Ddl intercettazioni,"Pm antimafia a rischio ricusazione
ai boss basterà fare una denuncia"
Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: Una banale fuga di notizie permetterà a Riina
o a Provenzano di sbarazzarsi dei magistrati che stanno indagando su di loro.
"Le norme procedurali di norma valgono per il futuro e non si applicano ai procedimenti pendenti.
Se eccezione si è prevista, evidentemente è perché talune indagini vanno fermate al più presto".

ROMA 28 maggio 2010 - Se parli col procuratore nazionale antimafia Piero Grasso è d'obbligo, innanzitutto, chiedergli delle stragi di mafia e di quella "entità esterna" di cui si parla dal giorno dopo in cui avvennero. In tempi di stretta sulle intercettazioni urge capire se i magistrati avrebbero le mani libere per indagare ancora. Lui replica: "Anche se per la mafia non ci sono limitazioni, tuttavia un pm dovrebbe abbandonare un processo se un Riina o un Provenzano lo denunciano per una banale fuga di notizie".
E le modalità dell'entrata in vigore della legge sembrano fatte apposta "per fermare talune inchieste in corso".

Cosa nostra da chi ricevette l'input per quegli attentati?
"Già nel '99, nel decreto di archiviazione sottoscritto da me assieme a Gabriele Chelazzi e ai magistrati di Firenze, erano venuti fuori una serie di elementi da cui si poteva dedurre che la mafia, dopo l'omicidio Lima nel marzo '92, aveva azzerato i rapporti con i referenti politici tradizionali, e comprensibilmente ne cercava di altri".
E ci sono segnali su dove si stava orientando?
"Nessuno preciso, ma nel corso delle indagini vennero fuori alcun movimenti come quello delle leghe del sud o di Sicilia libera che potevano rispondere alle esigenze di Cosa nostra".
Al punto da suggerire tre attentati fatti e uno, quello dell'Olimpico, fallito?
"Le stragi, secondo le ricostruzioni di allora, avevano da un lato la forma di un ricatto allo Stato per ottenere dei vantaggi, quelli indicati nel famoso papello (41 bis, abolizione di ergastolo e pentiti) e dall'altro le modalità tipiche del terrorismo mafioso lasciavano intravedere interessi di un aggregato economico imprenditoriale e politico che volesse conservare la situazione esistente".
Le stragi indicavano un percorso dopo l'esplosione di Mani pulite nel febbraio '92 e il crollo della Dc e del Psi?
"Teoricamente il vuoto che si era creato poteva essere colmato da qualsiasi formazione politica di destra o di sinistra. La strategia della tensione di quel '93 si può ricostruire anche attraverso una serie di fatti come l'autobomba in via dei Sabini, il black out a palazzo Chigi, le bombe nei treni a Firenze e a Roma, le rivendicazioni della Falange armata. Qui si collocano le stragi. Dietro c'era una regia che non poteva essere soltanto della mafia. Ma allo stato, non c'è ancora una prova giudiziaria dei contatti tra questa entità e Cosa nostra".
I mafiosi, lo dicono i pentiti, guardavano con attenzione alla nascita di Forza Italia. Con le stragi volevano agevolarla?
"Dobbiamo stare attenti alla cronologia. Non risulta che all'epoca delle stragi di Firenze, Roma e Milano fosse già nato quel partito politico".
E lei al momento se la sente di escludere che Cosa nostra già sapesse dell'intenzione di Berlusconi di fondarlo?
"Per qualsiasi responsabilità giudiziaria occorre dimostrare un'intesa preventiva funzionale all'attuazione della strategia stragista. È provato che Cosa nostra non aveva ottenuto alcun risultato dalle stragi compiute. La teoria del ricatto non aveva funzionato".
Se fosse stata in vigore la riforma delle intercettazioni sarebbe venuto un danno a queste inchieste?
"Certamente no, trattandosi di indagini sulla mafia. Tranne per il fatto che l'autorizzazione è demandata a un tribunale collegiale. Il che certamente provocherà gravi disagi nell'organizzazione degli uffici, soprattutto in quelli di piccole e medie dimensioni, ove l'incompatibilità dei magistrati a trattare più volte lo stesso fatto porterà a non avere più giudici per fare i processi. Senza contare che anche il sabato e la domenica ci dovrà essere sempre un tribunale pronto ad autorizzare un ascolto. Non parliamo poi della previsione assurda di obbligare il pm a inviare ogni volta tutti gli atti compiuti fino a quel momento. Le cancellerie scoppieranno di faldoni, affastellati pure nei corridoi, e i rischi di fughe di notizie aumenteranno".
Che succede, nel caso delle stragi, se un imputato denuncia un pm per una fuga di notizie? Per la legge dovrebbe lasciare il processo?
"È una norma molto grave perché collega automaticamente la sostituzione del pm o del suo capo al mero dato formale dell'iscrizione nel registro degli indagati. Si possono prevedere le conseguenze devastanti per i delicati equilibri delle procure di fronte a continue denunzie strumentali contro i magistrati".
Per capirci, se un Riina o un Provenzano denunciassero un pm antimafia, e questo fosse iscritto nel registro degli indagati, poi se ne dovrebbe andare?
"Sì, certamente".
Poter intercettare solo per 75 giorni per un'estorsione o un voto di scambio favorisce la mafia?
"Se dietro quei reati c'è un'organizzazione criminale certamente sarà più difficile scoprirla".
La regola per cui si possono mettere microspie solo nei luoghi dove c'è già la certezza che si sta commettendo un reato non impedirà molte indagini?
"Sì, ma non quelle di mafia. Per tutte le altre sarà più difficile scoprire i colpevoli anche a causa dei tempi limitati degli ascolti che sono inferiori ai termini previsti per indagare".
I tempi dell'entrata in vigore: è giusto che il limite dei 75 giorni per intercettare si applichi subito ai processi in corso compresi quindi anche quelli della cricca?
"Le norme procedurali di solito valgono per il futuro e non si applicano ai procedimenti pendenti. Se eccezione si è prevista, evidentemente è perché talune indagini vanno fermate al più presto".