Così  Berlusconi ha evitato il fallimento della città di Scapagnini, suo ex medico.
Catania, inchiesta sul «regalo» di Berlusconi da 140 milioni
Dietro il baratro di Catania le scatole cinesi di Scapagnini
Un decreto ad hoc, una delibera del Cipe scomparsa.

Catania 19 ottobre 2009: c’è un’inchiesta aperta sull’utilizzo dei fondi governativi stanziati per ripianare il deficit:
i 140 milioni che arrivarono per espressa volontà di Berlusconi. Per l’attuale sindaco Raffaele Stancanelli è stata richiesta l’archiviazione. Mada un’intercettazione telefonica che l’Unità è in grado di rivelare emerge come il premier abbia avuto
un ruolo di “super-consulente” nella partita che ha destinato il denaro pubblico ad una città guidata, all’epoca del buco,
da Scapagnini, caro amico e medico personale del Premier. Berlusconi, in sostanza, avrebbe consigliato quali voci mettere
in elenco per evitare il fallimento del Comune: una lista fittizia di opereda finanziare e da vendere (beni invendibili) così
da giustificare l’esborso straordinario di 140 milioni di euro a fronte di nessuna realizzazione concreta.
Del caso si è occupata ieri sera anche la trasmissione di Milena Gabanelli, Report.

È il 18 settembre 2008. Il ragioniere del comune di Catania, Francesco Bruno, chiama il sindaco Raffaele Stancanelli.
Dice il primo cittadino: «Rimanga tra me e lei. Mi ha telefonato Berlusconi in questo momento. Siamo in condizione di avere
il valore del patrimonio che possiamo vendere?». Bruno risponde affermativamente. Il sindaco continua: «Quello che si può vendere, che loro acquistano subito, immediatamente e mi danno i soldi». «Ma loro acquistano?», chiede incredulo
il ragioniere Bruno. «Non lo sappiamo chi. Vuole la scusa, sta aspettando la mia telefonata». Bruno non crede alle sue orecchie. «Il 90% sono dei beni indisponibili» – dice a Stancanelli. Che ribatte, perché ha avuto l’assicurazione del Premier: «Lui mi dice “tu mi devi dire in linea di massima”...». A quel punto Bruno si lascia andare: «Eh avvocato Stancanelli, un valore di massima ce lo inventiamo eh?...». Ecco, questa storia è un gioco di prestigio. I soldi di cui si parla però sono veri, sono tanti e sono pubblici. La vicenda è quella dei fondi per le aree sotto-utilizzate elargiti lo scorsoanno alla città di Catania senza garanzie e solo per coprire i buchi di bilancio, in barba alla legge. Una storia a cui Report nel marzo scorso aveva già dedicato una lunga inchiesta condotta da Sigfrido Ranucci e Antonio Conderelli. Ieri la seconda parte del caso Catania.

LO SCANDALO
Un vero e proprio scandalo che, stando a quanto dice Stancanelli, nasce da un accordo tra il premier e il sindaco etneo.
Con un preciso obiettivo: evitare il fallimento del comune per il dissesto finanziario creato dal precedente primo cittadino, Umberto Scapagnini, medico di fiducia di Berlusconi. Insomma una questione di immagine personale risolta con i soldi dello Stato. Da qui l’avvio di due inchieste,una per abuso d’ufficio e l’altra per il buco di bilancio. Per quest’ultima è stato chiesto
il rinvio a giudizio dell’ex-sindaco Scapagnini e di diciotto tra assessori e burocrati. Tra le intercettazioni depositate nell’inchiesta c’è appunto quella che riportiamo: spiega in che modo nasce la cifra di 140 milioni. Tutto ha inizio proprio con
la denuncia di Report dello scorso marzo. Si scopre infatti che per evitare la dichiarazione di fallimento il governo “consiglia” alcomunedi accedere ai fondi Fas, buttando giù una lista di opere che andrebbero finanziate. È una procedura che va contro il testo unico della legislazione degli enti locali, ma poco importa. La cifra da richiedere nasce da una stima dei beni del comune che però sono invendibili, una cifra quindi basata sul nulla. Pura finanza creativa. Ma il Cipe, comitato interministeriale per la programmazione economica, dieci giorni dopo la telefonata tra Berlusconi e Stancanelli vara con la delibera numero 92 il finanziamento di 140 milioni di euro. Sulla base di cosa? Di una lista di opere, dice il sindaco. Solo che - denuncia Report – quella lista è «una rappresentazione virtuale», la delibera numero 92 non la conosce nessuno, sul sito del Cipe si passa dalla 91 alla 93. Stanacanelli lo aveva “confessato” davanti le telecamere: «Abbiamo inventato un elenco di cose per avere 140 milioni... c’è stato un accordo». Appunto, quello che si evince dalla telefonata. La cifra che consente il finanziamento di 140 milioni sarebbe stata quindi “concordata” con il Presidente del consiglio che smette i suoi panni istituzionali per vestire quelli di superconsulente della città del suo medico personale. E compare dalla telefonata tra il sindaco e il ragioniere. Che dice: «Gli può sparare 100 milioni… sa qual è il patrimonio disponibile? E c’avemu? Quattru cose? Spari se vuole 100 milioni...». Ribatte Stancanelli: «Allora c’è un valore di 140 milioni ». È la cifra che viene riportata al governo, che con un decreto ad hoc li destina alla copertura dei disavanzi. Rimane ovviamente un mistero quali opere il Cipe avesse deciso di finanziare con questa montagna di denaro. Quella lista non è disponibile.

COMUNE FALLITO
Successivamente all’accordo il Premier consente che questi 140 milioni di euro possano essere usati a copertura delle spese correnti. A distanza di un anno i soldi non sono arrivati ma sono stati usati come garanzia per coprire i buchi del bilancio dell’amministrazione Scapagnini. Alle telecamere di Report l’attuale sindaco Stancanelli dice che va tutto bene, che la Corte dei Conti ha approvato l’operazione. Ma non è vero: l’organo di controllo economico ha sentenziato come questo tipo di operazione sia contraria al Tuel (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali). I buchi di bilancio vanno coperti entro due anni, pena la dichiarazione del dissesto e le deroghedevono essere espressamente previste dalla legge. «Il governo – denuncia Report - non lo ha fatto e con quei soldi sono stati coperti i disavanzi del biennio 2003 – 2004». Il comune di Catania secondo la legge è già fallito ma nessuno lo dice. D’altronde in quella telefonata il sindaco lo aveva confidato al ragionier Bruno: «Rimanga tra di noi».
 


Dietro il baratro di Catania le scatole cinesi di Scapagnini

Sei anni di amministrazione dissennata; diciotto imputati davanti al Giudice dell’Udienza preliminare per rispondere dell’accusa di abuso d’ufficio e falso ideologico; una disavanzo finanziario che si aggirerebbe – secondo gli ispettori mandati dall’allora ministro dell’economia Padoa Schioppa – intorno ad un miliardo di euro. Sono questi in sintesi estrema i numeri diunaspaventosa voragine di debiti che ha ridotto allo stremo la città di Catania. La voragine si è aperta durante le amministrazioni di centro destra guidate dal medico personale di Berlusconi, Umberto Scapagnini, oggi in gravi condizioni di salute. La storia del «buco» l’ hanno ricostruita con cura i sostituti procuratori Giuseppe Gennaro, Francesco Pulejo e Andrea Ursino e il procuratore aggiunto Marisa Scavo nella richiesta di rinvio a Giudizio per Scapagnini, i suoi assessori e alcuni funzionari. Un’indagine che ha preso le mosse dopo alcune ispezioni ministeriali arrivate in seguito ad una serie di pesanti denunce parlamentari fatte dall’ex deputato del Pdci, Orazio Licandro. Il sistema era quello delle scatole cinesi che servivano a mascherare i debiti e far quadrare i conti. I bilanci venivano approvati con enormi ritardi in modo da far transitare entrate fittizie. Per chiudere i disavanzi del bilancio del 2003, tre anni dopo vengono accertate maggiori entrate per «residui attivi » con un’operazione di competenza sul 2005, che si fa valere sul 2004 e si va a chiudere il debito del 2003. Naturalmente i debiti noneranostati coperti e il disavanzo cresceva, anzi si moltiplicava. 

CATANIA RISORSE
Per turare le falle, si ricorre anche ai mutui. Se ne accendono per 100 milioni di euro e li si usa per le spese di esercizio corrente. Ma è vietato addirittura dalla Costituzione? E chi se ne frega! A Catania si va avanti allegramente.
Quando le banche non possono fare più fronte all’enorme indebitamento, l’Amministrazione pensa bene di ricorrere
ad una sorta di «supertrucco»: vendere a se stessa i beni del Comune. Per farlo si inventa una società e la chiama non a caso «Catania Risorse». Le quote sono tutte di proprietà del Comune. Alla «Catania risorse» dovevano essere venduti centinaia
di immobili, gran parte dei quali indisponibili come ad esempio i palazzi barocchi del centro storico patrimonio dell’Unesco. «Catania risorse» però non ha una lira. Come avrebbe fatto a pagare i beni al Comune? Semplicissimo: accendendo nuovi mutui con le banche e dando in garanzia i beni che avrebbe acquistato dal Comune, il vero «utilizzatore finale» dei soldi
per continuare allegramente ad andare avanti. I beni – si legge nel provvedimento della Procura – erano già stati concessi
in garanzie alle banche con le quali l’Amministrazione aveva acceso aperture di credito.
Un’operazione che finì malamente e spalancò la voragine.