"Un decreto per ricontare i voti" L'ultima tentazione del Cavaliere
Stupito e preoccupato il Capo dello Stato che ha subito chiarito che non avrebbe controfirmato il provvedimento
Il premier irato per le voci di Pisanu al Senato. "Ma tu con chi stai?"

ROMA - Un decreto per ricontare tutte le schede, o almeno tutte quelle contestate. Ecco l'ultimo colpo di coda di Silvio Berlusconi. L'ultima mossa per strappare fuori tempo massimo la vittoria elettorale. Un provvedimento che avrebbe dovuto varare il suo governo e che il presidente della Repubblica avrebbe dovuto sottoscrivere. Con un solo obiettivo: verificare il sospetto di brogli, mettere in discussione per un tempo lunghissimo la vittoria dell'Unione e far slittare la nascita del nuovo governo ben oltre l'elezione del nuovo capo dello Stato. Appuntamento dopo il quale scatteranno tutte le procedure per la formazione dell'esecutivo targato Romano Prodi. Un'ipotesi stoppata immediatamente dal Quirinale costringendo Palazzo Chigi a rivedere quella tentazione.

Una tentazione che per un pomeriggio era andata oltre il semplice desiderio del premier uscente. Nelle ultime ore il Cavaliere ne aveva parlato a lungo con il ministro degli Interni, Beppe Pisanu, e aveva accennato il discorso agli alleati. Ieri così ha sottoposto le sue intenzioni a Ciampi. Nell'incontro, durato oltre un'ora con l'inquilino del Quirinale, il presidente del consiglio ha infatti sollevato il problema. "Abbiamo notizie di tante, troppe irregolarità. Servirebbe una verifica, ma reale. Come è possibile che abbiamo avuto la maggioranza al Senato e non alla Camera? C'è qualcosa che non va. Si potrebbe intervenire con un provvedimento per ricontare tutte le schede. Chiunque vinca, ne trarrebbe giovamento".

Argomenti che hanno lasciato interdetto Ciampi, anzi assolutamente contrariato. Ha fatto di tutto in quegli 80 minuti di faccia a faccia per far cadere la cosa. Un segnale chiaro per far capire che un decreto di quel tipo non avrebbe mai ricevuto il suo avallo. Già da martedì la preoccupazione del Colle era stata quella di far abbassare i toni dello scontro post-elettorale.

Temeva che la sfida sulle schede contestate potesse degenerare mettendo in discussione non solo i risultati di questa elezione ma la credibilità dell'intero sistema. Non a caso, nei contatti informali, avrebbe richiamato ad una "maggiore responsabilità istituzionale". Un appello che ad esempio è stato subito accolto dall'Udc, il partito del presidente della Camera Casini, e da Alleanza nazionale, la formazione di Fini, pronti a sostenere il Cavaliere sul "riconteggio" dei voti ma non a contestare l'esito del voto fino questo punto.

Berlusconi, insomma, voleva percorrere tutte le strade per rimettere in discussione l'esito del voto. Anche perché non si fida dei magistrati di cassazione chiamati a controllare la coerenza tra i numeri contenuti nei verbali dei seggi e quelli trasferiti agli uffici centrali elettorali. E perché teme che la vicenda possa essere trasferita alle future giunte per le elezioni di Camera e Senato che verranno composte con un criterio proporzionale, e quindi l'Unione avrà la maggioranza. Riflessioni che hanno accompagnato anche la cena di ieri sera a via del Plebiscito tra lo stesso Berlusconi, Pisanu e Letta. I quali hanno dovuto fare i conti con il no più o meno implicito del Quirinale. Ma soprattutto il premier ha dovuto fare i conti con le tante perplessità sollevate dallo stesso ministro degli Interni e dal suo sottosegretario.

Tant'è che in uno scatto il Cavaliere ha chiesto al capo del Viminale: "Ma tu, da che parti stai? Sappiamo che ci sono stati dei brogli e tu hai il dovere di verificare. Almeno hai controllato che il voto elettronico corrisponda al cartaceo in quelle quattro regioni?". Del resto, la soluzione prospettata da Palazzo Chigi metteva in ansia il Viminale e il Colle. Pisanu e Letta hanno impiegato tutta la serata di ieri per convincere il premier a più miti consigli. Spiegandogli tutti i rischi di quell'operazione.

La prospettiva, poi, di tenere in vita artificialmente il governo uscente in attesa dei dati definitivi rappresenta un vero e proprio spauracchio per il capo dello Stato. Che già deve fare i conti su una procedura "allungata" a causa dell'ingorgo istituzionale che costringerà il Parlamento a eleggere prima il nuovo presidente della Repubblica e poi a occuparsi dell'esecutivo prodiano. Anche ieri il Professore ha sollecitato tempi più stretti trovando nuovamente la risposta negativa del capo dello Stato. Per il momento la convocazione dei Grandi elettori per la scelta del dopo-Ciampi è prevista per l'11 maggio.

Ma ieri il capo dell'Unione ha sottoposto agli alleati un altro tipo di percorso: convocazione delle Camere il 5 maggio, subito dopo la formazione dei gruppi parlamentari; conferma di Ciampi; e quindi immediato conferimento dell'incarico di formare il nuovo governo. Una soluzione, però, che non avrebbe ancora ricevuto il benestare del diretto interessato. Che di recente ha declinato questo tipo di inviti. Anche se i contatti, informali, tra gli "ambasciatori" del centrosinistra e quelli della Cdl sono già stati attivati. Resi più complicati dalle bordate sparate dal Cavaliere. Che peraltro ha già espresso in privato più di un dubbio sul bis ciampiano e su tutto ciò che renderebbe più agevole la nascita del secondo gabinetto Prodi. Berlusconi da tempo non nasconde la sua preferenza per Giuliano Amato e per Massimo D'Alema.

Eppure, in questi giorni di fuoco, quando qualcuno nei Ds ha ventilato la possibilità di oliare le intese bipartisan per le massime cariche dello Stato avanzando la candidatura di Beppe Pisanu per la presidenza del Senato, proprio il Cavaliere è andato su tutte le furie. Attaccando il suo ministro: "Ma tu, con chi stai?".
 

Il veleno del caimano
13 aprile 2006 di EDMONDO BERSELLI 
Ieri è tornato il Caimano. Il giorno prima era apparsa la Salamandra, l'essere che passa indenne attraverso le fiamme. Domani non si sa. Il premier Silvio Berlusconi è andato al Quirinale e ha incontrato il presidente della Repubblica. Dopo le elezioni, e soprattutto dopo un confronto elettorale condotto e finito allo spasimo, non era un incontro di routine. Così come non era di routine l'incontro che nella mattinata Carlo Azeglio Ciampi aveva avuto con Romano Prodi, il capo dell'Unione e prossimo a ricevere l'incarico di formare il nuovo governo. 

Al termine della conversazione con il capo dello Stato, durata un'ora e un quarto, Berlusconi ha realizzato uno dei suoi exploit mediatico-populisti. Con un assolo formidabile, ha rivelato di avere espresso al presidente della Repubblica i suoi dubbi sul risultato elettorale. E ha denunciato che ci sarebbero un milione e centomila schede sospette, che sono stati compiuti brogli "unidirezionali", e che insomma il centrosinistra avrebbe rubato la sua strettissima vittoria. Fuori dal Quirinale non ha espresso dubbi, bensì ha manifestato certezze: "Il risultato cambierà", ha affermato, e ai giornalisti ha mostrato il suo miglior sogghigno: "Credevate di esservi liberati di me?". 

Ciò che sta accadendo è grave. Il nostro paese non ha alle spalle una storia politica basata sul furto di voti. Il ministro dll'Interno, Giuseppe Pisanu, ha manifestato pubblicamente la sua soddisfazione per il modo in cui si sono svolte le operazioni elettorali. Il capo dello Stato si è compiaciuto per lo svolgimento "ordinato e regolare" dell'esercizio democratico. Soltanto Berlusconi ha di fatto impugnato l'esito del voto. Non si è preoccupato di mettere in estrema difficoltà la massima carica dello Stato, resa partecipe di un complotto mostruoso ordito dai nemici della libertà (e del Cavaliere). Seppure appoggiato assai tiepidamente dai suoi alleati, ha scatenato i suoi uomini in una battaglia virtuale che purtroppo può avere pessime conseguenze reali. 

Il milione e passa di schede della vergogna, evocate dalla fantasia pubblicitaria di Berlusconi, esistono soltanto come ultima arma di un uomo assediato che rifiuta la sconfitta. La legge nega la possibilità di un nuovo conteggio, e consente soltanto l'accertamento delle schede contestate. Si tratta di poco più di quarantamila schede, che ragionevolmente si dividono con una certa equità fra i due schieramenti, e che quindi non possono alterare il risultato del voto popolare. In ogni caso, come ha dichiarato Marco Follini, non è il caso di "soffiare sul fuoco", visto che "dal Viminale alle Corti d'appello e alla Cassazione ci sono istituzioni che garantiscono tutti". 

Preso atto di tutto questo, sarà bene che le magistrature preposte agli accertamenti concludano il loro lavoro prima possibile, per spazzare via ogni dubbio e sospetto. La democrazia italiana non può vivere sotto l'ombra di un risultato pasticciato. Ed è proprio questo che Berlusconi sta facendo: sta creando una delle sue realtà virtuali, un altro dei suoi "fattoidi", che scaraventa sulla situazione politica e civile italiana provocando fibrillazioni e inquietudine. 
La risposta di Romano Prodi dalla festa di Bologna, "deve andare a casa", è un esorcismo insufficiente. Se il Caimano ha deciso di avvelenare il periodo post-elettorale, occorrono risposte ferme in primo luogo dalle istituzioni. Dal ministro Pisanu, per esempio, che dovrebbe dare un contributo ulteriore alla serenità dell'opinione pubblica. Ma c'è un aspetto ulteriore che va considerato: il marketing da guerriglia civile che Berlusconi ha inaugurato, rischia di lasciare sull'Italia una macchia. Per salvare la sua leggenda di invincibilità, il premier non esita a rovesciare il banco, o a minacciare di farlo. 

Tuttavia non è proprio il caso che sull'Italia evoluta e disincantata del 2006 permanga un'ombra mitologica, per certi versi simile a quella del referendum costituzionale del 1946. Di fronte a un uomo che è incapace di perdere, che ha usato ogni strumento per avvelenare i pozzi, che ha cambiato la legge elettorale per impedire la vittoria degli "altri", i "comunisti", occorre che anche i suoi alleati, i più ragionevoli, i più corretti istituzionalmente, prendano posizione senza paure o esitazioni. Perdere le elezioni non è un dramma. Ma il Caimano sta trasformando una sconfitta politica in un evento sudamericano, ed è angosciante il pensiero della lunghissima transizione all'insediamento del nuovo governo. C'è qualcuno nella Casa delle libertà che voglia dare un contributo alla sicurezza psicologica e civile del paese? In caso contrario qualcuno dovrà assumersi la responsabilità di avere consentito che una normale alternanza politica si stia trasformando nella battaglia disperata e finale di un uomo non abituato a lasciare la presa sulla "roba" che crede sua e solo sua.