Bologna sembra tra le più agguerrite realtà contro la riforma. Mercoledì, ricercatori e studenti universitari hanno invaso le strade del centro. I manifestanti sono stati ricevuti dalla presidente della Provincia di Bologna, Beatrice Draghetti, e dall’assessore provinciale all’istruzione, Paolo Rebaudengo, che hanno espresso la loro solidarietà «per la situazione di progressiva precarizzazione dei docenti e dei ricercatori dell’Università e per lo stato di malessere che i provvedimenti ministeriali stanno portando».
C’è anche la minaccia di bloccare gli esami di laurea nella mozione approvata all’unanimità dai ricercatori, dal personale docente e amministrativo dell’Università di Torino. Una protesta, quella programmata martedì, che inizierà con una settimana di lezioni ed esami “all’aperto”, come già avvenuto a Siena e Pisa nei giorni scorsi, proseguirà con il blocco degli esami di laurea in concomitanza con l’approdo della legge alla Camera, e, infine, in caso di ulteriore prosecuzione dell’iter parlamentare del Ddl proseguirà con il blocco di ogni attività didattica.
L’appoggio alla protesta che sta arrivando dalle più alte
istitituzioni degli atenei italiani, pone una scelta obbligata al ministro
Moratti: confrontarsi con la valanga di critiche che stanno travolgendo
il suo disegno di legge. Se l’obiettivo del suo silenzio è quello
di fiaccare la rivolta, dovrà amaramente constatare che la sua strategia
non funziona.
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