Se Berlusconi finisce col 'botto
Non bisogna illudersi che la nomina di Alfano esaurisca le strategie del premier.
Nelle istituzioni si parla chiaramente di un uomo ormai capace di tutto:
«Non stupitevi se tra un mese succederà qualcosa di serio...»
3 giugno 2011Marco Damilano
"Quella frase sulla 'dittatura dei giudici' a Obama
potrebbe non essere stata stata pronunciata a caso:
potrebbe essere un un modo per far sapere che in Italia c'è una anomalia democratica
e quindi preparare la comunità mondiale a uno scossone"

Il Grande Sconfitto è lì, a un passo, circondato da babbione e prefetti in pensione che Gianni Letta gli presenta indefessamente per evitare che si senta solo. Nei giardini del Quirinale, festa della Repubblica, Giorgio Napolitano, Re Giorgio, riceve seduto l'omaggio di alte cariche e vip, una fila interminabile di ambasciatori, giornalisti, attori, accanto a lui Silvio Berlusconi appare isolato e irrequieto. Un uomo delle istituzioni, una vita al servizio dello Stato e un'onorata carriera politica alle spalle, osserva la scena. Conosce bene Berlusconi e non trattiene l'inquietudine: «Quell'uomo non mollerà ed è capace di tutto. Temo che nelle prossime settimane possa perfino succedere qualcosa di brutto».

Cos'è ancora in grado di fare un premier che ha perso le elezioni amministrative in casa, a Milano e ad Arcore, a Napoli e in Sardegna, e che nell'ultimo vertice internazionale, al G8 di Deauville, si è coperto di ridicolo informando Barack Obama dell'esistenza in Italia di una dittatura dei giudici di sinistra? «Non sia superficiale: quell'orrenda figuraccia in favore di telecamera non si spiega, in effetti. A meno che...».

A meno che? Il servitore dello Stato esita un istante. E' abituato a pesare bene le parole. Passano Matteo Renzi con la moglie, il ministro Raffaele Fitto e Mariastella Gelmini con le ballerine ai piedi, Cesare Geronzi e Umberto Vattani. Il tono si abbassa ancora di più: «A meno che quella scena non serva a dire al presidente degli Stati Uniti e al mondo intero: guardate, in Italia siamo in una condizione di anomalia democratica, non vi stupite se tra un mese succederà qualcosa di serio. Uno scossone, un botto». Sì, c'è anche questo da registrare nel crepuscolo del berlusconismo. Presagi. Pensieri oscuri. Scenari drammatici che si accavallano sui prati del Quirinale in una festa della Repubblica con pochi precedenti.

Se chiedi cosa succederà ora ai massimi esponenti di maggioranza e opposizione la risposta è la stessa: chissà. E' l'incertezza che avvolge tutti gli interpreti di questo psicodramma, paragonabile solo alla stagione '92-'93, la fine traumatica della Prima Repubblica. Il protagonista numero uno, Berlusconi. E gli antagonisti, il campo dell'opposizione che appare sorpreso più che preparato, diviso tra chi si aggrappa ai vecchi schemi tattici e chi vorrebbe cavalcare l'onda. Per evitare che la personale e politica via Crucis di Silvio Berlusconi si trasformi in un Calvario per il Paese. Che ancora una volta la questione privata del Cavaliere finisca per coinvolgere tutti.

La prima stazione che Silvio deve affrontare è il Pdl in implosione. Il primo partito italiano è balcanizzato. L'Imperatore vacilla, valvassori e valvassini ricontrattano le loro rendite. Gianni Alemanno vorrebbe un cambio del nome; Ignazio La Russa un congresso; Franco Frattini un direttorio; Roberto Formigoni evoca le primarie: e Giuliano Ferrara ha già pubblicato sul "Foglio" il regolamento della corsa, da tenersi il 2 ottobre, con tanto di versamento di 5 euro. Macché, si infuria il direttore del "Giornale" Alessandro Sallusti, «il berlusconismo non si può ridurre a norme rigide e statutarie, primarie, riti pazzeschi, assemblee interminabili». «La verità è che Berlusconi non può fare nulla, è bloccato dagli ex fascisti alla La Russa: da quando ce li siamo messi in casa abbiamo perso», riassume il capo dei peones Mario Pepe. «Ognuno difende se stesso, cambiare significa rinunciare ai privilegi», scuote la testa il sottosegretario Guido Crosetto.

Il berlusconismo non più vincente si impantana negli organigrammi: Angelino Alfano al partito, Lupi o Cicchitto al governo, Claudio Scajola da recuperare, perché altrimenti l'incidente diventa inevitabile. Perfino le deputate Papi Girls, vista la mala parata, cercano nuovi protettori per tornare in Parlamento. Berlusconi, da solo, non garantisce più. La seconda stazione della via Crucis è il rapporto tra Silvio e la Lega. Pesa il passato: il ricordo del 1994, rottura e ribaltone, ha condizionato le mosse di Berlusconi e di Bossi in tutti questi anni. E pesa anche il futuro: se si apre il dopo- Berlusconi comincia anche il dopo-Bossi e nessuno meglio del Senatur lo sa. Ma non si può più fermare il distacco tra l'uomo di Arcore e la Lega, ferita dalle amministrative. Il 19 giugno il Carroccio si riunirà sul pratone di Pontida, alla vigilia del voto parlamentare sulla verifica di governo. In assenza di fatti nuovi il Senatur potrebbe decidersi a staccare la spina, sulla spinta della base.

I colonnelli sono divisi: tra chi spinge a proseguire e chi vorrebbe ripartire dall'incontro tra Bossi e Gianfranco Fini del novembre scorso, quando si ragionò di altri, possibili inquilini di Palazzo Chigi. Giulio Tremonti. E Roberto Maroni. Ed è questa la terza tappa del Calvario berlusconiano. Una maggioranza che non c'è più nel Paese, come ha fatto tempestivamente notare Giuseppe Pisanu, senatore del Pdl. E che rischia di non esserci più neppure in Parlamento. L'ennesima verifica parlamentare prevista per fine giugno, innescata dalla richiesta del Quirinale di un passaggio alle Camere dopo l'ingresso dei Responsabili in maggioranza, potrebbe trasformarsi nell'occasione per la resa dei conti.

Ma anche la legge sulla prescrizione breve, in arrivo al Senato, potrebbe funzionare da detonatore. Per Berlusconi è la quarta stazione. La Lega è decisa a sbarrare la strada a nuove leggi ad personam: «Basta con il Parlamento bloccato sui problemi personali del premier». No alla prescrizione breve, percorso rallentato sulla riforma della giustizia. Il ministro Alfano ha già avvertito il presidente dell'Assocazione magistrati Luca Palamara: «Tieniti in forma, saranno due anni di combattimento».

Il ring per Silvio sarà il Tribunale di Milano, dove è ripreso il processo Ruby, quinta fermata nella via Crucis berlusconiana. Prevedibile che si diradino le apparizioni del Cavaliere in aula di giustizia. La claque di Daniela Santanchè, visto il risultato, è già tornata a casa. Tutta l'attenzione di Berlusconi è spostata altrove: al 16 giugno, giorno previsto per il verdetto d'appello sul lodo Mondadori. Non meno di 500 milioni, si prevede, da versare alla Cir di Carlo De Benedetti (in primo grado furono stabiliti 750 milioni di euro) come risarcimento per la sentenza comprata che consegnò la Mondadori a Berlusconi. In vista della batosta il premier ha convocato un consiglio di famiglia, con i figli di primo e di secondo letto. Per discutere su quali pezzi cedere e su come ripartire la restante quota del patrimonio.

E' la stazione più dolorosa, la sesta. Sono in gioco gli affetti più cari, altro che il sindaco di Milano o di Napoli. Il core business per cui Silvio Berlusconi è entrato in politica diciassette anni fa. E dire che da ben altre operazioni economiche sarebbe atteso Berlusconi. Una manovra da 40 miliardi di euro, «tempestiva, strutturale, credibile», senza tagli lineari, come quella richiesta dal governatore Mario Draghi nelle ultime considerazioni finali del suo mandato in Banca d'Italia prima di assumere la guida della Bce. Una doppia croce, per Berlusconi. Una nuova stangata, per di più firmata dall'odiato Tremonti, ormai in testa alla black list di Palazzo Grazioli, accusato di essere tra le cause della sconfitta.

Troppo sordo alle richieste di un'immediata riforma fiscale, troppo deciso a blindare il suo operato in difesa dei conti pubblici, troppo evidente l'ambizione di guidare un governo di unità nazionale: senza Berlusconi e con l'astensione del Pd, sempre che il Pd riesca ancora a orientarsi nella Babele postelettorale. Nell'attesa, Giulio Tremonti ignora Berlusconi e coltiva le relazioni con antichi avversari: lungo colloquio con Romano Prodi nei Giardini del Quirinale. Con una signora che alle loro spalle invano provava a farsi notare: la presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. Finito? No, il peggio per il premier deve ancora arrivare: ci sono i referendum del 12 giugno sull'acqua pubblica e sul legittimo impedimento cui si è aggiunto, a sorpresa, il sì della Cassazione che ha dato il via libera al quesito sul nucleare,nonostante il tentativo del governo di evitarlo con un decreto ad hoc. Un altro brutto ceffone per Berlusconi. E ora il quorum che sembrava un miraggio diventa a portata di mano e potrebbe essere il rovescio fatale per il premier. Con la credibilità internazionale crollata al livello più basso, perfino oltre il discredito registrato due anni fa dai dispacci americani pubblicati da Wikileaks («Berlusconi è un clown che ha creato un tono disgraziatamente comico alla reputazione italiana»).

Doveva esserci il Quirinale, al termine del percorso del Berlusconi trionfante. Arrivato alla stazione finale della via Crucis, invece, per Berlusconi c'è l'amara scoperta di un Paese che non ride più alle sue barzellette, non crede più alle sue promesse, gli volta le spalle nella capitale del Nord da cui tutto era partito nel 1994. Il carisma del vincitore è svanito, il terremoto di maggio maturato nella società italiana dopo mesi di manifestazioni e di indignazione ha appena cominciato a provocare i suoi effetti. Dove porterà, e in che modo, però, è ancora tutto da vedere. Le scosse sono appena cominciate. Botti a parte.