SENATO DELLA REPUBBLICA

    ———– XIV LEGISLATURA ———–
    N. 2493
DISEGNO DI LEGGE
presentato dal Ministro della difesa
(MARTINO)
di concerto col Ministro della giustizia
(CASTELLI)
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 SETTEMBRE 2003
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Delega al Governo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra,
nonchè per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare
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Onorevoli Senatori. – 1. Premessa.

    Il presente disegno di legge ha ad oggetto l’attribuzione al Governo di una delega legislativa finalizzata ad una revisione generale dei codici penali militari di pace e di guerra, di cui al regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, ed al conseguente adeguamento delle norme dell’ordinamento giudiziario militare.

    I codici penali militari italiani costituivano, già nella loro formulazione originaria, un corpo normativo di assai elevata qualità tecnica e di non particolare pregnanza politica, effetto riflesso della posizione istituzionale che continuava a connotare le Forze armate pur nel regime autoritario. Non a caso, il codice penale militare di guerra (c.p.m.g.) è stato ripetutamente utilizzato nel dopoguerra dall’Italia democratica per punire i crimini di guerra commessi dagli occupanti tra il 1943 e il 1945.
    Mentre il codice penale militare di pace (c.p.m.p.) ha subìto in questi anni diverse modifiche, la più incisiva delle quali è stata quella recata dalla legge 23 marzo 1956, n. 167, il codice penale militare di guerra è rimasto sostanzialmente immutato, se si esclude l’abolizione della pena di morte di cui alla legge 13 ottobre 1994, n. 589.
    Nel frattempo, la piena vigenza della Costituzione con i conseguenti interventi della Corte costituzionale ha portato a ulteriori conseguenze la conformazione di questa legislazione alla Carta costituzionale, eliminando le restanti disposizioni ritenute in contrasto con essa.
    Dal punto di vista organizzativo, l’antico assetto proprio della magistratura militare è stato nel tempo rivisto sin nelle fondamenta, con la decisa rimozione di quelle caratterizzazioni che potevano qualificare negativamente la sua specialità come eccezione alle garanzie della imparzialità e del rigore nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità. Oggi dunque, dopo le riforme delle leggi 7 maggio 1981, n. 180, e 30 dicembre 1988, n. 561, ci si trova di fronte ad una magistratura che ha in tutto le stesse caratteristiche organizzative e di status, e le medesime garanzie di autonomia e indipendenza che sono proprie della magistratura ordinaria. La sua specificità consiste ormai solo nell’essere caratterizzata da una preziosa expertise attagliata alla qualificazione di militarità dei fatti, degli autori, dell’ambiente e delle circostanze, e dunque si risolve essenzialmente in specializzazione per materia su ciò che riguarda la presenza dell’interesse pubblico militare: non dissimilmente, del resto, da quanto avviene per organi della giurisdizione ordinaria caratterizzati, come questa, dalla presenza minoritaria di componenti non togati nei collegi giudicanti.
    Malgrado un tale poderoso aggiornamento organizzativo dell’apparato giurisdizionale, per ciò che riguarda la strumentazione giuridica, la legislazione penale militare è rimasta ancora sostanzialmente ferma nella sua configurazione tradizionale. Nondimeno, sul piano fattuale e delle nuove esigenze pratiche, alle quali la legge deve per sua propria funzione anzitutto sopperire, il rapido e progressivo mutare dello scenario internazionale, con la fine del bipolarismo e l’apertura di un periodo di più diretto impegno italiano nel concorrere ad assicurare altrove la pace, ha generato nuove esigenze di tutela penale militare e aperto nuove prospettive, in cui l’uso della forza militare diviene strumento e garanzia dei beni essenziali e comuni dell’ordine e della stabilità internazionali. Le Forze armate sono andate associando alla loro tradizionale e primaria funzione di difesa nazionale altri e nuovi compiti, manifestatisi soprattutto in occasione delle numerose missioni all’estero in sostegno della pace e della sicurezza. A questi si sono aggiunti il concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni e lo svolgimento di compiti specifici in occasione di pubbliche calamità e in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza. Tutti questi «compiti delle Forze armate» sono ormai testualmente enunciati dall’articolo 1 della recente legge 14 novembre 2000, n. 331.
    È comunque in occasione delle missioni di pace all’estero che si è sempre più manifestata la necessità di un’espressa e attuale modulazione che, pur evitando l’automatismo della integrale applicazione della legge penale militare di guerra ai corpi di spedizione all’estero in tempo di pace, già voluto dall’articolo 9 del c.p.m.g., evitasse per contro anche il reiterarsi di lacune, incongruenze e incertezze dovute all’impropria sua espressa inapplicazione, che era stata frettolosamente voluta con vari decreti-legge a partire dai primi interventi nel Golfo (1990) e che per i suoi gravi inconvenienti era stata stigmatizzata dalla dottrina giuridica. Il ricorso espresso al solo codice di pace, che è proprio di una condizione generale di addestramento anzichè di un impiego operativo che può anche giungere a rimarchevole intensità, lasciava infatti senza protezione situazioni e beni giuridici di primaria importanza in simili contesti di uso della forza, sovente delicato e pericoloso: non solo l’imputazione allo Stato degli atti dei componenti del contingente nello svolgimento dell’impegno, con connesse responsabilità e doveri, ma anche la necessaria coesione, in un tale ambiente, del contingente medesimo, come anche la condizione giuridica dei catturati. E venivano soprattutto lasciati senza specifica tutela penale, come l’esperienza concreta ha prima di tutto dimostrato, i soggetti deboli coinvolti (infermi, feriti, popolazione civile, prigionieri e così via): non può dimenticarsi che a difesa penale di tutti costoro, il nostro codice di guerra contiene, unico esempio per i tempi in cui fu posto, importanti disposizioni (quelle del Libro III, Titolo IV) sui «reati contro le leggi e gli usi di guerra», vale a dire su quelli che, sul piano internazionale, si chiamano «crimini di guerra». È grazie a quelle norme che in Italia fu possibile giudicare i criminali di guerra senza violare i princìpi di civiltà giuridica del nullum crimen sine lege e della precostituzione del giudice. Vale la pena di rammentare a questo riguardo quanto scrisse nel 1948 Giuliano Vassalli, nell’aggiornamento dell’Enciclopedia Italiana, sui Crimini di guerra: «l’Italia era l’unico paese che avesse ... un codice militare tanto moderno e che tanto perfettamente adeguasse il proprio diritto penale interno alle convenzioni internazionali».
    In ragione di queste esigenze umanitarie oggi presenti dove più necessitano gli interventi di pace, dove sembra non si conoscano più limiti alle atrocità, oltre che per assicurare coesione e protezione ai nostri militari, il Governo, sin dai primi decreti-legge sull’operazione Enduring Freedom (decreto-legge 1º dicembre 2001, n. 421, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 2002, n. 6, ed il decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 15) fu dell’avviso di non derogare più all’applicazione di quel codice, ma solo alle sue obsolete disposizioni sulla cosiddetta giustizia di guerra. Al contempo, lo stesso Governo volle l’introduzione, o direttamente nel caso di urgenza, o con il disegno di legge di conversione, o comunque condividendo la quasi generalità dei relativi emendamenti approvati, di alcuni primi adattamenti di quel pur sempre valido tessuto normativo al diverso quadro costituzionale, alle mutate esigenze operative e all’aggiornamento del diritto internazionale umanitario.
    Si avviò così, sotto la pressante spinta di dare uno status giuridico congruo alla operazione internazionale di lotta al terrorismo, una prima attualizzazione di questo corpo normativo.
    Il Governo intende ora dare completo e fattivo seguito a quella sua prima e urgente iniziativa riformatrice, dando corso ad una revisione ed attualizzazione generale di questo settore dell’ordinamento.
    Fu, anzi, proprio in occasione della conversione in legge del secondo di quei decreti, che il Governo, sùbito accogliendo convergenti ordini del giorno, si impegnò politicamente il 23 gennaio 2002 davanti al Senato della Repubblica a presentare un disegno di legge per una delega legislativa volta ad introdurre un corpo di norme per la disciplina generale delle missioni all’estero e per razionalizzare, in armonia con la Costituzione, l’organizzazione e il riparto della giurisdizione tra l’autorità giudiziaria militare e l’autorità giudiziaria ordinaria; e che, analogamente e con altrettanta immediatezza, il 29 gennaio 2002 si impegnò davanti alla Camera dei deputati.
    È, appunto, muovendo dal più che spontaneo adempimento ad un tale impegno, pienamente convergente con i suoi intendimenti in tema di Difesa, che il Governo ora presenta all’approvazione delle Camere questa iniziativa di revisione generale della legge penale militare e di alcune norme dell’ordinamento giudiziario militare. A questo scopo il Governo, per poter garantire la massima espressione della qualità tecnica e della condivisione di contenuti, si è avvalso dell’accurata opera di una qualificata Commissione di studio, nominata dal Ministro della difesa, autorevolmente presieduta dal Procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione, dott. Giuseppe Scandurra, e composta da esperti di primo piano delle magistrature, dell’università e del mondo militare, e rappresentativa di un’ampia varietà di posizioni, che ha atteso ai relativi lavori a ritmo serrato per il tempo intercorso.
    Quanto ai contenuti, oltre quanto si è già detto, va considerato, in tale contesto, che è il riferimento alla presenza del ricordato interesse militare – additato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e dalla più recente e accreditata dottrina come l’elemento sostanziale di definizione dell’ambito di questa giurisdizione – che ha guidato la razionalizzazione del riparto di giurisdizione. Interesse militare che è presente non soltanto nel profilo soggettivo ma, ovviamente, anche nelle caratteristiche oggettive e occasionali delle fattispecie, e che conduce agevolmente a sottoporre al vaglio di questo ben organizzato giudice, ormai altrettanto autonomo e indipendente di quello ordinario, ma con in più l’indispensabile expertise, la conoscenza dei fatti in cui l’interesse stesso è coinvolto. Si tratta infatti di un giudice pienamente legittimato, che produce giustizia a pieno e ottimo titolo, applicando le norme dell’ordinamento senza distinzione e che ha in più, a proposito di un contesto complesso quale la militarità, quella specializzazione che, per un elementare criterio, costituisce la formula organizzativa principe.
    A questo riguardo, si deve tra l’altro considerare la materia dei crimini di guerra, che è anche un oggetto dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232. Poichè l’Italia, sottoscrivendolo, si è impegnata a darvi attuazione e questo comporta, secondo la dottrina internazionalistica, che siano colmate eventuali lacune dell’ordinamento interno circa la repressione dei fatti corrispondenti ai crimini internazionali previsti dallo Statuto medesimo, le rammentate previsioni del libro III, titolo IV, del codice penale militare di guerra circa i reati contro le leggi e gli usi di guerra, già oggetto di alcune delle recenti prime modifiche (ad esempio gli articoli 165, 183, 184-bis, 185, 185-bis) e che definiscono questa come la giusta sedes materiae per il relativo adattamento, vanno con l’occasione ulteriormente integrate per ottenere una compiuta e finale conformazione all’articolo 8 (sui crimini di guerra) di tale significativo strumento internazionale e alle altre convenzioni di diritto umanitario per noi impegnative. In tale modo la nostra legislazione interna manterrà intatto, su questi temi di così alto significato, quel primato umanitario che, come si è ricordato, la ha già in passato positivamente contraddistinta e che aveva fatto della legge penale militare italiana uno strumento di eccezionale modernità e garanzia.
    Al tempo stesso, le importanti trasformazioni di struttura dello strumento militare introdotte nel corso di questi ultimi anni, non solo con la riconfigurazione della loro organizzazione, ma anche con la decisa trasformazione verso il servizio militare professionale (legge 14 novembre 2000, n. 331), richiedono, ove appare necessario nei codici, che siano aggiornati e riconsiderati precetti e sanzioni, in modo tale da rendere più attuale la protezione dei beni giuridici che sono a fondamento delle Forze armate e che debbono avere particolare fondamento e vigore in un esercito a base volontaria. Non può, infatti, sfuggire che, dal punto di vista dello statuto penale, il passaggio ad una siffatta forma di reclutamento richiede, in corrispondenza al modello di militare che si vuole ne derivi, motivato quanto pronto e fedele alle istituzioni, che siano considerate con particolare attenzione le esigenze legate alla coesione, alla valorizzazione delle responsabilità e alla rispondenza della struttura operativa agli obiettivi discendenti dalla fonte costituzionalmente legittimata a definirli.
    La revisione dei codici militari comporta anche, per riflesso organizzativo, la revisione dell’ordinamento giudiziario militare di cui al regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022, e poi profondamente rivisto con le leggi 7 maggio 1981, n. 180, e 30 dicembre 1988, n. 561, che hanno attribuito alla magistratura militare, pur nel rispetto della sua specializzazione, uno statuto e delle garanzie di autonomia e indipendenza ormai del tutto simili a quelle della magistratura ordinaria. Ed è anche per aggiornare ulteriormente queste previsioni, pertanto, e in primis per rimuovere quelle sulla ricordata «giustizia di guerra», che il Governo domanda di essere delegato a legiferare, per quanto nei contenuti termini che si vedranno.
    È una precisa scelta quella di procedere con il metodo della novellazione dei codici esistenti, anzichè di redigere codici penali militari del tutto nuovi. A parte i tempi di predisposizione sia del testo della legge delega sia del decreto legislativo, che sarebbero stati assai più lunghi e avrebbero frustrato l’impegno preso dal Governo con il Parlamento mentre invece l’impegno nelle missioni prosegue, va considerato con realismo, obiettività e dovuta attenzione, il dato di base che l’impianto dei codici esistenti è di eccellente fattura tecnica e costituisce un patrimonio da non disperdere se non per ragioni imprescindibili, che qui non ricorrono nella realtà condivisa. Va anche considerato che su di essi si è formato in questi decenni, grazie all’apporto della giurisprudenza e della dottrina, un cospicuo e specialistico diritto vivente, in relazione al quale si sono consolidate certezze e prevedibilità che richiederebbero un nuovo lungo tempo per formarsi nuovamente, e a prezzo di un lungo periodo di difficile nuovo orientamento per destinatari che, soprattutto in teatro di operazioni, domandano invece certezze e immediatezze. Va considerato, nondimeno, che non si vede come un tale impianto di base possa essere sostituito se non con uno che sostanzialmente, se vuole essere condiviso, ne replichi gli istituti e le implicazioni, sicchè a seguire quella via vi sarebbe un inutile eccesso di mezzo rispetto al fine. Va considerato, ancora, che proprio nello Stato più autenticamente democratico l’efficienza e la ferma rispondenza delle Forze armate al mandato assegnato dalle espressioni costituzionali della volontà popolare e verificato dalle istituzioni di garanzia generale, richiede una pregnante tutela penale di beni sostanziali e di interessi organizzativi a ciò strumentali: il riconoscimento della più alta dimensione pubblica – e perciò di una specifica qualificazione penale, oggettiva e soggettiva – dell’interesse militare, in tale contesto, è esso stesso elemento del complessivo corretto, coerente e moderno funzionamento democratico delle istituzioni.
    Tutte queste considerazioni, rapportate al fatto che la legge penale militare, lungi dall’essere un sistema integralmente autosufficiente, è retta dal principio di complementarità rispetto a quella comune, inducono senz’altro a preferire la soluzione di una sicura revisione, per quanto generale ed incisiva, del testo esistente piuttosto che la lunga e tormentata via di una tabula rasa e di una rifondazione, fatalmente solo formale oppure esposta ad un elevato tasso di opinabilità e confutazione, della intera materia.
    Quanto allo strumento, la delega legislativa appare la via tecnicamente da preferire, secondo quanto è uso fare in casi simili. I «lunghi» princìpi e criteri direttivi, elaborati dalla Commissione di studio, che qui vengono proposti, danno peraltro, con la loro analiticità, piena e integrale attuazione al precetto dell’articolo 76 della Costituzione e segnano un particolare rispetto verso il ruolo del Parlamento.
    Sui contenuti della delega il Ministro della difesa ha richiesto, a norma dell’articolo 2, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 24 marzo 1989, n. 158, il parere del Consiglio della magistratura militare, competente ad esprimere l’avviso sui disegni di legge «riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia militare».
    Il Consiglio ha espresso il proprio parere (atto del Plenum n. 213 del 27 maggio 2003), in termini di positiva valutazione. Il Consiglio ha affermato che «lo schema di legge delega presenta un impianto complessivo che recepisce le sollecitazioni ripetutamente rivolte dalla magistratura militare agli organi titolari del potere legislativo e delinea un quadro di princìpi e criteri che rendono possibile il varo di una normativa idonea ad assicurare razionalità e completezza alla legislazione penale militare, oggi disseminata di incongruenze e lacune e per tale ragione causa principale di un frammentario e insoddisfacente esercizio della giurisdizione. Gli obiettivi della legge delega sono senza dubbio da condividere, discendendo da essi un recupero di funzionalità ed efficienza della giurisdizione penale militare ed essendo ciò condicio sine qua non per il corretto permanere dell’istituzionale esercizio di questa speciale giurisdizione. Sicchè è da accogliersi con soddisfazione questa inversione di tendenza, che segna il superamento di una lunga fase di inerzia e pone le premesse per l’introduzione di elementi di razionalità e coerenza nell’ambito della legislazione penale militare».
    Contestualmente, il Consiglio ha anche espresso l’avviso su alcuni temi che, anche oltre le questioni di ordine giudiziario, riguardano il merito della riforma.
    Delle osservazioni del Consiglio il Governo ha tenuto considerazione, aderendo ad esse ove opportuno e ove finanziariamente possibile.
    Nel disegno di legge delega, in relazione alle esigenze di tutela penale degli interessi delle Forze armate, è stata così espressamente mantenuta la fondamentale bipartizione nei due corpi normativi fondamentali, aventi come riferimento centrale l’uno la condizione addestrativa delle Forze armate, l’altro quella operativa. Nel quadro di quest’ultima, in cui i beni giuridici tutelati sono un indispensabile strumento della coerenza dello strumento militare impegnato, lo statuto penale delle operazioni militari armate all’estero viene configurato – conformemente alla crescita della loro importanza – in termini modulati e in modo parzialmente autonomo rispetto anche alla situazione di vera e propria guerra o conflitto armato, non solo per quanto riguarda la selezione dei precetti da congruamente invocare al riguardo, ma anche con opportuna modulazione e gradazione delle sanzioni. Si va, cioè dalla situazione estrema – quella della vera e propria guerra difensiva – in decrescendo verso modulazioni diverse dell’uso della forza militare, sostanzialmente fino al peace keeping, in modo tale da assicurare la congruenza e la proporzionalità dell’esigenza di coesione rispetto al contesto operativo generale dell’azione militare.
    Si è comunque proceduto anzitutto alla individuazione dei beni giuridici da tutelare.
    Sotto un primo profilo, con riguardo alla tutela dei beni e degli interessi specificamente militari del servizio e della disciplina (destinati inevitabilmente a costituire il nucleo fondamentale di ogni legislazione penale militare), si è potuto verificare che, nonostante il tempo trascorso dall’emanazione dei codici, i mutamenti nella organizzazione delle Forze armate, l’affidamento a queste di nuovi compiti (articolo 1 della legge 14 novembre 2000, n. 331 - realizzazione della pace e della sicurezza in conformità alle regole del diritto internazionale, salvaguardia delle libere istituzioni, intervento in circostanze di pubbliche calamità), hanno fatto ritenere soddisfacente un mero aggiornamento, rispetto alle previsioni del 1941, senza giungere ad una rielaborazione di più vasta portata.
    In tale ambito, l’imprescindibile rilievo del principio di offensività conduce comunque ad una riconsiderazione delle fattispecie in cui la normativa vigente appare connotata da eccessivo rigore, ovvero da una dimensione del tutto formale.
    Sotto un secondo profilo, è stato verificato fino a che punto la presenza di specifici caratteri di militarità possa consentire la qualificazione, in termini di reato militare, di fatti che sono offensivi di interessi comuni (sicurezza dello Stato, persona, patrimonio, pubblica amministrazione). Al riguardo hanno assunto rilievo, ai fini di una definizione non restrittiva del concetto di reato militare, la raggiunta equiparazione delle garanzie assicurate dalla giustizia militare all’imputato militare, in termini di indipendenza del giudice ed in termini di regole processuali (oggi, la legge prevede maggiori garanzie per l’imputato militare rispetto a quello comune, come ad esempio, in tema di collegialità dei giudizi o di presupposti per l’adozione di misure cautelari), come pure la progressiva omogeneizzazione della disciplina generale del reato militare (ad esempio in tema di imputazione soggettiva, di scusabilità dell’ignoranza della legge o di ammissibilità delle sanzioni sostitutive) rispetto al reato comune.
    Inoltre, non è apparso indifferente, nell’ottica della individuazione del concetto di reato militare, verificare gli interventi sulla parte generale dei codici penali militari (così con riguardo al sistema sanzionatorio, al sistema delle scriminanti e delle circostanze, alla previsione di specifiche cause di estinzione del reato e della pena), il cui esame appare in certo senso pregiudiziale rispetto alla formulazione delle scelte di parte speciale.
    Nel rivedere la parte sostanziale dei codici penali militari, il provvedimento àncora l’individuazione dei reati militari a interessi definibili come militari e come tali degni di tutela. In merito, è indubbio che molti reati comuni, in presenza di ben circostanziate ipotesi e se considerati in rapporto agli interessi militari, assumono una ulteriore offensività in grado di compromettere la salvaguardia dei valori che le Forze armate sono chiamate a tutelare, così da rendere indispensabile – nel rispetto del canone della ragionevolezza che presiede al discrezionale apprezzamento del legislatore in materia – la loro attrazione nell’ambito della giurisdizione penale militare (Corte cost. n. 42 del 1977, n. 298 del 1995). Tali valori sono da ricondurre, anzitutto, a quel valore - fine costituito - della «difesa della Patria» (articolo 52 della Costituzione), inteso come difesa da attacchi esterni, ma anche come salvaguardia delle libere istituzioni. Inoltre, se tra i compiti delle Forze armate rientrano le azioni finalizzate alla realizzazione della pace e della sicurezza (conformemente, tra l’altro, alle regole del diritto internazionale), nonchè lo svolgimento di attività specifiche in situazioni di pubbliche calamità e in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza, è chiaro che anche quei beni funzionali a tali scopi delle Forze armate devono essere tutelati. La «salvaguardia delle libere istituzioni» e lo «spirito democratico» cui deve improntarsi l’ordinamento delle Forze armate postulano una rigorosa e approfondita tutela dei valori e dei beni comunque interessanti la persona, nei confronti sia del singolo militare sia dei terzi, a contatto dei quali (cittadini e non) i militari operino, in Patria e all’estero. Soltanto attraverso il continuo e pressante richiamo alla centralità della persona, sarà possibile mantenere al centro dell’universo militare gli imprescindibili valori di democraticità, libertà, dignità e uguaglianza della persona; da qui la previsione, quali reati militari, dei reati contro la persona, nonchè di quei reati (ad esempio contro la fede pubblica e la pubblica incolumità) attraverso i quali si devono, altresì, tutelare la correttezza dei rapporti tra mondo militare e realtà civile, in cui le Forze armate sono e sempre più saranno chiamate ad operare.
    Si espone di seguito il contenuto dell’articolato.

2. - Articolo 1. – Delega al Governo

    L’articolo 1 contiene la delega legislativa al Governo per l’emanazione di uno o più decreti legislativi concernenti disposizioni modificative ed integrative del codice penale militare di pace e del codice penale militare di guerra, nonchè dell’ordinamento giudiziario militare, della legge 7 maggio 1981, n. 180, di modifica dell’ordinamento giudiziario militare di pace e della legge 30 dicembre 1988, n. 561, di istituzione del Consiglio della magistratura militare.

3. - Articolo 2. – Princìpi e criteri direttivi generali

    L’articolo 2 fissa i princìpi ed i criteri direttivi generali della delega.

    Una riforma novellistica dei codici penali militari di pace e di guerra, nonché una ridefinizione dei limiti della giurisdizione penale militare e una modifica dell’ordinamento giudiziario militare, a distanza di oltre 60 anni dalla loro emanazione, non potevano che prendere le mosse – nel prospettare i princìpi ed i criteri direttivi per il legislatore delegato - dalla necessità di adeguare la suddetta normativa ai princìpi che, in materia, si ricavano dalla Costituzione repubblicana del 1948.
    Ciò premesso, va osservato che, nella specie, la consueta generica formula, indicativa di una «conformità ai princìpi e ai valori della Costituzione della Repubblica», pur usuale e necessaria ad un tempo – e, come tale, inserita nell’articolo 2, comma 1, capoverso – non è sembrata sufficiente.
    Infatti, alcuni di questi princìpi costituzionali – senza che se ne voglia certo sostenere una maggiore valenza rispetto ad altri – sono emersi con particolare intensità negli ultimi tempi, sia dalle numerose questioni di legittimità costituzionale sollevate nei giudizi in corso davanti alla giurisdizione penale militare, sia, e soprattutto, in virtù delle pronunce della Corte delle leggi.
    Si è ritenuto, pertanto, di assegnare ad essi un risalto particolare, indicandoli espressamente: princìpi di personalità, di offensività, di sufficiente determinatezza, di colpevolezza – articolo 2, comma 1, lettera c) – e, in tema di opzione penale e depenalizzazione, quelli di proporzione e di sussidiarietà – articolo 2, comma 1, lettera d).
    Il loro evidenziarsi può richiedere appena qualche breve nota di commento, consistente nel rilevare che, prima della Costituzione, essi erano quasi ignorati e comunque trascurati o, addirittura, avversati, proprio per il loro mancato riconoscimento in una Costituzione rigida.
    Quanto ora osservato, peraltro, non toglie certo significatività agli altri, emersi subito, già da una prima lettura del testo, dopo l’entrata in vigore della Costituzione e che furono immediatamente riconosciuti, sia in sede giurisprudenziale sia dottrinale.
    Essi sono, in buona parte, propri di tutto il sistema penale, generale o speciale che sia. Riguardano, quindi, anzitutto la legge penale comune e, poi, la legge penale militare. Altri, addirittura riguardano, ancora più in generale, l’intero ordinamento giuridico.
    E nella riforma deve tenersi doveroso conto di tutti questi princìpi, pur ripartiti in questi tre gruppi: princìpi costituzionali inerenti all’intero ordinamento giuridico; princìpi costituzionali propri del sistema penale; princìpi costituzionali del sistema penale, che si sono particolarmente posti in evidenza.
    Ovviamente, appare necessario sottolineare, anzitutto, alcuni di quelli del primo gruppo.
    Numerosi princìpi, infatti, nella Costituzione o in leggi costituzionali, vincolano in generale il legislatore, pur non avendo specifico riferimento al settore penale: e sono, ad esempio, quelli, fondamentali per tutto l’ordinamento, che riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2 della Costituzione) e l’uguaglianza (articolo 3 della Costituzione) o quelli attributivi dei diritti di libertà (nelle varie forme della libertà di pensiero, di stampa, di sciopero, di riunione).
    Non meno dotati di rilievo ai nostri fini, poi – onde non si vede come si possa «costruire» oggi un nuovo sistema penale sostanziale o «rivedere» quello esistente, «novellandolo», senza rispettarli (pena la incostituzionalità della norma) – sono i princìpi relativi al grande tema delle fonti di produzione, ricavabili tutti dall’articolo 25, secondo comma, di riserva assoluta di legge statale, di irretroattività della norma penale sfavorevole, di tassatività (intesa come divieto di analogia in malam partem e, secondo qualche opinione, anche in bonam partem), di materialità (come esclusione della rilevanza penale di fatti meramente interni al soggetto).
    E ancora, quanto al tema delle possibili conseguenze giuridiche del reato, si deve certamente tener conto dei princìpi ricavabili dall’articolo 27 della Costituzione, quali quello del divieto della pena di morte (divieto esteso dalla legge 13 ottobre 1994, n. 589, anche alle violazioni delle leggi penali militari in tempo di guerra), nonchè quelli della umanizzazione, proporzionalità e tendenza rieducativa della pena.
    A questi princìpi costituzionali cardine del sistema penale vanno aggiunti, poi – nel grande quadro di riferimento – quelli, sempre riguardanti il sistema penale, ma talora, forse, meno evidenti e ricavabili da altre norme costituzionali, quali, e sia detto senza pretesa di esaustività, quelle degli articoli 10, 24, 26, 68, 75, 79, 87, 90, 96 e 101 della Costituzione.
    Ciò premesso, non può non riconoscersi che soprattutto i quattro princìpi sopra indicati, ossia quelli di personalità, offensività, sufficiente determinatezza e colpevolezza (ed ancora, come si vedrà più avanti, quelli di proporzione e di sussidiarietà), siano stati tenuti presenti nella stesura del presente disegno di legge per la esistenza di varie norme dei codici penali militari che aprono rischiose prospettive di responsabilità per fatto altrui, per fatto inoffensivo, per fatto indeterminato e, quindi, non riconoscibile dalla previsione astratta (o, il che in definitiva è lo stesso, ricostruibile con particolare difficoltà), o per fatto non richiedente nè dolo nè colpa ed attribuito a mero titolo di responsabilità oggettiva.
    Pur se, dal punto di vista quantitativo, tali princìpi non abbiano dato luogo ad un rilevante numero di sentenze costituzionali, non si può certo dimenticare, in particolare, quanto al principio di colpevolezza, la sentenza costituzionale del 20 febbraio 1995, n. 61, relativa all’articolo 39 del codice penale militare di pace ed affermativa dell’efficacia scusante della ignoranza inevitabile dei doveri inerenti allo stato militare; sentenza costituente lo sviluppo ulteriore della storica sentenza costituzionale n. 364 del 1988, relativa all’articolo 5 del codice penale comune. E, del pari, non può omettersi di ricordare la sentenza costituzionale n. 2 del 1991, relativa all’articolo 233, primo comma, n. 1), del codice penale militare di pace, in tema di furto militare d’uso con mancata restituzione della cosa sottratta, dovuta a caso fortuito o forza maggiore; costituente, questa volta, ulteriore sviluppo della sentenza n. 1085 del 1988 (anch’essa collegata alla storica sentenza costituzionale n. 364 del 1988).
    Le ipotesi di reato in cui la responsabilità penale derivi da fatti altrui, indeterminati, inoffensivi o incolpevoli, restano puntualmente precluse da quei princìpi costituzionali; e la Corte delle leggi lo ha, appunto, varie volte già affermato.
    Come già accennato, nel quadro emergente dalla necessità di uniformare il diritto penale militare ai princìpi costituzionali del sistema penale, occorre tener conto di un altro aspetto di particolare rilievo: della possibile previsione di nuove figure di reato militare, o, al contrario, della depenalizzazione.
    In tale prospettiva, si muove il richiamo, di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d), del disegno di legge, dei due princìpi di proporzione e di sussidiarietà: princìpi che segnalano, il primo, la necessità di uno specifico aspetto dell’interesse da proteggere penalmente e di una particolare gravità dell’offesa da sanzionare (danno o pericolo concreto); il secondo, l’insufficienza delle sanzioni non penali al fine di impedire il fatto stesso.
    Essi sono, entrambi, ricavati da norme della Costituzione: e, precisamente, il primo, dall’articolo 27, terzo comma, nella parte in cui assegna alla sanzione penale funzione rieducativa e, come tale, proporzionata alla gravità del fatto; e il secondo dall’articolo 13, secondo comma, della Costituzione, che consente di ricorrere alla limitazione della libertà personale (e tale è sempre, direttamente o indirettamente – attesa la convertibilità – il contenuto afflittivo della sanzione penale) solo come extrema ratio.
    In tali princìpi, sono da ritrovare le linee guida per le scelte legislative sulla previsione di un fatto come reato o solo come illecito amministrativo (e, quindi, anche per le scelte sulla depenalizzazione).
    E da tali princìpi sono stati ricavati i riferimenti nelle ipotesi in cui si è trattato di scegliere se proporre di conservare figure di reato o lasciare il campo alla depenalizzazione.
    È stato, in particolare, necessario costruire, in relazione alle varie fattispecie, un concetto di reato militare incentrato sull’offesa ad un concreto bene o interesse giuridico, piuttosto che sulla mera violazione di un dovere incombente sul militare, secondo l’impostazione che fu propria dei compilatori degli attuali codici. Necessità scaturente dalla stessa esigenza di fissare un sistema conforme alle norme ed allo spirito della Costituzione, che pone come direttrice fondamentale di politica legislativa penale il principio di offensività del reato. Tale necessità ha imposto la previa individuazione delle fondamentali categorie di oggettività giuridiche bisognevoli di tutela, costituendo le stesse il vero e proprio supporto del principio di offensività.
    I codici penali militari del 1941 erano basati sul principio della tutela di doveri giuridici, mentre la tutela del bene o interesse giuridico rimaneva in secondo piano. Tale prospettiva non è più attuale, poichè il concetto di dovere, in una visione realistica del bene giuridico, non è rispettoso del principio di offensività.
    Sulla base di tali valutazioni, si è tentato di giungere ad una costruzione del reato militare incentrato sul principio di offensività, allo scopo di identificare i beni giuridici da tutelare. Per assolvere ad una funzione autenticamente di garanzia, questi beni non potevano che essere mutuati, come avanti esposto, da quei valori, pur preesistenti alla norma penale, ma presenti nella Costituzione o, al più, desumibili dalla realtà delle Forze armate nell’attuale contesto storico.
    Per ricordare qui, a modo di esempio, solo uno di tali casi, basta far riferimento al reato di violata consegna (articoli 118 e seguenti c.p.m.p.) per il quale si dovrebbe inserire, nella descrizione del fatto, il requisito di danno o pericolo concreto che giustifichi la rilevanza penale (nel rispetto, appunto, del principio di proporzione e, al tempo stesso, di quello di offensività) riguardo alle ipotesi in cui quel requisito difetti, ipotesi da lasciare all’area dell’illecito amministrativo-disciplinare.
    È di grande interesse segnalare, a completamento del quadro, anche quali siano i princìpi costituzionali sulla cui base, in concreto, sono state emesse negli ultimi dieci anni pronunce di incostituzionalità di norme contenute nelle leggi penali militari sostanziali o processuali.
    Ne resta puntualmente confermato, infatti, il panorama sopra delineato e, quindi, il bisogno di uniformare ad essi la «novellazione» del sistema.
    E così, dalle sentenze costituzionali emerge il particolare rilievo assunto nel «diritto vivente» degli ultimi dieci anni, appunto, dagli articoli 3 (uguaglianza e ragionevolezza), 13 (libertà personale), 17 (libertà di riunione), 21 (libertà di manifestazione del pensiero), 24 (diritto alla difesa), 25 (divieto di sottrarre l’imputato al giudice naturale; irretroattività della legge penale), 27, terzo comma (funzione rieducativa della sanzione penale), 31 (tutela della famiglia), 32 (diritto alla salute), 52 (dovere di difesa della Patria; democraticità delle Forze armate), 103, terzo comma (giurisdizione penale militare), 108 (indipendenza della magistratura).
    Come già ricordato, l’adeguamento della normativa da «novellare» concerne non soltanto le norme di diritto sostanziale, ma anche quelle processuali, nonchè quelle dell’ordinamento giudiziario militare.
    Ora, quanto a tali settori normativi, i princìpi costituzionali ai quali fare riferimento sono del pari numerosi, anche se in misura minore (alcuni risultano già dal panorama giurisprudenziale delineato in precedenza), rispetto a quelli relativi al diritto sostanziale.
    E vanno, per ricordarne solo alcuni, dagli articoli 11, 24, 25, primo comma, 103, terzo comma, e 111 della Costituzione, alla VI delle Disposizioni transitorie e finali della stessa. Norme, queste, nel cui ambito, rispettivamente, vengono in rilievo, tra l’altro, i princìpi della difesa, del giudice naturale, dell’indipendenza del giudice, del giusto processo, del contraddittorio.
    All’articolo 2, comma 1, lettera a), del disegno di legge viene previsto l’obbligo di adeguare la legge penale militare agli obblighi nascenti per l’Italia dal diritto internazionale umanitario, con richiamo esplicito alla necessità di dare attuazione allo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, limitatamente alla disciplina penale e alla punizione dei fatti corrispondenti ai crimini di guerra.
    La successiva lettera b) prevede l’adeguamento del Codice penale militare di guerra in riferimento ai conflitti armati o alle operazioni militari all’estero, con particolare riguardo alle missioni di pace affidate alle Forze armate.
    La lettera e) prevede, infine, che il legislatore riveda e armonizzi la misura delle sanzioni stabilite per i singoli reati, tenuto conto della rilevanza dei beni giuridici offesi, delle modalità di aggressione, nonché del rapporto sistematico con analoghe fattispecie previste dalla legge penale comune.

4. - Articolo 3. – Modifiche al codice penale militare di pace

    L’articolo 3 reca i princìpi e criteri direttivi per le modificazioni del codice penale militare di pace.
4.1. – Parte generale

    Quanto alla parte generale, viene prevista l’eliminazione di ogni deroga ai princìpi stabiliti dalla legge penale comune, che non debba ritenersi giustificata dalla necessità di una disciplina speciale del reato militare.

4.1.1. – Pene militari

    L’attuale sistema delle pene militari, disciplinato dagli articoli 22 e seguenti c.p.m.p., si fonda sia su pene speciali militari sia sulla utilizzazione di talune pene comuni.

    Originariamente, le pene speciali erano costituite dalla pena di morte e dalla reclusione militare, mentre le pene comuni erano quelle dell’ergastolo e della reclusione comune.
    Dopo l’abolizione definitiva della pena di morte, disposta anche per il c.p.m.g. e per le leggi militari di guerra con legge 13 ottobre 1994, n. 589, è residuata, come pena militare vera e propria, solo la reclusione militare.
    Essa si caratterizza come una pena autonoma, dotata di autonoma disciplina giuridica, sia per le modalità esecutive, sia per gli effetti ad essa collegati.
    A norma dell’articolo 26, primo comma, c.p.m.p., la reclusione militare viene, infatti, scontata in uno speciale stabilimento militare di pena, con l’obbligo del lavoro, secondo le norme stabilite dalla legge o dai regolamenti militari approvati con decreto del Presidente della Repubblica. Non è previsto l’isolamento notturno, imposto, invece, per la reclusione comune, dall’articolo 23 c.p. e ad essa non accedono le pene accessorie comuni previste dagli articoli 28 e segg. c.p., ma diverse e specifiche pene militari accessorie. Disponendo che la pena militare deve essere espiata in uno stabilimento militare di pena, il legislatore ha inteso perseguire un triplice scopo: in primo luogo, ha tenuto separati i detenuti militari da quelli comuni; in secondo luogo, ha voluto far sì che il militare rimanesse sempre in ambiente militare ed assoggettato alla legge penale militare ed alla disciplina militare; infine, ha voluto specificatamente che, in aggiunta ai comuni mezzi di rieducazione (lavoro, istruzione, e così via), venissero espletati anche quelli tipicamente militari, consistenti nell’istruzione militare e nell’addestramento militare, idonei ad assicurare, oltre al reinserimento sociale del condannato, l’attitudine alla ripresa del servizio militare. Va, inoltre, evidenziato che il militare condannato in espiazione di pena è un militare considerato in servizio alle armi (articolo 5 c.p.m.p.).
    Ciò premesso, il disegno di legge prevede, anzitutto, il mantenimento della reclusione militare come pena autonoma rispetto alla reclusione comune, in considerazione delle peculiari caratteristiche sopra evidenziate. Si intende proporre, inoltre, una nuova disciplina delle modalità di esecuzione della reclusione militare, secondo criteri idonei ad assicurare, oltre al reinserimento sociale del condannato, una più spiccata attitudine alla ripresa del servizio militare, con la definizione di norme di raccordo fra le leggi di ordinamento penitenziario e quelle di ordinamento penitenziario militare.
    Si è ritenuto, anche, di mantenere l’attuale previsione secondo cui la reclusione militare può essere inflitta anche per reati puniti con pena superiore nel massimo a cinque anni, così che, in nessun modo, può operare la pena accessoria della degradazione.
    Se ne deduce che, per certi reati militari, anche la condanna a pena detentiva avente una durata superiore a cinque anni, non determina una «indegnità militare» e non rende, quindi, la detenzione militare incompatibile con il mantenimento della qualità di militare.
    È stato, invece, ritenuto opportuno diminuire da trenta giorni a quindici giorni il minimo previsto per la reclusione militare (equiparandolo a quello previsto per la reclusione comune), considerato che non sussiste più alcun motivo per mantenere una diversa misura. È da rilevare, al riguardo, che l’elevazione a tale maggiore livello di un mese fu motivata con l’opportunità di assicurare una corrispondenza con la misura delle sanzioni detentive disciplinari, ugualmente fissata ad un mese. A prescindere dal rilievo che tale corrispondenza non può, oggi, essere considerata valida, va rilevato che, attualmente, la misura massima prevista per l’inflizione della consegna di rigore, che è la più grave delle sanzioni disciplinari militari di corpo, non supera il limite di quindici giorni (articolo 14 della legge 11 luglio 1978, n. 382). Non vi è, perciò, alcuna ragione per mantenere un minimo edittale della reclusione militare diverso da quello previsto per la reclusione comune. Vi è, poi, da considerare che, ai sensi dell’articolo 63, n. 3, c.p.m.p., la stessa reclusione militare può essere applicata, in sostituzione della reclusione inflitta per reati comuni, anche per periodi inferiori ad un mese.
    Non dovendosi più ritenere sussistenti le condizioni ostative all’inserimento della pena della multa fra le pene militari (opportunità di non creare motivi discriminatori fra soggetti dotati di maggiore capacità patrimoniale e quelli privi di beni personali), si è ritenuto di dover inserire anche la multa fra le pene comuni applicabili ai reati militari.
    In tema di pene accessorie militari, non sono state, anzitutto, ritenute necessarie modifiche alla attuale disciplina della degradazione.
    Per quanto concerne la rimozione – che è pena accessoria del tutto originale e coerente con specifiche esigenze del consorzio militare, consistenti nell’assicurare la prosecuzione della prestazione del servizio militare, nella posizione di militare di ultima classe, anche da parte dei militari che, a cagione del reato commesso, si siano rivelati indegni di continuare a ricoprire il grado posseduto – la funzione di tale istituto sembra ancorata, soprattutto, alle situazioni in cui è applicabile la legge penale di guerra, dato che, in tempo di pace, appare difficile immaginare la prosecuzione del servizio militare, come semplice soldato o militare di ultima classe, da parte dei militari che, anteriormente alla condanna, rivestivano un grado. Tale considerazione è, soprattutto, valida con riguardo alla imminente professionalizzazione delle Forze armate, in cui l’attribuzione di un grado è, comunque, connessa alla instaurazione di un rapporto di impiego.
    Nonostante tali osservazioni, è sembrata opportuna la conservazione di pena accessoria in esame, la cui applicazione è oggi prevista a seguito di condanne alla reclusione militare per un tempo superiore a tre anni.
    La individuazione di specifiche ipotesi di reato che rendano obbligatoria la rimozione (per reati comuni: articolo 33, n. 2, c.p.m.p.), ovvero che ne impongano l’applicazione automatica desta particolare perplessità, perchè non consente, nè al giudice, nè alla amministrazione militare, una valutazione in concreto di proporzione e congruità fra la gravità della condanna irrogata e l’effetto, particolarmente incisivo sullo stato giuridico del militare, della pena accessoria. È sembrato, pertanto, opportuno limitare l’applicazione della rimozione soltanto alle ipotesi di reati di particolare gravità.
    Con riferimento alla sospensione dell’impiego ed alla sospensione dal grado, è stato ritenuto opportuno rendere omogenea la disciplina di cui agli articoli 30 e 31 c.p.m.p., che differenzia la posizione degli ufficiali rispetto a quella dei sottufficiali e graduati di truppa.
    Va, inoltre, introdotta, anche per i reati militari, la pena accessoria della «estinzione del rapporto di lavoro o di impiego» (articolo 32-quinquies c.p.).
    Quanto alla pena di morte, va notato che, in attuazione della chiara volontà espressa dal legislatore con la legge 13 ottobre 1994, n. 589, essa va esclusa dalle pene militari principali, e conseguentemente, vanno abrogate tutte le disposizioni contenute nel codice di pace relative alla sua applicazione ed alla sua esecuzione.

4.1.2. – Sanzioni sostitutive

    Il capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, prevede la possibilità di sostiture la pena detentiva breve con sanzioni sostitutive.

    Appare evidente l’impossibilità di adottare le sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata ai militari in servizio. Infatti, per entrambe le sanzioni è previsto il divieto di detenere «a qualsiasi titolo» armi, esplosivi e munizioni, mentre a tale divieto si aggiunge, per quanto concerne la semidetenzione, l’obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno in istituti di pena situati nel comune di residenza del condannato o in un comune viciniore e, per quanto riguarda la libertà controllata, l’obbligo di presentarsi una volta al giorno presso il locale ufficio di pubblica sicurezza, o, in mancanza, presso il locale comando dell’Arma dei carabinieri.
    I suddetti obblighi colpirebbero in maniera talmente incisiva l’attività del militare, da impedirne l’assolvimento dei compiti di servizio. La Corte costituzionale, con sentenza n. 284 del 29 giugno 1995, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 53 della citata legge n. 689 del 1981, nella parte in cui non prevede l’applicabilità delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi ai reati militari.
    Ma tale sentenza inserisce nel dispositivo il seguente inciso: «Secondo i princìpi di cui in motivazione», sicchè entra a far parte del dispositivo anche la motivazione, almeno nei suoi princìpi informatori. In particolare, si legge in motivazione:
    «Senonchè, ferma restando la caducazione della norma censurata e la conseguente applicabilità anche ai reati militari delle sanzioni sostitutive – secondo le modalità che verranno definite dal legislatore e nei limiti di pena stabiliti dall’articolo 53, primo, secondo e quarto comma, della legge n. 689 del 1981 – residua l’esigenza di comporre le antinomie emergenti tra il sistema dettato dalla legge di modifiche al sistema penale e le particolari categorie di soggetti nei confronti dei quali le ulteriori norme della legge n. 689 del 1981 devono essere applicate. Con la conseguenza che gli altri precetti della stessa legge che dettino prescrizioni in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi saranno riferibili anche ai reati militari, alla condizione che esse non risultino incompatibili con la posizione soggettiva del condannato. Rimane riservato al legislatore, nel rispetto del principio di ragionevolezza e degli altri princìpi costituzionali, il compito di apprestare una disciplina che adegui il regime delle sanzioni sostitutive sia alle peculiari finalità rieducative della pena militare sia al particolare status del condannato. Un intervento divenuto ormai davvero indifferibile anche in vista di non determinare, in conseguenza del vuoto normativo, una nuova disparità di trattamento, questa volta a favore dei militari e non certo addebitabile al decisum della Corte».
    Poichè la stessa Corte costituzionale ha ribadito la necessità di sanzioni sostitutive compatibili con lo status di militare in casi di condanna a pene superiori ai tre mesi e comprese entro l’anno, è sembrato pertanto opportuno prevedere per il militare professionista o per quello di leva ancora in servizio al momento della condanna, specifiche sanzioni sostitutive diverse dalla semidetenzione e dalla libertà controllata previste dall’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, da eseguirsi presso reparti militari e tali da essere compatibili con lo stato del militare e con le esigenze del servizio militare.

4.1.3. – Reato militare

    Il disegno di legge non interviene sull’articolo 37 c.p.m.p. che, com’è noto, fornisce una definizione assolutamente formale del reato militare. Viene, invece, prevista l’abrogazione dell’articolo 38 c.p.m.p. perchè la funzione normativa, svolta dalla norma come base di legittimazione della particolare potestà disciplinare è venuta meno, tenuto conto che nel frattempo la potestà disciplinare ha trovato espressa previsione nelle «Norme di principio sulla disciplina militare» di cui alla legge 11 luglio 1978, n. 382, e nel relativo «Regolamento di disciplina militare», di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1986, n. 545. A favore di una abrogazione della disposizione in esame intervengono altre considerazioni, quali l’inopportunità di mantenere in un codice penale una norma che si riferisce a fatti non penali e che perpetuerebbe la vecchia concezione, non più sostenibile, secondo cui la repressione penale militare sarebbe una specie di continuazione dell’azione di comando e per la quale tra illecito penale ed illecito disciplinare vi sarebbe solo una differenza quantitativa.

    Si prevede, inoltre, l’abrogazione dell’articolo 39 c.p.m.p. La norma è storicamente fondata sulla necessità di garantire, in un contesto di esercito di massa e di coscritti, un regolare e tempestivo afflusso delle reclute ai reparti di assegnazione. Si volle, pertanto, da parte del legislatore del 1941 «togliere ogni difficoltà in materia di prova della effettiva conoscenza dei manifesti di chiamata». Una finalità, dunque, ben circoscritta al luogo ed al tempo della presentazione alle armi, ma che la formulazione assai generale della norma in questione ha esteso ben al di là, sino a fare dell’articolo 39 una eccessiva ed indebita deroga a tutto l’articolo 47 c.p. In altri termini la disposizione dilata in maniera eccessiva per il militare il «dovere di conoscenza» non limitandolo ai soli doveri imposti per legge. D’altra parte, una sua limitazione ai soli doveri scaturenti da leggi, lo renderebbe inutile, in quanto la rilevanza dell’errore su legge extrapenale è già disciplinata dall’articolo 47, ultimo comma, c.p.

4.1.4. – Cause di giustificazione

    In tema di cause di giustificazione il disegno di legge prevede esplicitamente, per i reati militari ed in luogo dell’articolo 51 c.p., la causa di giustificazione speciale costituita dall’esercizio di un diritto o adempimento di un dovere, escludendo dalla relativa area di operatività l’esecuzione di un ordine costituente manifestamente reato o manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato. Già l’abrogato articolo 40 c.p.m.p. conteneva, all’ultimo comma, una disposizione molto precisa ed integratrice della norma comune di cui all’articolo 51, ultimo comma, c.p., per la quale «non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine». Con tale disposizione, speciale e cronologicamente successiva, si chiariva l’ambito del sindacato da parte del militare che non doveva limitarsi a verificare la legittimità solo formale dell’ordine (competenza del dante causa, competenza dell’esecutore, attinenza al servizio ed alla disciplina) ma riguardava anche un profilo di legittimità sostanziale, in quanto il militare non può addurre la scriminante dell’aver adempiuto ad un ordine del superiore «quando l’esecuzione di questo costituisca manifestamente reato».

    Non si è intervenuti, poi, sulla scriminante speciale prevista dall’articolo 41 c.p.m.p. («Uso legittimo delle armi»), soprattutto perchè la corrispondente esimente comune ex articolo 53 c.p., limitata ai pubblici ufficiali, non si applicherebbe al militare privo di tale qualifica.
    Peraltro, ed in coerenza con quanto disposto dal legislatore comune in riferimento ad ipotesi delittuose particolarmente gravi (articolo 14 della legge 22 maggio 1975, n. 152), se ne propone una integrazione, nel senso di estendere la operatività alla necessità di impedire la consumazione dei reati previsti dalla corrispondente scriminante comune e di reati militari di particolare gravità.
    Ancora va esplicitato che la disposizione in parola si applica all’estraneo alle Forze armate che, legalmente richiesto dal militare, gli presti assistenza.
    Quanto alla legittima difesa, il legislatore del 1941 aveva previsto che, «per i reati militari, in luogo dell’articolo 52 del codice penale», dovesse andar configurata una diversa e più ristretta forma di legittima difesa (articolo 42 c.p.m.p.), diversa e più circoscritta sotto due profili: in primo luogo, perchè limitata alla tutela della propria o dell’altrui incolumità o integrità fisica (con esclusione, quindi, dei beni patrimoniali); in secondo luogo perchè esclude la punibilità di chi ha commesso un fatto costituente reato militare solo in presenza di una violenza attuale ed ingiusta, laddove per la corrispondente norma comune (articolo 52) è sufficiente il pericolo attuale.
    Peraltro, e come per effetto di un ripensamento, al comma 2, si ammettevano dei casi specifici di legittima difesa patrimoniale, capaci di scriminare il militare che, in tali contesti, avesse commesso un fatto di insubordinazione o di abuso di autorità.
    La vigente disciplina cosi gravemente derogatoria in peius rispetto a quella comune non sembra in alcun modo giustificata, specie una volta che si sia riconosciuto come il militare sia non solo destinatario di doveri, ma anche titolare di diritti.
    Viene, pertanto, prevista l’abrogazione dell’articolo 42 c.p.m.p.
    Viene anche prevista l’abrogazione dell’articolo 46 c.p.m.p. («Pena per il delitto tentato») in quanto non più attuale nei suoi nn. 1 e 2, stante l’avvenuta eliminazione dal nostro ordinamento della pena di morte, ed inutile nei suoi numeri 3 e 4, perché assolutamente ripetitivi della disciplina comune (articolo 56 c.p.).

4.1.5. – Circostanze del reato militare

    In tema di aggravanti comuni del reato militare di cui all’articolo 47 c.p.m.p., il disegno di legge prevede la modifica dell’articolo 47, primo comma, n. 2.

    L’attuale formulazione dell’aggravante de qua, e cioè «l’essere il militare colpevole rivestito di un grado o investito di un comando» è apparsa infatti eccessiva, soprattutto nella prospettiva del nuovo modello «professionale» cui vanno orientandosi le nostre Forze armate, secondo il quale tutti i militari, o quasi tutti, rivestiranno un grado.
    Gli articoli 50, 51 e 52 c.p.m.p. sono da abrogare, perchè rispettivamente ripetitivi degli articoli 64, 65, 66 e 67 c.p.

4.1.6. – Concorso di reati

    Gli articoli 53 e 54 sono da abrogare con una generale e finale norma di chiusura relativa a tutte le ipotesi di applicazione della pena di morte. L’articolo 56 è ugualmente da abrogare perchè ripetitivo della disposizione comune di cui all’articolo 78 c.p.

4.1.7. – Recidiva

    L’articolo 57 deve essere abrogato. La ratio della norma risiede, infatti, nella originaria differente disciplina di diritto comune che sanciva il carattere obbligatorio della recidiva. Il legislatore militare, atteso il minore allarme sociale destato dai reati esclusivamente militari, aveva opportunamente stabilito la facoltatività della recidiva fra reati preveduti dalla legge penale comune e reati esclusivamente militari. Attualmente, stante il generale carattere facoltativo della recidiva anche nella disciplina comune, la norma speciale in parola non ha più alcuna utilità pratica. Naturalmente, ove il legislatore penale comune dovesse – ad alcuni limitati effetti – ristabilire la obbligatorietà della recidiva, occorrerebbe un intervento di coordinamento con la legislazione penale militare.

4.1.8. – Concorso di persone nel reato

    L’articolo 58, secondo comma c.p.m.p., è da abrogare, perchè norma eccessivamente severa, in quanto l’automatica rimozione, come effetto necessario di una subita condanna a pena detentiva, comporterebbe per il superiore, qualora provvisto di un rapporto di impiego, la perdita dello stesso.

4.1.9. – Estinzione del reato militare e della pena militare

    In tema di estinzione del reato militare e della pena militare, vanno senz’altro abrogati il secondo comma dell’articolo 66 c.p.m.p., per la parte relativa all’equiparazione della pena di morte, nonchè l’articolo 67 c.p.m.p., per il suo riferimento alla pena capitale.

    Considerato che, per i reati di diserzione e di mancanza alla chiamata, l’attuale primo comma dell’articolo 68 c.p.m.p. prevede, per la prescrizione dei reati e per l’estinzione della pena per decorso del tempo, disposizioni speciali, quanto alla decorrenza del termine, e considerato, altresì, che detta norma era dettata dal particolare ordinamento delle Forze armate, strutturato in maniera preponderante sulla leva obbligatoria, si impongono nel diverso ordinamento a base professionale, ed in presenza di modelli fondati su «ferme» a scadenza variabile, norme generali più adeguate. È, infatti, manifestamente non corrispondente ai tempi attuali il principio secondo cui il termine prescrizionale decorre, «se l’assenza perduri, dal giorno in cui il militare ha compiuto l’età per la quale cessa in modo assoluto l’obbligo dal servizio militare, a norma delle leggi sul reclutamento».
    Stante la mancanza nelle attuali circostanze di tempo di una più calibrata ed aggiornata disciplina di stato sui militari, il disegno di legge prevede l’adeguamento delle disposizioni speciali in materia di prescrizione, per i reati di mancanza alla chiamata e diserzione, al nuovo sistema di reclutamento delle Forze armate.
    La disciplina speciale, dettata dall’articolo 70 c.p.m.p., che consente il beneficio della non menzione della condanna nel casellario in caso di prima condanna alla pena della reclusione militare non superiore a tre anni, laddove la disciplina comune fissa il limite di due anni, è stata ritenuta norma di favore ingiustificato, data la sua generale applicabilità a qualsiasi reato militare. È stato previsto, pertanto, di mantenere tale deroga solo per i reati esclusivamente militari, tenuto conto del minor allarme sociale e della limitata offensività di tali reati per le esigenze dello strumento militare. Si è, peraltro, considerato che in un codice penale militare novellato nei termini della presente delega con il richiamo ed inserimento, attraverso clausole di militarizzazione, di numerose fattispecie delittuose comuni, quella deroga, nella sua valenza assolutamente generalizzata, estensibile anche per questi reati, si confermerebbe come una disposizione speciale di privilegio ingiustificata.
    Il secondo comma dello stesso articolo 70 deve essere abrogato, perchè esso non ha più alcuna utilità, dal momento che anche la contraria disposizione dettata dall’ultimo comma dell’articolo 175 del codice penale è stata abrogata dall’articolo 7 della legge 7 febbraio 1990, n. 19.
    L’articolo 71 c.p.m.p. («Liberazione condizionale») è norma da abrogare, perchè essa implica un trattamento di sfavore per il condannato a pena militare detentiva che può essere ammesso alla liberazione condizionale «se il rimanente della pena non supera tre anni», laddove, per il condannato a pena detentiva comune, «il rimanente della pena non superi i cinque anni» (articolo 176, primo comma, del c.p.): disposizione speciale peggiorativa che non appare assolutamente giustificata.
    Quanto alla riabilitazione militare considerata nell’articolo 72, si prevede una modifica nel senso che la riabilitazione militare è disposta dal giudice militare secondo la disciplina prevista dalla legge penale comune. Non appare, infatti, giustificato che, per l’estinzione delle pene militari accessorie e di ogni altro effetto penale militare occorra, dapprima e come presupposto, ottenere la riabilitazione ordinata a norma della legge penale comune e, successivamente, la riabilitazione militare «conceduta nei modi stabiliti dalla legge penale militare». Detta disciplina appare criticabile perchè comporta un ingiustificato doppio giudizio riabilitativo, prima dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria e poi dinanzi all’autorità giudiziaria militare.

4.1.10. – Misure amministrative di sicurezza

    Il dibattito già presente in dottrina sull’integrale applicabilità dei medesimi criteri di pericolosità sociale anche ai reati esclusivamente militari è stato risolto con la sostanziale conferma delle previsioni attuali del codice, già ispirate, fin dal 1941, al criterio dell’integrazione della legge penale militare in quella comune.

    Ovviamente, la concreta formulazione delle norme richiede adeguamenti formali, ma non sostanziali, ivi inclusa la previsione dell’articolo 76 c.p.m.p., che prevede la sospensione dell’esecuzione di talune misure amministrative di sicurezza durante il servizio militare: infatti, a parte ogni considerazione sulla difficile compatibilità di tali misure con l’efficace svolgimento del servizio, le stesse esigenze di vigilanza sulla condotta personale sono più che adeguatamente assicurate dalla natura della prestazione del servizio militare stesso.

4.2. – Reati contro la fedeltà e la difesa militare

    Il titolo I, libro II, del c.p.m.p. è posto a tutela dei beni supremi che fanno capo alle Forze armate e che qualificano lo status del militare. Tuttavia, quanto al reale contenuto delle norme incriminatrici esso corrisponde, in maniera pressochè completa, con l’area già penalizzata dalle norme incriminatrici relative ai delitti contro la personalità dello Stato nel codice comune.

    Emblematico, al riguardo, il delitto di «alto tradimento» con cui il titolo si apre. Qui, il legislatore si limita a richiamare specificamente le disposizioni del codice penale a cui intende riferirsi, sostituendo il «chiunque» con il «militare» quale soggetto attivo, e prevedendo, come conseguenza di questa specificazione, il generalizzato aumento di un terzo della pena detentiva prevista nella norma richiamata. Si tratta, peraltro, di un aumento sanzionatorio non sempre concretamente operante, dato che una parte delle norme richiamate già commina la massima delle pene detentive (l’aumento vale solo per gli articoli 277, 283, 284, secondo comma, 288, 289).
    Altre volte, il legislatore militare non richiama espressamente la norma comune, ma ne riproduce pedissequamente il contenuto (ad esempio articoli 81, 82, 83 c.p.m.p., in relazione agli articoli 290, 291, 292 del c.p.), sempre al fine di un aumento sanzionatorio correlato alla specificazione del soggetto attivo.
    Altre volte ancora, addirittura, la specificazione militare del soggetto attivo e dell’oggetto materiale della condotta non determina neppure alcuna conseguenza sulla comminatoria penale: è il caso, nella materia del segreto militare, degli articoli 86, 88, 89, 90, primo comma, numeri 2, 3 e 4, 91 e 93 c.p.m.p., corrispondenti agli articoli 256, 257, 258, 260, primo comma, numeri 1, 2 e 3, 261 e 262 c.p.
    Il disegno di legge non apporta modificazioni rilevanti alla materia e conferma il sostanziale parallelismo tra reati contro la fedeltà e la difesa militare e reati contro la personalità dello Stato, limitando il proprio intervento alla razionalizzazione e all’aggiornamento della materia.
    Sulla premessa che la trasformazione del bene comune «personalità dello Stato» nel bene militare «fedeltà e difesa» avvenga per il solo fatto della qualità militare del soggetto attivo, il disegno di legge prevede l’automatica «militarizzazione» del reato comune, qualora realizzato dal militare; ha collegato un uniforme incremento del carico sanzionatorio a note che ulteriormente qualifichino il salto di qualità dell’offesa: la commissione del fatto con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti la qualità o la disciplina militare, ovvero riguardanti la prestazione di servizio, da un lato, la commissione del fatto in territorio estero nel corso di una operazione militare armata svolta dalle Forze armate italiane, ovvero il pregiudizio dell’esito di tale operazione, dall’altro. Si tratta di note tipiche che imprimono al fatto un sensibile contrassegno militare, capaci di determinare la più elevata comminatoria, anche alla luce dei rilievi formulati di recente nella specifica materia dalla Corte costituzionale (sentenza n. 531 del 15 novembre 2000).
    In particolare, la materia del segreto militare risulta disciplinata sul presupposto che tale concetto rappresenti una parte della nozione di segreto di Stato, alla stregua della definizione offerta dall’articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e che il militare commetta reato militare, anche quando riveli o si procacci notizie segrete non di tipo militare. In proposito, si ritiene che la differenza emergente nella formulazione delle norme sullo spionaggio del codice penale militare, rispetto a quelle corrispondenti nel codice comune, in relazione alla specifica direzione spionistica della condotta tipica (lo «scopo di spionaggio» compare solo nella rubrica degli articoli a differenza che nel codice comune, ove va a comporre anche la fattispecie criminosa), non comporti alcuna sostanziale diversità nella effettiva portata incriminatrice delle norme stesse.
    Si è deciso di abrogare, inoltre, la discussa norma di cui all’articolo 96, che prevede che il fine di favorire lo Stato italiano non esclude la punibilità del colpevole, dando luogo eventualmente soltanto a una circostanza attenuante; la Commissione, infatti, non ha ravvisato ragioni per discostarsi sul punto dalla regolamentazione del codice comune, la quale, tacendo sul punto, non pone limiti alla pienezza dell’accertamento e della valutazione giudiziale del fatto.

4.3. – Reati contro il servizio militare

    In merito al titolo II del c.p.m.p., il disegno di legge interviene sui reati di omessa presentazione in servizio, abbandono di posto e violazione di consegna. Premesso che già sul dettato dell’articolo 122 (violata consegna da parte di militare preposto di guardia a cosa determinata) la Corte costituzionale, con sentenza in data 15 giugno 1992, n. 299, ha rilevato l’illegittimità costituzionale, si intende procedere ora ad un riassetto normativo che meglio tenga conto delle caratteristiche generali della norma penale, piuttosto che conservare l’attuale sistemazione che evidenzia una sorta di suddivisione dello schema normativo in previsioni sempre più ridotte e ripetitive.

    Gli articoli di cui trattasi sono posti a tutela non solo della mera finalità del servizio militare, nella sua accezione più larga, ma, piuttosto, delle modalità di esecuzione dello stesso, dalle quali non è dato discostarsi neppure per conseguire un supposto, migliore esito positivo.
    Nelle varie ipotesi che, tecnicamente, vengono anche configurate come reati contro il «servizio nel servizio», vi è la presenza di un soggetto attivo, e cioè di un militare di sentinella, vedetta o scolta o semplicemente di guardia o di servizio, e un servizio determinato e specifico, regolato da consegna, a cui il primo è comandato.
    Per la realizzazione di uno degli indicati reati, si richiede che il militare, comandato per un servizio regolato da consegne, disattenda le prescrizioni ed i comportamenti costituenti le modalità esecutive del servizio stesso.
    La violazione della consegna costituisce, quindi, nella sua accezione più varia, un elemento determinante.
    L’articolo 26 del regolamento di disciplina militare di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986, stabilisce, al riguardo, che «la consegna è costituita dalle prescrizioni generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali impartite per l’adempimento di un particolare servizio».
    In tale quadro di riferimento, il disegno di legge intende operare un riallineamento sistematico dei reati in questione e, senza apportare in realtà cambiamenti sostanziali, mira a ridefinire, in modo chiaro e semplice, le varie ipotesi che risentono del tempo e del momento storico-culturale nel quale furono scritte, evitando così frammentazioni e sovrapposizione.
    Nello svolgere tale operazione, non può non tenersi conto delle argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 263 del 6 luglio 2000, in cui, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità dell’articolo 120 c.p.m.p., in relazione, soprattutto, al secondo comma dell’articolo 25 della Costituzione, per violazione della riserva di legge, ha evocato la cosiddetta problematica delle norme penali in bianco.
    Muovendo dall’assunto posto a fondamento dell’eccezione di incostituzionalità e secondo cui l’articolo 120 c.p.m.p. non assicurerebbe il rispetto del principio di legalità, inteso come tassatività-determinatezza della norma incriminatrice, per una mancata determinazione della consegna da parte del legislatore e per una presunta delega al comandante militare del potere di integrare, di volta in volta, il contenuto della consegna, la Corte ha rilevato come la consegna, nell’ambito dell’ordinamento militare, ha sempre avuto una accezione fortemente tecnica, precisa e per nulla indeterminata, tale, quindi, da individuare in modo tassativo il comportamento del militare di servizio.
    Ne deriva, quindi, che il bene giuridico tutelato dalla violazione della consegna, in senso lato, è la funzionalità e l’efficienza di determinati servizi, garantiti dal legislatore mediante la determinazione, da parte dell’autorità competente, di rigide e tassative modalità di esecuzione, obbligatorie e vincolanti per il militare comandato per tali servizi.
    Sarà compito dell’autorità giudiziaria militare, valutare se tutte le prescrizioni impartite siano finalizzate al corretto svolgimento del servizio comandato e, se, in concreto, l’eventuale inadempimento del militare ad alcuna di esse sia idoneo a pregiudicare l’integrità del bene protetto, costituito, come si è detto da un servizio determinato.
    Per eliminare preliminarmente ogni ulteriore equivoco, e stato chiarito, per quanto riguarda il soggetto attivo, che il reato può essere commesso non, genericamente, da un militare di servizio, ma esclusivamente dal militare comandato ad un servizio determinato, regolato da una specifica consegna.
    Nella proposta di ridefinizione legislativa e, sempre al fine di rendere più chiara la norma finale, la Commissione intende presentare, sotto l’accezione della violazione di consegna, anche l’abbandono di posto e l’omessa presentazione in servizio, ipotesi che, in senso lato, non sono altro che una violazione particolare della consegna che viene violata anche con l’abbandono fisico – spaziale del posto di servizio.
    Occorre, ovviamente, anche prevedere circostanze aggravanti riferibili alla natura dei servizi e alle loro modalità di esecuzione e alle situazioni di pericolo.
    In tema di rivelazione del contenuto di comunicazioni o di violazione o di sottrazione di corrispondenza, si ritiene che non possano essere trascurati i sistemi di comunicazione, impostati sulla telematica, ovviamente non previsti dal legislatore del 1941. Il disegno di legge intende, pertanto, estendere i reati di cui agli articoli da 128 a 131 c.p.m.p. anche alle ipotesi riferibili a tale tipo di corrispondenza, nonchè ai militari addetti al relativo servizio.
    Si è ritenuto, altresì, di procedere all’abrogazione del reato di cui all’articolo 126 (procurata evasione colposa) riportandolo, sia nella forma dolosa che in quella colposa, nel nuovo capo dei «reati contro l’Amministrazione della giustizia militare», come sede più consona dal punto di vista sistematico.
    Il Legislatore del 1941 ha previsto l’ubriachezza, volontaria o colposa, come lo stato obnubilante capace di escludere o menomare la capacità, nel militare, di prestare servizio.
    Allo stato di ubriachezza è stato equiparato lo stato di alterazione psichica, determinata dall’azione di sostanze stupefacenti. L’odierna realtà sociale, non può trascurare tali elementi, atti a costituire ed a rappresentare seri motivi di ostacolo alla piena capacità operativa del militare.
    Si è ritenuto, pertanto, necessario prevedere come reati militari, mediante rinvio alle vigenti disposizioni comuni, i reati previsti dalle leggi in materia di stupefacenti e di sostanze psicotrope, allorchè commessi da militari in luoghi militari o comunque se il fatto avviene tra militari.
    L’assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti assume, infatti, rilievo penale, quando essa sia tale da intaccare o quanto meno porre in pericolo l’integrità del servizio, attraverso la esclusione o la menomazione della capacità del militare a prestare il servizio stesso. In tal caso, ne deriva un pregiudizio al regolare funzionamento dell’organizzazione militare nel suo complesso, in quanto, il militare che faccia uso di sostanze stupefacenti o assuma bevande alcoliche, nei termini indicati, compromette la sua idoneità psico-fisica, i cui parametri è tenuto ad osservare per il fatto di rivestire un particolare status soggetto a specifici doveri, specie nell’attuale fase di trasformazione delle Forze armate in senso interamente professionale.
    Allo sforzo di far corrispondere la legislazione penale militare al nuovo contesto sociale, penale e militare, non poteva sfuggire una revisione sia pure parziale della disciplina prevista per i reati di assenza dal servizio.
    La vigente legislazione penale militare, infatti, prevede quali violazione dell’obbligo della presenza alle armi, condotte attive o passive, penalmente rilevanti, fra loro ripartite a seconda che il fatto sia riferito all’arbitraria interruzione del servizio ovvero alla mancata assunzione dello stesso.
    I codici penali militari, sia di pace che di guerra, inquadrano tali reati, rispettivamente, il primo, nel libro secondo, titolo II, capo III, il secondo, nel libro terzo, titolo III, capo VIII e prevedono, per ciascuno di essi, una diversa disciplina precettiva e sanzionatoria.
    I principali elementi distintivi di tali fattispecie, che determinano, poi, anche la diversità della disciplina sanzionatoria, possono essere sintetizzati, seppur in via un po’ semplicistica, in tre diversi elementi costitutivi: condotta (attiva o passiva), durata dell’assenza e pena.
    Sulla durata dell’assenza è stata ravvisata la necessità di apportare, per la legislazione del tempo di pace, alcune modificazioni di tipo «novellistico». In queste valutazioni, la Commissione ha tenuto conto dell’incidenza affettivo-dissuasiva dello speciale sistema di sanzioni disciplinari, vigenti nell’ordinamento militare e che garantisce, più di ogni altro, prontezza ed efficacia della reazione punitiva. Sui restanti due elementi, la condotta e la pena, la Commissione ha ritenuto di lasciarli fondamentalmente invariati. Sono rimasti pure invariati, all’interno dello stesso gruppo di reati, le previsioni di cui agli articoli 150, 152, 153, 154, n. 1, 155 e 156 c.p.m.p.
    In ossequio ai princìpi e criteri guida, tra cui quelli della proporzionalità e della sussidiarietà, nonchè in relazione alle mutate esigenze organiche delle Forze armate, sono stati elevati i periodi minimi di assenza necessari per integrare i reati di allontanamento illecito, diserzione e mancanza alla chiamata.
    Si è passati da uno a tre giorni per le ipotesi di allontanamento illecito e da cinque a dieci giorni, per quelle di diserzione e di mancanza alla chiamata. Correlativamente, è stata, poi, prevista l’estensione da quindici a trenta giorni, per il requisito temporale richiesto ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante riferita ad una ridotta durata dell’assenza (articolo 154, n. 2, c.p.m.p.).
    Così facendo, si è passati da termini alquanto ristretti, che potevano, in alcuni casi, dare adito a casi giudiziari problematici, a termini più ampi, tali da rendere inequivocabile la manifestazione di volontà di voler realizzare un’assenza temporanea dal servizio.
    Da tale diversa impostazione può derivare anche un notevole giovamento all’economia processuale, in quanto, con la nuova formulazione, dovrebbe risultare meno complicato l’accertamento della condotta illecita del soggetto-agente.
    Più sostanziali modifiche sono state apportate, invece, all’articolo 149 c.p.m.p., che disciplina le ipotesi della cosiddetta diserzione immediata, caratterizzata da un’assenza non condizionata ad una duratura.
    Dalla citata previsione normativa è stato eliminato il disposto di cui ai numeri 2 e 3 del primo comma, laddove preveda, come casi di diserzione immediata, l’evasione del militare mentre sta scontando la pena detentiva militare, nonchè quella del militare che evade da un carcere militare dove si trova in stato di detenzione preventiva (custodia cautelare) o, dovunque per un reato soggetto alla giurisdizione penale militare. Entrambe tali figure vanno trasposte con il nomen più esatto di «evasione», nell’ambito di un nuovo gruppo di reati contro l’amministrazione della giustizia militare, fra le violazioni contro l’autorità delle decisioni degli organi giudiziari militari.
    L’ineludibile evoluzione socio-normativa della legislazione penale comune e delle norme sull’ordinamento penitenziario, congiunta alle nuove disposizioni sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, non poteva non ripercuotersi anche sulla legislazione penale militare, di cui costituisce il necessario complemento.
    Le fattispecie citate, perciò, pur avendo elementi caratteristici strettamente collegati al particolare status del soggetto attivo del reato ed alla sua presenza alle armi, vanno ritenute, dal punto di vista della pertinenza normativa, non più adeguate all’attuale contesto di un’assenza dal servizio.
    Un’ulteriore modifica, invece, riguarda l’introduzione, nell’ambito del reato de quo, di una nuova ipotesi di diserzione immediata, in cui va inclusa l’assenza ingiustificata commessa dal militare nel corso di operazioni militari o di situazioni di emergenza o di allarme, a lui note.
    Tale integrazione dell’articolo 149 c.p.m.p., si è resa necessaria, in quanto, la tradizionale e settoriale suddivisione del tempo di pace e del tempo di guerra non consentiva di dare il giusto risalto processuale o, meglio, la necessaria gradualità sanzionatoria alle assenze ingiustificate poste in essere durante particolari contingenze operative delle Forze armate.
    Fra i reati contro il servizio militare va compresa una nuova figura di reato costituita dalla dispersione colposa di oggetti di armamento, di munizioni da guerra, materiali o altri oggetti forniti al militare, a norma dei regolamenti, come costituenti il suo armamento individuale. Trattasi di ovviare ad un’evidente lacuna legislativa in cui è incorso il legislatore del 1941.
    Per quanto concerne i reati di falso, l’attuale, insufficiente disciplina penale è contenuta nel capo II del titolo IV del libro secondo c.p.m.p. Articolato su due soli articoli, di cui uno (articolo 220) punisce con pena, piuttosto mite, solo le ipotesi di falso in fogli di licenza, di via e simili, mentre l’altro (articolo 221) punisce l’usurpazione di decorazioni o distintivi militari, esso era strettamente funzionale alla vigenza del vecchio testo dell’articolo 264 c.p.m.p., che consentiva la giurisdizione dei tribunali militari anche per reati di falso previsti dal codice penale comune, se commessi a danno del servizio o dell’amministrazione militare. Venuto meno tale articolo 264, si è generata una situazione per più versi assurda, per cui sia il falso strumentale ad altri reati militari (quale il peculato militare), sia il solo falso in documenti militari non previsti dall’articolo 220 (per esempio, un ordine di operazioni, una memoria operativa, un ordine di servizio, una relazione di servizio, un rapporto di pattuglia) sono considerati reati comuni, di competenza del giudice ordinario.
    Un primo tipo di intervento in materia avrebbe potuto prevedere la ricostruzione codicistica della maggior parte delle fattispecie di falso ideologico o documentale, attraverso la riproduzione nel c.p.m.p. delle corrispondenti figure di reato previste dal codice penale, e delle relative estensioni, quale quella del falso informatico previsto dall’articolo 491-bis del codice penale. Ciò sulla base di due considerazioni essenziali: anzitutto, il fatto che mal si adatta alla realtà militare la distinzione esistente nel codice penale comune tra atto pubblico e scrittura privata, avendo esclusivamente rilievo il fatto che il documento fosse destinato ad uso di servizio; in secondo luogo, la considerazione della gravità delle pene previste dal codice penale comune, a fronte, di una moltitudine di atti, moduli, richiesti dalle esigenze militari, la falsificazione della gran parte dei quali potrebbe non rivestire una gravità corrispondente alle pene edittali comminate dal codice penale comune; per tale motivo, era stato previsto di mantenere piuttosto basse le pene edittali per le ipotesi-base, intervenendo con severe aggravanti ad effetto speciale, ove la falsità avesse riguardato un verbale od altro atto destinato a far fede del suo contenuto, o risultasse che il colpevole avesse agito a fine di lucro o per avere, nei rapporti, nei piani, negli ordini o nei documenti in genere di carattere operativo, causato un danno alla preparazione od alla difesa militare, ovvero all’efficienza operativa od al buon andamento delle operazioni militari.
    Una soluzione così articolata sarebbe risultata, tuttavia, in controtendenza rispetto a quella individuata per altre categorie di reati.
    È stato preferito, pertanto, procedere alla «militarizzazione» delle ipotesi di reato comune, attraverso un rinvio al codice penale comune. In ogni caso, le ipotesi di entità realmente tenue, o comunque non idonee a ledere il bene protetto, univocamente ravvisato nel servizio militare, sarebbero potute andare esenti da sanzione penale, in base ai princìpi generali od alla stessa previsione dell’articolo 49 c.p.

4.4. – Reati contro la disciplina militare

    Per quanto attiene ai reati contro la disciplina militare è stata rilevata la necessita di un’accorta ricomposizione attraverso il riordino dei reati di disobbedienza individuale e collettiva, distinguendoli teleologicamente dai fatti di sedizione. Tanto si postula sia per una inderogabile esigenza di sistematica giuridica, sia per una più attenta aderenza concettuale alla natura delle singole figure criminose, in modo da meglio definire, ad esempio, anche comportamenti che, in modo puntuale ed autonomo, possano essere previsti, qualora commessi da militari, come specifico reato militare (semprechè non costituiscano reati più gravi) quali le violazioni del diritto di sciopero, l’abbandono collettivo di servizio o di uffici, l’interruzione collettiva del servizio, l’attività diretta a promuovere, organizzare o dirigere forme di turbativa della continuità e della regolarità del servizio militare. In tale ottica, ad esempio, troverà collocazione come forma di disobbedienza collettiva il reato di ammutinamento, distinguendolo, dal punto di vista sistematico, dalle forme specifiche di attività sediziosa.

    In effetti, la rilevanza penale dell’attività sediziosa è in funzione di tutela del mantenimento della disciplina militare (che costituisce a sua volta elemento essenziale per rispondere alle esigenze di coesione, di efficienza e di funzionalità dello strumento militare).
    Per non sconvolgere il sistema, lasciando permanere quelle disposizioni che si mostrano rispondenti alle esigenze, anche attuali, dell’impianto penalistico militare, il disegno di legge non modifica il contenuto degli articoli 181 (casi di non punibilità); 182 (attività sediziosa); 183 (manifestazioni e grida sediziose); 184 (raccolta di sottoscrizioni per rimostranza o protesta, adunanza di militari) e prevede come innovativa figura autonoma di reato militare, qualora non costituiscano reati piu gravi, le violazioni del divieto di sciopero; l’abbandono collettivo di servizio o di uffici; l’interruzione collettiva del servizio; l’abbandono o la interruzione individuale di un servizio a scopo di reclamo; l’attività diretta a promuovere, organizzare o dirigere forme di turbativa della continuità e della regolarità del servizio, anche se l’evento programmato non è stato realizzato; la raccolta o la partecipazione a sottoscrizioni per rimostranze o protesta in cose di servizio militare o attinenti alla disciplina.
    Infatti, pur essendo indubbio che ai militari spettano, in ogni caso, i diritti costituzionalmente garantiti, non è men vero che tali diritti possano trovare una limitazione. Ciò in connessione alla necessità di garantire l’efficace assolvimento dei compiti spettanti alle Forze armate. Non possono, infatti, essere trascurate le conseguenze, potenzialmente negative, che siffatte agitazioni, anche solo programmate, potrebbero avere sulla funzionalità di una struttura organizzata secondo le regole militari. Struttura, si soggiunge, che, pur informandosi allo spirito democratico della Repubblica, deve essere sempre in grado di svolgere effettivamente ed efficacemente i compiti di difesa, visti come «sacro dovere del cittadino», dalla norma Costituzionale.
    Peraltro, la stessa Corte costituzionale, pronunciandosi su una questione interessante la supposta disparità di trattamento tra appartenenti alle Forze armate ed alle Forze di Polizia in materia di libertà sindacale, ha osservato che il Legislatore ha non solo escluso il diritto di sciopero per gli appartenenti alle Forze dell’Ordine ad ordinamento civile, ma anche le azioni che, effettuate durante il servizio, «possono pregiudicare le esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o le attività di polizia giudiziaria», concludendo, infine, con l’affermazione che il legislatore ha sì riconosciuto una circoscritta libertà sindacale, ma ciò ha disposto contestualmente alla smilitarizzazione del corpo di polizia.
    Tutto ciò premesso ed osservato, assume ampia giustificazione la previsione di specifiche norme di tutela nel senso previsto dal disegno di legge in esame. Si ritiene, infatti, che l’obbedienza, l’ordine pubblico militare, la potestà autoritativa del Comandante, la disciplina, il servizio della difesa armata dello Stato siano beni che giustificano l’esigenza di prevenire il pericolo derivante da tutti tali precisi intenti delittuosi e compromissivi della sicurezza dell’ambiente militare.
    Negli ultimi anni le Forze armate, a fronte anche della riduzione di personale, hanno seguito una politica di esternalizzazione della maggior parte dei servizi di carattere generale, attraverso contratti di pubbliche forniture (cosiddetto outsourcing).
    Tale nuova realtà organizzativa ha portato personale estraneo alle Forze armate e dipendente dalle ditte assuntrici dei citati servizi, ad operare nell’ambito del contesto militare. A tal proposito, quindi, il presente disegno di legge prevede l’applicabilità della legge penale militare nei casi in cui le ipotesi di rifiuto, omissione o ritardo ad ottemperare a disposizioni legittime impartite dai comandanti di corpo, di distaccamento o di posto o dal personale militare da questi delegato, ai soggetti estranei alle Forze armate, nell’adempimento di contratti di pubbliche forniture o di espletamento di servizi contrattualmente assunti, in materia di vigilanza e custodia o di servizi collegati ad operazioni militari.
    Con tale previsione si colma una lacuna normativa che avrebbe potuto compromettere, in maniera significativa, la continuità e la regolarità dei servizi in materia di sorveglianza, in occasione di operazioni militari, specie negli interventi militari all’estero.
    Nella revisione delle norme penali relative a forme di rivendicazione collettiva o alle condotte collaterali e collegate con l’attività sediziosa, la novella dei codici non poteva non tener conto della giurisprudenza della Corte costituzionale intervenuta nella soggetta materia.
    D’altra parte, pur nell’ambito delle acquisizioni introdotte con le norme di principio sulla disciplina militare (legge 11 luglio 1978, n. 382), non è parso opportuno deflettere dal divieto di sciopero previsto dall’articolo 8 dell’indicata legge nè dalle condotte ad esso collaterali e collegate.
    Ferma restando la rilevanza penale dell’attività sediziosa, posta a tutela del mantenimento della disciplina militare, fattore essenziale alle esigenze di coesione, di efficienza e di funzionalità del servizio militare e dei compiti istituzionali delle Forze armate (v. Corte costituzionale, sentenza n. 519 del 15 novembre 2000), va mantenuta, inoltre, anche la configurazione dell’ipotesi di reclamo in forma comportamentale, previsto e punito dal secondo comma dell’articolo 180 c.p.m.p., giacchè, secondo una affermazione giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione, «l’esigenza di tutela di interessi propri dell’ordinamento militare, connessi alla salvaguardia dei valori fondamentali della disciplina e della gerarchia, rende pienamente ammissibile una limitazione dell’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero, ove esso sia attuato con modalità pregiudizievole per i predetti interessi» (Cass. 28 ottobre 1985).
    Appare, quindi, necessario, in sede di riforma, ancorare la tutela penale ai divieti dell’articolo 8 della legge n. 382 del 1978.
    Occorre, perciò, prevedere come reati, con pene detentive differenziate, qualora le condotte non costituiscano reati più gravi, le fattispecie già indicate in precedenza.
    Sulla base di una concreta applicazione del principio di offensività in sede penale, rimarranno relegati all’ambito disciplinare:

        –  i divieti di costituire associazioni professionali a carattere sindacale (si veda, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale 13 dicembre 1999, n. 449) e di aderire ad altre organizzazioni sindacali;

        –  i divieti di riunione non di servizio nell’ambito dei luoghi militari o comunque destinati al servizio, salvo quelle relative alle attività degli organismi militari di rappresentanza (articolo 7 della legge n. 382 del 1978);
        –  i divieti di propaganda politica (articolo 6 della legge n. 382 del 1978) e il rilascio arbitrario di dichiarazioni (attualmente oggetto dell’articolo 185 c.p.m.p.), tranne che si tratti di rivelazioni di notizie classificate o di segreto d’ufficio, che ovviamente ricadono in ambito penale.

    Nello sforzo di giungere ad una costruzione del reato militare riconducibile al principio di offensività, è stata prevista l’abrogazione del complesso di norme, di cui al libro II, titolo III, capo VI, relative al reato militare di duello, non più rispondente all’identificazione di un bene giuridico da tutelare, alla luce della vigente Carta costituzionale o dei valori desumibili dalla realtà delle Forze armate nell’attuale contesto storico. Trattasi di reati che tutelano interessi difficilmente conciliabili con la Costituzione o con interessi costituzionalmente rilevanti e, comunque, trattasi di interessi anacronistici rispetto all’attuale realtà delle Forze armate.

    Il fatto che tali norme non siano state applicate negli ultimi decenni dimostra che il loro mantenimento è assolutamente inutile.
    Non si deve ignorare, però, che l’ipotesi de qua offriva forse, in passato, una via alternativa (illecita, senza dubbio) alle vie di fatto, o al rancore, o alle vie legali (spesso impraticabili e comunque lunghissime), o a pratiche sleali, come le vendette di bassa lega o gli esposti anonimi.
    Pertanto, potrebbe raccomandarsi nell’ambito disciplinare l’istituzione di procedimenti alternativi, per la soluzione di liti o questioni fra militari, per cause estranee al servizio.

4.5. – Reati contro l’amministrazione militare

    I reati speciali contro l’Amministrazione militare, contemplati nel capo I, titolo IV, del libro secondo del c.p.m.p., sono posti a tutela degli interessi patrimoniali, nonchè del regolare svolgimento delle funzioni amministrative e di comando dell’Amministrazione militare.

    Le fattispecie ivi previste agli articoli 215-219, del peculato e della malversazione militare nelle varie forme di manifestazione, rispecchiano in modo pressochè pedissequo, le corrispondenti ipotesi comuni, differenziandosene, ovviamente, solo per determinati aspetti, quali lo status militare del soggetto attivo, l’analoga qualità del soggetto passivo o l’oggetto particolare del reato.
    Quindi, pur nella sostanziale identità tra il reato di cui all’articolo 215 c.p.m.p. e quello di cui all’articolo 314 c.p., l’inserimento nel codice militare di tale fattispecie lascia trasparire la preoccupazione del legislatore che un illecito di tale natura possa turbare l’ordinata convivenza dell’ambiente militare.
    Comunque, va considerato che l’autonomia di cui beneficia la legge penale militare non vuol dire indipendenza dalla legge generale. Quando, perciò, nel consorzio militare non è rinvenibile una previsione specifica ed occorre disciplinare un caso particolare, si fa ricorso al diritto penale comune, mediante l’utilizzazione dei princìpi di sussidiarietà e di complementarietà.
    In tale quadro di riferimento, dopo aver analizzato, in modo approfondito, i reati speciali contro l’amministrazione militare e, a seguito delle significative modifiche, apportate sia dal legislatore sia dalle conseguenti decisioni della Corte costituzionale, si è ritenuto di dover procedere ad un riallineamento sistematico ed organico di tutto il capo I.
    Certe discrasie, quale, ad esempio, quelle delle ipotesi del peculato d’uso introdotto nel codice penale ordinario e ignorato in quello militare o alcune dicotomie giurisdizionali, motivo e ragione di inopinati rimbalzi alternativi fra la giurisdizione ordinaria e quella militare, come si verifica, ad esempio, nell’ipotesi del peculato militare cui siano strumentali ipotesi di falso, non giovano ad un moderno Stato di diritto, dove le esigenze di chiarezza, efficienza e trasparenza delle varie amministrazioni sono sempre più sentite.
    Per meglio comprendere la situazione attuale, occorre risalire alla legge 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, causa e ragione di alcune modifiche sostanziali, con cui è stata introdotta la nuova figura del peculato d’uso, non presente nel c.p.m.p., mentre, di contro, è stata eliminata l’ipotesi del peculato per distrazione, rimasta, invece, in vigore nel c.p.m.p.
    Siffatta situazione aveva causato una evidente disparità di trattamento tra il pubblico ufficiale che veniva a rispondere del meno grave reato comune, cosiddetto peculato d’uso, ed il militare incaricato di funzioni amministrative o di comando, per il quale continuava ad applicarsi, in ogni caso, l’ipotesi del peculato per distrazione di cui all’articolo 215 c.p.m.p.
    In tale quadro normativo di riferimento, la Corte costituzionale, dopo aver dichiarato, in un primo momento, inammissibile la questione di legittimità costituzionale (sentenza n. 473 del 9 ottobre 1990), è ritornata sulla materia, e, con sentenza n. 448 del 4 dicembre 1991, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale del peculato militare, limitatamente alle parole «ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri». In aggiunta alla declaratoria di incostituzionalità, la Corte, nella motivazione, ha precisato che le condotte dei militari precedentemente punite a titolo di peculato militare per distrazione, sarebbero state ugualmente perseguibili, qualora avessero integrato la fattispecie di cui al novellato articolo 314 c.p., secondo comma, come peculato d’uso ovvero quella di abuso d’ufficio di cui all’articolo 323 c.p., con conseguente giurisdizione del magistrato ordinario.
    In sostanza, l’attuale situazione dei reati speciali di che trattasi, risente degli effetti della legge n. 86 del 1990 e della sentenza della Corte costituzionale che hanno relegato il peculato militare alla sola ipotesi dell’appropriazione.
    Al «disarticolato» contesto normativo ha posto rimedio una cospicua giurisprudenza, sia di legittimità sia di merito, che ha riportato le varie ipotesi delittuose nell’alveo naturale, con la conseguente competenza, a seconda dei casi, del giudice ordinario o di quello militare.
    Da quanto precede, al fine di dare un ruolo più appropriato al sistema penale militare, nel disegno di legge delega si propone di introdurre le fattispecie comuni dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione nell’ambito del codice penale militare, adottando la formula del rinvio ricettizio.
    A completamento dell’armonizzazione sistematica di tale settore, si ritiene inoltre che si debba prevedere l’equiparazione del militare avente particolari qualifiche al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio. Ed in tal senso, nel disegno di modifica è prevista l’introduzione, in sostituzione delle qualifiche ordinarie di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, previste per i reati comuni, delle figure del militare incaricato di funzioni amministrative o di comando, o di direzione o di controllo o di militare incaricato dell’esecuzione di un particolare servizio. Pur potendosi ritenere sufficiente, per tali figure, attraverso una interpretazione estensiva, l’enunciazione riportata al primo comma dell’articolo 314 c.p., in realtà si è reputato necessario, per esigenze di chiarezza, esplicitare tutte quelle situazioni soggettive ipotizzabili in ambito militare, ai fini della individuazione dei soggetti attivi dei reati di cui trattasi. A tal proposito è fondamentale ribadire che la chiarezza delle norme definitorie consentirà di evitare dubbi interpretativi.
    Nel caso di specie, le funzioni di comando, di direzione o di controllo sono tipiche, ai vari livelli, nella struttura militare, di chi ha un potere autoritativo legittimamente conferito dall’ordinamento, così come il militare incaricato dell’esecuzione di un particolare servizio è colui che svolge uno specifico incarico all’interno dell’amministrazione militare.
    Tali proposte di sistemazione organica, presuppongono inoltre, l’individuazione e la definizione di un concetto «nuovo» di amministrazione militare, non più basata sul principio secondo cui essa va intesa e circoscritta alle strutture occorrenti per l’organizzazione del personale e dei mezzi materiali destinati alla difesa armata dello Stato ma, in adesione alla giurisprudenza di legittimità della Suprema Corte di cassazione, va estesa a tutti i reparti o formazioni militari dello Stato che, indipendentemente dall’appartenenza al Ministero della difesa, perseguono fini istituzionali che possono, in qualche modo, essere ricompresi nell’ambito della difesa armata dello Stato. In tal senso, quindi, ai fini della tutela penale, occorrerà introdurre una disposizione che precisi la nozione di amministrazione militare non più di tipo contabile, ma secondo una accezione funzionale.
    Le medesime caratteristiche della società militare consigliano di portare ad una condizione di più stretto contatto la trama delle disposizioni penali, poste a tutela del corretto uso delle risorse, umane e patrimoniali, delle Forze armate. L’organizzazione a piramide della funzione gerarchica, la necessità di disporre con immediatezza di mezzi e di persone, l’inevitabile scarsa incisività preventiva dei controlli costituiscono facile terreno di coltura per usi indebiti e per impieghi illeciti, idonei a produrre perdite patrimoniali, oltrechè inefficienze.
    Una speciale integrazione deve, perciò, riguardare l’impiego distorto del personale militare per scopi privati o, comunque, non istituzionali.
    Per dare una compiuta sistemazione organica al capo I del c.p.m.p. ed alla stregua di quanto già avviene per gli appartenenti alla Polizia di Stato (articolo 78 della legge 1º aprile 1981, n. 121), occorre estendere, pertanto, anche ai militari incaricati di funzioni amministrative o di comando o di direzione o di controllo, l’ipotesi criminosa del reato di arbitraria utilizzazione di prestazioni lavorative del personale dipendente, commesso, in contrasto con i compiti di istituto, al fine di realizzare un profitto proprio o altrui.

4.6. – Reati contro l’amministrazione della giustizia militare

    Si è ritenuto opportuno inserire nel c.p.m.p. la categoria dei «reati contro l’amministrazione della giustizia militare», ritenendo che quella particolare branca dell’organizzazione statale costituita dagli organi giudiziari militari e la attività di controllo della legalità da questa svolta (in funzione ultima dell’interesse al buon funzionamento e all’efficienza delle Forze armate) debbano essere tutelate attraverso la specifica previsione, quali reati militari, di comportamenti che ne turbano e ne ostacolano la regolarità.

    È apparso, in altre parole, giuridicamente fondato, oltrechè logico, prevedere che siano reati militari quei comportamenti che, offendendo l’interesse costituito dal buon funzionamento degli organi giudiziari militari, vengono, ancorchè in forma indiretta e mediata, a porre a repentaglio, altresì, quegli interessi più strettamente militari alla cui tutela (penale) sono preposti proprio i tribunali militari.
    Si è, a tal fine, ritenuto opportuno operare un rinvio dinamico alle fattispecie di reati comuni contro l’Amministrazione della giustizia, con la duplice limitazione, costituita dalla necessaria qualità militare del soggetto attivo e dalla concomitanza di un procedimento militare, nel corso o in funzione del quale il delitto viene commesso.

4.7. – Reati contro l’incolumità pubblica

    Quanto mai opportuna è apparsa la introduzione di specifiche previsioni incriminatrici volte alla tutela, nell’espletamento di attività militari, dell’integrità fisica dei militari ad esse addetti, nonchè alla salvaguardia delle infrastrutture militari ed in genere del patrimonio dell’Amministrazione militare stessa.

    Al riguardo, si è, quindi, ritenuto di inserire una disposizione costituente una forma avanzata di tutela per quei beni primari costituiti, da un lato, dalla salute e, dall’altro, dall’integrità dei beni dello Stato.
    Tutela avanzata che si è ritenuto di realizzare attraverso il rinvio alle violazioni della legge penale comune, costituenti reato in materia di tutela della sicurezza e di prevenzione di infortuni nei luoghi di lavoro, commesse dai militari in luogo militare. Ciò proprio in considerazione dell’importanza che riveste l’integrità fisica del militare in rapporto alle concrete esigenze di servizio.
    Verrà ad integrare il reato non già la mera, formale, inosservanza di tali norme, ma solo quelle violazioni ed inottemperanze che abbiano fatto insorgere un pericolo concreto per la incolumità della persona o per l’integrità dei beni e delle infrastrutture militari.
    Si è ritenuto opportuno che detta norma trovasse la sede più consona nell’ambito del libro II, titolo quarto, del c.p.m.p.

4.8. – Reati contro la persona

    Con riferimento ai «reati contro la persona», il disegno di legge prevede una soluzione dettata essenzialmente da una serie di motivazioni riguardanti prevalentemente la tutela dei beni e degli interessi giuridici dell’istituzione militare.

    Le ragioni di ordine sostanziale scaturiscono dalla esistenza nel sistema penale militare di una evidente lacuna, tale da far trasparire, per certi versi, una tutela incompleta e contraria ai più elementari princìpi della convenienza, in quanto alcune fattispecie di reato comune non sono contemplate nel c.p.m.p., provocando, quindi, dei pericolosi rimbalzi di competenza tra le due giurisdizioni.
    Da tale incongruenza deriva un’altra di carattere procedurale, inerente le condizioni di procedibilità dei reati in questione. Sussiste, infatti, una insufficiente protezione dei diritti fondamentali dei militari in quanto, per quasi tutti i reati considerati, ivi compresa la lesione personale, quando la malattia non supera i dieci giorni, si concretizza la perseguibilità solo a richiesta del Comandante di corpo. In questo modo, l’atteggiamento della persona offesa non ha alcun rilievo ai fini della procedibilità del reato. Ciò sembra peccare di una sorta di irrazionalità: se i reati in esame offendono anche interessi comuni, oltre quelli militari, non si riscontra una plausibile ragione per affidare la perseguibilità di tali reati al solo Comandante di corpo, che avrà la capacità di valutare il grado di rilevanza di certi interessi militari, ma certamente non degli interessi attinenti a beni propri della persona.
    Del resto, l’adozione del rimedio di prevedere la punibilità di tali forme di reato in un unico contesto, si è resa necessaria nella considerazione che l’accertamento e la repressione dei comportamenti criminosi commessi in ambito militare assumono rilievo proprio per garantire la tutela di fondamentali princìpi costituzionali ai quali si ispirano le Forze armate come istituzione e parte integrante dell’ordinamento dello Stato. Non si tratta solo di assicurare, anche mediante lo strumento penale, la tutela di interessi essenziali ai fini dell’efficienza e della funzionalità dell’organizzazione militare, ma anche di rendere certo, attraverso un controllo penale di legalità nell’ambito delle Forze armate, il rispetto dei valori della persona, in una organizzazione in cui i diritti individuali sono inevitabilmente e significativamente compressi.
    La convivenza forzata, la disponibilità delle armi, l’organizzazione interna ai singoli reparti rendono i beni della dignità, della riservatezza e della libertà personale, facenti capo alla persona del militare, più esposti ad azione di offesa, rispetto agli stessi beni della comune persona, perchè rendono più frequenti vessazioni, microviolenze, strumentalizzazioni delle varie posizioni o delle funzioni rivestite per abusi diretti alla sfera personale dell’altro militare e perchè, inoltre, la percezione del valore persona, come dimostra il triste fenomeno del nonnismo, tende ad affievolirsi nella collettività militare, sino a rischiare di disperdersi nell’indistinto anonimato della divisa o di annientarsi nell’esaltazione della forza e del falso mito del super uomo.
    Per conseguire un sufficiente margine di omogeneità e di compiutezza, si è ritenuto opportuno accogliere, in materia, un rinvio completo alle fattispecie previste dal c.p., così conseguendo l’ulteriore fine di uno snellimento del c.p.m.p. e, al tempo stesso, di raggiungere un risultato meglio rispondente alle esigenze di tutela dei beni giuridici della compagine militare, onde evitare che eventuali riforme della legge penale comune non possano essere recepite nell’ambito penale militare. A tale scopo, è stato previsto un implicito richiamo ai reati contenuti nel titolo XII, libro secondo, del c.p.
    Per l’applicazione di tali norme incriminatrici comuni, è stata richiesta la qualifica di «militare» tanto nel soggetto attivo del reato quanto nella persona offesa. Ovviamente, tali fatti comuni assumono rilevanza, ai fini della tutela del servizio e della disciplina militare, se commessi in luogo militare, o in alcune delle circostanze indicate nell’articolo 5 della legge 11 luglio 1978, n. 382, e cioè qualora «i militari svolgano attività di servizio, se gli stessi si trovano in luoghi militari o comunque destinati al servizio, se indossano l’uniforme, se si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali, ovvero se commessi in territorio estero».
    Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, una volta superate le ragioni di una differenziata previsione con le pene stabilite per le fattispecie comuni previste dal c.p. e tenuto conto che l’articolo 133 c.p. consente al giudice di graduare la pena in relazione alle particolarità dei casi specifici, si è addivenuti alla conclusione di prevedere l’applicazione delle pene originariamente previste dal codice penale con esclusione di quelle applicate in ragione della competenza penale del giudice di pace.
    Tale rinvio potrebbe, altresì, ovviare all’accennata questione della procedibilità, estendendo la valutazione sulla perseguibilità di tali reati anche alla persona offesa del reato, a cui è così consentito proporre querela.
    Occorre, inoltre, notare che l’inadeguatezza della normativa in atto non ha consentito, finora, una efficace repressione del grave fenomeno del cosiddetto nonnismo, produttivo di gravi effetti sulla integrità fisica e morale del personale militare.
    Per supplire a tale inefficienza, è stata quindi introdotta una specifica ed autonoma fattispecie criminosa, formulando, per eterointegrazione dal c.p., sulla falsa riga della «violenza privata», il compimento di atti di prevaricazione connesso con l’anzianità di servizio.
    La esplicita previsione di tali fattispecie criminose ricalca sostanzialmente un’analoga iniziativa legislativa promossa nella scorsa legislatura (atto Camera n. 6947).
    Tale innovazione potrà garantire una giustizia rapida ed efficiente, all’interno delle strutture militari, in modo da assicurare, anche in considerazione dell’inserimento della componente femminile nell’ambito delle Forze armate, un’adeguata tutela al cittadino militare contro ogni forma di abuso e di prevaricazione.

4.9. – Reati contro il patrimonio

    In merito ai reati contro il patrimonio, l’analisi dei reati speciali compresi nel capo IV del titolo quarto del libro secondo sotto la rubrica dei «reati contro il patrimonio», unitamente alla disamina di tutta la serie degli altri reati di cui al titolo IV, libro secondo, c.p.m.p., ha posto in particolare evidenza alcune censure, già mosse a quelle fattispecie criminose.

    La maggiore perplessità è derivata dalla natura plurioffensiva di tali reati e dalla constatazione che essi sono stati inseriti in questo titolo senza alcun criterio metodologico. L’aver ricompreso in un unico contesto la tutela di beni ed interessi giuridici fra loro del tutto diversi ed eterogenei, appare in totale contrasto con le normali regole di organicità e di chiarezza sistematica.
    Un ulteriore e forse ancora più grave motivo di censura è dato dalla mancanza di completezza del sistema penale militare, in quanto alcune fattispecie di reato previste dal c.p. comune non si riscontrano nel c.p.m.p., determinando frequentemente successive «sovrapposizioni» delle due giurisdizioni, ordinaria e militare, e, per conseguenza, una carente tutela degli interessi lesi.
    Si imponeva, perciò, il rimedio di dover prevedere la punibilità di tali forme di reato in un unico contesto, in base alla considerazione che l’accertamento e la repressione dei comportamenti criminosi commessi in ambito militare vengono ad assumere evidenza di significato, proprio perchè essi garantiscono la tutela dei fondamentali princìpi costituzionali ai quali si ispira l’ordinamento delle Forze armate, inteso nella sua unità istituzionale e nel suo rapporto con l’ordinamento dello Stato. Possono essere, così, assicurati, anche mediante lo strumento penale, la tutela di interessi essenziali ai fini dell’efficienza e della funzionalità dell’organizzazione militare.
    La linea di soluzione presa in considerazione dal disegno di legge è stata quella dell’adozione della tecnica del rinvio alle corrispondenti fattispecie criminose del codice penale ordinario. L’ammissione di tale richiamo alle ipotesi incriminatrici comuni, oltre a rispondere a precipue esigenze di tutela dei beni giuridici della compagine militare, è idoneo a garantire, altresì, un effettivo snellimento del c.p.m.p. Si evita, inoltre, che eventuali riforme del c.p. non vengano recepite nell’ambito penale militare.
    Al fine di conseguire un funzionale completamento, con l’esclusione di qualsiasi elemento estraneo alla tutela dei beni di interesse militare, è apparso necessario circoscrivere l’applicazione delle norme incriminatrici comuni alla circostanza che il soggetto attivo, così come il titolare dell’interesse leso, che in alcuni casi è la stessa amministrazione militare, rivestano la qualità di «militare».
    È stato anche previsto che le particolari condizioni o situazioni oggettive in cui vengono perpetrate le violazioni, rispondano all’esigenza della commissione del fatto in «luogo militare ovvero in territorio estero, mentre il militare ivi si trova per causa di servizio o a causa del servizio militare».
    Viene, inoltre, previsto come reato l’ipotesi criminosa di cui all’articolo 12 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, sull’utilizzo di alcune forme di credito automatizzato (ad esempio bancomat, carte di credito), reato che oggi sfugge completamente alla cognizione del giudice militare.
    Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, sono state superate le ragioni di una previsione differenziate dalle pene stabilite per le fattispecie comuni del c.p., tenuto conto che l’articolo 133 c.p. consente sempre al giudice di graduare la pena in relazione alla particolarità dei casi specifici. Si è, perciò, addivenuti alla conclusione di prevedere l’applicazione delle pene originariamente previste dal c.p. con esclusione di quelle applicate in ragione della competenza penale del giudice di pace, strettamente funzionale a quella giurisdizione.
    L’adeguamento alla legislazione penale comune consente di ovviare alle questioni concernenti le condizioni di procedibilità, estendendo la valutazione sulla perseguibilità di tali reati anche alla persona offesa del reato, a cui, è, così, consentito proporre querela. Posto che i reati in esame sono da ritenere plurioffensivi, in quanto, per un verso ledono la disciplina militare e, per un altro verso, ledono gli interessi pubblici della persona, non si riscontra una plausibile ragione per affidare la perseguibilità di tali reati al solo Comandante di corpo, che avrà la capacita di valutare il grado di rilevanza degli interessi militari, ma non certamente di quelli attinenti al patrimonio della persona.

4.10. – Procedura penale militare di pace

    Quanto alla procedura penale di pace, viene prevista l’applicabilità nel processo penale militare delle norme del c.p.p., salvo non sussista una esigenza di disciplina differenziata, nonchè l’abrogazione espressa delle norme processuali del c.p.m.p. inapplicabili a seguito della entrata in vigore del nuovo c.p.p.

4.10.1. – Giudice penale militare

    Nella considerazione che la specialità che caratterizza gli organi giudiziari militari deriva non solo dalla materia trattata (se cosi fosse diverrebbe giudice speciale anche il tribunale ordinario quando giudica reati militari e persino la Corte di Cassazione quando è chiamata a decidere ricorsi su provvedimenti emessi da organi giudiziari militari) ma anche dalla particolare composizione mista di tali organi (magistrati militari, giudici d’arma), è stata confermata la esclusiva composizione collegiale del giudice militare nei procedimenti che si svolgono con rito normale. Resta quale giudice monocratico (magistrato militare) il giudice delle indagini preliminari (GIP) e giudice delle udienze preliminari (GUP), nelle ipotesi di dichiarazione di non luogo a procedere (in tali casi il magistrato non ha giurisdizione piena in quanto non può emettere sentenza di condanna) e nelle ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti e di giudizio abbreviato.

    Il procedimento speciale dell’applicazione della pena su richiesta delle parti non può essere, tuttavia, equiparato al giudizio di cognizione per i limitati poteri del giudice, il quale può solo controllare se non ricorrano le condizioni per l’applicazione dell’articolo 129 c.p.p., la correttezza della qualificazione del fatto e delle circostanze, nonché la congruità della pena.
    Quanto al giudizio abbreviato svolto innanzi al GUP, esso non può aver luogo se non a richiesta dell’imputato. È costui, quindi, a rinunciare alla garanzia della partecipazione del giudice d’arma e della sua esperienza di vita militare.
    Solo nei casi predetti appare ammissibile l’esistenza di un giudice monocratico che possa emettere provvedimento conclusivo di un procedimento.

4.10.2. – Limiti soggettivi della giurisdizione militare

    Per quanto concerne l’assoggettamento alla giurisdizione penale militare, in tempo di pace, e comunque quando non sia applicabile la legge di guerra, non si è ritenuto opportuno modificare l’articolo 263 c.p.m.p. in quanto la precisa determinazione dell’articolo 103 della Costituzione, secondo cui, in tempo di pace, la giurisdizione penale militare è limitata ai reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze armate, è stata effettuata da chiare sentenze della Corte costituzionale. Così la sentenza n. 429 del 23 ottobre 1992, non rende assoggettabili alla giurisdizione militare altre persone oltre quelle «elencate nell’articolo 3 (militari in servizio alle armi) e nell’articolo 5 (militari considerati in servizio alle armi) c.p.m.p.»: per tali figure di militari, si verifica coincidenza con la nozione costituzionale di «appartenenti alle Forze armate».

    La sentenza n. 78 del 22 febbraio 1989, ha ulteriormente limitato la giurisdizione dei tribunali militari, contenendola entro l’ambito dei militari «maggiorenni».
    L’esclusione della competenza dei tribunali militari per i minori trova il suo fondamento nel secondo comma dell’articolo 31 della Costituzione. Spetta al tribunale per i minorenni, assicurare l’uniformità di trattamento con finalità di recupero e reinserimento sociale, per il minore degli anni 18 anche quando questi commetta un reato militare.

4.10.3 – Querela e richiesta di procedimento

    Viene prevista l’introduzione della condizione di procedibilità della querela per i reati militari contro la persona e contro il patrimonio, quando la legge penale comune preveda tale condizione di procedibilità. Viene confermata per tali reati la richiesta del comandante di corpo, allo scopo di lasciare la valutazione sulla lesività del fatto al comandante di corpo per quanto riguarda l’interesse tipicamente militare della tutela della disciplina e alla parte lesa relativamente all’interesse personale.

    Si stabilisce, inoltre, la procedibilità esclusivamente a querela della parte lesa per i reati di violenza sessuale di cui agli articoli 609-bis e seguenti c.p., per i quali si applica la disciplina prevista dal codice penale.
    Saranno, infine, previste forme di raccordo tra la richiesta del Comandante di corpo e la querela.

4.10.4. – Misure cautelari e arresto in flagranza

    Per quanto attiene alle misure cautelari non si ravvisano, per il tempo di pace, motivi per derogare alla disciplina prevista dalle norme del codice di procedura penale comune.

    Per ciò che attiene all’arresto in flagranza, si è ritenuto di dover distinguere le ipotesi a seconda che si versi in tempo di pace o in tempo di guerra. Premesso che, con sentenza 26 ottobre 1989, n. 503, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il primo comma dell’articolo 308 del c.p.m.p., che prevedeva l’arresto obbligatorio per chiunque venisse colto nella flagranza di un qualsiasi reato militare, si è atteso da allora l’intervento del legislatore per la disciplina dell’arresto obbligatorio o facoltativo nella flagranza di alcuni reati militari, visto che, correttamente, la Corte costituzionale aveva escluso l’arresto obbligatorio nella flagranza della generalità dei reati militari.
    Stante la mancanza di un’autonoma disciplina, oggi si applicano le norme contenute negli articoli 380 e 381 c.p.p., che regolano i casi di arresto nella flagranza. Tali articoli, peraltro, nel loro comma 1 stabiliscono, in generale, in quali casi si possa procedere all’arresto in flagranza obbligatorio o facoltativo con riferimento alla pena edittale (ergastolo o reclusione) del reato commesso; nel comma 2 tuttavia stabiliscono l’obbligatorietà o la facoltatività dell’arresto nella flagranza di alcuni specifici reati, a prescindere dall’entita della pena. Alcuni dei reati indicati nell’articolo 380 c.p.p. (furto aggravato) o nell’articolo 381 c.p.p. (peculato mediante profitto dell’errore altrui, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, furto, lesione personale, danneggiamento, truffa, appropriazione indebita) trovano reati corrispettivi nel c.p.m.p., ma per i reati militari non è possibile procedere ad arresto nella flagranza di essi, in quanto il c.p.p. indica i reati per cui è possibile l’arresto non solo con il nomen iuris ma anche con l’indicazione dell’articolo del codice penale che li prevede, quindi escludendo i corrispettivi reati militari.
    Esistono, inoltre, reati militari per i quali, a prescindere dalla pena edittale, appare necessaria l’obbligatorietà o la facoltatività dell’arresto nella loro flagranza.
    In particolare, si prevede di introdurre nuove norme che disciplinino l’arresto facoltativo in flagranza in tempo di pace e l’arresto obbligatorio in flagranza nell’ipotesi di conflitti armati o nello stato di guerra.
    Nelle ipotesi di conflitto armato, o laddove venga dichiarato lo stato di guerra, appare necessario disciplinare l’arresto obbligatorio in flagranza con una apposita norma che impone l’arresto anche per altri particolari reati.
    Quanto alla procedura per la convalida, si prevede l’applicazione delle norme previste dai commi 5 e 6 dell’articolo 9 del decreto-legge 1º dicembre 2001, n. 421, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 2002, n. 6, recante «Disposizioni urgenti per la partecipazione di personale militare all’operazione multinazionale denominata Enduring Freedom» per la convalida dell’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza qualora non sia possibile procedere nel territorio nazionale o sul posto all’udienza secondo le norme previste dal codice di procedura penale.

4.10.5. – Sezioni di polizia giudiziaria militare

    Il disegno di legge prevede l’istituzione di sezioni di polizia giudiziaria militare presso le procure militari della Repubblica.

     La necessità di tale specifica disposizione di legge muove dalla constatazione che, nonostante la Costituzione preveda, all’articolo 109, la polizia giudiziaria nella disponibilità diretta dell’autorità giudiziaria e, nonostante siano trascorsi quasi tre lustri dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale del 1988 che, appunto, ha previsto l’istituzione di sezioni di polizia giudiziaria presso le procure della Repubblica, il precetto costituzionale non ha avuto ancora attuazione legislativa per quanto concerne le analoghe sezioni presso le procure militari della Repubblica.
    L’esigenza di un provvedimento legislativo è ulteriormente avvalorata dalla considerazione espressa dal Ministro della difesa, nel lontano 1991, della necessità di un attento coordinamento delle nuove emanande disposizioni con quanto prescrivono gli articoli 301 e 305 c.p.m.p.
    La mancata istituzione di tali sezioni non ha, ovviamente, impedito lo svolgimento delle normali funzioni di polizia giudiziaria, ad opera degli organi a ciò preposti ed il cui fondamento legislativo è dato sia dal complesso di norme dettate dal paragrafo 1 della sezione I, capo I, titolo IV, libro III dell’attuale c.p.m.p. relative appunto, in modo specifico, agli «Atti di polizia giudiziaria militare», sia dal carattere di complementarietà che lega i codici penali militari al c.p.p. attraverso l’articolo 261 c.p.m.p. Competente ad emettere il decreto istitutivo delle sezioni di polizia giudiziaria militare deve ritenersi il Ministro della difesa.
    Era, però, necessario disporre l’istituzione di specifiche sezioni.
    Tale lacuna appare ora eliminata, non diversamente da quanto è già avvenuto per le sezioni specializzate di polizia giudiziaria istituite con l’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, in ciascuna procura della Repubblica presso i tribunali per i minorenni.
    Sarà assegnato alle sezioni di polizia giudiziaria solo personale militare appartenente all’Arma dei carabinieri o al Corpo della guardia di finanza.

4.10.6. – Altre modifiche alla procedura penale

    Il provvedimento prevede di adottare per i reati di competenza dei tribunali militari punibili con la pena della reclusione militare o della reclusione sino a quattro anni il rito previsto dal c.p.p. (ferma restando la composizione collegiale dell’organo giudicante) per il giudizio monocratico. Tale tipo di procedura, che equipara quella militare a quella comune (con l’unica variante del Giudice collegiale), consente da una parte il perfetto parallelismo tra procedura comune e militare e d’altra parte fà sì che si snellisca il processo militare per questo tipo di reati, altrimenti più complesso rispetto a quello comune.

    Viene anche prevista, per notifiche di atti giudiziari emessi dagli organi giudiziari militari, la possibilità che esse vengano effettuate con le modalità previste dal codice di procedura penale, ovvero anche a mezzo dei messi giudiziari militari, o a mezzo della polizia giudiziaria militare.
    Quanto ai problemi derivanti dalla istituzione della Corte penale internazionale, si prevede di confermare la competenza dei tribunali militari per i crimini di guerra previsti dal c.p.m.g., corrispondenti alle fattispecie di cui all’articolo 8 dello Statuto della Corte penale internazionale, se commessi nello stato di guerra o in ogni caso di conflitto armato.

5. - Art. 4. – Codice penale militare di guerra

    L’articolo 4 reca i princìpi e criteri direttivi per le modificazioni del codice penale militare di guerra.

    Con riguardo alla legge penale militare di guerra, il legislatore del 1941 ha costruito una codificazione ad hoc per il tempo di guerra ed escogitato un sistema per cui tale legge, pur formalmente in vigore anche durante la fisiologia del tempo di pace, non può trovare pratica applicazione se non al verificarsi di specifici presupposti, formali o materiali, riconducibili ad una situazione bellica o di tensione istituzionale o ad un impiego straordinario delle Forze armate.
    È stata creata, cioè, una inedita situazione normativa di scissione tra validità e applicabilità della legge non ispirata a criteri certi e univoci, molto probabilmente consigliata in vista dell’esigenza di dover garantire lo speciale complesso normativo con una particolare carica intimidativa.
    Con riferimento alla realtà giuridica, le fattispecie penali accolte in seno al codice di guerra impongono al giudice un duplice accertamento che si articola su due differenti piani, quello della conformità del fatto al tipo, e quello più generale relativo alla verifica della condizione applicativa, comune a tutte le fattispecie.
    Siffatto elaborato ordinamento appare nel tempo presente di difficile funzionalità, giacchè un «tempo di guerra» non è più facilmente riconoscibile nel contesto di un tempo normale di vita dell’ordinamento giuridico, dato che la guerra non tende più a manifestarsi come una catastrofica calamità che affligga l’intera nazione, imponendo trasformazioni ordinamentali, ma spesso assume le sembianze di un «conflitto» parziale e limitato, in grado di coesistere con una normale situazione ordinamentale.
    La più vistosa disfunzionalità del sistema deriva, tuttavia, da una realtà che mostra sempre più frequentemente l’impiego operativo delle Forze armate all’estero nell’ambito di operazioni internazionali di pacificazione o di uso della forza. Tali situazioni, come la prassi ha dimostrato, non richiedono il passaggio da uno stato di pace a uno di guerra, ma, nondimeno, impongono ai militari, sia il rispetto delle regole internazionali sulle modalità di conduzione della violenza militare, sia un particolare impegno nella scrupolosa osservanza dei propri doveri, data la delicatezza delle operazioni e la pericolosità del contesto in cui si svolgono.
    Tuttavia, come è noto, nelle occasioni di impiego all’estero delle Forze armate italiane, che si sono verificate con notevole frequenza e consistenza a partire dagli anni Ottanta, l’apparato normativo bellico è sembrato al legislatore troppo impegnativo, al punto da doverne decretare l’espressa inapplicabilità, ma, al contempo, non è stato possibile realizzare quell’integrazione del bagaglio penale del militare, secondo le esigenze ora segnalate.
    Come è stato già osservato in premessa, il presente disegno di legge conferma l’attuale sistema mantenendo in vita, sia pure con i necessari adeguamenti, un codice penale militare di pace ed un codice penale militare di guerra, applicabile, quest’ultimo, oltrechè per i reati commessi nello stato di guerra (articolo 3 c.p.m.g.) o per i Corpi di spedizione all’estero per operazioni militari armate (articolo 9 stesso codice) ovvero, per i reati contro le leggi e gli usi della guerra, in «ogni caso di conflitto armato» (articolo dello 165 dello stesso codice), anche per quelli commessi nel corso di un conflitto armato internazionale in cui sia coinvolto lo Stato italiano, nonchè per i reati commessi nel corso di un attacco armato allo Stato italiano. Vanno, in quest’ultima ipotesi, precisate le modalità di delimitazione degli ambiti territoriali e personali in caso di attacchi non generalizzati. Il c.p.m.p. si applica per ogni altra ipotesi di missioni militari all’estero.

5.1. – Legge penale militare di guerra in generale

    La novella prevede, anzitutto, l’abrogazione dell’articolo 2 c.p.m.g., non essendo più giustificate forme di pubblicazione delle leggi di guerra diverse da quelle ordinarie, attesa l’avvenuta soppressione dei bandi militari, e posto che il problema della loro conoscenza è di natura affatto diversa, talchè la mancata divulgazione stessa potrà escludere la punibilità, in ossequio ai nuovi princìpi generali, in caso di accertata, inevitabile ignoranza del contenuto delle leggi in questione.

    Si è ritenuto, poi, di escludere dall’articolo 3 c.p.m.g. (legge penale militare di guerra in relazione al tempo) ogni ipotesi di retroattività della legge penale, derivante dall’inciso «in tutto o in parte» talchè, per i reati non istantanei, l’interprete dovrà, di volta in volta, accertare la rilevanza della sola condotta posta in essere dopo la dichiarazione dello stato di guerra.
    Viene prevista la conferma dell’applicazione della legge penale militare di guerra, ancorchè nello stato di pace, ai corpi di spedizione all’estero per operazioni militari armate. In tal caso, tuttavia, in conformità al principio generale di graduale applicazione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), del disegno di legge, viene prevista la diminuzione delle pene edittali fino ad quarto, ad eccezione di quelle relative alle violazioni gravi del diritto umanitario.
    I problemi più rilevanti sono stati posti dall’insieme sistematico già costituito dagli articoli 5 e 10 (già abrogati) e dallo scontato orientamento ad abrogare anche l’articolo 8.
    In particolare, l’avvenuta abrogazione dell’articolo 5 lascia scoperte altre, gravi ipotesi in cui la legge penale militare di guerra e le disposizioni di legge che presuppongono il tempo di guerra potrebbero essere applicate, quali, per esempio, il verificarsi di un attacco armato al territorio dello Stato, la cui gestione potrebbe anche essere incompatibile con i tempi richiesti per una deliberazione parlamentare e, nel caso di uso di armi di distruzione di massa, anche con i tempi necessari per la decretazione d’urgenza ex articolo 77 Costituzione, ovvero, comunque, con il coinvolgimento, di fatto, di forze armate italiane in un conflitto armato internazionale, al di là della previsione dell’articolo 9.
    Del resto, la recente riforma dell’articolo 165 c.p.m.g., disposta con la legge 31 gennaio 2002, n. 6, e, in particolare, l’evidente transitorietà del suo terzo comma, rende evidente la volonta già espressa dal Parlamento di riordinare organicamente tutta la suddetta materia, tanto che la soluzione adottata può ritenersi perfettamente in linea con tale volontà, oltre che con le legislazioni, esplicite al riguardo, di molti Paesi europei.
    Resterà, ovviamente, al legislatore delegato il compito di precisare modalità di delimitazione degli ambiti territoriali o personali di applicazione della legge penale militare di guerra, nel caso che i conflitti armati internazionali o gli attacchi armati di cui lo Stato fosse oggetto non avessero carattere generalizzato, ma fossero tali da richiedere un’applicazione puramente locale o localizzata della legge penale militare di guerra.
    Il disegno di legge abroga anche l’ultimo comma dell’articolo 17 c.p.m.g., quale residuo dopo l’intervenuta modifica apportata con l’articolo 2, comma 1, lettera h), della legge 31 gennaio 2002, n. 6, di conversione del decreto-legge 1º dicembre 2001, n. 421. E tuttavia, poichè anche dopo l’avvenuta eliminazione del potere di bando, il grado speciale di responsabilità di chi è investito del comando di tutte le forze operanti potrebbe conservare ugualmente un rilievo ai fini penalistici, è sorto il problema, che dovrà essere oggetto di soluzione in altra sede, anche per il necessario coordinamento con la legge di guerra e con altre fonti, di definire diversamente tale carica, adottando terminologie più conformi a quelle in uso nelle convenzioni internazionali, e più in armonia con i termini della legge 18 febbraio 1997, n. 25, sulla ristrutturazione dei vertici delle Forze armate.

5.2. – Reati e pene militari, in generale

    Nell’ambito del libro secondo viene previsto il mantenimento, in base ai criteri generali di delega già definiti, dell’articolo 26, il cui carattere premiale, per atti di valore o per gravi lesioni riportate in guerra, appare tuttora ragionevole e meritevole di conferma, anche per incentivare il buon rendimento nelle operazioni da parte di tutti i militari.

    È stata, invece, decisa la abrogazione dell’articolo 27 (Pubblicazione della sentenza di condanna), ritenendo sufficiente la disciplina apprestata, per la stessa materia, dall’articolo 32 c.p.m.p. e troppo infamante, anche per i riflessi sull’onore familiare, l’ulteriore previsione della pubblicazione della sentenza (ancorchè per reati di indiscutibile gravità) anche nel comune in cui il militare abbia l’ultima residenza o dimora.
    Quanto all’articolo 28, relativo al potere indubbiamente atipico del «condono» è stato ravvisato un insanabile contrasto con i princìpi costituzionali, che riservano il potere di grazia al Capo dello Stato. Pertanto, viene prevista la soppressione di tale articolo, pur riconoscendo il suo carattere premiale e la sua funzione incentivante, diretta a stimolare i militari condannati a tenere buona condotta.
    È stata confermata la struttura generale del titolo II del libro secondo, relativo all’istituto chiaramente derogatorio del differimento dell’esecuzione delle pene, in considerazione del fatto che il codice penale ha conosciuto, anche recentemente, altre forme di differimento della pena, sia pure dettate da esigenze diverse, ma soprattutto, perchè non sono venute meno le esigenze, eminentemente pragmatiche, che determinarono la sua conferma nei codici del 1941, e che furono rappresentate dall’esigenza di non sottrarre alla forza militare personale fisicamente efficiente e di non consentire, attraverso la detenzione, spinte delinquenziali, volte ad evitare i rischi del servizio in guerra. Oltre tutto, ancorchè la mobilitazione generale delle risorse umane del Paese appaia oggi veramente remota, la disponibilità per operazioni militari armate di personale altamente specializzato e spesso infungibile potrebbe essere sicuramente preminente rispetto all’immediatezza dell’esecuzione della pena.
    Ovviamente, il differimento dovrà essere disposto dall’autorità giudiziaria competente, a richiesta del Ministro della difesa e non più su ordine di quest’ultimo.
    L’articolo 47 c.p.m.g., recentemente riformulato dalla legge 31 gennaio 2002, n. 6, di conversione del citato decreto-legge n. 421 del 2001, richiede ulteriori modifiche, nel senso di una sua semplificazione, la cui esigenza è chiaramente derivante dalla transitorietà di tale ultima novellazione e dalle modifiche già previste nel presente disegno di legge per il c.p.m.p.
    In particolare, l’aumento di pena di cui al comma 1 per le ipotesi di reato previste dal c.p.m.p. viene limitato fino ad un terzo, apparendo di eccessiva latitudine (da un sesto alla metà) quello attualmente previsto; l’aumento di pena per dette ipotesi di reato viene ulteriormente limitato fino ad un quarto in caso di operazioni militari all’estero in condizioni diverse dal conflitto armato; si provvede, inoltre, ad una più precisa definizione di tale aumento, visti anche i dubbi che esso ha suscitato in dottrina sulla natura di aggravante o di distinta pena edittale che esso produce: sarebbe, infatti, del tutto improvvido e vanificante esporre tale aumento di pena al rischio del giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti, ed in particolare con quelle generiche.
    I commi successivi dello stesso articolo, infine, richiedono di essere semplificati ed unificati, per evitare dubbi interpretativi e problemi di coordinamento con le analoghe previsioni già proposte per l’inserimento nel c.p.m.p.

5.3. – Reati contro la fedeltà e la difesa militare

    I reati contro la fedeltà e la difesa contenuti nel codice di guerra – pur integrando la tutela stabilita in tempo di pace nella categoria dei reati contro la personalità dello Stato, contenuti nel codice penale, e dei reati contro la fedeltà e la difesa descritti nel codice di pace – presentano molteplici profili innovativi.

    In una materia così importante e delicata l’intervento normativo persegue un duplice obiettivo: da una parte, assicurare il migliore coordinamento fra la legislazione di pace e la legislazione di guerra, indicando in particolare al legislatore delegato la necessità di sopprimere tutte le fattispecie che risultino superflue, alla luce della tutela già apprestata dal codice penale e dal codice penale militare di pace e tenuto conto della circostanza che, nel caso di applicazione della legislazione penale di guerra, già l’articolo 47 garantisce una più rigorosa protezione degli interessi tutelati; dall’altra, recependo gli indirizzi già tracciati dal legislatore nei più recenti interventi, garantire la compatibilità del settore normativo in questione con i princìpi costituzionali, escludendo che l’esistenza di una situazione di conflitto armato possa essere considerata idonea a giustificare limiti, penalmente sanzionati, alla libertà di stampa, di critica o comunque di espressione del pensiero, al di là di quanto sia ovviamente giustificato dalla necessità di impedire la rivelazione e la diffusione di notizie segrete, riservate o di cui, comunque, sia stata vietata la divulgazione.
    Coerentemente con i criteri generali sopra indicati è stata anche prevista la soppressione del delitto di cui all’articolo 75, che determina una inammissibile limitazione della libertà di stampa, con riguardo a predeterminate notizie di interesse militare (come quelle relative al numero dei feriti, morti o prigionieri), non comunicate o non autorizzate dal Governo o dai comandi militari, ed indipendentemente dalla apposizione di uno specifico vincolo di riservatezza su taluna di tali notizie.
    L’estensione della tutela del potere di ordinanza militare tende invece a colmare la lacuna che, in materia di protezione di rilevanti interessi militari, è sembrata conseguire alla soppressione delle norme (articoli 17 e seguenti) concernenti il potere di emanare bandi. Escluso che l’Autorità militare possa introdurre precetti, sanzionati penalmente, in caso di violazione, è stato d’altra parte considerato che non può essere negata la possibilità per i comandi militari (in particolare per assicurare la sicurezza pubblica in zona di operazioni, nonchè il rispetto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario) di emanare ordinanze, la cui osservanza deve essere garantita con la previsione legislativa di una sanzione penale (secondo il modello, ritenuto compatibile con il principio di legalità in materia penale, di cui all’articolo 650 c.p.).
    È sembrato opportuno ribadire che tale potere di ordinanza dovrà essere esercitato nel rispetto dei princìpi generali del nostro ordinamento giuridico e dei precetti costituzionali, in particolare.

5.4. – Reati contro il servizio in guerra

    Il titolo III del libro terzo c.p.m.g. tutela, in modo specifico, gli interessi militari connessi all’esito delle operazioni belliche. Tale specificità è, ulteriormente, sottolineata dalla presenza di ulteriori requisiti spazio-temporali (oltre, naturalmente, quelli di carattere generale stabiliti per l’applicazione della legge di guerra) nelle specifiche norme incriminatrici. Infatti, in taluni casi, le fattispecie descritte sono punite se compiute «durante il combattimento» (articolo 108), «in presenza del nemico» (articolo 144), «nel territorio delle operazioni militari» (articolo 157).

    L’apprezzamento a suo tempo compiuto dal legislatore del 1941 per ciascuna fattispecie richiede oggi una opportuna lettura e interpretazione in chiave moderna, allo scopo di conferire alle norme significati e valori in consonanza con i distinti concetti di «stato di guerra» e di «conflitto armato», riconducibili al tempo presente: sulla base di tale linea sarà valutata l’opportunità di modificare, integrare o espungere talune previsioni nonchè la congruità del trattamento sanzionatorio previsto dalla vigente normativa.
    In particolare deve procedersi alla soppressione dell’articolo 118, che configura come reato ogni violazione dei doveri di servizio o di disciplina commessa per «timore di un pericolo personale» (o per codardia), ove non costituisca più grave reato. Il legislatore del 1941, cioè, ha incentrato su un elemento soggettivo (la codardia) la rilevanza penale della condotta, violando il principio di legalità in materia penale.

5.5. – Reati contro le leggi e gli usi della guerra

    La revisione dei reati contro le leggi e gli usi della guerra, oggetto del titolo IV del libro terzo c.p.m.g., prevede, in posizione di centralità, l’adeguamento alle Convenzioni internazionali firmate a Ginevra dell’8 dicembre 1949, in materia di diritto umanitario bellico, ratificate ai sensi della legge 27 ottobre 1951, n. 1739, nonchè ai due Protocolli aggiuntivi dell’8 giugno 1977 (il primo sulla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, il secondo sulla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali), ratificati ai sensi della legge 11 dicembre 1985, n. 762. L’evoluzione del diritto internazionale in materia richiede l’inserimento di disposizioni dichiarative che consentano una più esatta indicazione delle aree di applicazione relativamente ai conflitti armati internazionali e ai conflitti armati non internazionali, anche in relazione ai richiami contenuti nello Statuto della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232.

    Va precisato al riguardo che dalla disaggregazione dei crimini di competenza della Corte, oggetto di previsione ratione materiae nell’articolo 5 dello Statuto, il presente disegno di legge interviene solo con riguardo ai crimini di guerra, tenuto conto anche di quanto concordato con la Commissione per l’adeguamento della legislazione italiana allo Statuto della Corte penale internazionale, costituita presso il Ministero della giustizia.
    In tale quadro, è stato espressamente previsto tra i princìpi e i criteri della delega legislativa il richiamo alla tipologia dei crimini di guerra, contenuta nell’articolo 8 dello Statuto della Corte.
    In coerenza con l’articolo 28 dello Statuto è stata, inoltre, prevista la delega per configurare la responsabilità in vigilando dei superiori militari. In effetti, pur essendo affermato il principio fondamentale della responsabilità penale individuale (articolo 25 dello Statuto), le particolari connotazioni organizzative delle Forze armate configurano la necessità di forme di controllo e intervento repressivo da parte dei capi militari e di altri superiori gerarchici. Si tratta peraltro di principio già affermato nell’articolo 86, comma 2, e nell’articolo 87 del I Protocollo aggiuntivo, adottato a Ginevra nel 1977.

5.6. – Procedura penale militare di guerra

    Quanto alle norme processuali per i reati commessi nello stato di guerra o nei territori ove i militari delle Forze armate siano impegnati in conflitti armati, il disegno di legge prevede come principio generale che il processo sia disciplinato dalle stesse disposizioni del codice penale militare di pace, con alcune deroghe e integrazioni.

    Anzitutto viene prevista la sottoposizione alla giurisdizione penale militare anche di chiunque, nel tempo di un conflitto armato, commetta un reato contro le leggi e gli usi della guerra a danno dello Stato o di cittadini italiani, ovvero nel territorio estero sottoposto al controllo delle Forze armate italiane, nell’ambito di una operazione militare armata.
    Sul punto va ricordato che l’articolo 103, terzo comma, della Costituzione pone limiti alla giurisdizione militare per il tempo di pace, mentre demanda alla legge ordinaria la determinazione della giurisdizione per il tempo di guerra.
    Al riguardo va sottolineato che «tempo di guerra» è concetto ben diverso da quello di «stato di guerra».
    Lo stato di guerra, dalla cui dichiarazione dipende l’applicazione della legge penale militare di guerra ai sensi dell’articolo 3 c.p.m.g., presuppone uno stato di diritto, che deve essere deliberato e dichiarato secondo norme giuridiche interne. Il tempo di guerra, invece, è una situazione di fatto, intesa normalmente come conflitto armato.
    Tutto ciò premesso, sembra evidente che il costituente, usando la nozione di tempo di guerra (più ampia di quella di stato di guerra, tanto da abbracciare in sè, ai sensi dell’articolo 310 c.p., il periodo di «imminente pericolo di guerra quando questo sia seguito») abbia voluto ampliare i limiti della giurisdizione militare in tutti i casi di conflitto armato, anche fuori dai casi di applicabilità, ai sensi dell’articolo 3 c.p.m.g., della legge penale militare di guerra.
    L’interpretazione dell’articolo 103, terzo comma, della Costituzione nei termini sopra indicati appare particolarmente importante per rendere possibile la sottoposizione alla giurisdizione militare anche dei reati contro le leggi e gli usi della guerra a danno dello Stato o di cittadini italiani, commessi da chiunque nel tempo di un conflitto armato ovvero nel territorio estero sottoposto al controllo delle Forze armate italiane nel corso di una operazione militare armata.
    Tuttavia, non si è ritenuto di discostarsi (anche se ciò astrattamente appare possibile) nell’ipotesi di conflitto armato dalle norme che prevedono tre gradi di giurisdizione (tribunali militari, corte militare d’appello, corte di cassazione) ma si è proposta la citazione diretta (e quindi l’esclusione dell’udienza preliminare) per tutti i reati commessi da militari impegnati nei conflitti armati.
    È stata, poi, confermata la competenza del tribunale di Roma per tutti i reati commessi all’estero. Tale decisione è stata frutto di attenta considerazione. Premesso che l’articolo 9 della legge n. 180 del 1981 aveva fissato la competenza del tribunale militare di Roma per tutti i reati commessi all’estero, era evidente che la norma non si riferisse ai reati commessi all’estero nello stato di guerra, ma solo a quei reati commessi in corso di missioni militari all’estero, dato che tale legge introduceva «modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace».
    La competenza del tribunale militare di Roma era stata fissata al fine di superare la norma prevista dall’articolo 10 c.p.p., di complessa applicazione nel caso di reati commessi da militari. Infatti, nel caso di concorso di militari nel reato, i criteri della residenza, dimora o domicilio, ai fini dell’individuazione della competenza, potevano non essere sufficienti (specie in caso di pluralità di autori del reato), così come appariva inutile quello dell’arresto o della consegna, e come appariva foriero di disguidi anche il criterio del luogo ove ha sede l’ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto nell’apposito registro la notizia di reato. La determinazione di un unico ufficio giudiziario competente per tali reati era apparsa al legislatore del 1981 la più conveniente.
    Gli stessi argomenti hanno suggerito di determinare in un unico ufficio giudiziario (quello di Roma, tenuto conto della sua centralità e del suo organico più numeroso rispetto ad altri tribunali militari) la competenza per i reati commessi all’estero nei casi di applicazione della legge di guerra. Altre considerazioni si sono aggiunte a favore della competenza determinata presso un unico tribunale militare rispetto a quelle tenute presenti dal legislatore del 1981. Infatti, è stato ritenuto necessario concentrare presso un solo ufficio giudiziario le apparecchiature necessarie per una eventuale convalida di arresto in flagranza effettuata mediante udienza svolta a distanza con conferenza telematica; inoltre, l’esperienza ventennale di missioni svolte all’estero ha dimostrato l’esiguità di reati commessi all’estero (meno di una decina l’anno), tale da consigliarne la concentrazione presso il solo ufficio giudiziario di Roma.
    Le medesime considerazioni sono apparse valide, per lo stato di guerra e per il tempo di guerra (che, come si e detto, abbraccia ogni conflitto armato), anche per i reati commessi a bordo di navi militari o aeromobili militari in navigazione in acque o spazi internazionali o in acque territoriali estere.
    Viene, inoltre, prevista la condizione di procedibilità della richiesta del Ministro della difesa per i reati militari connessi all’esercizio delle funzioni di comando, con esclusione dei crimini di guerra.
    Al fine, poi, di accelerare la definizione dei processi nello stato di guerra e nell’ipotesi di reati commessi nei luoghi ove si svolgano conflitti armati, viene previsto di:

    –  escludere la sospensione feriale dei termini processuali;

        –  abbreviare i termini processuali compatibilmente con il rispetto sostanziale delle garanzie difensive.

    Per quanto attiene al tempo di guerra o allo stato di guerra, è sembrato opportuno disporre, tranne per i casi di eccezionale gravità, la prevalenza delle esigenze connesse alle operazioni militari rispetto alle esigenze cautelari, anche al fine di evitare che il militare possa artificiosamente sottrarsi alle operazioni belliche.

    Per quanto attiene alle attività che possono essere compiute dalla polizia giudiziaria militare, si è ritenuto che, qualora ricorra una delle seguenti eccezionali circostanze e cioè: si agisca in zona di operazioni; viga, per motivi di sicurezza, il divieto di comunicazione; ovvero il fatto costituente reato si sia verificato presso un reparto isolato, o a bordo di nave militare o aeromobile militare in navigazione e non siano possibili collegamenti, la polizia giudiziaria possa:

        –  compiere d’iniziativa quegli atti che secondo le disposizioni del codice di procedura penale possono essere compiuti solo su delega del pubblico ministero;

        –  procedere, fermo restando l’obbligo della presenza del difensore, all’interrogatorio dell’arrestato o del fermato, dando, però, atto, in entrambe le ipotesi, nel relativo processo verbale, dell’esistenza di almeno una delle eccezionali situazioni sopra descritte.

    È evidente che gli atti così compiuti dalla polizia giudiziaria potranno essere utilizzati nel dibattimento soltanto se non più ripetibili, a prescindere dalla prevedibilità o meno della loro irripetibilità.

    Ricorrendo una delle anzidette eccezionali circostanze, si è previsto, inoltre, che le persone che esercitano le funzioni di polizia giudiziaria militare possano, in deroga alle disposizioni del codice di procedura penale, deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese da persone informate sui fatti nel corso di attività ad iniziativa della stessa polizia giudiziaria.
    Infine, è sembrato opportuno prevedere che, per gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria in una delle eccezionali circostanze prima descritte e per i quali sia necessaria la convalida, i termini ordinari della convalida siano raddoppiati, con eccezione per quelli stabiliti per i provvedimenti restrittivi della libertà personale, con decorrenza dall’ora successiva a quella della cessazione della causa d’impedimento.

6. - Art. 5. – Modificazioni dell’ordinamento giudiziario militare

    È prevista l’applicabilità delle norme relative all’ordinamento giudiziario ordinario, in quanto compatibili, tenuto conto dell’evidente peculiarità della giustizia militare.

    Muovendo dalla considerazione che attualmente, nel collegio, la figura dell’ufficiale giudice non sempre assicura un adeguato contributo, sia per la presenza di ufficiali non in possesso della necessaria esperienza di servizio, sia per la limitata durata del mandato (due mesi), è apparso anzitutto opportuno rivedere la normativa vigente relativa ai requisiti di grado, cause di dispensa e durata dell’incarico dei giudici d’arma, ferma restando la loro estrazione a sorte e la composizione numerica degli organi giudiziari militari, così come prevista dagli articoli 2 e 3 della legge 7 maggio 1981, n. 180.
    La specialità della giurisdizione militare scaturisce non solo dalla materia trattata, ma soprattutto dalla composizione mista del collegio (magistrati togati- ufficiali giudici). La prevalenza dell’elemento togato su quello laico e l’attribuzione della presidenza ad un magistrato trovano spiegazione nella necessità di garantire il massimo di indipendenza e di tecnicismo ai collegi giudicanti.
    Va, infatti, ricordato che, per quanto attiene ai magistrati militari, l’articolo 1 della citata legge n. 180 del 1981 attribuisce loro le medesime garanzie di indipendenza fissate per i magistrati ordinari (l’unica differenza è data dal fatto che per questi ultimi è la Costituzione a porre le norme che garantiscono l’indipendenza, mentre per i magistrati militari le stesse norme sono contenute in legge ordinaria).
    Si è ritenuto opportuno non proporre la modifica delle modalità di designazione per sorteggio dell’ufficiale giudice, considerando questo sistema il migliore possibile per garantire l’indipendenza di tale figura dal rapporto gerarchico. È stata, inoltre, esclusa l’ipotesi di istituire un corpo di ufficiali giudici o un istituto di ufficiali fuori ruolo da poter impiegare nei collegi giudicanti, perchè tali soluzioni non assicurerebbero le necessarie garanzie di autonomia e di indipendenza, per incompatibilità con le leggi di stato militari.
    Per quanto concerne le sezioni della corte militare di appello, le stesse sono, come afferma la legge, distaccate, ma non autonome. Si propone, quindi, la modifica del secondo comma dell’articolo 3 della legge n. 180 del 1981, riaffermando l’unicità della corte militare di appello.
    È apparso necessario rivedere le circoscrizioni territoriali dei tribunali militari, tenuto conto dell’avvenuta modificazione della dislocazione delle truppe, che ha comportato un aumento del carico di lavoro per alcuni tribunali militari ed una scarsa funzionalità per altri tribunali. I criteri a cui dovrà attenersi il legislatore delegato, a tal fine, sono quelli di tener conto dell’estensione del territorio, del complesso dei militari ivi esistenti, delle caratteristiche dei collegamenti tra le varie zone e la sede dell’ufficio giudiziario, del prevedibile carico di lavoro, finalizzando tali valutazioni alla realizzazione di un’equa distribuzione del carico di lavoro e di una adeguata funzionalità degli uffici giudiziari.
    La necessità di garantire la difesa dell’imputato nei casi di reati commessi all’estero in corso di conflitti armati e sin dalla fase delle indagini, ha indotto ad esaminare varie ipotesi. Ferma restando in ogni caso la possibilità per l’indagato di nominare un difensore di fiducia, la quasi assoluta impossibilità di fare intervenire all’estero un difensore d’ufficio, ha fatto sorgere la necessità di trovare soluzioni adeguate. La problematica relativa all’istituzione di un corpo di avvocati militari, finalizzata a creare una riserva di ufficiali in possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, che assumano la difesa davanti ai tribunali militari e alla corte militare di appello, è stata affrontata anche alla luce delle nuove realtà che vedono con sempre maggiore frequenza unita militari italiane partecipare ad operazioni militari armate in territorio estero. Anche in questo caso, sono valse le considerazioni fatte per il giudice d’arma, ritenendo non opportuno creare «corpi» o «istituti» nell’ambito dell’ordinamento giudiziario militare italiano.
    In tale ottica, è stato ritenuto opportuno e sufficiente prevedere la possibilità che l’imputato, sia all’estero che in Patria, possa essere difeso da ufficiali che abbiano l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato.
    Risultano, così, assicurati i diritti costituenti il patrimonio inviolabile della persona umana, al fine di conseguire un’adeguata ed effettiva difesa.
    Il predisposto quadro normativo mostra disposizioni intese ad assicurare non soltanto una tutela degli interessi soggettivi del militare, ma soprattutto una difesa che, in termini oggettivi, possa essere svolta in condizioni di imparzialità e di indipendenza, anche nei confronti delle pressioni che potrebbero derivare dagli ambienti esterni. Tale garanzia di indipendenza potrebbe essere conseguita, per esempio, scegliendo il difensore nell’ambito di Forza armata diversa da quella di appartenenza dell’imputato.
    Con specifico riferimento ai procedimenti disciplinari a carico dei magistrati militari, si è anche rilevata la necessità di prevedere l’istituzione, all’interno del Consiglio della magistratura militare, di due distinte sezioni, in modo da eliminare l’attuale lacuna procedurale, costituita dall’impossibilità di formare, in sede di rinvio, un altro collegio, nell’eventualità che le Sezioni Unite della Corte suprema di cassazione, competenti a conoscere dei ricorsi avverso le deliberazioni disciplinari del Consiglio, emettano una decisione di annullamento con rinvio. Attualmente, infatti, il Consiglio della magistratura militare, a differenza di quanto avviene nell’organo di autogoverno per i magistrati ordinari, giudica in materia disciplinare in composizione plenaria, con l’unica esclusione del procuratore generale presso la Corte di Cassazione.
    Tale diversità è stata già sottoposta al vaglio della Corte costituzionale per la parte in cui non risulta istituita specifica composizione disciplinare, come collegio «perfetto», con previsione, cioè, di eventuali supplenti, ma tali questioni sono state dichiarate infondate, con sentenza n. 52 del 1998 e con ordinanze n. 251 del 1998 e n. 116 del 1999.
    Sussiste, però, sempre il dubbio sulla costituzionalità delle norme correlative, laddove queste non consentano la sostituzione dei componenti del collegio, nell’eventualità che essi vengano a trovarsi in posizione di incompatibilità.
    Ne potrebbe derivare una violazione del principio di imparzialità e terzietà del giudice ex articolo 111 della Costituzione. In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione che, con recente ordinanza del 25 giugno 2002, n. 9283, ha riproposto la questione di costituzionalità degli articoli 4 e 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195, nel corso di un procedimento disciplinare a carico di un magistrato ordinario.
    Unica alternativa sarebbe, per i magistrati militari, quella di attendere, per il nuovo giudizio, l’elezione di un nuovo Consiglio della magistratura militare, semprechè non siano decorsi due anni dalla sentenza di annullamento, termine oltre il quale si prescriverebbe l’esercizio dell’azione disciplinare.
    Alla luce di quanto sopra, si rende, quindi, necessario introdurre la modifica normativa innanzi indicata.
    Viene, inoltre, prevista l’integrazione della composizione del Consiglio della magistratura militare mediante un ufficiale (estratto a sorte con le modalità previste per la composizione dei collegi giudicanti) con grado di tenente generale o equiparato nell’ipotesi di procedimento disciplinare svolto presso il Consiglio della magistratura militare a carico di giudice d’arma, e solo per la durata di tale procedimento.
    È apparso, inoltre, necessario prevedere la soppressione del concorso per titoli riservato ai magistrati ordinari per il reclutamento dei magistrati militari. Tale concorso, infatti, spesso non ha dato esito positivo, in quanto frequentemente i magistrati ordinari, dopo qualche tempo, ritornano ad esercitare le loro funzioni presso la giustizia ordinaria.
    È stato, poi, previsto che anche nello stato di guerra, come già nelle operazioni militari all’estero e in tempo di guerra, la composizione dei collegi giudicanti di primo grado sia identica a quella prevista per i collegi che operano in Italia in tempo di pace.
    Nel caso in cui sia dichiarato lo stato di guerra, al fine di ottenere una veloce definizione dei procedimenti si propone, per i procedimenti militari, di eliminare il giudizio per cassazione.
    Poiché è tuttora previsto, nell’ipotesi di stato di guerra, il Tribunale supremo militare, si propone che presso tale organo (che potrebbe giudicare in fatto e in diritto e che potrebbe essere composto dal presidente della corte militare di appello che lo presiede, da tre magistrati militare di cassazione e da un ufficiale, estratto a sorte, con grado minimo di brigadiere generale o corrispondente) possa essere rivolto ricorso, quale unico motivo di gravame avverso le sentenze dei tribunali militari.
    Al riguardo si pone il problema di quale procedura prevedere per il Tribunale supremo militare e cioè se sia preferibile quella tipica della corte d’appello o un misto tra quella di appello e quella della Corte di Cassazione. In particolare, il problema si pone nell’ipotesi di sentenza assolutoria in primo grado con ricorso del pubblico ministero. In caso di riforma della sentenza, resta il problema se – come avviene in appello – possa essere pronunziata condanna (che sarebbe definitiva) o – come avviene nel giudizio di cassazione – se il Tribunale supremo militare debba annullare la sentenza di primo grado con rinvio.
    Si è rilevato che la condanna emessa dal giudice dell’impugnazione lascerebbe molte perplessità per la sua definitività, in quanto emessa in contrasto con la decisione del primo giudice. Per converso, si è rilevato, da una parte, che proprio per garantire la più celere definizione di fatti costituenti reato nello stato di guerra, la Costituzione ha consentito nell’articolo 111 la possibilità di non ammettere il ricorso per cassazione (e nel momento in cui si è creata detta norma non esisteva la corte militare d’appello, sicchè non era possibile un nuovo giudizio militare) e d’altra parte che la possibilità di annullamento con rinvio, cancellerebbe o renderebbe meno possibile la celere definizione del procedimento, per la necessità di un terzo giudizio e la possibilità di altri (giudizio di rinvio, nuovo ricorso, nuovo annullamento con rinvio e così via). Verrebbe, in tal caso, meno quell’esigenza di celerità che, in definitiva, costituisce la ragione per cui si è ritenuto necessario distaccarsi dai tre gradi di giudizio. A fronte di tale alternativa, che lascia motivi di perplessità in ognuna delle due possibili soluzioni, è sembrato opportuno lasciare al legislatore delegato la soluzione.
 
 

Analisi tecnico-normativa

1. ASPETTI TECNICO-NORMATIVI IN SENSO STRETTO
a) Necessità dell’intervento normativo
        Le disposizioni del disegno di legge prevedono il conferimento della delega al Governo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra e l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare.

        La riforma, già avviata con le leggi 31 gennaio 2002, n. 6, e 27 febbraio 2002, n. 15, di conversione, rispettivamente, dei decreti-legge 1º dicembre 2001, n. 421, e 28 dicembre 2001, n. 451, si rende necessaria per adeguare la legislazione penale militare, risalente al 1941, ai princìpi costituzionali, alle mutate esigenze operative e al diritto umanitario internazionale.
        L’iniziativa dà anche attuazione a convergenti ordini del giorno con i quali il Governo, in occasione dell’approvazione della citata legge n. 15 del 2002, di conversione del decreto-legge n. 451 del 2001 (relativo alla proroga della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali), si è impegnato a presentare un disegno di legge volto ad introdurre un corpo di norme per la disciplina penale delle missioni all’estero e per razionalizzare, in armonia con la Costituzione, l’organizzazione e il riparto della giurisdizione tra l’autorità giudiziaria militare e l’autorita giudiziaria ordinaria.
        Quanto allo strumento, si ritiene che, data l’incidenza dell’intervento normativo sul sistema codicistico, la delega legislativa sia la scelta tecnicamente più opportuna, secondo una prassi consolidata. Gli analitici princìpi e criteri direttivi proposti con il disegno di legge sono conformi al dettato dell’articolo 76 della Costituzione.

b) Analisi del quadro normativo
        Il codice penale militare di pace ha subìto negli anni diverse modifiche, la più incisiva delle quali è stata quella portata dalla legge 23 marzo 1956, n. 167.

        Il codice penale militare di guerra è rimasto, invece, sostanzialmente immutato, se si esclude l’abolizione della pena di morte recata dalla legge 13 ottobre 1994, n. 589.
        Inoltre, gli interventi della Corte costituzionale hanno portato a ulteriori conseguenze la conformazione di questa legislazione, eliminando le restanti disposizioni ritenute in contrasto con la Carta costituzionale.
        Dal punto di vista organizzativo, l’antico assetto proprio della magistratura militare è stato nel tempo rivisto sin nelle fondamenta, con la rimozione di quelle caratterizzazioni che potevano qualificare la sua specialità come eccezione alle garanzie della imparzialità e del rigore nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità. Oggi dunque – dopo le riforme dalle leggi 7 maggio 1981, n. 180, e 30 dicembre 1988, n. 561 – ci si trova di fronte ad una magistratura che ha in tutto le stesse caratteristiche organizzative e di status, e le medesime garanzie di autonomia e indipendenza che sono proprie della magistratura ordinaria. La sua specificità consiste ormai solo nell’essere caratterizzata da una preziosa expertise attagliata alla qualificazione di militarità dei fatti, degli autori, dell’ambiente e delle circostanze, e dunque si risolve essenzialmente in specializzazione per materia su ciò che riguarda la presenza dell’interesse pubblico militare: non dissimilmente, del resto, da quanto avviene per organi della giurisdizione ordinaria caratterizzati, come questa, dalla presenza minoritaria di componenti non togati nei collegi giudicanti.
        Malgrado tale aggiornamento organizzativo, per ciò che riguarda la strumentazione giuridica, la legislazione penale militare è rimasta ancora sostanzialmente ferma nella sua configurazione tradizionale. Nondimeno, il rapido e progressivo mutare dello scenario internazionale, con la fine del bipolarismo e l’apertura di un periodo di più diretto impegno italiano nel concorrere ad assicurare la pace in ambito internazionale, ha poi generato nuove esigenze di tutela penale militare e aperto nuove prospettive, in cui l’uso della forza militare diviene strumento e garanzia dei beni essenziali e comuni dell’ordine e della stabilità internazionali. Le Forze armate sono andate associando alla loro tradizionale e primaria funzione di difesa nazionale altri e nuovi compiti, manifestatisi soprattutto in occasione delle numerose missioni all’estero in sostegno della pace e della sicurezza. A questi si sono aggiunti il concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni e lo svolgimento di compiti specifici in occasione di pubbliche calamità e in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza, testualmente enunciati dall’articolo 1 della legge 14 novembre 2000, n. 331.
        La medesima legge n. 331 del 2000 ha, altresì, avviato il processo di trasformazione in chiave professionale del servizio militare, rendendo necessario l’aggiornamento e la riconsiderazione dei precetti e delle sanzioni penali, in modo da rendere più attuale la protezione dei beni giuridici che sono a fondamento delle Forze armate e che debbono avere particolare tutela e vigore in un esercito a base volontaria.
        È, comunque, in occasione delle missioni di pace all’estero che si è sempre più manifestata la necessità di un’espressa e attuale modulazione del c.p.m.g. che, pur evitando l’automatismo della integrale applicazione della legge penale militare di guerra ai corpi di spedizione all’estero in tempo di pace, gia previsto dall’articolo 9 c.p.m.g., evitasse per contro anche il reiterarsi di lacune, incongruenze e incertezze dovute all’impropria sua espressa inapplicazione. Il ricorso al solo codice militare di pace – proprio di una condizione generale di addestramento anzichè di un impiego operativo che può anche giungere a rimarchevole intensità – lascia infatti senza protezione situazioni e beni giuridici di primaria importanza in simili contesti di uso della forza, sovente delicato e pericoloso: non solo l’imputazione allo Stato degli atti dei componenti del contingente nello svolgimento dell’impegno, con connesse responsabilità e doveri, ma anche la necessaria coesione, in un tale ambiente, del contingente medesimo, come anche la condizione giuridica dei catturati. E sono soprattutto i soggetti deboli coinvolti (infermi, feriti, popolazione civile, prigionieri) che vengono lasciati senza specifica tutela penale, prevista invero dal titolo IV del libro III del codice penale militare di guerra (reati contro le leggi e gli usi di guerra).
        In ragione di queste esigenze, il Governo, sin dai primi decreti-legge sull’operazione Enduring Freedom (decreto-legge 1º dicembre 2001, n. 421, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 2002, n. 6, e decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 15) ha ritenuto di non dover più derogare all’applicazione di quel codice, ma solo alle obsolete disposizioni sulla cosiddetta giustizia di guerra.
        È stato avviato così, sotto la pressante spinta di dare uno status giuridico congruo alla operazione internazionale di lotta al terrorismo, una prima attualizzazione di questo corpo normativo.
        Il quadro normativo di riferimento è completato dallo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232. Questo comporta che siano colmate eventuali lacune dell’ordinamento interno circa la repressione dei fatti corrispondenti ai crimini internazionali previsti dallo Statuto medesimo. Le rammentate previsioni del libro III, titolo IV, del codice penale militare di guerra circa i reati contro le leggi e gli usi di guerra, già oggetto di alcune recenti modifiche (si vedano, ad esempio, gli articoli 165, 183, 184-bis, 185, 185-bis), vanno pertanto integrate per ottenere una compiuta e finale conformazione all’articolo 8 (sui crimini di guerra) di tale significativo strumento internazionale e alle altre convenzioni di diritto umanitario recepite dall’Italia.
        La revisione dei codici militari comporta anche, per riflesso organizzativo, un’ulteriore revisione dell’ordinamento giudiziario militare di cui al regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022, già profondamente modificato, come detto, con le leggi 7 maggio 1981, n. 180, e 30 dicembre 1988, n. 561.

c) Incidenza delle norme proposte sulle leggi e i regolamenti vigenti

        Il disegno di legge, avendo ad oggetto unicamente il conferimento di una delega legislativa, non incide direttamente sulla legislazione vigente.

d) Analisi della compatibilità dell’intervento con l’ordinamento comunitario

        Trattandosi di disposizioni in materia penale e di ordinamento giudiziario, di esclusiva competenza, sulla base del trattato dell’Unione europea, degli ordinamenti interni degli Stati membri, non si ravvisano profili di incompatibilità con l’ordinamento comunitario.
e) Analisi della compatibilità con le competenze delle regioni ordinarie ed a statuto speciale

        Non si ravvisano profili di incompatibilità delle disposizioni del disegno di legge con le competenze delle regioni ordinarie ed a statuto speciale, essendo la materia attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato dall’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

f) Verifica della coerenza con le fonti legislative primarie che dispongono il trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali

        Ugualmente non si pone alcun problema di possibile interferenza con le fonti legislative che dispongono il trasferirnento di funzioni alle regioni e agli enti locali.

g) Verifica dell’assenza di rilegificazioni e della piena utilizzazione delle possibilità di delegificazione

        Le disposizioni del provvedimento non incidono su materie disciplinate da fonti regolamentari, nè possono costituire oggetto di atti normativi secondari.
2. ELEMENTI DI DRAFTING E LINGUAGGIO NORMATIVO

a) Individuazione delle nuove definizioni normative introdotte dal testo, della loro necessità, della coerenza con quelle già in uso

        Le disposizioni del disegno di legge non introducono nuove definizioni normative.

b) Verifica della correttezza dei riferimenti normativi contenuti nel progetto, con particolare riguardo alle successive modificazioni ed integrazioni subite dai medesimi

    È stata verificata positivamente la correttezza dei riferimenti normativi contenuti negli articoli del disegno di legge.

c) Ricorso alla tecnica della novella legislativa per introdurre modificazioni ed integrazioni a disposizioni vigenti

        Il disegno di legge, avendo ad oggetto unicamente il conferimento di una delega legislativa, non introduce modifiche e integrazioni a disposizioni vigenti.

d) Individuazione di effetti abrogativi impliciti di disposizioni dell’atto normativo e loro traduzione in norme abrogative espresse nel testo normativo

        Dalle disposizioni del disegno di legge non conseguono effetti abrogativi impliciti.
3. ULTERIORI ELEMENTI

a) Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi di costituzionalità sul medesimo o analogo oggetto

        Non risultano attualmente pendenti giudizi di costituzionalità riguardanti la materia oggetto del provvedimento.

b) Verifica dell’esistenza di progetti di legge vertenti su materia analoga all’esame del Parlamento e relativo stato dell’iter

        Nella materia oggetto del provvedimento risultano presentati i seguenti atti parlamentari:
            Atto Camera n. 258 (SPINI);

            Atto Camera n. 534 (CARBONI);
            Atto Camera n. 576 (LAVAGNINI);
            Atto Camera n. 2724 (KESSLER e altri);
            Atto Camera n. 2807 (MINNITI e altri);
            Atto Camera n. 3565 (FRAGALÀ);
            Atto Senato n. 1533 (NIEDDU e altri);
            Atto Senato n. 1638 (IOVENE e altri).
 
 

Analisi di impatto della regolamentazione (AIR)

a) Destinatari dell’intervento

        Destinatari diretti dell’intervento normativo in esame sono gli individui, anche non cittadini, in quanto possibili soggetti attivi dei reati previsti dai codici penali militari.

        Per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, destinataria diretta dell’intervento è la magistratura militare, sia in relazione all’esercizio della funzione giurisdizionale, sia sul piano organizzativo. Destinatari indiretti possono considerarsi l’amministrazione militare e le strutture di supporto della magistratura militare (polizia giudiziaria militare, uffici di cancelleria).

b) Obiettivi e risultati attesi

        Obiettivo dell’intervento è adeguare la legislazione e l’ordinamento penale militare ai princìpi costituzionali, alle mutate esigenze operative e al diritto umanitario internazionale.

        I risultati attesi consistono nella più adeguata protezione dei beni-interessi militari, al fine di garantire la piena funzionalita delle Forze armate nell’assolvimento dei compiti istituzionali.

c) Impatto sull’organizzazione e sull’attività delle pubbliche amministrazioni; condizioni di operatività

        Il provvedimento non presenta profili problematici di copertura amministrativa, in quanto le innovazioni non richiedono incrementi delle attuali strutture giudiziarie militari e dei relativi apparati amministrativi.
 
 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Delega al Governo)

    1. Al fine di assicurare la piena funzionalità delle Forze armate per l’assolvimento dei compiti istituzionali previsti dall’articolo 1 della legge 14 novembre 2000, n. 331, il Governo della Repubblica è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni modificative e integrative del codice penale militare di pace e del codice penale militare di guerra, di cui al regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, dell’ordinamento giudiziario militare, di cui al regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022, e successive modificazioni, della legge 7 maggio 1981, n. 180, e successive modificazioni, di modifica dell’ordinamento giudiziario militare di pace, e della legge 30 dicembre 1988, n. 561, di istituzione del Consiglio della magistratura militare, secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui alla presente legge.

Art. 2.

(Princìpi e criteri direttivi generali)

    1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il Governo, in conformità ai princìpi e valori della Costituzione della Repubblica e del diritto internazionale, si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

        a) adeguare la legge penale militare agli obblighi derivanti per l’Italia dal diritto internazionale umanitario, anche mediante l’attuazione, con riguardo all’ambito della legge penale militare italiana, dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232, con riferimento alla punizione e alla disciplina penale dei fatti corrispondenti ai crimini di guerra;

        b) adeguare le norme del codice penale militare di guerra e graduarne anche l’applicazione in relazione alle esigenze connesse ai conflitti armati e alle operazioni militari armate all’estero;
        c) dare attuazione ai princìpi di personalità, offensività, sufficiente determinatezza e colpevolezza;
        d) individuare, in attuazione dei princìpi di proporzione e di sussidiarietà, le ipotesi che siano meritevoli di pena e quelle, invece, da depenalizzare, avuto riguardo al grado di offensività e all’effettività della sanzione;
        e) rivedere e armonizzare la misura delle sanzioni stabilite per i singoli reati, tenuto conto della rilevanza dei beni giuridici offesi, delle modalità di aggressione, nonchè del rapporto sistematico con analoghe fattispecie previste dalla legge penale comune;
        f) sopprimere o adeguare le denominazioni e il lessico antiquati o non piu rispondenti all’ordinamento interno e internazionale.

Art. 3.

(Princìpi e criteri direttivi relativi
alle modificazioni del codice penale
militare di pace)

    1. Con riferimento alle modificazioni del codice penale militare di pace, il Governo, nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, si attiene, oltre a quelli indicati nell’articolo 2, ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) rivedere le disposizioni di carattere generale, con l’eliminazione di ogni deroga ai princìpi stabiliti dalla legge penale comune, che non debba ritenersi giustificata dalla necessità di una disciplina speciale del reato militare. In particolare: rivedere la nozione di «militari in servizio alle armi», intendendo come tali i militari di tutte le categorie dal momento stabilito per la loro presentazione fino al momento in cui vengono posti in congedo, nonchè la nozione di «militari considerati in servizio alle armi» alla luce delle leggi che regolano lo stato di militare; prevedere i casi di applicabilità della legge penale militare ai militari stranieri nelle ipotesi di cooperazione internazionale, qualora consentita dalle convenzioni internazionali, nonchè agli estranei alle Forze armate per i servizi di vigilanza e custodia affidati a quest’ultimi o per l’adempimento di servizi collegati a operazioni militari, limitatamente alle condotte qualificate, per i militari, come violata consegna e abbandono di posto, nelle forme semplici o aggravate, omessa presentazione in servizio, disobbedienza e inadempienze nelle somministrazioni militari; prevedere l’inserimento della multa fra le pene principali e di sanzioni sostitutive compatibili con lo stato di militare del condannato; limitare, in tema di pene accessorie, i casi di applicazione automatica della rimozione in connessione al titolo di reato per cui è intervenuta condanna, escludendo l’automaticità della rimozione nel caso di concorso con inferiore; regolamentare in termini omogenei la sospensione dall’impiego e dal grado e prevedere la pena accessoria dell’estinzione del rapporto d’impiego; rivedere le norme relative alle cause di giustificazione, escludendo dalle esimenti l’esecuzione di un ordine costituente manifestamente reato, ed alle circostanze comuni del reato militare; riesaminare le disposizioni sulle esecuzioni delle pene comuni e delle misure cautelari per i militari di servizio; rivedere le disposizioni in tema di prescrizione per i reati di diserzione e di mancanza alla chiamata, nonchè in tema di non menzione della condanna nel certificato del casellario e di sospensione condizionale della pena; prevedere che la riabilitazione per i reati militari sia disposta dalla autorità giudiziaria militare;

        b) riesaminare i reati contro la fedeltà e la difesa militare, prevedendo come reato militare qualunque violazione della legge penale comune costituente delitto contro la personalità dello Stato se commessa da militare; curare il coordinamento con le disposizioni concernenti la tutela del segreto di stato e i servizi di informazione e sicurezza;
        c) rivedere i reati di omessa presentazione in servizio, abbandono di posto e di violata consegna, tenuto conto delle nuove, concrete articolazioni di impiego;
        d) aggiornare, nell’ambito delle violazioni di doveri inerenti speciali servizi, le previsioni in relazione all’utilizzo delle nuove tecnologie nel settore delle comunicazioni;
        e) prevedere una specifica ed autonoma disciplina dei reati in materia di stupefacenti e di sostanze psicotrope, allorchè commessi da militari in luoghi militari o comunque se il fatto avvenga tra militari, in riferimento alla tutela dell’idoneità fisica e in rapporto alle concrete esigenze di servizio;
        f) riordinare i reati di assenza dal servizio, elevando la soglia del reato di allontanamento illecito a tre giorni di assenza, quella dei reati di diserzione e di mancanza alla chiamata a dieci giorni e quella dell’attenuante relativa alla breve durata dell’assenza a trenta giorni;
        g) riformulare le ipotesi di diserzione immediata, includendo l’assenza ingiustificata nel corso di operazioni militari o di situazioni di emergenza o di allarme note all’autore del fatto;
        h) prevedere la fattispecie di natura colposa della dispersione di oggetti di armamento, di munizioni da guerra, materiali o altri oggetti forniti, a norma dei regolamenti, dall’amministrazione militare come costituenti dotazione individuale;
        i) disciplinare, in apposito capo del titolo secondo del libro secondo, i reati di falso prevedendo, in particolare, integrazioni mediante il richiamo alle ipotesi previste dalla legge penale comune commesse da militari nei casi di lesione al servizio e alla disciplina;
        l) riordinare i reati di disobbedienza individuale e collettiva, distinguendoli dai fatti di sedizione, mediante disaggregazione in capi distinti. In particolare: prevedere la non punibilità del ritardo nell’esecuzione di un ordine, semprechè ricorrano le circostanze previste dall’articolo 25, comma 2, primo periodo, del regolamento di disciplina militare di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1986, n. 545; prevedere come reati militari, con pene detentive differenziate, qualora le condotte del militare non costituiscano reati più gravi: le violazioni del divieto di sciopero; l’abbandono collettivo di servizio o di uffici; l’interruzione collettiva del servizio; l’abbandono o la interruzione individuale di un servizio a scopo di reclamo; l’attività diretta a promuovere, organizzare o dirigere forme di turbativa della continuità e della regolarità del servizio, anche se l’evento programmato non sia realizzato; la raccolta o la partecipazione a sottoscrizioni per rimostranze o protesta in cose di servizio militare o attinenti alla disciplina;
        m) rivedere i reati speciali contro l’amministrazione militare, in modo da:

            1) prevedere come reato militare ogni violazione della legge penale costituente delitto del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione, se commessa da militare;

            2) integrare le qualifiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio previste per i soggetti attivi dei reati della legge penale comune, con le qualifiche di militare incaricato di funzioni amministrative o di comando, o di direzione o di controllo o di militare incaricato dell’esecuzione di un particolare servizio;
            3) inserire una disposizione che precisi la nozione di amministrazione militare, ai fini della tutela penale, secondo una accezione funzionale e non di carattere contabile;
            4) estendere ai militari incaricati di funzioni amministrative, o di comando o di direzione o di controllo, il reato di arbitraria utilizzazione di prestazioni lavorative di personale dipendente, previsto, per gli appartenenti alla Polizia di Stato, dall’articolo 78 della legge 1º aprile 1981, n. 121;

        n) sostituire l’articolo 220 del codice penale militare di pace con una disposizione che preveda come reato militare qualunque violazione del codice penale costituente delitto contro l’amministrazione della giustizia, se commessa da militare nel corso o in funzione di un procedimento penale militare;

        o) prevedere come reato militare ogni violazione della legge penale costituente delitto contro l’incolumità pubblica, ovvero costituente reato in materia di tutela della sicurezza e di prevenzione di infortuni nei luoghi di lavoro, commessa da militare in luogo militare;
        p) sostituire gli articoli da 222 a 229 del codice penale militare di pace e prevedere come reato militare qualunque violazione del codice penale costituente delitto contro la persona, se commessa da militare a danno di un altro militare, a causa del servizio militare ovvero in luogo militare o in talune delle circostanze indicate all’articolo 5 della legge 11 luglio 1978, n. 382, ovvero in territorio estero mentre il militare ivi si trovi per causa di servizio o a causa del servizio militare, con applicazione delle pene originariamente previste dal codice penale ed esclusione di quelle applicate in ragione della competenza penale del giudice di pace;
        q) prevedere come reato militare il fatto del militare che usi violenza o minaccia nei confronti di altro militare, valendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo di solidarietà, esistente o supposto, tra militari piu anziani di servizio;
        r) sostituire gli articoli da 230 a 237 del codice penale militare di pace e prevedere come reato militare qualunque violazione del codice penale costituente delitto contro il patrimonio, se commessa da militare a danno di un altro militare o dell’amministrazione militare, in luogo militare o in territorio estero, mentre il militare ivi si trovi per causa di servizio o a causa del servizio militare, con applicazione delle pene originariamente previste dal codice penale ed esclusione di quelle applicate in ragione della competenza penale del giudice di pace;
        s) prevedere come reato militare i fatti di cui all’articolo 12 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, commessi da militare in danno di altro militare;
        t) prevedere nell’articolo 260, primo comma, del codice penale militare di pace la perseguibilità a richiesta del Ministro della difesa anche del reato di cui all’articolo 117 del medesimo codice;
        u) prevedere l’applicabilità nel processo penale militare delle norme del codice di procedura penale, salvo che sussista una esigenza di disciplina differenziata, nonche l’abrogazione espressa delle norme processuali del codice penale militare di pace inapplicabili a seguito della entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. In particolare, prevedere: la procedibilità anche solo a querela della persona offesa per i reati militari contro la persona e contro il patrimonio, quando la legge penale comune preveda tale condizione di procedibilità; la procedibilità, in tali casi, anche a richiesta del comandante di corpo, ad eccezione dei reati di violenza sessuale di cui agli articoli 609-bis e seguenti del codice penale, nonchè disposizioni, anche transitorie, di collegamento fra richiesta e querela; l’introduzione di norme che stabiliscano casi specifici di arresto in flagranza per le ipotesi più gravi di reati di assenza dal servizio e per i reati militari per le cui corrispondenti fattispecie la legge penale comune stabilisce la medesima misura restrittiva; l’introduzione di norme relative alla notifica di atti processuali ed alla costituzione di sezioni di polizia giudiziaria militare; l’applicazione della disciplina prevista dal libro VIII del codice di procedura penale per i reati militari puniti con la reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva, ferma restando la composizione collegiale del giudice del dibattimento; la conferma, per i reati appartenenti alla giurisdizione dei tribunali militari, delle attribuzioni degli organi giudiziari militari, corrispondenti a quelli ordinari indicati dalla legge, nei rapporti giurisdizionali con autorità straniere, con riguardo alla normativa di cui al libro undicesimo del codice di procedura penale; determinazione di analoghe attribuzioni con riguardo alla cooperazione con la Corte penale internazionale per quanto attiene ai fatti corrispondenti ai crimini di guerra; l’introduzione, limitatamente ai reati militari, di forme di concerto con il Ministro della difesa per l’esercizio delle funzioni attribuite dalla legge al Ministro della giustizia in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere;
        v) abrogare gli articoli 38, 39, 42, 46, da 50 a 54, 56, 57, 58, secondo comma, 60, 63, primo comma, numeri 1, 4 e 6, 64, 70, secondo comma, 71, 78, 79, da 81 a 83, da 85 a 89, 90, primo comma, numeri 2, 3 e 4, secondo e terzo comma, da 91 a 93, da 95 a 97, 98, limitatamente all’ipotesi dell’istigazione, 99, 102, 126, 149, primo comma, numeri 2 e 3, da 200 a 210, 345, 372 del codice penale militare di pace ed ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge.

Art. 4.

(Princìpi e criteri direttivi relativi
alle modificazioni del codice penale
militare di guerra)

    1. Quanto alle modificazioni del codice penale militare di guerra, il Governo, nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, si attiene, oltre a quelli indicati nell’articolo 2, ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) prevedere l’applicazione della legge penale militare di guerra in relazione al tempo, avuto riguardo all’evoluzione dei conflitti armati internazionali e dei conflitti armati interni;

        b) escludere ogni ipotesi di retroattività della legge penale militare di guerra;
        c) prevedere che la legge penale militare di guerra e le disposizioni di legge che presuppongono il tempo di guerra si applichino anche per i reati commessi nel corso di un conflitto armato ovvero per i reati commessi nel caso di attacco armato allo Stato italiano, precisando le modalità per la delimitazione degli ambiti territoriali e personali di applicazione in caso di attacchi non generalizzati;
        d) confermare l’applicazione della legge penale militare di guerra, ancorchè nello stato di pace, ai corpi di spedizione all’estero per operazioni militari armate, prevedendo la diminuzione delle pene edittali fino ad un quarto, ad esclusione di quelle relative alle violazioni gravi del diritto umanitario;
        e) prevedere che il differimento delle pene detentive temporanee sia in ogni caso disposto dall’autorità giudiziaria militare;
        f) sopprimere, adeguare o integrare tutte le norme che, alla luce della tutela già apprestata dal codice penale e dal codice penale militare di pace, considerato l’aumento di pena stabilito dall’articolo 47 del codice penale militare di guerra, risultino superflue per la marginalità dell’estensione della tutela penale o della maggiore severità della sanzione;
        g) elevare fino ad un terzo le pene previste dal codice penale militare di pace nel caso di richiamo ai sensi dell’articolo 47 del codice penale militare di guerra; elevare fino ad un quarto le medesime pene nel caso di operazioni militari all’estero in condizioni diverse dal conflitto armato; prevedere che costituisca, altresì, reato militare ogni altra violazione della legge penale commessa dall’appartenente alle Forze armate con abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato militare o in luogo militare e prevista come delitto contro l’ordine pubblico, la moralità pubblica e il buon costume; che, inoltre, costituisca reato militare ogni altra violazione della legge penale commessa dall’appartenente alle Forze armate in luogo militare o a causa del servizio militare, in offesa del servizio militare o dell’amministrazione militare o di altro militare o di appartenente alla popolazione civile che si trovi nei territori di operazione all’estero; prevedere che costituisca, infine, reato militare ogni altra violazione della legge penale prevista quale delitto in materia di controllo delle armi, munizioni ed esplosivi, commessa dall’appartenente alle Forze armate;
        h) estendere la tutela del potere di ordinanza militare ai provvedimenti emessi per assicurare l’ordine e la sicurezza dei reparti e del personale militare, la sicurezza pubblica in zona di operazioni, il rispetto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario, nonchè dagli accordi di tregua, sospensione d’armi, armistizio e dalle altre convenzioni militari, ovvero il rispetto delle salvaguardie e dei salvacondotti comunque rilasciati dalle autorità militari italiane;
        i) rivedere il titolo quarto del libro terzo per adeguarne il contenuto alla tipologia dei crimini di guerra prevista dall’articolo 8 dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232, nonchè dalle altre convenzioni internazionali di diritto umanitario applicabili ai conflitti armati ratificate dall’Italia, in modo da:

            1) prevedere che, ai fini della legge penale militare di guerra, costituiscano conflitti armati: i conflitti armati internazionali; i conflitti interni tra gruppi di persone organizzate, che si svolgano con le armi all’interno del territorio dello Stato, e raggiungano la soglia di una guerra civile o di insurrezione armata; i conflitti interni prolungati tra le Forze armate dello Stato e gruppi armati organizzati o tra tali gruppi;

        2) escludere dai conflitti interni indicati al numero 1) della presente lettera le situazioni interne di disordine o di tensione, quali sommosse o atti di violenza isolati e sporadici ed altri atti analoghi;
        3) disciplinare, in coerenza con gli articoli 28 e 32 del citato Statuto della Corte penale internazionale, la responsabilità personale dei comandanti militari, differenziandola in relazione al grado di colpevolezza;
        4) determinare le pene principali ed accessorie per le singole fattispecie con riferimento alle ipotesi di base e a quelle oggetto di circostanze aggravanti o attenuanti mediante criteri di adeguatezza e di congruità nel quadro sistematico del codice penale militare di guerra;

        l) prevedere che, nei casi di applicazione della legge penale militare di guerra, anche indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di guerra, il processo sia disciplinato dalle stesse disposizioni del codice penale militare di pace, con le seguenti deroghe e integrazioni:
            1) sottoposizione alla giurisdizione penale militare anche di chiunque, nel tempo di un conflitto armato, commetta un reato contro le leggi e gli usi della guerra a danno dello Stato o di cittadini italiani, ovvero nel territorio estero sottoposto al controllo delle Forze armate italiane, nell’ambito di una operazione militare armata;

            2) competenza del tribunale militare di Roma sia per i reati commessi all’estero sia per quelli commessi in navigazione a bordo di navi o aeromobili militari in acque o spazi internazionali o territoriali esteri;
            3) esclusione della sospensione feriale dei termini processuali;
            4) possibilità di abbreviazione dei termini processuali, in funzione della massima tempestività, compatibile con il rispetto sostanziale delle garanzie difensive, nella definizione del processo;
            5) previsione che non siano di regola emesse misure coercitive, salvo che per i reati puniti con la pena dell’ergastolo ovvero con la reclusione superiore a venti anni, quando l’esigenza di partecipazione dell’imputato alle operazioni militari risulti prevalente rispetto alle esigenze cautelari;
            6) previsione di specifiche disposizioni relative alla obbligatorietà o facoltatività dell’arresto in flagranza, nonchè alla convalida dell’arresto nei casi in cui l’arrestato non possa essere tempestivamente posto a disposizione dell’autorità giudiziaria;
            7) previsione della condizione di procedibilità della richiesta del Ministro della difesa per i reati militari connessi all’esercizio di funzioni di comando in tempo di guerra, con esclusione dei crimini di guerra;

        m) prevedere, limitatamente ai conflitti armati fuori dal territorio nazionale:
            1 ) che le persone che esercitano le funzioni di polizia giudiziaria militare, in deroga alle disposizioni del codice di procedura penale, procedano, d’iniziativa, a compiere tutti gli atti di polizia giudiziaria, compresi quelli che normalmente sono svolti solamente su delega del pubblico ministero, nonche l’interrogatorio dell’arrestato o del fermato, allorchè ricorra una delle seguenti condizioni, di cui debba essere fatta espressa menzione:
                1.1) si agisca in zona di operazioni;

                1.2) viga, per motivi di sicurezza, il divieto di comunicazione;
                1.3) si tratti di reparto isolato, di nave militare o di aeromobile militare in navigazione e non siano possibili collegamenti;

            2) il raddoppio dei termini ordinari per la convalida, ove prevista, degli atti di polizia giudiziaria, eccetto quelli stabiliti per la convalida dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, con decorrenza dall’ora successiva alla cessazione della causa di impedimento;

            3) che, in deroga alle disposizioni del codice di procedura penale, le persone che esercitano le funzioni di polizia giudiziaria militare possano deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese da persone informate sui fatti nel corso di attività a iniziativa della polizia giudiziaria, quando ricorra una delle condizioni indicate ai numeri 1.1), 1.2) e 1.3);
            4) prevedere l’utilizzabilità degli atti di cui al numero 1) soltanto nel caso di irripetibilità degli atti stessi;
        n) confermare il principio secondo cui lo stato di guerra ha per effetto l’esercizio della giurisdizione penale militare di guerra relativamente ai reati ad essa soggetti, che siano commessi dopo la dichiarazione dello stato di guerra; prevedere, in tal caso, l’applicazione della procedura prevista dal libro ottavo del codice di procedura penale, nonchè il ricorso in unica istanza, per motivi di legittimità e di merito, al tribunale supremo militare, ai sensi dell’articolo 111, settimo comma, della Costituzione;
        o) confermare che i crimini di guerra, previsti dal codice penale militare di guerra e corrispondenti alle fattispecie di cui all’articolo 8 dello Statuto della Corte penale internazionale, rientrano nella giurisdizione dei tribunali militari se commessi in stato di guerra o in ogni caso di conflitto armato;
        p) abrogare gli articoli 2, 8, 17, 27, 28, 39, 44 e 47, secondo comma, 75, 118 e ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge.

Art. 5.

(Princìpi e criteri direttivi relativi
alle modificazioni dell’ordinamento
giudiziario militare)

    1. Quanto alle modificazioni dell’ordinamento giudiziario militare, di cui al regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022, e successive modificazioni, il Governo, nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, si attiene, oltre a quelli indicati nell’articolo 2, ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) prevedere l’applicabilità nell’ordinamento giudiziario militare delle norme in tema di ordinamento giudiziario, in quanto compatibili e dovendosi tener conto delle esigenze di disciplina differenziata;

        b) rivedere la normativa vigente relativa ai requisiti di grado, cause di dispensa, durata dell’incarico ed estrazione a sorte dei giudici militari, ferma restando la composizione numerica degli organi giudiziari militari;
        c) confermare l’unicità della Corte militare d’appello, pur nella articolazione nelle sezioni distaccate di Verona e di Napoli;
        d) rivedere le circoscrizioni dei tribunali militari al fine di pervenire ad un’equa distribuzione del prevedibile carico di lavoro e ad un’adeguata funzionalità degli uffici giudiziari, tenuto conto della modificazione avvenuta nella dislocazione dei comandi, reparti ed enti delle Forze armate, dell’estensione territoriale delle circoscrizioni stesse, del complesso dei militari ivi in servizio, delle caratteristiche dei collegamenti tra le varie province e la sede degli uffici giudiziari;
        e) prevedere che le variazioni delle circoscrizioni dei tribunali militari di cui alla lettera d) non determinino lo spostamento di competenza per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1 della presente legge;
        f) prevedere la possibilità che la difesa dinanzi agli organi giudiziari militari possa essere assunta da ufficiali che abbiano l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato;
        g) prevedere l’istituzione di due sezioni disciplinari nell’ambito del Consiglio della magistratura militare e l’integrazione del medesimo Consiglio mediante la partecipazione di un ufficiale estratto a sorte nel caso di giudizio disciplinare a carico di ufficiali giudici;
        h) prevedere la soppressione del concorso per titoli per il reclutamento dei magistrati militari;
        i) prevedere che, nel caso di applicazione delle leggi penali militari di guerra, anche quando sia dichiarato lo stato di guerra, l’attività giudiziaria militare sia esercitata in primo grado dagli stessi organi che la esercitano nello stato di pace;
        l) prevedere il riordinamento del Tribunale supremo militare di guerra, il quale giudichi, nei ricorsi avverso sentenze emesse dai tribunali militari nello stato di guerra, con l’intervento del Presidente della Corte militare di appello, con funzioni di presidente, e di quattro giudici, dei quali tre magistrati militari e un ufficiale avente grado superiore a quello dell’imputato e comunque non inferiore al grado di brigadiere generale o gradi equiparati, estratto a sorte.

Art. 6.

(Norme finali)

    1. I decreti legislativi di cui all’articolo 1 entrano in vigore decorsi sei mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

    2. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1 sono trasmessi al Senato della Repubblica ed alla Camera dei Deputati, perchè sia espresso dalle competenti Commissioni permanenti il parere entro il termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.
    3. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, il Governo può emanare disposizioni correttive nel rispetto dei princìpi, criteri direttivi e procedure di cui alla presente legge.