La lezione di Dossetti e il “diritto di resistenza”.
I padri costituenti e la difesa della Carta
20 ottobre 2009 Urbinati, Nadia


  Fonte: La nascita della Costituzione
Relazioni e proposte presentate nella Commissione per la Costituzione
I Sottocommissione
PROPOSTE del deputato DOSSETTI GIUSEPPE
SU LO STATO COME ORDINAMENTO GIURIDICO E I SUOI RAPPORTI
CON GLI ALTRI ORDINAMENTI E SULLA LIBERTÀ DI OPINIONE, DI COSCIENZA E DI CULTO

Art. 3.
La resistenza, individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri,
che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione,
è diritto e dovere di ogni cittadino.
È questo l'abituale principio della resistenza, logico corollario dei due articoli precedenti.
Cfr. Costituzione francese del 19 aprile 1946, articolo 21: «Qualora il Governo violi le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza sotto ogni forma è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri».

Il primo grido di allarme per le tentazioni distruttive verso la nostra Costituzione manifestate dalle maggioranze guidate da Silvio Berlusconi venne lanciato nel 1994 da Giuseppe Dossetti, uno dei padri più rappresentativi della nostra carta fondamentale e della nostra coscienza costituzionale. Con una lettera inviata il 25 aprile di quello stesso anno all’allora sindaco di Bologna, Walter Vitali, Dossetti lanciava i comitati per la difesa della Costituzione con queste parole: «Si tratta cioè di impedire ad una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo di mutare la nostra Costituzione: [quella maggioranza] si arrogherebbe un compito che solo una nuova Assemblea Costituente, programmaticamente eletta per questo, e a sistema proporzionale, potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un colpo di stato».

Dossetti fu uno dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno 1946, e poi membro della Commissione per la Costituzione (conosciuta anche come commissione dei 75) il cui compito era di elaborare un progetto di Costituzione. Il 21 novembre 1946, Dossetti presentò in Commissione la proposta relativa al diritto di resistenza. Queste le sue parole: «La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino». Rileggere oggi le discussioni dei costituenti sul tema dell’oppressione e della necessità che la Costituzione si doti di strumenti di autodifesa è un’esperienza intellettuale unica perché rivela quanta attenzione, preparazione e serietà ci fosse in quell’Assemblea costitutiva della nostra democrazia.

Riprendere in mano quella storia, quelle discussione è diventato essenziale per la nostra libertà.
Dossetti era un tomista e pensava al potere politico (quello costituito nello stato) come alla fonte di un rischio permanente dal quale premunirsi. Aldo Moro fu dalla sua parte e nonostante le ragionevoli perplessità nei confronti di un principio che era essenzialmente metagiuridico e di difficile traduzione in legge, tuttavia anche lui come Dossetti comprese quanto fosse essenziale per una democrazia che la cittadinanza venisse concepita e vissuta come un’identità politica non solo giuridica, perché alla sua base stava il dovere morale di preservare i fondamenti della sua stessa esistenza. È il cittadino che preserva se stesso preservando la carta.

E così, quando nel 1994 il padrone di Mediaset impresse una direzione autoritaria alla politica italiana e i partiti dell’opposizione anche allora sembrarono non comprendere per davvero la natura nuova e inquietante di quel corso politico, Dossetti riprese il ruolo morale di padre costituente e tornò a fare il dovere che la cittadinanza richiede: lanciò un movimento di cittadini attivi per esprimere un chiaro e forte "No!" alle manipolazioni della carta da parte di maggioranze o leader bramosi di dominio illimitato; un movimento che avesse il compito di far capire a tutta la nazione che la Costituzione non era a disposizione – proprio come non lo sono le donne, secondo la bella risposta di Rosy Bindi al capo della maggioranza.

La sovranità non è la stessa cosa del governo; e non lo sarebbe nemmeno se per ipotesi il governo godesse del 99% dei consensi elettorali. La differenza tra sovranità e maggioranza eletta che governa per un tempo limitato non è numerica, ma di forma e di sostanza. E infatti, nonostante Berlusconi si riempia la bocca della parola "popolo" egli pensa ai suoi elettori e a quelli che le sue strategie commerciali possono eventualmente catturare. Ma la sovranità e la costituzione non sono a disposizione di una parte, di nessuna parte, e non hanno nulla a che fare con la massa che un leader pensa di catturare, tenere o imbonire.

La ragione di questa indisponibilità è ancora una volta ben espressa dalle parole di Dossetti: «C’è una soglia che deve essere rispettata in modo assoluto... oltrepasserebbe questa soglia qualunque modificazione che si volesse apportare ai diritti inviolabili civili, politici, sociali previsti nell’attuale Costituzione. E così pure va ripetuto per una qualunque soluzione che intaccasse il principio della divisione e dell’equilibrio dei poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario, cioè per ogni avvio, che potrebbe essere irreversibile, di un potenziamento dell’esecutivo ai danni del legislativo, ancorché fosse realizzato con forme di referendum, che potrebbero trasformarsi in forme di plebiscito... In questo senso ho parlato prima di globalità del rifiuto cristiano e ritengo che non ci sia possibilità per le coscienze cristiane di nessuna trattativa».

La coscienza cristiana di Dossetti coincideva in quel caso perfettamente con quella pubblica del cittadino perché la difesa delle prerogative costituzionali era difesa della libertà di ciascuno di distinguersi ed essere autonomo dalla pretesa di omologazione e dominio di una maggioranza. Nel maggio 1947, intervenendo sul tema proposto da Dossetti, Antonio Giolitti (allora Pci) ricordò che «la garanzia essenziale del regime democratico è... l’autogoverno morale e politico del cittadino». Per questa ragione, benché il diritto di resistenza (che avrebbe dovuto essere contenuto nell’Articolo 50) non passò l’esame, esso fa parte comunque nella cultura etica della cittadinanza democratica. La vita della Costituzione è nelle mani dei cittadini. Ha scritto anni fa Paolo Pombeni che le idee dossettiane e dei costituenti sulla resistenza come autodifesa della Costituzione «scomparvero dall’attenzione dell’Assemblea Costituente e dalla stessa memoria storica», ma il loro principio ispiratore ha una portata che «dovrebbe essere rivalutata» perché, si potrebbe aggiungere, la Costituzione, scritta da una generazione che non è piú, è viva nel nostro presente e la sua persistenza é un nostro dovere civile.
 


La nascita della Costituzione
Relazioni e proposte presentate nella Commissione per la Costituzione
I Sottocommissione

PROPOSTE del deputato DOSSETTI GIUSEPPE
SU LO STATO COME ORDINAMENTO GIURIDICO E I SUOI RAPPORTI
CON GLI ALTRI ORDINAMENTI E SULLA LIBERTÀ DI OPINIONE, DI COSCIENZA E DI CULTO

1) LO STATO COME ORDINAMENTO GIURIDICO E I SUOI RAPPORTI CON GLI ALTRI ORDINAMENTI

Art. 1.
Lo Stato protegge, favorisce, coordina e, dove occorra, integra le attività dei singoli, delle famiglie, degli enti territoriali e delle altre forme sociali.

L'articolo definisce il compito e la funzione giuridica e politica dello Stato, statuendo il principio che esso ha autorità per esercitare il controllo e la coordinazione delle attività dei singoli e delle varie forme sociali e che esso ha il diritto-dovere di intervenire là dove ogni altra iniziativa si riveli insufficiente.

Art. 2.
La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell'ordinamento giuridico costituito dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi.

È qui determinato il fondamento sostanziale della sovranità dello Stato. È la norma cardine di tutto il sistema. Essa configura lo Stato come ordinamento giuridico, del quale la Costituzione e i principi in questa sanciti costituiscono appunto la base: è la garanzia così della giuridicità di tutto l'operare dello Stato.

Cfr. Progetto Mounier, articolo 39.

Naturalmente l'articolo non entra a determinare a chi competa l'esercizio della sovranità: a questo provvederà una norma successiva, con la riserva dell'esercizio della sovranità al popolo e quindi il complesso di tutte le norme particolari relative alle singole istituzioni della Repubblica.

Art. 3.
La resistenza, individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino.

È questo l'abituale principio della resistenza, logico corollario dei due articoli precedenti.

Cfr. Costituzione francese del 19 aprile 1946, articolo 21: «Qualora il Governo violi le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza sotto ogni forma è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri».

Art. 4.
Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l'ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l'ordinamento della Chiesa.

Il riconoscimento della comunità internazionale e degli ordinamenti degli altri Stati non ha bisogno di essere giustificato ed è ormai divenuto comune a tutte le più recenti Costituzioni.

Ma nemmeno ha bisogno di speciale giustificazione il riconoscimento dell'ordinamento della Chiesa per chi sappia che la moderna dottrina ecclesiasticistica è unanime nel riconoscere all'ordinamento canonico il carattere di ordinamento giuridico originario. Anzi è ormai noto a tutti che l'ordinamento canonico è con l'ordinamento internazionale comunemente addotto come l'esempio tipico di ordinamento giuridico sovrano e indipendente da quello dello Stato.

E si badi che tutto questo è ritenuto valido anche per il regime preconcordatario e indipendentemente dal Concordato: cfr. per tutti Ruffini, Questioni di diritto ecclesiastico, Torino, 1911-12, pag. 182 e segg.; Falco, Lezioni di diritto ecclesiastico, Padova, 1927, pagine 408-409.

L'opportunità poi di dichiarare esplicitamente in questa sede tale riconoscimento, appare evidente quando si consideri che esso è per lo meno il presupposto e la via per escludere la confusione od unione tra i due ordinamenti e le due Podestà e per fondarne invece la separazione in senso giuridico: cfr. Checchini, Introduzione al diritto ecclesiastico, pagg. 58 e 59 e segg. e pagg. 136 e seguenti.

Art. 5.
Lo Stato rinunzia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli.

Lo Stato consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie alla organizzazione e alla difesa della pace.

Anche questa norma corrisponde alla diffusa e concorde coscienza di questo dopoguerra. Confrontare le espressioni in tutto analoghe della nuova Costituzione francese.

Art. 6.
Le norme di diritto internazionale come gli accordi attualmente in vigore tra lo Stato e la Chiesa e gli altri che eventualmente, secondo le modalità previste dalla presente Costituzione, venissero stipulati in avvenire, fanno parte dell'ordinamento dello Stato, senza che occorra emanarle con apposito atto. Le leggi dello Stato non possono contraddirvi.

È questo il principio dell'adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale.

Il principio generale è adottato in varie altre costituzioni: per esempio Weimar, articolo 4; Spagna, articolo 7 e 65; Estonia, articolo 4; Svizzera, articolo 113, ecc.

Secondo un'autorevole dottrina esso è già implicito nel nostro attuale ordinamento. Fu esplicitamente proposto dai relatori Ago e Morelli, nella relazione della Commissione del Ministero della Costituente (pagina 57 e seguenti).

Esso naturalmente non toglie ma presume la necessità dell'adempimento per la ratifica dei trattati e degli altri accordi internazionali delle norme e modalità che saranno stabilite dalla costituzione.

Quanto alla applicazione che si fa del principio suddetto per gli accordi tra lo Stato e la Chiesa, essa è una conseguenza necessaria e inevitabile ex paritate dalla natura di atti internazionali o comunque di diritto esterno che oggi tutti riconoscono alle convenzioni tra lo Stato e la Chiesa: confrontare per tutti Wagnon, Concordats et droit international, Gembloux, 1935, pagina 227 e seguenti.

E questo senza ancora entrare nel merito della questione sostanziale di cui all'articolo seguente.

Art. 7.
Fermi restando i principî della libertà di coscienza e della eguaglianza religiosa dei cittadini, la religione cattolica — religione della quasi totalità del popolo italiano — è la religione dello Stato.

Le relazioni tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica restano regolate dagli Accordi Lateranensi.

È questa naturalmente la norma che secondo la nostra visione interpreta la coscienza cattolica della grande maggioranza del popolo italiano.

La prima parte dell'articolo muove da una constatazione di fatto (indipendente da ogni giudizio di valore) cioè che la religione Cattolica è la religione della maggioranza degli italiani. La conseguenza non implica disconoscimento del principio della eguaglianza religiosa, ma semplice valutazione di una differenza di fatto, che non potrebbe essere negletta senza contraddire alla realtà politica e alla giustizia.

Il secondo comma contiene il riconoscimento degli Atti Lateranensi, ai quali anche altri partiti hanno dichiarato di volere prestare fede, in quanto realizzanti quella pacificazione religiosa auspicata da tutti gli italiani e quella soluzione di un conflitto storico, che (come recenti documentazioni hanno dimostrato) era già stata nel desiderio e nell'opera degli ultimi governi democratici.



B) LIBERTÀ DI OPINIONE, DI COSCIENZA E DI CULTO

Art. 1.
Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, purché non contrastino con le supreme norme morali, con le libertà e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, con i principî dell'ordine pubblico.

Questo articolo è desunto dalle proposte della relazione La Pira (art. 16). Si vedano le giustificazioni (del resto evidentissime) le analogie costituzionali ivi per esso addotte.

Art. 2.
Ogni uomo ha diritto alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa, interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all'ordine pubblico e al buon costume.

Si propone questa formula che si discosta dalla tradizionale «libertà di professione religiosa» per non lasciare nessun equivoco sulla portata del diritto affermato. Si confrontino tra l'altro le osservazioni delle Chiese riformate d'Italia in Peyrot, La libertà di coscienza e di culto, pagg. 40 e segg.

Art. 3.
I rapporti di lavoro, l'appartenenza alle forze armate o a pubblici servizi, la degenza in ospedali, ricoveri, istituti, carceri, non possono dare luogo a nessun impedimento di diritto o a nessun ostacolo di fatto in ordine all'adempimento dei doveri religiosi fondamentali e alla assistenza da parte dei ministri del culto seguito.

È sembrata opportuna questa specificazione e questa garanzia concreta della libertà di coscienza, in conformità a quanto dispongono altre Costituzioni (per es. Weimar, articolo 140-141) e a quanto anche oggi richiedono le diverse confessioni acattoliche: cfr. Peyrot, cit. pagg. 41-42.

Art. 4.
Il carattere ecclesiastico o lo scopo di religione o di culto di una associazione o di una istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative per la sua costituzione od attività, per la sua erezione in persona giuridica e per la sua capacità di acquistare di possedere ed amministrare beni mobili e immobili, come non possono essere causa di speciali gravami fiscali.

Questo articolo non entra nel merito delle spinose questioni relative alla personalità degli enti. Si limita a sancire un principio negativo, a rimuovere un possibile ostacolo (che in passato ha funzionato in molti casi) e a porre tutti gli enti ecclesiastici di qualunque confessione su un piano di parità con gli altri enti (culturali, sportivi, ecc.).

L'articolo è desunto dalla Costituzione di Weimar, articolo 124 e 137.

Si veda pure Peyrot, cit. pag. 60: «Indubbiamente è doveroso concludere che non è possibile non riconoscere le comunità religiose come persone giuridiche, in quanto esse debbono avere la possibilità della libera gestione dei loro affari».

Naturalmente la norma proposta non sottrae gli enti ecclesiastici ai principî e alle cautele generali della legislazione sulle persone giuridiche (per esempio alla necessità dell'autorizzazione governativa per gli acquisti di immobili o per gli acquisti per donazione o mortis causa).