Il giorno prima della sentenza, in Italia, il Parlamento adottò una strana legge,
secondo cui tutti i processi dovevano durare al massimo tre anni (in primo grado)...
«La favola del «processo breve»
Gli effetti del ddl secondo Marco Bisogni, componente della Giunta distrettuale dell’Anm
il Senato, con i voti della sola maggioranza di centrodestra e della Lega,
ha approvato il disegno di legge sul cosiddetto «processo breve».
Il disegno di legge invece viene bocciato dalle opposizioni, dal Consiglio Superiore della Magistratura e dall’Associazione nazionale dei Magistrati in quanto affemano, che con i tempi stabiliti nella norma entro i quali debbono essere definiti i giudizi in primo, secondo e terzo grado, andranno estinti per prescrizione centinaia di migliaia di processi.
Di seguito l'intervento del sostituto procuratore Marco Bisogni,
componente della Giunta distrettuale di Siracusa dell’Associazione Nazionale Magistrati.


La favola del processo breve.
C’erano una volta due paesi che, solo per comodità, chiameremo Italia e Resto del Mondo entrambi abitati sia da cittadini onesti che da cittadini disonesti.
Per pura coincidenza, lo stesso giorno, in Italia e nel Resto del Mondo ci furono due grosse esplosioni che coinvolsero due impianti industriali e causarono la morte di diversi operai.

Sia in Italia che nel Resto del Mondo si cominciarono quindi a fare alcuni accertamenti sulle cause dell’incidente, ma le indagini si rivelarono, in entrambi i paesi, molto difficili e durarono circa un anno e mezzo. Alla fine delle indagini - condotte da un Pubblico Ministero (PM) con l’aiuto di diversi appartenenti alle forze di polizia e di un consulente tecnico (tutti pagati con le tasse corrisposte ogni anno dai cittadini dei due paesi … quelli onesti è chiaro) - sia in Italia che nel Resto del Mondo si scoprì però che l’esplosione e la morte degli operai erano dovuti al comportamento dei proprietari della società (gli stessi in entrambi i paesi: Mellifluo, Avaro e Taccagno) che avevano deciso di far funzionare le industrie a ritmi troppo elevati per aumentare i loro guadagni.
Sia in Italia che nel Resto del Mondo, quindi, un Pubblico Ministero, contento del suo lavoro, si sedette dietro una scrivania e scrisse ad un Giudice chiedendo di poter processare Mellifluo, Avaro e Taccagno.

A questo punto, però, la storia dei due paesi prende strade un po’ diverse. Nel Resto del Mondo, infatti, qualche settimana dopo la richiesta del PM iniziò subito il processo. Il PM produsse al Giudice tutti i suoi atti di indagine ed i difensori presentarono le loro prove (è così, infatti, che avviene in molti paesi europei: Francia, Belgio, Romania, Spagna) oppure, iniziò un dibattimento dove il PM ed il difensore dei proprietari dell’impresa esaminarono a turno i diversi consulenti e i vari testimoni (questo è il meccanismo processuale utilizzato dai paesi anglosassoni come l’Inghilterra e gli Stati Uniti)…in ogni caso una volta iniziato il processo tutti, proprio tutti, erano sicuri che sarebbe finito e ci sarebbe stata una sentenza definitiva (in Francia, ad esempio, una volta che inizia un processo la prescrizione del reato contestato viene interrotta e non riprende più a decorrere) e così in effetti fu: Mellifluo, Avaro e Taccagno furono condannati e i familiari delle vittime risarciti.

Nell’altro paese, quello chiamato Italia, le cose andarono però un po’ diversamente: il processo non iniziò immediatamente, ma il Pubblico Ministero dovette, per prima cosa, avvertire gli indagati che aveva finito le indagini (si tratta dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari che deve essere inviato al termine di ogni procedimento penale ai sensi dell’art. 415
bis. c.p.p.) e dovette avvertirli mandandogli una «raccomandata» (si, è esatto, nel duemiladieci, in Italia, le notifiche si fanno ancora come negli sessanta…), la raccomandata indirizzata a Taccagno non fu però consegnata direttamente a Taccagno, ma alla di lui moglie e il Pubblico Ministero dovette mandare un’altra raccomandata (nel nostro sistema infatti le notifiche a mezzo posta devono raggiungere direttamente l’interessato altrimenti devono essere ripetute…).

Dopo aver avvertito tutti della conclusione delle indagini il PM dovette poi aspettare altri 20 gg., nel caso in cui Taccagno, Mellifluo o Avaro decidessero di farsi vivi (20 giorni è il termine entro il quale gli indagati possono chiedere di essere sentiti dal PM ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p.).

A questo punto, direte voi, il PM riuscì finalmente a cominciare il suo processo…purtroppo no perché, dopo aver avvisato gli indagati della fine delle indagini, dovette chiedere ad un giudice l’autorizzazione a fare il processo (si tratta dell’udienza preliminare che, nel nostro ordinamento, serve solo a stabilire se ci sono abbastanza elementi per celebrare un dibattimento
e non riguarda la prospettiva di una condanna o di un’assoluzione). Questa fase, preceduta dalla solite notifiche con le raccomandate, durò circa sei mesi, ma, alla fine, il giudice decise che, in effetti, un processo poteva essere condotto e … mandò tutto l’incartamento ad un altro giudice (già, perché in Italia il giudice dell’udienza preliminare deve essere diverso da quello del dibattimento). Ci furono ancora altre notifiche con le consuete raccomandate e, finalmente, venne il giorno di apertura del processo vero e proprio: erano passati due anni e sette mesi dal fatto (un anno e sei mesi per le indagini, due mesi per l’avviso di chiusura delle indagini, sei mesi per l’udienza preliminare ed altri 3 mesi per le notifiche preliminari al processo), ma il PM era convinto di potercela fare prima che arrivasse la famigerata prescrizione del reato (uno strano istituto che in Italia stabilisce che, dopo un certo periodo di tempo, accada quel che accada non si può più essere condannati…). Nel corso del processo il PM dovette risentire davanti al giudice tutti i suoi testimoni ed i consulenti (nel nostro ordinamento tutta l’attività svolta in fase di indagine deve essere ripetuta davanti al Giudice) e stessa cosa fecero i sei difensori degli imputati (ogni imputato può infatti avere due legali), il procedimento durò circa un anno e sei mesi (si sentirono in tutto una cinquantina di persone) poi il giudice fissò un’ultima udienza per la decisone.

Il PM ed i familiari degli operai, sebbene po’ invecchiati, erano sicuri che, finalmente, in un senso o nell’altro ci sarebbe stata una sentenza.
Il giorno prima della decisione, però, in Italia il Parlamento adottò una strana legge secondo cui tutti i processi dovevano durare al massimo tre anni (in primo grado) e che, trascorso tale termine senza la sentenza, il processo doveva essere dichiarato estinto con tanti saluti a tutti.
La legge stabiliva pure che doveva essere applicata anche ai processi in corso.
Il PM fece due conti e si accorse che il suo processo era incappato proprio in questo nuova regolamentazione chiamata «dichiarazione di non doversi procedere per violazione dei termini di durata massima del processo» (si tratta dell’art. 2 del disegno di legge approvato dal senato) e si domandò: ma come, senza cambiare nessuna delle astruse regole che caratterizzano il nostro processo e lo rendono unico rispetto a quello del Resto del Mondo? Senza aumentare in numero dei magistrati, dei cancellieri e dei poliziotti? Senza contare che Mellifluo, Avaro e Taccagno e tanti altri anche peggio di loro la faranno franca? Senza considerare la risorse dei cittadini onesti spese per il processo? Senza considerare i diritti delle vittime e dei loro familiari?
Qualcuno dice ancora di vedere quel PM aggirarsi sbigottito per le strade di quel bizzarro paese chiamato Italia…

Per fortuna è solo una favola, dove volete che possano accadere cose del genere?

MARCO BISOGNI
Componente della Giunta Distrettuale di Siracusa
dell’Associazione Nazionale Magistrati