('Ndrangheta Padana”, il Nuovo libro di Enzo Ciconte
 Docente di storia all'Università Roma 3
Il Nord e il Sud accomunati dalla mafia
17 novembre 2010 Antonella Loi

Roberto Saviano al centro di una polemica politica. Che non è la solita scheramaglia tra esponenti di partito e rappresentanti dell'informazione, ma qualcosa di più. Nel corso del monologo sulla 'ndrangheta andato in onda durante il programma tv, Vieni via con me, lo scrittore, parlando delle cosche malavitose e dei loro lucrosi affari in Lombardia e a Milano, tira in ballo la politica e in particolare quella della Lega che, insieme al Pdl, in "Padania" governa. La 'ndrangheta insomma non è più un fenomeno esclusivamente "terrone", del Sud, "ma riguarda direttamente la parte più ricca del Paese, il Nord", con tutte le implicazioni del caso. Il ministro dell'Interno s'infuria e definisce le parole dell'autore di Gomorra "infamanti". Ma Saviano, a ben vedere, alla base dei suoi ragionamenti mette una serie di testi che documentano la nascita e il funzionamento, economico e sociale, della criminalità organizzata made in Italy. Noi di Tiscali abbiamo parlato con uno degli autori consultati dallo scrittore, Enzo Ciconte, che di cosche e dintorni se ne intende, vista la mole di testi scritti sull'argomento. Docente di Storia della criminalità organizzata presso l'Università Roma tre, Ciconte non si dice per nulla sorpreso della bufera scoppiata intorno alle argomentazioni di Saviano, tratte per gran parte dal suo 'Ndrangheta padana (Rubbettino, 2010, 14 euro). "Il mio libro racconta e documenta le cose che Saviano ha detto, ma nel mio testo ho aggiunto anche altre considerazioni: c'è di più".

Dica professore.
"Aggiungo che se dovesse andare in porto l'idea della Lega della secessione si darebbe ancora più peso all''ndrangheta già molto forte in Lombardia. Qualcuno della Lega ha riflettuto su questo fatto? Questo avverrebbe per il semplice fatto che una regione ad alta densità criminale come la Lombardia diventerebbe il centro di un piccolo Stato formato da quattro o cinque regioni nelle quali sarebbe più semplice far prosperare gli affari. Una zona geografica limitata nella quale il peso specifico delle cosche sarebbe molto più ampio. Ma poi c'è un altro fatto da non trascurere".

Quale?
"La Lega ha sempre messo al centro della sua lotta per la sicurezza gli stranieri, gli immigrati. Ha cioè disarmato i suoi militanti nella lotta contro la 'ndrangheta, cioè distolto l'attenzione dal crimine organizzato. E stiamo attenti perché negli stessi territori dove c'è un controllo della Lega c'è anche il controllo della 'ndrangheta. Cioè una coabitazione, senza per questo commettere atti penali o fatti rilevanti per la magistratura, che però meriterebbero condanna e questo non avviene".

Praticamente, lei sta dicendo, che in questi territori la 'ndrangheta
svolge i suoi affari e lo fa anche attraverso la politica.
"Certo, attraverso la politica, ma anche con il silenzio e con la complicità. Comunque con il disinteresse della politica".

Saviano ha fatto vedere le immagini inquietanti del circolo "Giovanni Falcone"
di un paese vicino Milano, Paderno Dugnano, dove si è tenuto un raduno
dell''ndrangheta lombarda per l'elezione del nuovo capo, Pino Neri.
Qual è il legame tra la 'ndrangheta del Nord e quella calabrese?
"E' un legame fortissimo ma continua a comandare la 'ndrangheta di Reggio Calabria. Tanto è vero che c'era un 'ndranghetista - citato anche da Saviano - che doveva promuovere la secessione delle cosche del Nord da quelle del Sud e l'hanno ammazzato. Dopodiché le cose che ho scritto su 'Ndrangheta padana prendono in considerazione cose che io già scrissi dieci anni fa in Estorsioni ed usura a Milano e in Lombardia (Edizioni Commercio, 2000). Sono fatti antichi. E' importante capire cosa è cambiato dal '92 ad oggi: allora non c'erano molti rapporti con la politica e gli imprenditori erano vittime. Oggi invece ci sono molti rapporti con questo mondo, anche se gli uomini politici per adesso non hanno commesso reati. Ma favoriscono e intrattengono rapporti con imprenditori padani del settore edile, che sono collusi e fanno affari con la 'ndrangheta. Questa è la differenza tra ieri ed oggi".

Saviano ha fatto un elenco lunghissimo di appalti pubblici lombardi
nei quali i magistrati hanno accertato infiltrazioni 'ndranghetiste.
"Esatto. Nel mio libro racconto la storia, per fare un esempio, della Perego Strade, la più grande azienda edile lombarda, ormai fallita, con più di 250 addetti, che era penetrata dalla 'ndrangheta e con essa faceva affari. E storie ce ne sono tante".

Come si interseca la politica con la "'ndrangheta padana"?
"Il rapporto avviene intanto attraverso i consiglieri. Ci sono sei consiglieri regionali, cinque del Pdl e uno della Lega, coinvolti in rapporti con la 'ndrangheta. Alcuni di questi, decine di consiglieri comunali e alcuni provinciali, hanno avuto i voti delle cosche. Ripeto: gli uomini politici non sono colpevoli di niente e non sono indagati, ma questi rapporti sono dimostrati. Il perché di questi rapporti è semplice: con la politica si fanno affari sugli appalti sulla trasformazione di aree verdi in aree edificabili e mettere in piedi così traffici necessari per il riciclaggio. Pensano di essere più forti grazie alla politica: questa è la logica della 'ndrangheta. Ma non è una scoperta di oggi, è sempre stato così. La differenza con il passato è che prima erano fatti marginali, oggi sono fatti dirompenti".

Saviano ha letto una dichiarazione di Gianfranco Miglio,
nella quale l'ideologo della Lega diceva che
sarebbe stato giusto "costituzionalizzare" la 'ndrangheta e la mafia.
"Sì è molto semplice: Miglio non ha fatto altro che riproporre quanto era già stato fatto dalle polizie in periodo fascista con mafia e 'ndrangheta. Il fascismo si sa che faceva accordi con la mafia per tenerla buona e utilizzarla al meglio. Miglio avanzava nello stesso modo la proposta di costituzionalizzarle e quindi diceva alla Lega: se voi fate una cosa del genere non vi rendete conto che quello che era un pericolo in divenire, oggi è diventato realtà in Lombardia".

Il parallelo con quanto sta emergendo dalle indagini della procura di Caltanissetta
sulla trattativa tra lo Stato e la mafia vien da sé.
"Miglio diceva proprio questo: rendere costituzionali mafia e 'ndrangheta. E lui questo lo diceva nel 1999, sette anni dopo le stragi. Una cosa vergognosa che io nel libro contesto con forza. Ma voglio dire una cosa a Maroni che oggi attacca Saviano".

Prego.
"Maroni dovrebbe informarsi attraverso qualche libro e magari anche il mio. Se si documentasse, si renderebbe conto di qual è la vera situazione della sua 'Padania'".


'Ndrangheta, le mani delle cosche calabresi nel Nord Italia
17/11/2010
Presentata la relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia al Parlamento
Dal Piemonte al Veneto, dalla Liguria all’Emilia Romagna e anche la Toscana; la 'Ndrangheta ha ramificazioni in molte delle regioni settentrionali dove le cosche godono di una certa autonomia anche se, per le decisioni strategiche dipendono sempre dalla "casa madre" calabrese. Questo il quadro che emerge dalla relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia consegnata al Parlamento. Le cosche si sono infiltrate nelle regioni più produttive del paese, tra cui il Piemonte dove si registra, scrive la Dia, una «qualifica presenza di soggetti riconducibili alle 'ndrine del vibonese, della locride, dell’area ionica e tirrenica della provincia di Reggio Calabria». 

In Piemonte
Si registra, scrive la Dia, una «qualifica presenza di soggetti riconducibili alle 'ndrine del vibonese, della locride, dell'area ionica e tirrenica della provincia di Reggio Calabria». Cosche che «attraverso imprese controllate» hanno i loro interessi prevalentemente nel settore degli appalti pubblici dove, spesso, operano attraverso i subappalti. Un altro “settore primario" dei gruppi 'ndranghetisti è rappresentato dal traffico di droga, per gli elevati profitti che consente. Tra le operazioni portate a termine nel primo semestre di quest’anno, la Dia ricorda il sequestro di beni a due fratelli residenti a Tortona, figli di un noto esponente della 'Ndrangheta reggina ucciso nell’ambito della faida che negli anni '70 contrappose i Facchineri ai Raso-Albanese-Gullace. 

Nella regione Liguria
«è tradizionalmente radicata - scrive la Dia – la presenza di note espansioni di 'ndrine a Genova, nel ponente ligure e nella riviera di levante». Traffico di stupefacenti, estorsioni, usura, gioco d’azzardo, controllo dei locali notturni per lo sfruttamento della prostituzione «costituiscono i maggiori settori dell’arricchimento» per le cosche. E «non meno importante è la significativa presenza, attraverso capitali di incerta provenienza, nei campi dell’imprenditoria edile e dello smaltimento dei rifiuti».

Nel Veneto,
si registrano «segnali di interesse» della 'Ndrangheta verso i settori dell’economia locale e vi è una “significativa incidenza percentuale delle segnalazioni per operazioni finanziarie sospette effettuate nella regione» tanto da indurre la Dia a svolgere controlli più persuasivi. 

In Emilia Romagna,
le cosche sono operative nelle province di Bologna, Modena, Reggio Emilia e Parma dove vi è una presenza "diretta" della cosca Grande Aracri e vi sono personaggi riconducibili alle 'ndrine dei Barbaro, Strangio, Nirta e dei Bellocco. Sono inoltre in corso tentativi da parte delle varie famiglia di allargare il raggio d’azione anche nelle altre province della regione. La regione Toscana infine, è diventata «territorio di elezione di alcune qualificate propaggini della 'Ndrangheta». E anche se attualmente i processi di radicamento nel tessuto socio, economico ed imprenditoriale della regione «non hanno svelato sostanziali soluzioni di continuità», indicano comunque “l'esigenza di una realistica presa d’atto sulla rinnovata pericolosità delle presenze di elementi riconducibili alle cosche mafiose calabresi».


Dal Quotidiano della Calabria
Il COMMENTO di ROMANO PITARO
17/11/2010
«Negli ultimi quindici anni la 'ndrangheta ha conteso alla Lega il controllo del territorio padano. Non è vero che al Nord c'è solo la Lega che controlla il territorio, c'è anche la 'ndrangheta che, esattamente nelle stesse località dove c'è un forte insediamento della Lega, gestisce potere, agisce economicamente, fa investimenti, interviene in vari campi anche sociali, ha una presenza in politica». In sostanza, spiega lo storico delle mafie «l'egemonia politico e territoriale della Lega non ha comportato la scomparsa della 'ndrangheta». E c'è di peggio: «A voler essere precisi, s'è realizzata una coabitazione tra Lega e 'ndrangheta esattamente negli stessi territori. L'equazione controllo del territorio da parte della Lega= scomparsa della 'ndrangheta non è affatto vera, anzi è falsa. La preponderanza politica della Lega non ha assicurato una minore incidenza mafiosa su quei territori, al contrario tale incidenza è aumentata»

Nella Padania, gigante economico di un'Italia in declino, vince la 'ndrangheta? Sembra uno scherzo. L'informazione di mamma Rai e il grosso dei media che bombardano gli italiani non trasmettono messaggi così urtanti. A Milano e dintorni comandano le 'ndrine calabresi? Se aveva visto giusto Gaetano Salvemini nell'asserire che «da Milano si vede l'Italia», c'è da star freschi. Ma forse è colpa di titolazioni ardite, ancorché ossessionate dai fatti e dalla realtà. Iperboli di giornali ed opinionisti, che, dopo aver minimizzato per anni notizie, fatti e delitti siglati dalla criminalità organizzata, benché le inchieste sulla mafia a partire dagli Anni '90 non siano mancate (“La mafia all'ombra del Duomo”, “Duomo Connection”), ad intervalli regolari, come ha notato Francesco La Licata sulla “Stampa” del 1° ottobre 2009 a commento del “Rapporto Censis” sulla penetrazione della mafia nel Mezzogiorno, vanno in solluchero per “l'eterna riscoperta del male”. Cedendo così ad una sorta di conformismo che alla lunga produce incredulità piuttosto che maggior senso civico. Piano con le generalizzazioni, verrebbe da dire. Almeno a primo acchito. Altrimenti, a furia di messaggi generalisti, polarizzati tra l'assoluto o il nulla (nella fattispecie tutto è mafia o la mafia non c'è), finiremo col non distinguere il giorno dalla notte. Se la Padania fosse 'ndrangheta e mafie, inverando una di tardiva vendetta del Mezzogiorno considerato “buco nero di criminali e omertosi”. Se così fosse per davvero, a un passo dallo scompiglio politico nazionale e di ciò che Angelo Panebianco sul “Corriere della Sera” definisce “una crisi sistemica lunga, complessa ed imprevedibile”, altro che Milano “argine al degrado ch avanza”. Altro che Milano speranza degli italiani onesti, come chiosa in una bella conversazione con Giangiacomo Schiavi (Corriere dalla Sera del 31 ottobre) il giurista ed ex presidente della Consob Guido Rossi. Non Milano «laboratorio per chiedere alla politica un salto di qualità in direzione dell'impegno e della responsabilità contro le cricche e la piaga». Viceversa, Milano e hinterland fabbriche di segni che rivelano «un'osmosi tra attività istituzionali e interessi particolari che rappresentano - secondo Giuseppe Gennari, giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano - la via d'ingresso della criminalità organizzata (leggi 'ndrangheta) nel mondo economico e politico». Ed è su sentieri di ragnatele infide, impastate di business e sangue, condizionamenti e infiltrazioni nella pubblica amministrazione, che avviluppano politica (eloquenti i capitoli dedicati alle responsabilità degli imprenditori del Nord che hanno aiutato i mafiosi), criminalità organizzata, economia e società che getta lo scandaglio, il nuovo e denso lavoro di Enzo Ciconte ('Ndrangheta Padana”, edito da Rubbettino). L'intento è dimostrare, carte giudiziarie alla mano (anzitutto la maxi-inchiesta delle Dda di Reggio e Milano di luglio con centinaia di arresti, operazione “Crimine”) che la Lombardia è infestata dalla mafia, dai suoi traffici e dai suoi soldi. Ma si fanno spazio deduzioni sconfortanti per il futuro del Nord, del Sud e del Paese. Su cui le classi dirigenti nazionali, o quel che ne residua in termini di lungimiranza e senso delle istituzioni, farebbero bene ad aprire gli occhi. Perché lo scenario che delinea Ciconte, frutto della felice commistione di più elementi d'analisi, giudiziari, politici e sociologici, ha il colore di un cielo cupo. Un Paese senza futuro in mano a mafie, e politici senza alcuna missione che non sia quella di tenere il sacco a cricche e potentati occulti. Se ad incominciare dagli anni '80 si è proceduto mirando ad accumulare ricchezza infischiandosene di regole e controlli e con un'incredibile «indifferenza per le sorti dello Stato», perseverare vorrebbe dire consegnare il Paese alle mafie. Oggi Nord e Sud sono uniti da fenomeni predatori e dall'evanescenza di ogni etica pubblica. Scendere a patti con la 'ndrangheta e farla sedere al suo stesso tavolo come ha fatto il Nord, non è meno immorale delle coperture che essa ha avuto al Sud. Discutere di questione settentrionale o meridionale appare, in queste condizioni, un diversivo per non affrontare il cancro che uccide la democrazia italiana. In duecento pagine, Ciconte documenta attraverso quali canali gli 'ndranghetisti si sono infiltrati al Nord, «diventando interlocutori di primo piano di imprenditori e uomini politici». Sulla scorta di quanto - specie negli ultimi tre anni - asseriscono diversi magistrati calabresi e lombardi, e utilizzando i dati della più vasta operazione (luglio 2010) mai condotta nei confronti delle mafie, e della 'ndrangheta in particolare, nella storia del Paese (ivi incluso un filmato, cliccatissimo su Youtube, che viola i segreti e le ritualità delle riunioni di 'ndrangheta nella terra di Alberto da Giussano), il docente di Storia della criminalità organizzata all'Università di Roma Tre, ribadisce l'idea che la 'ndrangheta ha due capitali: Milano e Reggio Calabria. Una verità su cui la politica ha preferito, salvo lodevoli eccezioni, chiudere gli occhi. Al punto che, nonostante Bossi e l' orgoglio celtico, che a parole sembrano quanto di più distante dai riti criminali, la stessa Lega con il predominio mafioso ha convissuto. E non tanto perché ha accolto il consiglio dato a Palermo nel 2001 dal ministro Pietro Lunardi che auspicava una convivenza con la mafia, ma perché l'ideologo della Lega, Gianfranco Miglio, teorizzava, undici anni fa, “la costituzionalizzazione” della mafia. Fanno riflettere alcune affermazioni di Ciconte: «Negli ultimi quindici anni la 'ndrangheta ha conteso alla Lega il controllo del territorio padano. Non è vero che al Nord c'è solo la Lega che controlla il territorio, c'è anche la 'ndrangheta che, esattamente nelle stesse località dove c'è un forte insediamento della Lega, gestisce potere, agisce economicamente, fa investimenti, interviene in vari campi anche sociali, ha una presenza in politica». In sostanza, spiega lo storico delle mafie «l'egemonia politico e territoriale della Lega non ha comportato la scomparsa della 'ndrangheta». E c'è di peggio: «A voler essere precisi, s'è realizzata una coabitazione tra Lega e 'ndrangheta esattamente negli stessi territori. L'equazione controllo del territorio da parte della Lega= scomparsa della 'ndrangheta non è affatto vera, anzi è falsa. La preponderanza politica della Lega non ha assicurato una minore incidenza mafiosa su quei territori, al contrario tale incidenza è aumentata». Essendosi allocata (inizio anni '50) nella Padania ed avendo costruito un sistema di potere capillare ed efficiente, la 'ndrangheta (che agisce ossessionata dall'idea di clonare pezzi di territorio calabresi per riprodurli del tutto uguali in altre realtà), ha contagiato il panorama in ogni sua piega. Ha agito in combutta col peggio del Nord, sostenuta da importanti blocchi di interessi economici e finanziari, schiacciando la libera impresa e condizionando il mercato. Mette i brividi la domanda che Ciconte, a un certo punto, pone: nel caso la Lega realizzasse il suo obiettivo (la Padania indipendente), ci si rende conto che le istituzioni e la società del Sole delle Alpi sarebbero una preda nelle grinfie della più potente delle mafie? E' tutto buio. Forse no. A parte l'incessante lavoro di giudici e forze dell'ordine. Una presa di coscienza si avverte. La mafia nel Nord c'è. Ci si guarda bene, come s'è fatto per decenni, di dire che è un corpo estraneo, un'abitudine dei terroni. Il consiglio regionale della Lombardia ha tenuto di recente una seduta straordinaria sull'inquinamento mafioso e due commissioni, quella lombarda che sta redigendo un unico testo di legge per garantire la trasparenza negli appalti e quella antimafia della Calabria, iniziano a dialogare. Ma serve molto di più. La politica italiana è ben lontana dal trovare un equilibrio istituzionale che consenta alle Istituzioni di agire con fermezza in difesa della legalità. Franco Abruzzo, ex presidente dell'Ordine dei giornalisti lombardo e calabrese critico per come vanno le cose nel Mezzogiorno, asserisce che Milano «ha deciso nel bene e nel male, dal '700 ad oggi, tutte le svolte nazionali, dall'Illuminismo al Risorgimento, la grande guerra, il fascismo, la resistenza, il centrosinistra, tangentopoli, la Lega Nord e Forza Italia». In questo senso, ci si attenderebbe che arrivasse proprio dall'ex capitale morale un forte impulso culturale e politico per ridurre agli stremi “la politica barbarica”, le mafie e la corruzione. Ma se oggi, come spiega “'Ndrangheta Padana”, la 'ndrangheta e le mafie subiscono nel Sud un arretramento mentre gli agglomerati mafiosi diventano floridi e influenti nel Nord, che fare? Insistere sul nuovo modello di “democrazia dal basso”, cui hanno fatto riferimento alcuni autorevoli intellettuali durante le primarie del centrosinistra a Milano, in parte rivelatesi un flop, rischia di apparire alquanto grottesco.