Rivolta contro la Riforma Gelmini:
Studenti sui tetti e per strada per l’alternativa
 ilmegafono.org 4 dicembre 2010

Lo slittamento del voto al Senato sulla riforma Gelmini è il frutto della lunga lotta che, da più di un anno, il mondo universitario, compatto e deciso, conduce per salvare l’università da un provvedimento considerato distruttivo. Una prima vittoria della democrazia, anche se ancora la strada è lunga e non sono da escludersi colpi di scena. I protagonisti del movimento  a difesa dell’università questo lo sanno bene, tanto che, nemmeno nello sconsolante giorno dell’approvazione del ddl alla Camera, si sono fermati, annunciando anzi di voler continuare la battaglia. Ce lo avevano già detto una settimana fa, quando li abbiamo incontrati sui tetti di Palazzo Nuovo, sede dell’Università degli studi di Torino, in una giornata fredda ma soleggiata, dopo una notte passata in tenda per dare un segnale forte, per urlare al governo e al parlamento di fermarsi, di non proseguire sulla strada tracciata dal ministro dell’Istruzione, Maristella Gelmini.

Un gruppo numeroso, un insieme di volti stanchi ma arrabbiati, stufi di essere ignorati da chi decide per loro e sul loro futuro, senza tenerne in considerazione le opinioni, le esigenze, le proposte alternative. “Siamo saliti sul tetto in tutta Italia per un ultimo grido di dolore di fronte a questa riforma, sperando che non passi. Ma anche se passasse noi continueremo a protestare. Questa riforma distrugge l’università pubblica che è un bene collettivo. L’università italiana è malata, ma il governo per curarla sta utilizzando l’eutanasia”. Queste le parole che ci aveva detto Bruno Maida,  ricercatore di storia contemporanea presso la facoltà di Scienze della Formazione di Torino e coordinatore della Rete 29 aprile, che raccoglie i ricercatori mobilitati.

Con tono fermo ci aveva spiegato il suo punto di vista sulla direzione da seguire, che è diametralmente opposta rispetto alla riforma: “Ci vuole una maggiore democratizzazione dell’università, tutti devono partecipare alle decisioni. E soprattutto ci vogliono più finanziamenti. Al momento l’università italiana è sotto finanziata, soprattutto per quel che riguarda la ricerca. Non si può fare ricerca senza soldi. Poi c’è la questione del diritto allo studio, che dovrebbe essere tutelato come prevede l’art.34 della Costituzione. E servono strumenti, aule, strutture. Per fare questo bisogna riconoscere il lavoro di quei ricercatori che da anni fanno il 50% dei corsi, pur non dovendolo fare per legge, senza prendere una lira in più”.

Il problema più grave, dunque, riguarda la carenza di fondi, cioè il fatto che questa riforma non investe un euro in più su università e ricerca, ma anzi taglia, ridimensiona: “Nella legge – notava Maida – per 16 volte viene ripetuta la frase ‘senza oneri aggiuntivi per lo Stato’. Qualche giorno fa, però, abbiamo visto che è stata approvata una legge che dà 250 milioni di euro alle scuole private”. Sul tetto di Palazzo Nuovo a protestare c’era anche Tiziana Nazio, ricercatrice, che per difendere i propri diritti ha sfidato anche le vertigini. Ci ha parlato dei ricercatori precari, di una condizione dura che questa riforma peggiorerebbe ulteriormente: “Si introduce un ruolo di ricercatore a tempo determinato per un periodo di 6 anni (3+3) e, anche quando, in questi sei anni, uno acquisisca l’abilitazione nazionale per diventare professore associato, la possibilità di essere assunto all’università è subordinata a vincoli di bilancio.

Quindi ciò pregiudica le carriere di chi è stato molto produttivo nel corso dei 6 anni. Si aggiunge così altro precariato a quello già esistente. E soprattutto si scoraggiano i giovani”. Insieme ai ricercatori, c’erano anche gli studenti. Andrea Aimar, rappresentante studentesco all’interno dell’Edisu (Ente regionale per il diritto allo studio) dell’Università di Torino, ci ha illustrato quali sono i punti a suo avviso più controversi della riforma Gelmini: “Innanzitutto si tolgono finanziamenti all’università pubblica, poi si punta a mutare la gestione interna in senso antidemocratico, con troppo potere dato ai consigli di amministrazione formati, almeno per il 40%, da soggetti esterni all’università. Inoltre, si rende ancora più precaria la ricerca, facendo un ragionamento molto retorico sulla meritocrazia.

A tal proposito noi pensiamo che sia giusto premiare i più capaci, però il problema è che bisogna poi riuscire a garantire che, a questa gara tra migliori, tutti possano partecipare. Parli tanto di meritocrazia e mentre ci togli i soldi del diritto allo studio e ti inventi il meccanismo dei prestiti fiduciari: insomma, cominci a creare barriere tra chi può e chi non può accedere. E allora c’è qualcosa che non va”. Non solo protesta, ma anche proposta: “Siamo consapevoli – ha affermato Aimar – dei problemi dell’università italiana. Noi non siamo difensori dello status quo, come qualcuno dice.

Vogliamo che l’università venga cambiata, ma con una riforma non elitaria come quella della Gelmini. Per questo, da mesi stiamo lavorando ad un progetto alternativo, insieme a docenti e ricercatori, per approntare una soluzione più giusta, secondo noi, ai problemi che ci sono. È un progetto nazionale, di cui Torino si è fatta punta avanzata. Io faccio parte di un’organizzazione che si chiama ‘Studenti indipendenti’ e che a livello nazionale si chiama ‘Link’. Sui siti di queste due organizzazioni potete trovare tutti i punti di questo progetto alternativo di riforma”.



Il futuro tenuto in ostaggio
Massimiliano Perna –ilmegafono.org 4 dicembre 2010

Qualcuno pensava che in questo Paese fosse possibile che la politica si fermasse subito a riflettere dinnanzi alle proteste, ai tetti ed ai monumenti occupati, alle piazze piene di studenti, insegnanti, ricercatori, tutti uniti nel chiedere al Parlamento, organo elettivo pensato originariamente per tutelare gli interessi dei cittadini, di fermare una riforma scellerata, elitaria, mascherata di falso progressismo e, in realtà, conservatrice, diseguale, antidemocratica. Come la maggior parte di noi immaginava, invece, la politica ha tentennato e si è fermata soltanto dopo che la protesta ha mostrato di non volersi placare nemmeno per un attimo. Ed è stato uno stop solo per ragioni di calcolo, perché non va dimenticato che il ddl Gelmini è stato approvato anche alla Camera, con ampia maggioranza, grazie soprattutto al determinante contributo di Fli. Il partito del presidente Fini ha giudicato positivamente la riforma e l’ha votata. Niente da eccepire, considerato che si tratta di un partito che fa parte della maggioranza uscita dalle urne.

Lo stesso Fini, inoltre, aveva già espresso la sua posizione favorevole, suggerendo agli studenti di non opporsi al provvedimento, ma semmai di mantenere alta la guardia sulla sua effettiva attuazione. Qualcuno si è stupito, si è sentito deluso dalla nuova formazione nata da una costola del Pdl. E perché mai? Mettiamocelo bene in testa: Fli non è il partito che cambierà l’Italia in meglio, non è il salvatore della democrazia, né una forza progressista e riformista. Gli uomini sono gli stessi che hanno appoggiato per anni Berlusconi senza mai troppo sdegnarsi di fronte agli errori ed alle ingiustizie che il governo ha commesso in ogni ambito, dall’economia, la lavoro, alla lotta alla mafia, alla questione immigrazione e diritti umani, alla cultura ed all’istruzione. Davanti all’arroganza del premier e del ministro Gelmini, la risposta di Fli è stata quella di appoggiare uno dei provvedimenti più disastrosi dell’attuale legislatura. E dire che si tratta degli eredi di quel Gentile che mise a punto una riforma dell’istruzione nazionale davvero innovativa e valida.

Poco conta che abbiano detto che il testo andasse migliorato e che, ora, si sia espresso parere favorevole  allo slittamento del voto al Senato dopo il 14 dicembre, data in cui si voterà la fiducia a Berlusconi. La questione di fondo è che la scelta di Fini e dei suoi nulla ha a che vedere con le idee, con le linee programmatiche, con la tradizione culturale del suo partito. L’unica ragione è la tattica. Una strategia che va avanti da tempo, da troppo tempo, e che sta sacrificando il bene comune a logiche di calcolo elettorale e di peso politico. Votare il no alla riforma Gelmini avrebbe significato anticipare la fine del governo Berlusconi, modificando i piani di Fini, il quale, temporeggia per far crescere ancor più la forza del suo partito e per stabilire e fortificare le alleanze e i rapporti con le aree più moderate in vista dell’ormai scontato ritorno alle urne. Un braccio di ferro, quello di Fli, che però sta costando caro all’Italia. L’attesa lenta prima della sfiducia rischia di portare altri danni, altre ferite a cui poi bisognerà dedicare tempo e soldi per rimediare.

Il Paese ha bisogno che questo governo non duri un giorno di più e, soprattutto, non ottenga favori come questo. È ormai chiaro che c’è uno stacco netto tra le esigenze dei cittadini e i giochetti di potere del mondo politico. Anche la Lega, che tanto diversa si sente rispetto al “teatrino della vecchia politica”, prima vota compatta con il governo, poi però, con l’ipocrisia che le è propria, ammette, per bocca di Bossi, che i ragazzi qualche ragione di protestare ce l’hanno. La solita balla leghista: sta con il potere, incamera soldi, propone leggi assurde, però poi si mette in qualche modo dalla parte del popolo. E il popolo spesso ci casca. Ma non tutti, perché chi sta protestando non ha tempo per le parole di facciata, per i mea culpa finti, per la propaganda. Chi protesta ha sangue e cuore, vive sulla propria pelle l’angoscia, la precarietà, l’assenza di prospettive, la voglia di un’università migliore, che dia a tutti uguali possibilità di giocarsi il proprio talento.

Un talento che non può essere sprecato per colpa di un moderno Trimalcione e della sua accolita di amanti e lacchè, né per via di strateghi che, con spaventosa freddezza, fanno il conto di quante vittime si possano sacrificare per vincere questa guerra di potere. Speriamo davvero che la protesta non si fermi nemmeno adesso, come dichiarano molti di coloro che da mesi combattono cercando di far capire all’Italia, sempre più distratta e indifferente, che non è una battaglia settoriale, ma collettiva, civile, che guarda al futuro di tutti, dell’intero Paese. Un Paese ancora guidato da un satrapo volgare, il quale, invece di rispondere alle domande di migliaia di giovani, che chiedono di studiare e di avere opportunità future, preferisce dar loro il consiglio cafone di pensare più a corteggiare le donne e meno a protestare, esattamente come faceva lui alla loro età (oggi non le corteggia più, a quanto pare preferisce pagarle).

A voi ragazzi che siete stati offesi, derisi da queste parole urticanti e fuori luogo, diciamo di respingerle con forza, di continuare a lottare, perché serve a cambiare le cose, come dimostra lo stop alla riforma, di sentirvi orgogliosi di impiegare il vostro tempo per una battaglia di civiltà e di democrazia, piuttosto che guardare le tv del Capo o pensare esclusivamente a “far la corte” alle ragazze o a che vestito indossare il sabato sera. Berlusconi vi dice che alla vostra età faceva altre cose? Bene, se voi continuerete a fare l’esatto contrario vorrà dire che avete già ben capito quali siano gli esempi da scegliere e da seguire.


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