Codice Penale
Art. 724
Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti con la sanzione amministrativa da lire centomila a seicentomila. La stessa sanzione si applica a chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti. |
La sera del 29 settembre il Cavaliere, a Palazzo Grazioli, scende a salutare i fan e si lascia andare ad accuse durissime contro i pm del caso Mills. Poi si scaglia contro i "sagrestani della politica". E racconta l'ennesima barzelletta sugli ebrei Leggende sui giornali.
Una associazione a delinquere dentro la magistratura.
In Italia comandano i pm.
"Sono disperato".
Tv devastante.
I problemi nel Pdl e i sagrestani della politica.
La barzelletta sugli ebrei.
Una ragazza al giorno.
"Domani vado in Parlamento".
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UN PO’ DI STORIA
Praticamente tutte le società hanno severamente
punito la derisione pubblica delle proprie divinità. Quelle la cui
religione era il cristianesimo non sono state da meno, anzi: l’Inquisizione
riempiva le proprie carceri proprio con coloro che erano accusati di aver
bestemmiato, e le pene previste erano sia religiose, sia civili. La secolarizzazione
degli Stati europei ha migliorato solo lentamente questo stato di cose,
ma ancora oggi la bestemmia è considerata reato in molti Paesi.
In Italia, in età liberale il codice penale
del 1889 (c.d. «Zanardelli») tutelò la libertà
religiosa da un punto di vista individuale.
Il Codice penale vigente, datato 1930 (cosiddetto
“Codice Rocco”, dal nome del suo estensore), contempla, nella sezione delle
contravvenzioni «concernenti la polizia dei costumi» il reato
di bestemmia, riferito esclusivamente alla religione cattolica: per le
altre religioni venne ritenuto sufficiente il reato di turpiloquio.
L’introduzione della Costituzione repubblicana nel
1948 fece pensare alla sua abrogazione; tuttavia diverse sentenze della
Corte Costituzionale ribadirono la legittimità della norma, con
riferimento alla necessità di tutelare la fede della stragrande
maggioranza degli italiani.
La firma del nuovo Concordato, nel 1984, portò
all’abolizione del principio che vedeva nella religione cattolica «la
sola religione dello Stato».
Inizialmente venne auspicato un intervento legislativo
atto a eliminare la discriminazione e ad adeguare la norma alla nuova situazione
creatasi. Tuttavia, vista l’inerzia del legislatore, il 18 ottobre 1995,
con sentenza n. 440, la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo
il riferimento a «i Simboli o le Persone venerate nella religione
dello Stato», mantenendo il riferimento alla “Divinità”, ora
allargato alle altre religioni: venne quindi applicato il principio dell'eguaglianza
tra le fedi, pur ribadendo come la norma tuteli «un bene che è
comune a tutte le religioni».
In seguito, con la Legge n. 205 del 25 giugno 1999,
nell’ambito di un progetto più vasto di depenalizzazione dei reati
minori il Parlamento delegava il governo a legiferare entro sei mesi sulla
materia, in base alle indicazioni dettate dalle camere.
Il Decreto Legislativo n. 507 del 30 dicembre 1999
ha quindi finalmente depenalizzato il reato, trasformandolo in un “illecito
amministrativo”.
L’ARTICOLO 724 DEL CODICE PENALE
Comma primo, versione originale (1930):
«Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive
o parole oltraggiose, contro la Divinità o Simboli o le Persone
venerate nella religione dello Stato è punito con l’ammenda da lire
ventimila a seicentomila».
Comma primo, come modificato dalla Sentenza della
Corte Costituzionale n. 440 (1995):
«Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive
o parole oltraggiose, contro la Divinità è punito con l’ammenda
da lire ventimila a seicentomila».
Comma primo, come modificato dal Decreto Legislativo
n. 507 (1999, versione vigente):
«Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive
o parole oltraggiose, contro la Divinità è punito con la
sanzione amministrativa da lire centomila a seicentomila».
I “REQUISITI” DELLA BESTEMMIA
- l’autore della bestemmia può essere chiunque,
anche un ateo;
- si concretizza nella sua semplice attuazione, indipendentemente
dalle reali intenzioni dell’autore;
- il fatto che sia diventata una consuetudine, o che
lo sia in certi ambienti, è irrilevante;
- devono essere chiaramente individuate le parole
profferite;
- deve avvenire in luogo pubblico o aperto al pubblico;
non è illecito quindi bestemmiare nella propria abitazione;
- devono essere presenti almeno due persone;
- non rientrano nella fattispecie le rappresentazioni
figurate, i gesti, gli atti offensivi;
- è illecito bestemmiare contro Dio, non contro
la Madonna e i santi.
SENTENZA N. 440 del 1995
composta dai signori: Presidente - Prof. Vincenzo CAIANIELLO Giudice - Avv. Mauro FERRI Giudice - Prof. Luigi MENGONI Giudice - Prof. Enzo CHELI Giudice - Dott. Renato GRANATA Giudice - Prof. Giuliano VASSALLI Giudice - Prof. Francesco GUIZZI Giudice - Prof. Cesare MIRABELLI Giudice - Prof. Fernando SANTOSUOSSO Giudice - Avv. Massimo VARI Giudice - Dott. Cesare RUPERTO Giudice - Dott. Riccardo CHIEPPA Giudice - Prof. Gustavo ZAGREBELSKY HA PRONUNCIATO LA SEGUENTE SENTENZA Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 724 del codice penale promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1991 dal Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Onesti Fabio, iscritta al n. 457 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1995. Udito nell'udienza pubblica del 3 ottobre 1995 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky. Ritenuto in fatto 1.- Nel corso di un giudizio penale, il Tribunale di Milano, con ordinanza del 14 novembre 1991 (pervenuta alla Corte costituzionale il 3 luglio 1995), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 724, primo comma, del codice penale, in riferimento agli artt. 3, 8 e 25, secondo comma, della Costituzione. Si sostiene nell'ordinanza di rinvio che, poiché la norma impugnata sanziona con l'ammenda la condotta di chi pubblicamente "bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato", e poiché il Protocollo addizionale all'Accordo di modifica del Concordato lateranense, recepito con legge 25 marzo 1985, n. 121, al punto 1, prevede testualmente il venir meno della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano, ne conseguirebbe, in violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, la indeterminatezza della fattispecie penale di cui all'art. 724 del codice penale, che "àncora" esplicitamente la sussistenza del reato all'offesa alla religione, appunto, di Stato. Né la censura potrebbe superarsi ritenendo che la norma denunciata continui a riguardare la religione cattolica come confessione religiosa più diffusa del Paese - mutuando l'espressione dalla sentenza n. 14 del 1973 della Corte costituzionale - poiché non verrebbe ora in discussione la ratio della norma incriminatrice, bensì la sua (sopravvenuta) incompatibilità con il principio di tassatività. Nemmeno potrebbe ritenersi rispettato tale ultimo principio opinando che l'art. 724 del codice penale tuteli la religione cattolica "in quanto già religione di Stato" - così potendosi individuare la condotta sanzionata secondo le affermazioni contenute nella sentenza n. 925 del 1988 della Corte costituzionale - perché nella norma predetta non è contenuto alcun riferimento alla religione cattolica, essendo questa oggetto di tutela solo indiretta, per il fatto della sua qualificazione come religione di Stato. 2.- Qualora invece si volesse ritenere che la stessa norma contenga un riferimento univoco alla religione cattolica, essa, ad avviso del giudice rimettente, violerebbe gli artt. 3 e 8 della Costituzione. A sostegno della censura, nell'ordinanza si riportano brani di precedenti pronunce di questa Corte che sono consistiti in espressi inviti al legislatore, non ancora accolti, per una revisione della disciplina in vista dell'attuazione del principio costituzionale della libertà di religione, dal momento che "la limitazione della previsione legislativa alle offese contro la religione cattolica non può continuare a giustificarsi con l'appartenenza ad essa della quasi totalità dei cittadini italiani". Considerato in diritto
2.1.- L'art. 724, primo comma, del codice penale punisce a titolo contravvenzionale la condotta di chi "pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Sim boli o le Persone venerati nella religione dello Stato". La prima prospettazione della questione si incentra sulle conseguenze che - ad avviso del Tribunale rimettente - deriverebbero dall'espunzione dal vigente ordinamento della nozione di "religione dello Stato". Di tale nozione, enunciata nell'art. 1 dello Statuto Albertino, ribadita nell'art. 1 del Trattato del 1929 tra la Santa Sede e l'Italia e largamente utilizzata dal codice penale vigente, ma incompatibile con il principio costituzionale fondamentale di laicità dello Stato (sentenze nn. 203 del 1989 e 149 del 1995), il Protocollo addizionale all'Accordo di modifica del Concordato lateranense, recepito nell'ordinamento italiano con legge 25 marzo 1985, n. 121, ha constatato (al punto 1) il superamento: "Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano". Da questa caducazione, secondo il Tribunale rimettente, deriverebbe l'indeterminatezza della fattispecie dell'art. 724, primo comma, del codice penale e quindi la violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, in quanto ora non sarebbe più individuabile la religione destinataria delle invettive e delle parole oltraggiose costitutive dell'elemento materiale del reato di bestemmia. La questione, così delineata, è già stata esaminata e respinta da questa Corte con sentenza n. 925 del 1988. La formula dell'art. 724, primo comma, del codice penale, dopo la scomparsa dall'ordinamento giuridico della nozione di "religione dello Stato", non contempla alcuna nozione generica e quindi non giustifica la censura di indeterminatezza. Semplicemente, si apre un'alternativa tra due possibilità, entrambe determinate: o ritenere che l'eliminazione della nozione di "religione dello Stato" abbia fatto venire meno la fattispecie dell'art. 724, primo comma, del codice penale e l'abbia così privata di contenuto normativo; oppure, ritenere che quell'espressione sia semplicemente il tramite linguistico per mezzo del quale, ora come allora, viene indicata la religione cattolica. Si tratta di una scelta interpretativa dipendente da una presa di posizione in ordine al "perché" della volontà del legislatore espressa nell'art. 724 (la religione cattolica in quanto religione dello Stato ovvero la religione dello Stato in quanto religione cattolica). La giurisprudenza penale ha seguito ora il primo, ora il secondo orientamento e quest'ultimo ha finito per prevalere con l'avallo di questa Corte, la quale ha affermato che (r)l'innegabile venir meno del significato originario dell'espressione "religione dello Stato" non esclude che, entro il contesto dell'art. 724 del codice penale, essa ne abbia acquistato uno diverso, ma sempre sufficientemente determinabile ...: cioè, il significato di "religione cattolica", in quanto già religione dello Stato> (sentenza n. 925 del 1988 e ordinanza n. 52 del 1989). 2.2.- Riaffermata così la sopravvivenza dell'incriminazione penale della bestemmia in relazione alla "religione dello Stato", formula da intendersi - nei limiti che saranno appresso precisati - senza possibilità di dubbio o oscillazione come religione cattolica, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 724, primo comma, del codice penale deve essere esaminata rispetto agli altri parametri costituzionali invocati. 3.1.- L'esame della legittimità costituzionale del reato di bestemmia previsto dall'art. 724, primo comma, del codice penale, con riferimento al principio di uguaglianza senza distinzione di religione (art. 3 della Costituzione) e al principio di uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art. 8, primo comma, della Costituzione) presuppone la ricostruzione del bene giuridico protetto dalla norma oggetto di sindacato, a partire dalla concezione originaria del legislatore penale del 1930. Il riferimento alla religione dello Stato- religione cattolica è il primo elemento di questa ricostruzione. Tale riferimento è generale nelle fattispecie dei reati attinenti alla religione (artt. 402-404: vilipendi variamente caratterizzati, e 724: bestemmia) e si spiega per il rilievo che, nelle concezioni politiche dell'epoca, era riconosciuto al sentimento religioso collettivo cattolico quale fattore di unità morale della nazione. Lo Stato, espressione e garante di tale unità, aveva, comprensibilmente, la "sua" religione ed era interessato a sostenerla e difenderla. Il secondo elemento - che si somma al precedente, senza escluderlo - è rappresentato dalla configurazione del reato di bestemmia congiuntamente alle manifestazioni oltraggiose verso i defunti e dalla sua collocazione nel "titolo" quanto mai eterogeneo delle "contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi", col locazione che giustifica anche per la bestemmia (come per il gioco d'azzardo, gli atti contrari alla pubblica decenza, il turpiloquio, ecc.) una configurazione più riduttiva, come atto di malcostume. 3.2.- In prosieguo, anche in conseguenza
dei nuovi principi costituzionali di libertà e di uguaglianza dei
cittadini e di laicità dello Stato, il reato di bestemmia è
stato sottoposto a una riconsiderazione, i cui punti fondamentali sono
rappresentati da altrettante pronunce della Corte costituzionale. Nella
sentenza n. 79 del 1958 viene operata una prima conversione del bene giuridico
protetto. La religione cattolica è configurata non più come
la religione dello Stato in quanto organizzazione politica, ma dello Stato
in quanto società: la protezione speciale della "religione dello
Stato" si giustificherebbe per (r)la rilevanza che ha avuto ed ha la religione
cattolica in ragione della antica ininterrotta tradizione del popolo italiano,
la quasi totalità del quale ad essa sempre appartiene. ... La norma
dell'art. 724 Cod. pen., come altre dello stesso Codice ..., si riferisce
alla "religione dello Stato" dando rilevanza non già a una qualificazione
formale della religione cattolica, bensì alla circostanza che questa
è professata nello Stato italiano dalla quasi totalità dei
suoi cittadini, e come tale è meritevole di particolare tutela penale,
per la maggior ampiezza e intensità delle reazioni sociali naturalmente
suscitate dalle offese ad essa dirette>. Successivamente, con la sentenza
n. 14 del 1973, la giurisprudenza della Corte costituzionale va oltre e
la religione cattolica come religione della "quasi totalità" degli
italiani viene sostituita - come oggetto della tutela penale - dal "sentimento
religioso", elemento base della libertà di religione che la Costituzione
riconosce a tutti. Si apre così, attraverso il riferimento al concetto
di sentimento religioso, una prospettiva che investe l'atteggiamento dell'ordinamento
verso tutte le religioni e i rispettivi credenti e va quindi al di là
del riferimento alla sola religione cattolica. Tuttavia l'espressa limitazione
della previsione legislativa alle offese contro la sola religione cattolica
è ritenuta dalla Corte, in tale sentenza, ancora giustificata, data
(r)l'ampiezza delle reazioni sociali ... della maggior parte della popolazione
italiana>, ma viene aggiunto un richiamo: che, (r)per una piena attuazione
del principio costituzionale della libertà di religione, il legislatore
debba provvedere a una revisione della norma, nel senso di estendere la
tutela penale contro le offese del sentimento religioso di individui appartenenti
a confessioni diverse da quella cattolica>. Da ultimo, la sentenza n. 925
del 1988, che rappresenta il punto di partenza per l'esame della questione
ora riproposta alla Corte costituzionale, dichiara non fondato il dubbio
di costituzionalità sulla vigente disciplina della bestemmia, ma
in base a diverse affermazioni di principio che accantonano l'argomento
numerico, sul quale fino ad allora si era motivato per escludere la violazione
del principio di uguaglianza: (r)"la limitazione della previsione legislativa
alle offese contro la religione cattolica" non può continuare a
giustificarsi con l'appartenenza ad essa della "quasi totalità"
dei cittadini italiani ... e nemmeno con l'esigenza di tutelare il sentimento
religioso della "maggior parte della popolazione italiana" ... : non tanto
vi si oppongono ragioni di ordine statistico (comunque sia la religione
cattolica resta la più seguita in Italia), quanto ragioni di ordine
normativo. Il superamento della contrapposizione fra la religione cattolica,
"sola religione dello Stato", e gli altri culti "ammessi", sancito dal
punto 1 del Protocollo del 1984, renderebbe, infatti, ormai inaccettabile
ogni tipo di discriminazione che si basasse soltanto sul maggiore o minore
numero degli appartenenti alle varie confessioni religiose>. L'abbandono
del criterio quantitativo, così argomentato dalla Corte, significa
che in materia di religione, non valendo il numero, si impone ormai la
pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in
una fede, quale che sia la confessione religiosa di appartenenza. Il primo
comma dell'art. 8 della Costituzione trova così la sua piena valorizzazione.
Il riconoscimento da parte della sentenza n. 925 del 1988 della disparità
di disciplina, derivante dalla (r)perdurante limitazione insita nel dettato
dell'art. 724>, è 4dunque inevitabile, ma si afferma che la norma
(r)possa trovare tuttora un qualche fondamento nella constatazione, sociologicamente
rilevante, che il tipo di comportamento vietato dalla norma impugnata concerne
un fenomeno di malcostume divenuto da gran
3.3.- Nella riconsiderazione della
questione di legittimità costituzionale dell'art. 724, primo comma,
del codice penale cui l'ordinanza del Tribunale di Milano chiama la Corte
costituzionale, devono essere tenuti fermi due punti essenziali, affermati
nell'ultima giurisprudenza ora richiamata: l'irrilevanza del criterio numerico
nelle valutazioni costituzionali in nome dell'uguaglianza di religione
e l'appartenenza della norma sanzionatrice della bestemmia (anche) all'ambito
dei reati che attengono alla religione. In particolare, non può
essere condivisa la tendenza - risultante da alcune pronunce della giurisdizione
penale di legittimità e di merito volta ad attrarre senza residui
la norma dell'art. 724 del codice penale solo all'ambito dei reati di mal
costume. Di tale norma, infatti, si perderebbe la ragione d'essere caratteristica
- cioè la sua attinenza alla protezione della sfera della religione
- una volta che la si volesse intendere nell'ambito esclusivo della maleducazione
verbale. Contro, stanno la sua origine, il riferimento testuale alla "religione
dello Stato", poi mutato in riferimento alla religione cattolica, e la
sua collocazione sistematica accanto alla disposizione che punisce il turpiloquio
non ulteriormente qualificato (art. 726, secondo comma, del codice penale).
Si potrà dire che la
3.4.- La dichiarazione d'incostituzionalità
dell'art. 724, primo comma, del codice penale deve tuttavia essere circoscritta
alla sola parte nella quale esso comporta effettivamente una lesione del
principio di uguaglianza. La fattispecie dell'art. 724, primo comma, del
codice penale è scindibile in due parti: una prima, riguardante
la bestemmia contro la Divinità, indicata senza ulteriori specificazioni
e con un termine astratto, ricomprendente sia le espressioni verbali sia
i segni rappresentativi della Divinità stessa, il cui contenuto
si presta a essere individuato in relazione alle concezioni delle diverse
religioni; una seconda, riguardante la bestemmia contro i Simboli o le
Persone venerati nella religione dello Stato. La bestemmia contro la Divinità,
come anche la dottrina e la giurisprudenza hanno talora riconosciuto, a
differenza della bestemmia contro i Simboli e le Persone, si può
considerare punita indipendentemente dalla riconducibilità della
Divinità stessa a questa o a quella religione, sottraendosi così
alla censura d'incostituzionalità. Del resto, dal punto di vista
puramente testuale, ancorché la formula dell'art. 724 possa indurre
alla riconduzione unitaria delle nozioni di Divinità, Simboli e
Persone nella tutela penalistica accordata alla sola "religione dello Stato",
è da notarsi che, in senso stretto, il termine "venerati", impiegato
nell'art. 724, è propriamente riferibile ai soli Simboli e Persone.
Cosicché, dovendosi ritenere che il legislatore abbia fatto uso
preciso e consapevole delle espressioni impiegate, il riferimento alla
"religione dello Stato" può valere soltanto per i Simboli e le Persone.
La norma impugnata si presta così ad essere divisa in due parti.
Una parte - esclusa restando ogni valenza additiva della presente pronuncia,
di per sé preclusa dalla particolare riserva di legge in materia
di reati e di pene - si sottrae alla censura di incostituzionalità,
riguardando la bestemmia contro la Divinità in genere e così
proteggendo già ora dalle invettive e dalle espressioni oltraggiose
tutti i credenti e tutte le fedi religiose, senza distinzioni o discriminazioni,
nell'ambito - beninteso - del concetto costituzionale di buon costume (artt.
19 e 21, sesto comma, della Costituzione). L'altra parte della norma dell'art.
724 considera invece la bestemmia contro i Simboli e le Persone con riferimento
esclusivo alla religione cattolica, con conseguente violazione del principio
di uguaglianza. Per questa parte, delle due possibilità di
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/10/95. Depositata in cancelleria il 18/10/95.6 |
Furono 37 le vittime della frana. E i familiari continuano a chiedere di non essere abbandonati L’intervento dell’arcivescovo di Messina 1 settembre 2010 MESSINA DOMENICO PANTALEO È stata la giornata del ricordo quella di ieri. Una giornata in cui la gente di Messina si è voluta stringere ancora una volta attorno ai familiari delle 37 vittime dell’alluvione abbattutosi sulla zona meridionale della provincia. In una cattedrale gremita di persone, l’arcivescovo di Messina -Lipari - Santa Lucia del Mela, Calogero La Piana, ha presieduto la messa alla presenza di coloro che quella tragica sera del primo ottobre dello scorso anno hanno perso familiari ed amici. Accanto all’altare e nelle prime fila stavolta non c’erano gli uomini delle istituzioni, hanno preferito sedersi qualche fila più indietro. Stretti attorno all’altare vi erano invece i genitori, i fratelli, le sorelle, i mariti e le mogli delle vittime. «Abbiamo ancora davanti agli occhi quelle immagini di lutto», ha detto La Piana nell’omelia. «Facciamo fatica a riacquistare fiducia ma la nostra fede ce lo impone. In diversi tempi e con diverse modalità - ha sottolineato l’arcivescovo abbiamo denunciato i numerosi peccati che hanno causato il tragico evento. Abbiamo denunciato incuria, inadempienze, mancata manutenzione, manomissioni colpevoli e responsabili. Abbiamo fatto appello in vari modi alla responsabilità di quanti sono stati scelti ad amministrare il nostro territorio provinciale, regionale e nazionale». Ricordando poi le tante voci vuote ed i silenzi, a volte assordanti, sentiti da più parti in questi dodici mesi il presule ha detto: «I silenzi dei fratelli scomparsi; i silenzi di chi deve dare una risposta a coloro che da subito si sono prodigati per dare aiuto alle comunità colpite. Ebbene, non vogliamo più questi silenzi, né queste parole vuote e di circostanza. Ieri come oggi vorremmo finalmente ascoltare fatti e non parole». Alle parole vuote La Piana preferisce ascoltare le voci vere, «le vostre, carissimi familiari, che avete perso sicurezze e riferimenti. Di voi che non volete essere abbandonati». Gli abitanti di Giampilieri, Scaletta, Briga, Altolia e Molino chiedono proprio di non essere dimenticati. In questi luoghi oggi vi sono pale meccaniche, camion, uomini al lavoro. La gente non c’è. Sino ad alcuni mesi, qui, si potevano scorgere per terra i giocattoli dei bambini; solo i giocattoli, però, i bambini non ci sono più. Alcuni sono andati via forzatamente con le rispettive famiglie in attesa un giorno di potervi ritornare, altri come la piccola Ilaria De Luca e i fratellini Renzino e Ciccio Lonia, sono stati strappati con violenza ai loro cari e sono volati in cielo. Sono questi ultimi, che l’arcivescovo La Piana durante
i funerali di Stato aveva definito «i nostri nuovi angeli custodi»,
a vegliare oggi sulla gente di Messina. Tra gli 87 abitanti ancora sfollati
alcuni hanno deciso di non ritornare più in quei luoghi; la paura
che possa verificarsi nuovamente una catastrofe è troppa. Altri
attendono fiduciosi che venga completata l’opera di messa in sicurezza.
In riva allo Stretto si è scelto di mettere prima in sicurezza la
zona e poi iniziare la ricostruzione. Il «modello Abruzzo»,
prospettato in un primo momento anche per l’emergenza Messina, non è
gradito alla popolazione. La gente siciliana non vuole andare a vivere
in new town dove inevitabilmente si perde la propria identità. Sino
ad ora sono stati stanziati 139 milioni di euro. Ne serviranno altri 181
per completare tutte le opere di messa in sicurezza, la costruzione degli
alloggi, il rimborso alle popolazioni e alle attività produttive.
Su questo aspetto la gente chiede trasparenza e celerità. È
clamoroso e ha fatto molto discutere quello che si è verificato
alcuni giorni fa a Scaletta Zanclea, dove il consiglio comunale, su proposta
del sindaco Mario Briguglio, ha approvato la richiesta di prelevare dal
conto corrente destinato agli abitanti colpiti dal nubifragio, la somma
necessaria per l’acquisto del carburante e per la manutenzione ordinaria
dello scuolabus comunale.
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