Gela, inchiesta della Procura sui bambini malformati
Il pm è intervenuto nel processo civile in corso intentato da trenta famiglie che hanno riscontrato
gravi malformazioni nei neonati, dovute con ogni probabilità alle sostanze inquinanti.
Il procuratore: "Andremo avanti"
03 novembre 2012 LORENZO TONDO
BIMBI con sei dita alle mani o ai piedi. Alcuni nati senza un orecchio, altri senza il palato. Idrocefali con teche craniche di dimensioni abnormi. I numeri dicono che a Gela le malformazioni sono sei volte superiori alla media. Numeri in costante aumenta, finiti sul tavolo della Procura che ha aperto una nuova inchiesta per far luce sulle responsabilità. Sul banco degli imputati i veleni della raffineria. Sogno di Enrico Mattei trasformatosi presto in incubo quando i figli di Gela cominciarono a cadere sotto la scure degli agenti chimici che dal 1965 inquinano la città. Sono una trentina i casi al vaglio di un pool di periti. Trenta bambini con gravi malformazioni causate dalla contaminazione ambientale. Le loro famiglie, ora, chiedono giustizia.

Filippo Astuti ha 33 anni ed è senza lavoro. Nel 2006 sua figlia è nata con una grave palatoschisi, una malformazione del palato che comporta il pieno contatto fra la zona del naso e della bocca con seri problemi all'alimentazione, allo sviluppo del linguaggio e un alto rischio di infezioni broncopolmonari. Otto mesi di ricovero e due interventi molto delicati il lungo calvario di una bambina di appena 6 anni. Due anni più tardi, sua moglie è costretta a interrompere un'altra gravidanza. Il feto di 5 mesi che porta in grembo soffre di un irreversibile difetto natale. Ad oggi a Gela, non esistono fonti capaci di fornire indicazioni attendibili sulle malformazioni dei bambini nati morti o di quei feti per i quali i genitori hanno deciso l'aborto, dopo l'accertamento di patologie genetiche. "Siamo stanchi  -  dice Astuti  -  stanchi di stare a guardare. Abbiamo visto centinaia di medici. Girato decine di ospedali. Ci hanno detto che la causa è l'inquinamento. Ora però vogliamo giustizia. Vogliamo la verità sull'aria che stiamo respirando".

Si chiamano endocrine disruptors, distruttori endocrini. Sostanze artificiali prodotte da inquinanti come quelli emessi dalle raffinerie, in grado di intaccare i recettori ormonali, causando tumori, difetti alla nascita, disturbi dello sviluppo. Le falde di Gela ne sono imbottite. Nel 2003, il geologo Giuseppe Risotti e il chimico Luigi Turrito, incaricati allora dal sostituto procuratore Serafina Cannata, consegnarono una relazione secondo cui nella falda sottostante lo stabilimento giacevano 44 mila tonnellate di gasolio proveniente dalle perdite dei serbatoi. In quello stesso anno a Gela, uno studio realizzato dal genetista Sebastiano Bianca, uno dei massimi esperti nel campo, e dall'epidemiologo del Cnr Fabrizio Bianchi, riscontrò in città un'incidenza del 4 per cento di malformazioni sui neonati e più di 520 bambini affetti da patologie genetiche. Ipospadie all'apparato genitale, deformazioni cardiovascolari, malformazioni agli arti e all'apparato digerente.

"La situazione è preoccupante  -  afferma il dottor Bianca che lavora al caso come consulente tecnico per conto della Procura  -  qui, da 15 anni, le malformazioni genetiche sono costanti e di gran lunga superiori alle media". "Abbiamo raccolto dati e testimonianze  -  dice il procuratore capo di Gela Lucia Lotti  -  ed è la prima volta che un pm interviene in una causa civile contro le società del sito industriale. Quello delle malformazioni è forse l'aspetto più eclatante dell'indagine. Ma è solo un pezzetto dell'inchiesta. Andremo avanti per togliere una dopo l'altra le ombre, anche storiche, che hanno per troppo tempo offuscato la salute dei cittadini ".

Ad oggi, nella provincia di Caltanissetta, manca ancora uno studio specifico sul legame tra le polveri della raffineria e l'incremento di patologie tumorali e genetiche in città. "Nel 2010 ci provò un comitato di medici e ufficiali sanitari  -  racconta il dottor Ignazio Morgana, segretario provinciale della Federazione italiana medici di medicina generale di Caltanissetta  -  ma rimasi di sasso quando mi comunicarono i nomi dei partecipanti alle riunioni operative". Al tavolo della commissione, sedeva Giuseppe Ricci, dirigente Refining marketing dell'Eni e presidente di Raffineria Gela. E ancora, il dottor Macrì, responsabile nazionale sanità dell'Eni e l'ingegner Battista Grosso, al tempo ad della raffineria.

A Milazzo, nell'altro polo industriale della regione, dove i casi di malformazione denunciati da medici e famiglie sono in forte aumento, i dati sulla contaminazione e sulle conseguenze per la salute sono inesistenti. Ad Augusta, uno dei più imponenti poli petrolchimici italiani, nel 2000 il 5 per cento dei bambini è nato con malformazioni. Dopo un'indagine sulla vicenda, sei anni più tardi la Syndial, società del gruppo Eni, sborsò circa 11 milioni di euro per i cento casi di bambini malformati. "Ma attenzione a chiamarlo risarcimento  -  avverte Bianca, che nel 2005 partecipò insieme ad altri esperti all'indagine  -  Meglio chiamarlo indennizzo. In quel caso non si arrivò a una sentenza, che avrebbe pregiudicato l'azienda. La Syndial pagò, le famiglie incassarono e la vicenda cadde nel silenzio".





Quaranta milioni spesi dalla Regione per le bonifiche industriali mai fatte
Soldi stanziati per le aree a rischio, da Milazzo a Priolo Gargallo, ma senza obbligo di rendicontazione:
e gli appalti sono finiti nel nulla
03 novembre 2012 ALESSANDRA ZINITI

Almeno un terzo dei fondi, già stanziati, impegnati ed erogati, se ne sono andati per il mantenimento delle strutture commissariali, per pagare gli straordinari del personale, i compensi dei tanti esperti scomodati, gli studi commissionati, i progetti, persino la pubblicazione di bandi di gara poi mai espletati. Quel che è certo è che con gli oltre 40 milioni di euro erogati dalla Regione negli ultimi vent'anni per la bonifica delle aree industriali a rischio, da quella di Augusta-Priolo-Melilli a quella di Gela e, per ultimo, al comprensorio di Milazzo-San Filippo del Mela, tutto è stato fatto tranne quello che doveva essere fatto: nessun intervento sostanziale, niente di quello che dal 1990 esperti e commissioni di Unione europea, ministero per l'Ambiente, Regione pur hanno individuato e messo per iscritto in decine di relazioni. Non un sistema di monitoraggio permanente degli indicatori di rischio nelle aree industriali, non la messa in sicurezza di impianti che  -  come in tanti denunciano da anni  -  lavorano inquinando l'ambiente in zone della Sicilia dove l'incidenza delle patologie tumorali è vertiginosamente in aumento.

Il giallo dei 40 milioni di euro erogati senza alcun obbligo di rendicontazione, mai spesi per le finalità per le quali erano stati impegnati e finiti chissà dove è tutto nelle carte agli atti dell'Ufficio speciale per le aree ad elevato rischio di crisi ambientale diretto da Antonino Cuspilici. Ufficio speciale istituito alla scadenza delle strutture commissariali che per 15 anni avrebbero dovuto gestire la bonifica delle aree industriali di Siracusa e Caltanissetta dichiarate aree a rischio nel 1990.

E' una storia lunga più di vent'anni quella del mancato risanamento delle zone che gravitano attorno a petrolchimici, raffinerie e centrali elettriche che ancora oggi lavorano con le torce che sfiatano 24 ore su 24 inondando i territori di fumi e residui di lavorazione, con le cosiddette bolle di raffineria e soprattutto senza centraline che rilevino sistematicamente i livelli di inquinamento così come disposto dalla rigida disciplina europea che in Sicilia viene sistematicamente violata senza alcun intervento della magistratura. Nel 1990, dunque, lo stanziamento per gli interventi di bonifica su Siracusa e Gela, dopo la dichiarazione di aree a rischio, è di 100 miliardi di vecchie lire. Nel 1995 viene redatto il piano di risanamento con il trasferimento dei fondi dal ministero dell'Ambiente alla Regione ma nulla si muove. Il governo decide dunque di creare delle strutture commissariali affidandone la guida ai prefetti di Siracusa e Caltanissetta.

Le strutture non producono nulla, in termini di interventi, ma costano: ben 40 milioni di euro vengono erogati, poco più di 30 milioni a Siracusa, il resto a Gela. Ma mentre del previsto "potenziamento delle strutture di controllo ambientale" e di interventi nelle zone a rischio non c'è traccia, cifre a sei e nove zeri vengono impegnate alle voci "straordinario personale" e "compenso esperti": più di due milioni e mezzo di euro in un anno, tra il 2000 e il 2001 solo nel Siracusano. Un altro milione di euro viene "girato" ai comuni interessati, Priolo, Augusta, Melilli, più di venti milioni di euro sono impegnati per generiche "esigenze finanziarie per intervento nella provincia di Siracusa". Non va meglio alla struttura commissariale di Caltanissetta che impegna più di 8 milioni di euro per l'appalto di opere (mai realizzate) per le quali sono già state definite progettazioni esecutive, per anticipazioni di somme per indagini, studi e progettazioni. Un milione e 220 mila euro se ne vanno per la pubblicazione e l'aggiornamento del piano di risanamento, per gli oneri previsti per il funzionamento della struttura commissariale, oltre 430 mila euro in spese di pubblicità di bandi di gara e progettazione.

Nell'ottobre 2002 viene dichiarata area a rischio anche il comprensorio del Mela e la Regione stanzia sette milioni di euro. Venticinquemila euro se ne vanno subito per la pubblicazione di un bando di gara che poi viene revocato, 273 mila euro sono impegnati per la gestione 2003-2004 della rete di monitoraggio degli inquinanti atmosferici dell'area a rischio e 3 milioni e seicentomila euro per un appalto a base d'asta per l'affidamento dell'incarico per la creazione di un sistema informativo territoriale.

Vent'anni dopo, le dichiarazioni di aree a rischio a Siracusa e Gela, reiterate per 15 anni, il massimo previsto dalla legge, sono decadute, nessuno sa come sono stati spesi quei soldi e dove sono finiti e soprattutto in nessuna dei territori a forte rischio ambientale è stata realizzata neanche una rete di monitoraggio che permetta ai cittadini di quei territori di sapere se e quanto veleno respirano ogni giorno.