Gela, Milazzo, Melilli e Priolo dove i veleni e il cancro sono di casa
www.linksicilia.it Alessandro Mauceri 19/1/2013

Nella passata legislatura il Governo regionale ha fatto scadere i termini per la messa a punto e l’avvio del Piano di emergenza per prevenire e curare i danni provocati dall’inquinamento ambientale. Le aree a rischio sono quelle di Gela, il Comprensorio del Mela, in provincia di Messina, e l’area industriale di Siracusa. Oggi vengono resi noti i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Sono numeri impressionanti che le autorità regionali tengono ben nascosti nei cassetti per non creare allarmismo. E per non far sapere che la pressoché totale assenza di prevenzione ha già provocato e continuerà a provocare una crescita dei costi della sanità pubblica nella nostra Regione. In queste tre aree della nostra Isola i tumori alla laringe presentano un’incidenza del 200% in più rispetto alla media nazionale! Poi ci sono le malattie cerebrovascolari (+ 25%). Quindi le malattie respiratorie (+35%). E sintomi mal definiti ovvero mal di testa, mal di stomaco e via continuando (+ 55%). Ma sì, continuiamo a tenerci le raffinerie che ci uccidono e che pagano le imposte nel Nord Italia…

C’era una volta la Sicilia. Questa storia ha inizio tanti, tanti anni fa, quando, lungo le sue coste, l’aria era fresca e l’acqua cristallina. I giornalisti che visitavano la nostra regione titolavano i loro articoli “Sicilia da vivere” (Turisti per caso)… Questo avveniva in passato. Oggi la realtà è molto diversa e se sia una favola o una tragedia ce ne accorgeremo presto.

Tutto ha inizio più di vent’anni fa. Allora alcuni esperti, sulla base di studi condotti sul territorio siciliano, riferivano circa la criticità dell’impatto ambientale prodotto dall’attività industriale di natura petrolchimica. Indagini condotte già negli anni Settanta del secolo passato (Duce e Hoffman, 1976; Hope, 1997; Stigter e altri, 2000) avevano rilevato nell’aria, la presenza di alcuni metalli (vanadio, arsenico, cromo, cadmio) in quantità significativamente rilevanti nei territori interessati da industrie petrolifere.

Per questo motivo, tre aree della Sicilia (Gela, Augusta-Priolo e Milazzo), nel 2002, vengono dichiarate “a elevato rischio di crisi ambientale”. In base alla legge n. 389 del 1986, un territorio può essere definito “a elevato rischio di crisi ambientale” quando si verificano gravi alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi idrici, nell’atmosfera o nel suolo. Alterazioni tali da costituire un rischio per le popolazioni e l’ambiente. Prime ad entrare in questa “classifica”, in ordine cronologico, è la provincia di Caltanissetta e quella di Siracusa, nel 1990; la provincia di Messina le segue nel 2002.

Da allora sono state pubblicate decine di studi, sono state fatte decine di riunioni e i problemi non sono stati ancora risolti, anzi, semmai, in mancanza di iniziative concrete per ridurre l’impatto degli impianti sull’ambiente e sulla salute dei cittadini, sono aumentati. Pare che neanche la perimetrazione delle aree a rischio sia stata esaminata e studiata come avrebbe dovuto. Stando a quanto riportato dal BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA nel 2009, sembra che l’area definita non sia idonea, vista la situazione.

I risultati delle analisi del territorio, però, hanno concordato tutti su un dato: la gravità della situazione. Le analisi hanno rilevato livelli sopra la norma di contaminazione di metalli pesanti in atmosfera sul territorio di Gela (Bosco e altri, 2005). Uno studio effettuato a Milazzo sui sedimenti marini superficiali ha confermato la presenza di elevate concentrazioni di differenti classi di idrocarburi associabili alle attività industriali di raffinazione del petrolio e dei suoi derivati (Yakimov e altri, 2005). Uno studio sullo “STATO DI SALUTE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE NELLE AREE AD ELEVATO RISCHIO AMBIENTALE E NEI SITI DI INTERESSE NAZIONALE DELLA SICILIA” ha dimostrato che l’elevata “mortalità e morbosità osservati nelle aree di Augusta-Priolo, Gela e Milazzo” sono “attribuibili ad esposizioni professionali ed ambientali legate ai numerosi impianti industriali ed al conseguente inquinamento delle matrici ambientali”.

Per affrontare queste problematiche, nel 2002 venne istituita la “Commissione Stato-Regione, Provincia, Enti locali, per la definizione del piano di risanamento ambientale e rilancio economico del Comprensorio del Mela”, che avrebbe dovuto, tra l’altro, redigere una bozza del piano di risanamento. (sopra, a destra, foto tratta da trail.unioncamere.it)

Visto il perdurare dello stato di crisi e l’aggravarsi della situazione, nel 2005 fu attivato, presso l’assessorato regionale al Territorio e Ambiente l’Ufficio Speciale per le Aree ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale della Sicilia che avrebbe avuto il compito di realizzare “programmi e progetti di rilevante entità e complessità, nella definizione e realizzazione, aggiornamento periodico dei piani di risanamento, rilascio di pareri preventivi, su qualsiasi decisione di competenza della Regione e degli Enti locali relativa a problematiche ambientali o comunque con implicazioni ambientali inerenti le aree a rischio”.

Lo stesso anno furono pubblicate le Linee guida per la formazione del “Piano per il risanamento ambientale ed il rilancio economico del Comprensorio del Mela”, un documento in cui, accanto a belle parole come ecologia, biocapacità, risanamento ambientale, buone pratiche, “principio di precauzione”, tutela dei lavoratori e molte altre, si riaffermava il principio (in realtà, già ben noto, ma, mai come in questo caso repetita juvant) che “la razionalizzazione delle attività industriali che hanno generato la situazione di crisi ambientale, ed il conseguente rientro dell’impatto antropico negli standard della sostenibilità costituiscono un presupposto imprescindibile dell’azione di risanamento”.

E’ passato più di un decennio dalla dichiarazione di “area ad elevato rischio” in alcune aree della nostra regione e, negli ultimi anni, sono stati presentati diversi progetti finalizzati ad approfondire il modo per risolvere i problemi che queste aree presentano (e che costituiscono un costo non indifferente per la nostra Regione, sia sotto il profilo umano, sia sotto il profilo economico).

L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che dopo aver rilevato, sulla base di uno studio del 2005, patologie le cui frequenze si discostano significativamente dalla media nazionale (tumore alla laringe: + 200%; malattie cerebrovascolari + 25%; malattie respiratorie +35%; sintomi mal definiti + 55%), ha deciso di avviare un progetto “che prevede analisi sanitarie con tanto di mappatura regionale e azioni di monitoraggio ambientale comprensive delle bonifiche”.

Il programme manager dell’OMS, Marco Martuzzi, ha annunciato, inoltre, che in Sicilia “è in corso un’analisi della mortalità delle tre aree industrializzate. Sempre con l’ISS (Istituto Superiore di Sanità n.d.r.) stiamo lavorando sulle problematiche relative all’amianto – ha aggiunto Martuzzi – interessante anche il lavoro svolto sulle eventuali connessioni tra l’inquinamento e la catena alimentare”.

Oggi, tuttavia, a distanza di oltre un ventennio dai primi studi che, già allora dimostrarono la presenza di seri danni per la salute degli abitanti, sono state poche le iniziative concrete messe in cantiere o realizzate per risolvere una volta per tutte le problematiche delle aree ad alto rischio della Sicilia.

L’impatto sull’ambiente di certe industrie presenti nella nostra Isola non è più un “rischio”, ma una certezza. Eppure la Regione siciliana, che ha creato lo “Sportello unico per le aree le aree ad elevato rischio di crisi ambientale”, non ha ancora attuato “le disposizioni della legge 257 del 1992 che prevede la definizione, da parte di tutti gli Enti locali, di un Piano di rimozione dei manufatti in amianto e quindi può incorrere in infrazioni da parte dell’Unione Europea” come ha affermato il direttore del Cnr, Nicola Pirrone.

Come mai, nonostante le problematiche siano ben note e chiare a tutti, ci sono voluti tutti questi anni per decidere di agire? E perché le precedenti amministrazioni regionali hanno permesso che i termini per l’attuazione del Piano di emergenza (dieci anni) scadessero senza attuare le misure che avrebbero permesso di ridurne l’impatto sulla vita e sulla salute dei siciliani (oltre che sulle ‘casse’ della sanità regionale)?

Non vi sono dubbi che in alcune aree della Sicilia la situazione dell’ambiente, dell’aria e delle acque è ormai ai limiti della sostenibilità e che, già ora, le conseguenze di ciò che non è stato fatto nel decennio scorso hanno prodotto e produrranno gravi disagi e gravi malattie su chi, suo malgrado, vive in zone della Sicilia che altrimenti sarebbero meravigliose (ad esempio, Milazzo è la porta per l’arcipelago delle isole Eolie) con il rischio di danneggiare irreparabilmente luoghi di grande rilievo naturalistico e sotto il profilo del traffico turistico. (a sinistra, una veduta di Gela (foto tratta da it.wikipedia.org)

A che serve che l‘Unione Europea promuova un “Programma d’Azione Comunitaria in materia di salute” (2008-2013), in cui si afferma che è indispensabile “concentrarsi sugli effetti sulla salute di determinanti più generali, di tipo ambientale, fra cui la qualità dell’aria negli interni e l’esposizione a sostanze chimiche tossiche”, se poi gli amministratori locali e quelli nazionali non provvedono ad emanare apposite direttive per la bonifica dell’ambiente e per il risanamento di condizioni di vita?

Se non si interverrà con la massima urgenza per recuperare alcune aree della nostra regione e se si continuerà a rinviare gli interventi di massima urgenza ormai indispensabili, forse, tra poco, non ci sarà più nessuno che, dopo aver visitato la nostra regione, tornando a casa, potrà scrivere: ”Sicilia da vivere”.