Così truccavano i voti.
i traffici del "voto di scambio":
L'audio delle telefonate in cui un imprenditore latitante in Venezuela vicino al clan Piromalli
racconta di aver fatto bruciare migliaia di schede per le politiche del 2008.
Il ruolo di Marcello Dell'Utri e il misterioso «materiale spedito ad Arcore»
E le elezioni 2010 condizionate, inquinate o controllate dalla criminalità organizzata,
che non si limita a fornire pacchetti di voti ai partiti ma scende in campo con candidati propri.
12 aprile 2010 articolo di Emiliano Fittipaldi e Valentina Petrini

Nove aprile 2008, quattro giorni prima delle elezioni politiche che riporteranno Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Gli investigatori della procura di Reggio Calabria stanno intercettando da mesi Aldo Miccichè, imprenditore condannato a 25 anni di carcere per vari reati e ritenuto dagli inquirenti uomo vicino al clan Piromalli.

Miccichè, ex politico democristiano della piana di Gioia Tauro e formalmente latitante, parla da Caracas dove sostiene di occuparsi delle elezioni. In particolare, del voto degli italiani all'estero. Dall'altra parte del filo c'è Filippo Tani, stretto collaboratore di Barbara Contini, responsabile degli italiani all'estero per lo schieramento berlusconiano ed ex funzionario dell'amministrazione Usa in Iraq. Barbara Contini adesso è senatore del Pdl.
Nell'intercettazione - che L'espresso è in grado di farvi sentire in esclusiva - Miccichè spiega i metodi che avrebbe usato per far vincere il candidato senatore del Pdl: bruciare le schede elettorali, a pacchi, con la benzina. Quelle, almeno «che sicuramente non sarebbero state nostre». I rapporti tra Miccichè ed esponenti di spicco di Forza Italia sono di vecchia data: dalle carte dell'ultima inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nel porto di Gioia Tauro risultano i contatti tra Micciché e Marcello Dell'Utri, fedelissimo di Berlusconi e imputato per concorso esterno in associazione mafiosa a Palermo. Sarebbe stato proprio Dell'Utri, secondo la ricostruzione degli inquirenti, a mettere in contatto Miccichè con lo staff della Contini. Miccichè al telefono parla di soldi che deve avere ( «devo darli ai calabresi, sennò sono fottuto. Pure con i siciliani e i campani»), racconta di aver mandato materiale «ad Arcore», e chiosa di «operazione Campania», «operazione Veneto» e quella «calabrese». «Devo dirti» dichiara all'uomo della Contini «che Marcello lo ha toccato con mano».

Le telefonate di Aldo Miccichè da tempo sono al centro di indagini della magistratura. Soprattutto perché Miccichè ha contatti con diversi esponenti poltici. Già nel 2008 fu divulgato il testo di una intercettazione diretta tra Dell'Utri e Miccichè in cui si discuteva di come pilotare il voto degli italiani all'estero. All'epoca Dell'Utri ammise di aver avuto contatti con l'imprenditore, che si sarebbe offerto di aiutare il centrodestra nelle elezioni.

In un'altra intercettazione del dicembre 2007 che L'espresso pubblica in esclusiva, Miccichè sembra organizzare un incontro tra Dell'Utri e Gioacchino Arcidiaco, affiliato al clan Piromalli condannato l'anno scorso a 6 anni e 8 mesi. Aldo Miccichè, prima dell'appuntamento, chiama Arcidiaco per suggerirgli come comportarsi e cosa chiedere a Dell'Ultri. «Fagli capire che la Piana (di Gioia Tauro, ndr) è cosa nostra, che il porto l'abbiamo fatto noi, fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra è successo tramite noi...Fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica o sulla Jonica, o si muove al centro, ha bisogno di noi. E quando dico noi, intendo Gioacchino e Antonio (Piromalli, ndr). Mi sono spiegato?».
 

 9 aprile 2008.
Aldo Miccichè, faccendiere legato al clan Piromalli e residente in Venezuela,
parla con Filippo Fani,
collaboratore di Barbara Contini (oggi senatore del Pdl)
 2 dicembre 2007.
Aldo Miccichè parla con
Gioacchino Arcidiaco, affiliato al clan Piromalli

Candidature d'onore
Le cosche puntano a crearsi amministratori ad hoc
La Procura di Napoli ha acquisito gli elenchi dei candidati Sud e liste "inquinate"
Così le mafie si prepararono al voto
L'obiettivo gli affari gestiti dalle Regioni in particolare gli appalti di ospedali e le Asl
di GIULIANO FOSCHINI e CONCHITA SANNINO

ROMA 19 marzo 2010- A Napoli i magistrati della Procura antimafia hanno già acquisito le liste con tutti i candidati al consiglio regionale della Campania. E hanno cominciato a studiarle. Anche la commissione parlamentare Antimafia, dopo che il presidente Beppe Pisanu ha imposto ai partiti di sottoscrivere un codice etico, si è mossa: e in attesa che le prefetture comunichino ufficialmente le candidature non in regola con quel codice, ha raccolto un centinaio tra informative e segnalazioni di candidati considerati "a rischio". Le elezioni 2010 in quattro regioni del Sud possono essere condizionate (inquinate o controllate) dalla criminalità organizzata. Che oggi non si limita a fornire pacchetti di voti ai partiti ma scende in campo con candidati propri, politici-affaristi che poi saranno a tempo pieno al servizio delle cosche. È il modello Di Girolamo che può ripetersi all'infinito. L'obiettivo è mettere le mani su parte dei 169 miliardi all'anno gestiti dalle Regioni. Soprattutto appalti di ospedali e Asl, convenzioni esterne e consulenze della sanità, fondi per la formazione. Ma dove vogliono arrivare i clan della camorra e della 'ndrangheta? Di quanti voti dispongono? Quanti e quali candidati stanno mettendo in pista? 

Un seggio in vendita 
Il "tariffario" per il seggio non è omogeneo. Le istruttorie e le sentenze giudiziarie più recenti raccontano che ci sono angoli del Paese in cui l'elezione in Regione può costare la contenuta cifra di 15 mila euro, come per le 'ndrine calabresi. E ci sono metropoli dagli intrecci malavitosi, come Napoli, dove la stessa carica si acquista con 60 mila euro, oltre alla promessa di lavori pubblici e forniture per i clan. Poi ci sono padrini che non hanno bisogno né di compravendite né di appalti: sono i livelli decisionali del potere criminale che, dalla Sicilia alla Lombardia, puntano a legarsi direttamente con la finanza e le grandi imprese. Accade nel Paese dei 30 mila affiliati organici alle cosche e dei centomila galoppini del voto inquinato. Dove, solo negli ultimi tre anni, le forze di polizia hanno denunciato per associazione mafiosa oltre 7 mila persone. Spiega il procuratore antimafia di Napoli, Giandomenico Lepore: "Il controllo sulle liste è uno screening di rito. Non siamo un ufficio elettorale, dobbiamo solo verificare se siano commessi reati di compravendita del voto". Ma intanto il 10% dei candidati "segnalati" all'Antimafia ha già alle spalle una condanna, o un rinvio a giudizio, o un'indagine per voto di scambio con i clan. 

Le mani della camorra
Il caso più clamoroso è a Napoli. Roberto Conte, 43 anni, espulso dai Verdi e dal Pd, torna in una lista che sostiene il candidato presidente del Pdl, Stefano Caldoro. L'ex consigliere regionale è stato condannato in primo grado, otto mesi fa, per concorso esterno in associazione mafiosa, con l'accusa di avere "acquistato" dalla camorra la sua elezione alle regionali del 2000. Ora ha scelto la lista Alleanza di popolo. Conte è anche l'unico degli impresentabili per il quale un padrino pentito, Giuseppe Misso, abbia confermato la costituzione del patto politico-mafioso. Ma qual è la sua storia? Per tre volte, racconta la sentenza, Roberto Conte incontrò il boss Misso. Il padrino lo riceveva nel centro storico di Napoli. Secondo il giudice, a fine corsa, il neo-eletto Conte tornò in quell'appartamento blindato a ringraziare il boss. Lo stesso Misso, due anni fa, ha rivelato le ragioni di quell'accordo: "Ho incontrato il candidato Conte almeno in tre circostanze, sempre a casa mia (...). Quando parlo di un mio proposito di guadagnare molto da questo rapporto, mi riferisco ai discorsi che avvenivano frequentemente tra me e il Conte, al fatto che la sua elezione avrebbe permesso al gruppo Misso di aprire un ciclo delle vacche grasse, gare dei lavori pubblici, forniture di servizi a enti pubblici". Il boss del quartiere Sanità aggiunge: "Avevo iniziato a sostenere molte spese per mandare in giro i galoppini. Così un giorno Sasà Mirante (un affiliato, ndr) ricevette direttamente dalle mani di Conte una somma di 120 milioni, ovviamente tutta in contanti, poi portata a me, a casa mia". Dalla storia di Conte ha preso le distanze, ufficialmente, persino un supergarantista come Nicola Cosentino, il coordinatore campano del Pdl per il quale il Gip di Napoli ha chiesto l'arresto per concorso in associazione mafiosa. I sospetti ovviamente toccano anche le elezioni comunali e provinciali. A Caserta, per esempio, per la Provincia l'Udc mette in lista Luigi Cassandra che, in campagna elettorale, riceve una diffida dei carabinieri a non frequentare più personaggi in odore di camorra. Il partito lo invita a ritirarsi. Ma lui rifiuta, e annuncia addirittura un ricorso. 
 
Pacchetti di controllo
Un business che cambia modalità, quello del traffico di voti. Ma non al punto da non lasciar tracce, come spiega Franco Padrut, storico segretario della Camera del Lavoro a Palermo, uno dei maggiori esperti italiani di flussi elettorali. "Sono rimaste intatte negli anni alcune caratteristiche del controllo del voto, come l'espressione della preferenza, meglio se multipla. Un esempio lampante arriva proprio dal ciclo delle elezioni regionali 2005-2008 dove, al Sud, è stato registrato un tasso di preferenze molto più alto rispetto alla media nazionale: l'89,6% in Basilicata, l'86 in Sicilia, il 78 in Puglia e Abruzzo, il 76 in Campania mentre la media italiana è del 51". Ma qual è l'incidenza del consenso mafioso nella formazione della rappresentanza? Si calcolava un volume di 4 milioni di voti, fino a qualche lustro fa. Aggiunge Padrut: "L'incidenza oggi è meno vistosa, ma profonda. Il condizionamento la criminalità organizzata tende a esercitarlo su altri livelli: il controllo della spesa pubblica, gli apparati amministrativi. E con l'entrata in vigore del Porcellum il condizionamento delle mafie si è spostato sulla compilazione delle liste più ancora che sul voto". Ancora una volta il Sud è il banco di prova di questo nuovo modello di infiltrazione nello Stato. Dice Antonio Laudati, ex pm a Napoli e oggi procuratore capo di Bari: "Le mafie non scelgono "il" partito. Lavorano sul multitasking, condizionano da una parte all'altra e oggi più che il controllo del territorio seguono il denaro e la capacità d'acquisirlo. Puntano a inquinare le decisioni su questioni economiche o finanziarie". Per i magistrati campani Paolo Mancuso e Giovanni Melillo "oggi la camorra ha minori capacità strategiche, ma ha rinsaldato i legami con gli affari, e la politica appare subordinata. Il codice di autoregolamentazione per la selezione dei candidati, approvato all'inizio degli anni Novanta dalla commissione parlamentare antimafia, è rimasto lettera morta".

Mafia-politica Spa
In Puglia corre Mario Cito, tarantino, numero uno della lista civica che sostiene il candidato presidente del Pdl Rocco Palese a Taranto, figlio di quel Giancarlo condannato fino in Cassazione per associazione mafiosa. Lui, il figlio, non ha accuse a carico. Anzi, una sì: quella di aver messo sui suoi manifesti elettorali la foto di papà invece della propria. In Basilicata tra i candidati al consiglio regionale rispunta l'uscente Luigi Scaglione, capolista per la lista Popolari uniti che appoggia il candidato presidente di centrosinistra, Vito De Filippo. Scaglione è indagato della procura di Potenza per concorso esterno in associazione mafiosa: è accusato di essere stato alla Regione l'uomo di riferimento del clan camorristico guidato dal boss Antonio Cossidente, ora in cella. Non era una questione di amicizia. Ma di affari. Quali affari? Con quali meccanismi viene cementato il patto tra politici e mafiosi? Scaglione, sostiene la Procura, "avrebbe offerto il personale contributo politico e il sostegno del suo partito per la realizzazione del nuovo stadio sportivo di Potenza che l'organizzazione criminale voleva costruire". In cambio "avrebbe ottenuto l'appoggio elettorale dagli associati in occasione delle elezioni politiche del 2008", dove era candidato un amico di Scaglione. Alla base dell'indagine ci sono centinaia di pagine di intercettazioni telefoniche che testimoniano i rapporti esistenti tra il candidato Scaglione e il boss Cossidente. 

È il 29 ottobre del 2007, per esempio, quando nello studio di un professionista di Potenza i due si incontrano. "Ti ho chiesto - dice il boss al politico - uno sforzo, perché noi siamo propensi ad aprire, a intavolare una trattativa. Tu che cose vorresti (...) garantisci tu per le persone". "L'unica condizione - gli risponde Scaglione - è creare un'opportunità di investimento per il quale qualcuno si senta coinvolto (...) Troviamo per esempio una forma di investimento... Una società costituita apposta che sia propensa a costruire un nuovo stadio". Effettivamente la società la fonderanno: la Immobiliare Gemelli Sr, gestita da un prestanome. Ma Scaglione sembra pensare a tutto: "Io posso creare le condizioni per presentare un progetto finale, dove riusciamo a ottenere finanziamenti dall'esterno. (...) Però poi qualcosa la devi mettere tu nero su bianco, cioè i rapporti sono più tuoi (...) è chiaro che va costituita la società, ci sono i fondi europei per queste cose... Sai, io aspiro a parlarne nel consiglio regionale". Il boss apprezza il discorso. È contento, e ringrazia il politico: "Così - dice Cossidente - non cacciamo nemmeno i soldi alla fine (...) Luigi, tu sei secondo me il miglior tramite, il miglior rappresentante, la migliore persona di fiducia". Scaglione, sostengono i carabinieri della procura di Potenza nelle mille pagine di informativa depositate, sapeva con chi aveva a che fare. Per la cronaca, il candidato senatore amico di Scaglione e dei clan non fu eletto. Ora però Gigi ci riprova.

La profezia di Seminara
In Calabria con 15 mila euro si compra il voto di un'intera cittadina. Cassano Jonico nello specifico. In pratica si acquista un seggio. Lo ha fatto nel 2005 Franco La Rupa, ex consigliere regionale dell'Udeur. "Fu lui - scrivono i pm di Reggio - a stringere attraverso l'intermediazione di Luigi Garofalo un accordo con Antonio Forastefano, boss della 'ndrangheta, in forza del quale si impegnava a corrispondere denaro in cambio di voti". Quindicimila euro, appunto. La Rupa ora non ci riprova. Non lui direttamente, per lo meno. In lizza con la lista Noi Sud, che appoggia il candidato presidente del Pdl, Giuseppe Scoppelliti, c'è suo figlio Antonio. "Vergogna", ha gridato in commissione Antimafia Angela Napoli, deputata del Pdl che contro "queste candidature in odore di 'ndrangheta" ha annunciato che alle prossime elezioni non andrà a votare. In Calabria, secondo i dati arrivati all'Antimafia, i candidati a rischio sono 21: 16 sostengono la candidatura di Scopellitti, cinque quella di Loiero. Il procuratore capo di Reggio, Giuseppe Pignatone, spiega: "La 'ndrangheta si muove sempre quando ci sono interessi in ballo, succede nell'economia e anche nella politica, l'esperienza ci dice che ha sempre votato e fatto votare. È quindi ipotizzabile che succeda anche per le prossime elezioni". Ma a favore di chi? Il procuratore non fa nomi. La Napoli sì: il primo è quello di Tommaso Signorelli (Socialisti uniti), anche lui con Scopellitti presidente. Il candidato fu arrestato nel dicembre del 2007 nell'inchiesta della Dda di Catanzaro che portò allo scioglimento, per infiltrazioni mafiose, del Comune di Amantea. Era lui - dice la procura antimafia - "il politico di riferimento del clan" che per tre anni almeno (dal 2004 al 2007) avrebbe favorito i Gentile-Africano nell'acquisizione degli appalti e dei servizi nel porto di Amantea. Capolista dell'Udc (che qui corre con il Pdl) è Pasquale Tripodi, ex assessore regionale Udeur. Di lui parla il pentito Cosimo Virgiglio, e dei suoi rapporti con il boss Rocco Molé, poi fatto fuori dai cugini Piromalli nel febbraio de 2008. 

In Calabria ci sono poi quelli che non ci saranno. Domenico Crea, consigliere regionale uscente, è in carcere da due anni per concorso esterno in associazione mafiosa con i clan della Locride. Nel 2009 è stato condannato anche Pasquale Inzitari, astro nascente dell'Udc reggino, consigliere provinciale. I boss si sono vendicati del suo tradimento facendo saltare in aria ad aprile del 2008, con un'autobomba, il cognato Nino Princi. E, due mesi fa, gli hanno ammazzato il figlio Francesco. Nel mirino dei magistrati anche Mariano Battaglia, candidato alle scorse regionali. È stato arrestato per l'operazione Topa, che si occupò delle infiltrazioni mafiose nel comune di Seminara. Seminara è un paesino dell'Aspromonte nel quale i clan sono in grado di controllare i voti uno per uno. Nel fascicolo del pm Roberto Di Palma c'è un'intercettazione nella quale i boss dicono che, alle comunali, la lista da loro sostenuta prenderà 1050 voti. A spoglio terminato i magistrati ne conteranno 1056. 
 

Inchiesta italiana 19 marzo 2010
Giuseppe Baldessarro, Giuliano Foschini, Concita Sannino, in studio Piero Colaprico
Le elezioni 2010 in quattro regioni del Sud possono essere condizionate, inquinate o controllate dalla criminalità organizzata, che oggi non si limita a fornire pacchetti di voti ai partiti ma scende in campo con candidati propri.
È il modello Di Girolamo che può ripetersi all’infinito.
L'inchiesta dei giornalisti di Repubblica in Calabria, Puglia, Campania e Basilicata.