Torture: Abu Ghraib, nuovi orrori.
Decine di morti in Iraq e Afghanistan

 Prigionieri costretti a camminare a quattro zampe, ad abbaiare come cani, a mangiare razioni di cibo servite direttamente nelle latrine. Nuovi agghiaccianti particolari dall'inchiesta si Abr Ghraib. E a parlare non sono solo immagini ancora mai viste prima ma le testimonianze dirette dei sopravvissuti. Proprio mentre il comando militare americano in Iraq metteva in libertà circa 454 prigionieri, ieri il Washington Post pubblicava ampi stralci di un rapporto redatto dalle autorità militari nello scorso mese di gennaio, dove in 65 pagine sono raccolte le dichiarazioni, rese sotto giuramento, da 13 ex detenuti.

«Appena sono arrivato in carcere mi hanno denudato, mi hanno messo un cappuccio in testa e un paio di mutande rosa a fiorellini. Non ho avuto altro indosso per tutti i giorni che ho passato là dentro», ha raccontato Kasim Mehaddi Hilas, prigioniero numero 151108. Hilas ha riferito di aver visto con i propri occhi un traduttore dell'esercito americano violentare un detenuto minorenne, un ragazzino di circa 15 anni, che piangeva disperato, mentre una guardia scattava fotografie.

Tutte le testimonianze confermano che picchiare e umiliare i detenuti era una pratica standard nel braccio 1A di Abu Ghraib, quello destinato ai prigionieri considerati in possesso di informazioni di interesse militare, e quindi regolarmente sottoposti a interrogatorio dagli agenti dell'intelligence. Gli abusi non erano solo a sfondo sessuale, ma anche religioso. «Mi hanno detto che se volevo uscire vivo di là dovevo rinnegare l'Islam - racconta un altro - E siccome mi stavano spezzando una gamba, ho pregato Gesù Cristo». Il rancio era scarso e immangiabile, ma talvolta le guardie forzavano i detenuti a ingoiare bevande alcoliche e carne di maiale, ben sapendo che questo è proibito per ogni musulmano.

Un portavoce del Pentagono si è rifiutato di commentare le rivelazioni del Washington Post, con il pretesto che le indagini sono ancora in corso. Ma se ancora ve ne fosse bisogno a confermare il contenuto delle testimonianze ci sono circa un centinaio di fotografie sinora inedite e almeno un paio di registrazioni video, che documentano torture e omicidi all'interno delle mura del carcere. Con tutta probabilità si tratta delle immagini cui aveva fatto riferimento il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, durante la sua deposizione al Senato, e che il Pentagono voleva tenere segrete appellandosi alla Convenzione di Ginevra. Ma un portavoce della Croce Rossa Internazionale non ha trovato nulla da eccepire sul fatto che le fotografie siano state pubblicate sul quotidiano della capitale.

Lo scandalo sinora ha fatto deferire alla corte marziale sette soldati americani, quattro uomini e tre donne, uno di loro è stato condannato mercoledì scorso a un anno di carcere, dopo un processo lampo che molti autorevoli osservatori hanno definito una farsa. L'amministrazione Bush si è pubblicamente impegnata ad assicurare alla giustizia i responsabili degli abusi, ma tutti i procedimenti avviati dalla magistratura militare riguardano semplici soldati, come se fossero stati loro a decidere come trattare i detenuti. Non è questa la verità che emerge dai documenti trapelati dallo stesso dipartimento alla Difesa americano. Era stato infatti il segretario Rumsfeld in persona ad approvare tecniche d'interrogatorio «non in linea con la dottrina militare» prima per i «combattenti nemici» catturati in Afghanistan e quindi per i prigionieri di Guantanamo. L'obiettivo era strappare ai prigionieri informazioni su possibili attacchi terroristici contro gli Stati Uniti. Soltanto nell'aprile del 2003, sotto pressione degli esperti legali del Pentagono, Rumsfeld fece una parziale marcia indietro, cancellando l'uso delle tecniche più coercitive per far parlare i prigionieri.

Quanto è accaduto ad Abu Ghraib dimostra che le nuove disposizioni non sono state tempestivamente applicate e non è chiaro se per negligenza o per un tacito accordo tra i vertici del Pentagono e i servizi d'intelligence responsabili degli interrogatori. È importante notare che gli interrogatori nella prigione di Abu Ghraib erano condotti dallo stesso personale che aveva lavorato in Afghanistan, e che ha continuato a utilizzare metodi in palese violazione di tutti i trattati internazionali. Indicativa anche la provenienza del responsabile delle operazioni di intelligence ad Abu Ghraib, il generale Geoffrey Miller, precedentemente assegnato al comando del campo di Guantanamo.

Tutto conferma quello che i difensori dei carcerieri aguzzini hanno sempre sostenuto: l'ordine di ammorbidire i prigionieri con le buone o con le cattive arrivava direttamente dall'alto. E le disposizioni non sono state recepite solo dal personale di custodia della prigione, ma anche dagli specialisti privati assoldati sotto contratto dal Pentagono. Uno di loro, dipendente della società Titan, è stato incriminato.