libri) leggiamo gli spostamenti delle quattro navi dei veleni tratti da Lloyd’s Shipping Index:

Il 26 luglio 1988 il procuratore di stato libanese dichiara che è avvenuto un vero e proprio disastro ambientale dopo lo sbarco del carico organizzato dalle società di Milano. Vengono incriminati ed arrestati sei membri dell’organizzazione che in Libano avevano accolto ed autorizzato lo sbarco del carico velenoso.
I magistrati chiedono anche la convocazione in Libano dei dirigenti e dei soci della Jelly Wax e della Ecolife, le due società italiane ritenute responsabili dell’esportazione. Inutile dire che nessuno si presentò. I periti nominati dal governo di Beirut analizzarono il contenuto dei fusti che riuscirono a ritrovare, scoprendo una vera e propria galleria degli orrori: cianuri, fulmicotone, metalli pesanti, sabbie contaminate da diossina, erbicidi, cloruro di metilene e tante altre sostanze pericolosissime. Il 15 luglio era, intanto, già intervenuto l’ambasciatore italiano a Beirut, spiegando che il governo avrebbe stanziato 3 milioni di dollari a titolo di intervento umanitario per riportare in Italia i fusti tossici. Vennero nominati da Roma sei esperti e un azienda, la Mont.eco, del gruppo Montedison, per gestire l’intera operazione di recupero. Ed ecco entrare in campo le quattro navi che diventeranno famose qualche anno dopo, con la deposizione di Francesco Fonti e dopo uno spiaggiamento controverso ad Amantea. La prima ad arrivare, il 30 giugno,è la Vorais Sparadis; la Yvonne A salpa da LImassol e arriva in Libano il 23 luglio; la Cunsky parte da Chioggia il 23 agosto, annunciata dalla dichiarazione di Cesarina Ferruzzi, che lavorava all’epoca per la Mont.eco; la Jolly Rosso, infine, lascia La Spezia il 25 agosto diretta a Beirut. I mesi successivi saranno molto movimentati per le quattro navi dei veleni- così chiamate dopo l’intervento di recupero delle scorie tossiche- che si muoveranno nel mediterraneo. Solo la Voriais Sparadis e la Yvonne A rimarranno ferme a Beirut per circa sei mesi, mentre la Jolly Rosso riparte quasi subito, per poi far rotta, insieme alla Jolly Giallo e alla Jolly Celeste ( tutte navi dell’armatore Messina), di nuovo verso Beirut, dove arriveranno tra il 4 e il 7 gennaio 1989 “.

La Jolly Rosso che cambierà nome in “Rosso” la ritroviamo il 13 agosto alle ore 14 davanti il mare di Lamezia Terme a lanciare un Sos per una presunta falla apertasi su un fianco a seguito dello sganciamento di una piccola gru smossa dai marosi. Nella stessa zona ( lat.38 gradi 35’ N./ long.15 gradi 42’ est), guarda caso, dove in data 31 ottobre del  1986 affondò  un’altra nave, la Michigan battente bandiera italiana con 1285 tonnellate di granulato di marmo. La Rosso come purtroppo sappiamo non affondò subito e venne trascinata dalle correnti fino alla foce del fiume Oliva a Campora San Giovanni.  Ma quando la Rosso si spiaggiò non vi fu un grande allarme. Allora il tribunale di Paola viveva una stagione molto turbolenta con magistrati legati direttamente o indirettamente alla delinquenza territoriale. L’allora Ministro di Grazia e Giustizia , il socialista Martelli, volle vederci chiaro e mandò un ispettore ministeriale, il giudice Granero, a studiare tutte le carte del lavoro svolto di tutti i magistrati. Il suo rapporto fu terribile, l’intero tribunale doveva essere sciolto e quasi tutti i magistrati trasferiti.  In questo clima, la Rosso ebbe la meglio. Nessuna indagine, nessuna perquisizione approfondita, nessuna ricerca. Tutto ciò che era su quella nave sparì grazie all’ingresso nella nave di personaggi sospetti appartenenti ai servizi segreti, alla Nato, alle forze armate.  L’intero materiale all’interno della nave sparì. Si disse che venne portato nelle discariche di Grassullo e Foresta. Si disse che venne ridistribuito fra la popolazione essendo materiale alimentare. Si disse al contrario che vi era materiale scaduto e che tutto venne mandato in discarica. Ma si disse anche dell’altro. Che di notte decine e decine di camion fecero da spola fra la motonave ed il fiume Oliva. Che sulla plancia della nave vi erano documenti  compromettenti riguardo al progetto ODM. Ma i sospetti sulla Jolly Rosso venivano anche dal Capitano di Corvetta Natale De Grazia , morto misteriosamente a dicembre del 1995. E’ grazie alla querela della Messina nei miei confronti che potei consultare tutta la documentazione esistente sulle navi dei veleni affondate in Calabria. Ben 22 faldoni carichi di denunce, inchieste da parte della Procura della Repubblica di Reggio Calabria e di Paola, finite tutte archiviate nonostante prove certe e verificate come la perquisizione alla quale partecipò lo stesso Natale De Grazia nella casa del faccendiere Comerio. In una informativa/appunto  fatta dal Capitano di Corvetta Natale De Grazia, diretta al dott. Francesco Neri della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, acquisita nei fascicoli, ed in copia, in mio possesso ,scritta il 30 giugno del 1995, 5 mesi prima di morire, così scrisse:  “Successivamente durante la perquisizione effettuata presso il sig. Comerio Giorgio si è acquisita documentazione relativa al progetto O.D.M. che prevedeva l’affondamento di rifiuti radioattivi nel sottofondo marino con penetratori  lanciati da navi. Nella documentazione sequestrata inoltre vi erano dei progetti relativi a siluri a lenta corsa denominati  ”telemine”. Tra gli altri documenti rinvenuti in casa del Comerio vi erano anche degli appunti/progetti/preventivi relativi a navi che dovevano essere attrezzate per la realizzazione e il trasporto delle citate telemine nonché per l’affondamento dei penetratori del progetto O.D.M. Inoltre vi erano alcuni appunti con documentazione tecnica fotografica relativi a navi generalmente vecchie ed in disuso. Tra questi vi erano gli appunti  per l’acquisto del moto traghetto Guglielmo Mazzola, della Motonave Sais, del f/b Transcontainer I,  della motonave Acrux e della motonave Jolly Rosso. Gli appunti in questione contenevano anche dei progetti di modifica di una nave RO-RO per la costruzione degli ordigni , riferiti in particolare alle navi Jolly Rosso e Acrux ora denominata Queen Sea I.

Ed ora quasi a concimare un terreno minato ecco il rinvio a giudizio per un imprenditore amanteano arrestato e poi scarcerato qualche settimana fa . L’imprenditore, Cesare Coccimiglio, secondo le accuse è responsabile dell’interramento dei veleni nella valle dell’Oliva: «Vi è prova – scrive il gip – della partecipazione dell’indagato (Coccimiglio, ndr) alle operazioni che si svolsero intorno alla nave Jolly Rosso, arenatasi nel dicembre del 1990 sulla spiaggia di Amantea». Ma vi è di più. Il gip di Paola, citando un’indagine svolta nel 1997 dalla guardia costiera di Vibo Valentia e da alcuni uomini della polizia giudiziaria della Procura paolana, racconta di un altro passaggio che, se dovesse risultare vero, sarebbe terrificante. Il materiale che conteneva quella nave sarebbe stato rinvenuto sia nei terreni dell’Oliva sia a mare: precisamente nella spiaggia del litorale amanteano. «A distanza di tempo – si legge a questo proposito nell’ordinanza di Battarino – in coincidenza con l’intervento dell’azienda dell’indagato (Coccimiglio, ndr) per il rinascimento di un tratto di costa con materiali inerti, sono riemersi parti metalliche di nave Ro-Ro, del tipo di quella arenata (appunto la Jolly Rosso, ndr), e parti di fusti, ritrovati da operanti della Guardia costiera, sia sulla spiaggia interessata dallo scarico di materiali, sia nel punto di prelevamento dei materiali stessi da parte dell’indagato, in Aiello Calabro, località Valle del Signore».

E il rinvio a giudizio è arrivato. Ora ci sarà un processo e si potranno approfondire meglio tante questioni rimaste insolute. Nel processo per diffamazione a Gianfranco Posa si dovrà tenere presente anche di queste carte processuali assolutamente nuove. Alla notizia del rinvio a giudizio Gianfranco Posa ha dichiarato:

«Ci restituisce la possibilità di fare emergere la verità sull’inquinamento del fiume Oliva la decisione adottata ieri dal Gup di rinviare a giudizio gli imputati» commenta così l’esito dell’udienza preliminare che si è tenuta ieri presso il tribunale di Paola Gianfranco Posa, portavoce del comitato civico Natale De Grazia di Amantea.

«Esprimiamo soddisfazione per l’esito dell’udienza preliminare perché i fatti contestati necessitano del dibattimento processuale per essere approfonditi anche se tecnicamente siamo stati estromessi dal processo perché ci è stato contestato di non aver avuto un danno economico diretto dall’eventuale condotta illecita degli imputati. Ma è un aspetto tecnico che valuteremo con i nostri legali e ripresenteremo la richiesta di costituzione di parte civile prima dell’inizio del processo in Corte d’Assise.

Sui veleni dell’Oliva si dicono un sacco di cose, siamo stati accusati anche di dire bugie. Credo invece che abbiamo agito da persone serie a difesa del bene comune collaborando anche con l’autorità inquirente. E poi confidiamo nella magistratura unica autorità che può esprimere giudizi sulla nostra condotta.
Alla fine vedremo chi avrà detto falsità.

Qualunque siano le decisioni non ci fermeremo nella nostra battaglia per la verità e per fare chiarezza su quanto avvenuto nel fiume Oliva. Il nostro obiettivo principale è ottenere la bonifica: aldilà di quello che affermano gli “struzzi”  è ormai accertato che vi è stato un danno ambientale e per tale ragione chiediamo il risanamento dei luoghi contaminati perché è in gioco la salute nostra e quella delle future generazioni. Per difendere tali diritti ieri eravamo in aula insieme ad altre associazioni ambientaliste, agli albergatori ed ai comuni di Amantea, S. Pietro in Amantea e Serra d’Aiello. Altre istituzioni invece preposte alla difesa dei diritti generali della collettività non erano rappresentate in aula. Il Ministero dell’Ambiente, la Regione Calabria e il comune di Aiello Calabro seppur individuati dal PM come parti lese non si sono costituite come parti civili».