Non c’è diffamazione quando l'articolo
è caratterizzato da una sarcastica contrapposizione politica
Autore: Ordine dei Giornalisti

Con sentenza del 7 gennaio 2009 n. 25, la III^ sezione della Cassazione civile si pronuncia in materia di critica, affermando che, anche quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, non può essere sempre vietata, richiedendosi, invece,
un bilanciamento tra l'interesse individuale alla reputazione e la libera manifestazione del pensiero, che è costituzionalmente garantita.

Tale bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica all'interesse pubblico, cioè all'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è il presupposto dalla stessa, ma dalla conoscenza dell’interpretazione del fatto (cfr. Cass. civ. n. 17172/2007).

La critica, infatti, non mira ad informare, ma ad esprimere giudizi e considerazioni personali. La valutazione dell’interesse pubblico presuppone, inoltre, l'analisi del contenuto degli articoli, che, secondo i giudici della III^ sezione della Cassazione civile, la sentenza della Corte d’Appello non aveva compiuto.

I fatti riguardavano la società editrice, il direttore e l'autrice di alcuni articoli giornalistici pubblicati in un periodico locale,
che erano stati convenuti in giudizio per diffamazione e condannati sia dal Tribunale sia dalla Corte d’Appello di Napoli
al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali procurati alla persona offesa (per un importo complessivo di circa 15.000 euro).

Appare evidente, a giudizio della Cassazione, che il contenuto degli articoli suddetti era ispirato da un'inequivoca connotazione di sarcastica contrapposizione politica, e che si risolveva in una critica, nella quale l'uso di un linguaggio particolarmente pungente ed incisivo trova più ampi spazi di legittimità (cfr. Cass. civ. n. 20140/2005).

Per questi motivi, la sentenza dei giudici di secondo grado è stata cassata con rinvio alla stessa Corte d'Appello di Napoli
in diversa composizione, che deciderà in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte.


 

Cassazione - Sezione terza - sentenza 30 ottobre 2008 - 7 gennaio 2009, n. 25
Presidente Vittoria - Relatore Amatucci
Ricorrente Cinqueprint srl in liquidazione e altro


Svolgimento del processo

Nel dicembre del 1996 Antonio Galdo convenne in giudizio innanzi al tribunale di Napoli la società editrice, il direttore e l'autrice di alcuni articoli giornalistici pubblicati nel periodico “La Voce della Campania” tra il marzo del 1995 e il novembre del 1996, affermandone il carattere diffamatorio e domandando che i convenuti fossero condannati a risarcirgli i danni patrimoniali e non patrimoniali procuratigli (quantificati in lire 200.000.000) ed al pagamento di una somma ulteriore ex art. 12 della legge n. 47 del 1948.
I convenuti resistettero, tra l'altro negando il carattere diffamatorio degli articoli pubblicati.
Con sentenza del 31.7.2000 il tribunale condannò i convenuti al pagamento solidale di lire 30.000.000 e della somma ulteriore di lire 3.000.000 ai sensi della legge da ultimo citata.
La corte d'appello di Napoli ha rigettato l'appello dei soccombenti con sentenza n. 872/2003, avverso la quale l'editrice
la Cinqueprint s.r.l. in liquidazione, Andrea Cinquegrani e Rita Pennaiola ricorrono per cassazione affidandosi a tre motivi,
cui resiste con controricorso Antonio Galdo.

Motivi della decisione

1.1. Col primo motivo è dedotta violazione dell'art. 2697 c.c., assumendosi che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto che la prova dei danni patiti dal diffamato fosse stata raggiunta per avere quegli “indicato con precisione il contenuto, ritenuto diffamatorio”, degli articoli.

I ricorrenti negano, in particolare, che potessero costituire validi e rassicuranti parametri di riferimento della valutazione equitativa del danno non patrimoniale le menomazioni conseguite sul piano psicologico e la significativa diffusione del giornale nel luogo di residenza del danneggiato.

1.2. Col secondo motivo è denunciata violazione dell'art. 21 Cost.. Si sostiene che gli articoli costituivano legittima espressione dell'esercizio del diritto di critica e di cronaca, sussistendo l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti narrati in relazione alla posizione del Galdo, che in passato aveva diretto un importante periodico regionale e che ancora svolgeva attività di promozione di convegni pubblici, sicché la portata esimente dell'esercizio del diritto di critica doveva essere valutata con maggiore elasticità.

Si assume, inoltre, che la sentenza impugnata aveva incomprensibilmente escluso che gli articoli dovessero considerarsi espressione di una trattazione in chiave satirica solo perché pubblicati su un giornale non umoristico e se ne critica l'apprezzamento della non continenza espressiva, essendo lecito l'uso di parole aspre e pungenti ove queste siano razionalmente correlate ai fatti riportati ed ai giudizi espressi e congrui in relazione al livello della contrapposizione polemica raggiunta.

1.3. Col terzo motivo si prospetta la violazione dell'art. 1227 c.c. per avere la corte escluso, ai fini della determinazione del danno, che l'omessa richiesta di rettifica da parte del Galdo potesse assumere rilievo alcuno. I ricorrenti affermano che, avvalendosi della rettifica, il danneggiato avrebbe potuto quantomeno attenuare le conseguenze lesive dell'illecito e che la corte d'appello aveva erroneamente ritenuto che “l'esercizio del diritto di critica era chiaramente inutile se non dannoso”.

2. È logicamente preliminare l'esame del secondo motivo, che è fondato nei sensi di cui appresso.
Questa corte ha recentemente affermato che, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione col mezzo della stampa, quando la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell'autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta sulla base di criteri solo formali, dovendo invece lasciare spazio alla interpretazione soggettiva dei fatti esposti.

Infatti, la critica mira non già ad informare, ma a fornire giudizi e valutazioni personali, e, se è vero che, come ogni diritto, anche quello in questione non può essere esercitato se non entro limiti oggettivi fissati dalla logica concettuale e dall'ordinamento positivo, da ciò non può inferirsi che la critica sia sempre vietata quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita.

Siffatto bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all'interesse pubblico, cioè all'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto dalla stessa, e, quindi, fuori di essa, ma di quella interpretazione del fatto (così Cass., n. 17172/07).

L'apprezzamento dell'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza dei fatti pubblicati nell'esercizio della libertà di stampa costituisce dunque il presupposto di ogni ulteriore valutazione del giudice adito per il risarcimento dei danni da parte di chi si affermi diffamato, giacché non è altrimenti possibile il bilanciamento cui s'è fatto cenno. E quell'apprezzamento necessariamente presuppone a sua volta l'analisi del contenuto degli articoli che si assumono diffamatori, non potendo altrimenti ravvisarsi l'assenza di copertura costituzionale, di cui all'art. 21 Cost., in ordine all'attività del giornalista.

Ebbene, la sentenza impugnata non ha riguardo al contenuto di nessuno degli articoli costituenti la pur affermata “campagna denigratoria”, che restano totalmente ignoti pur dopo la lettura dell'intera motivazione e di cui si acquisisce parziale contezza solo dal ricorso e dal controricorso.

Si coglie, così, tra l'altro:
- che il primo articolo (marzo 1995) recava nell'occhiello l'affermazione “c'è ancora l'ombra di Pomicino sul teatro di Napoli”;
- che il secondo (ottobre 1995) aveva riguardo al Galdo, descritto come “direttore del cuore di ‘O Ministro” ... “che oggi campeggia sul Mattino con articoli sulla realtà melmosa della sinistra” concludendo: “e poi ci domandiamo chi ha ucciso la voglia di politica? Anzi se lo chiede, sempre da Chiatamone street, il neopolitologo Antonio Galdo, che per risolvere l'amletico quesito scomoda grossi calibri come Panebianco, Colletti e Galli della Loggia. Chissà che la sinistra buonista - sospira l'ex direttore del cuore di 'O Ministro - non possa liberarsi dell'attuale realtà melmosa. Eppure la risposta è semplice, Galdo: gli Italiani non amano più la politica semplicemente perché in politica non c'è più Pomicino. O no?”;
- che nel terzo (gennaio 1996), sotto il titolo “Arieccoli”, si leggeva: “Eh sì, da quando, tre anni fa, ha chiuso i battenti Itinerario, l'indimenticabile pastone politico-giornalistico pasciuto da Paolo Cirino Pomicino, l'informazione al sud è diventata davvero un problema. Se n'è accorta una pattuglia di reduci (come? da dove? da Itinerario, no?), che ha appena fondato all'uopo una nuova associazione che promette scintille. In prima fila (c'è bisogno di dirlo?) siede Antonio Galdo, direttore prediletto di 'o Ministro”; e cosi via.

Appare da tanto evidente che il contenuto degli articoli è ispirato da un'inequivoca connotazione di sarcastica contrapposizione politica, e che si risolve in una critica, nella quale l'uso di un linguaggio particolarmente pungente ed incisivo trova più ampi spazi di legittimità (Cass., n. 20140/05), sicché l'affermazione del loro carattere diffamatorio indipendentemente dalla specifica considerazione del loro contenuto e del conseguente bilanciamento di interessi di cui s'è detto deve ritenersi compiuta in violazione del principio costituzionale richiamato.
La sentenza va conseguentemente cassata con rinvio alla stessa corte d'appello di Napoli in diversa composizione, che deciderà in applicazione degli enunciati principi di diritto e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

3. Il primo ed il terzo motivo restano assorbiti.

P.Q.M.
La Corte di Cassazione
accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri, cassa e rinvia,
anche per le spese, alla corte d’appello di Napoli in diversa composizione.