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Per ribadire e motivare l’assoluta contrarietà all’approvazione del disegno di legge n. 2244-A (fatto proprio da Alleanza Nazionale) relativo al riconoscimento quali belligeranti dei militari della r.s.i. – e la cui approvazione costituirebbe un autentico strappo al diritto internazionale e costituzionale oltre che alla storia della Liberazione del nostro Paese – è stato elaborato uno studio con il contributo, fra gli altri, del prof. Giovanni Conso e del prof. Giuliano Vassalli (presidenti emeriti della Corte Costituzionale) e di Raimondo Ricci (Vice Presidente nazionale dell’ANPI).
Questo è il testo:
Una memoria relativa al disegno di legge n. 2244
sul riconoscimento quali belligeranti dei militari della r.s.i.
"In data 19 maggio 2004 la Commissione Difesa del Senato ha approvato in sede referente (disponendo quindi il passaggio all’Aula) il disegno di legge n. 2244 fatto proprio da Alleanza Nazionale, dal titolo "Riconoscimento della qualifica di militari belligeranti a quanti prestarono servizio militare dal 1943 al 1945 nell’esercito della Repubblica sociale italiana (RSI)".
Il testo del disegno di legge, approvato dalla Commissione parlamentare, è il seguente:
Art. 1.
1. I soldati, i sottufficiali e gli ufficiali che prestarono servizio nella Repubblica sociale italiana (RSI) sono considerati a tutti gli effetti militari belligeranti, equiparati a quanti prestarono servizio nei diversi eserciti dei Paesi tra loro in conflitto durante la seconda guerra mondiale.
Art.2.
1. Dalla presente legge non possono derivare oneri per la finanza pubblica.
Occorre che non solo il Parlamento nella sua integrità ma lo stesso Governo riflettano attentamente sul predetto disegno di legge.
Esso infatti rappresenta una chiara adesione alle teorie chiamate revisioniste, e precisamente una forma di revisionismo giuridico e legislativo.
Richiamandosi integralmente a una sentenza del Tribunale supremo militare del 26 aprile 1954 n. 747, la relazione al disegno di legge entra in grave collisione con tutta la legislazione postbellica sul "collaborazionismo con il tedesco invasore" segnatamente con l’art. 5 del Decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n. 159 (sostitutivo di precedente regio decreto legislativo 26 maggio 1944 n. 134), che punisce a norma delle disposizioni del Codice penale miliare di guerra chiunque abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato, con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto e di assistenza a essa prestata.
Sulla base di tale disposizione la Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, prima e dopo il 1954, ha ritenuto legittime una lunga serie di condanne per i delitti di aiuto militare al nemico (art. 51 c.p. mil. guerra) e di aiuto al nemico nei suoi disegni politici (art. 58 di detto codice). In particolare si può citare, proprio sul tema della "belligeranza" delle forze armate fasciste repubblicane, la sentenza delle Sezioni Unite penali 7 luglio 1945 (pres.e rel. Aloisi, p.g. con conclusioni conformi Lattanzi), emanata in sede di risoluzione di conflitto.
Contro questa pluriennale giurisprudenza, fondata su una rigorosa osservanza delle leggi emanate in materia dal Governo legittimo dopo la formale entrata in guerra dell’Italia contro la Germania (13 ottobre 1943) si sollevava, unica e ambigua voce da parte di un organo, il Tribunale supremo militare, soppresso con legge 7 maggio 1981 n. 180 che ha trasferito la relativa competenza alla Corte di Cassazione, la sentenza 26 aprile 1954 n. 747, sulla quale è esclusivamente motivato il disegno di legge fatto proprio da Alleanza Nazionale.
Nella suddetta sentenza si affermava, contro ogni verità e logica giuridica, che "la legislazione italiana postfascista non ha sotto il profilo del diritto internazionale alcuna veste e alcuna autorità"; che "i partigiani non erano belligeranti" (ciò in contrasto con ripetute sentenze della Corte di cassazione, che considerano le formazioni partigiane come appartenenti alle forze armate italiane); che se una "particolare valutazione dei fatti era spiegabile nei primi dolorosi anni del dopoguerra, oggi (1954) non può essere consentita".
Il contrasto sopra delineato fra l’isolata voce della sentenza del Tribunale supremo militare del 1954 e tutto l’orientamento delle corti di merito e della suprema Corte di Cassazione anche a Sezioni Unite (orientamento che viene del tutto ignorato nella relazione al disegno di legge in questione) non può che essere risolto considerando la piena legittimità delle già citate disposizioni di legge emanate dal legittimo Governo italiano (decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n. 159), incriminatrici del collaborazionismo con il tedesco invasore, in forza delle quali i cittadini italiani comunque militarmente inquadrati che abbiano prestato "aiuto militare al nemico" o "aiuto al nemico nei suoi disegni politici" sono responsabili di reati punibili a sensi del C.p. mil. guerra. Ciò esclude in radice che i suddetti cittadini in quanto da considerare ribelli nei confronti dello Stato legittimo, che su di essi ha giurisdizione, possano essere invece considerati militari belligeranti, per di più, se pur a distanza di molto tempo, con un provvedimento legislativo emanato da quello stesso Stato legittimo che su di essi continua ad avere giurisdizione. La sentenza del 1954 del Tribunale supremo militare afferma a un certo punto che "non è possibile concepire che tali forze (militari di Salò) avessero detta caratteristica (di belligeranti) solo di fronte agli Alleati e non al cospetto dei cobelligeranti italiani". Anche ammettendo, il che è tutto da dimostrare, che la qualità di belligerante dei militari della Repubblica di Salò fosse ammissibile nei confronti degli Alleati, operare l’equiparazione sopra riportata porterebbe a una totale parificazione tra coloro che si batterono agli ordini del Governo legittimo e coloro che si batterono sotto la bandiera della Repubblica di Salò: ed è questo che creerebbe un conflitto non sanabile tra la legislazione dello Stato legittimo e quella di un governo di puro fatto, definito per decenni dalla giurisprudenza italiana come "governo fantoccio" al servizio del tedesco invasore e privo di ogni legittimità.
Vi è infine da domandarsi se sia possibile recepire in una legge italiana, per uniformarvisi, l’espressione di un isolato orientamento giurisprudenziale del Tribunale supremo militare, in contrapposizione totale a una lunga e costante giurisprudenza della Corte di Cassazione. La citata sentenza 26 aprile 1954 del Tribunale supremo militare ha sin dalle prime righe il carattere assai più di manifesto politico che di una decisione giudiziaria. Essa sostanzialmente parifica, quanto a efficacia dei relativi atti e quanto a posizione sia sul piano interno che sul piano internazionale, il Governo legittimo del "Regno del Sud" e quello della Repubblica Sociale sorto tra il 23 settembre e il 5 novembre 1943 nel territorio militarmente occupato dalla Germania (Ordinanza n. 1 dell’11 settembre 1943 del M.llo Kesselring); mentre è noto che sia secondo i canoni del diritto pubblico interno sia secondo quelli del diritto internazionale, il Governo legittimo mantiene la propria sovranità legale sul territorio occupato dal nemico fino a una eventuale debellatio o a un eventuale trattato internazionale che modifichi i confini.
Concludendo, il disegno di legge in questione si trova in un conflitto insanabile con l’ordinamento giuridico vigente in Italia, con il diritto internazionale, con la stessa Costituzione e con la verità storica.
A parte la dirimente questione generale sopra esaminata destano gravi perplessità, nel disegno di legge approvato dalla Commissione Difesa del Senato in sede referente, alcuni aspetti particolari fra i quali la incertezza di contenuti dell’art. 1, dove si dice che "i soldati, i sottufficiali e gli ufficiali che prestarono servizio nella Repubblica sociale italiana (RSI) sono considerati a tutti gli effetti militari belligeranti". Tale dizione non coincide con quella del titolo di provvedimento, che parla – come si è visto – di "riconoscimento della qualifica di militari belligeranti a quanti prestarono servizio militare dal 1943 al 1945 nell’esercito della Repubblica sociale italiana". Ora, la Repubblica sociale ebbe, oltre che un esercito, anche una marina, una aeronautica e una guardia di finanza e par chiaro che anche agli appartenenti a queste armi dovrebbe estendersi, a mente del disegno di legge, l’eventuale riconoscimento di belligerante. Ma che dire degli appartenenti alle "brigate nere" (nella denominazione completa "corpo ausiliario delle squadre di azione delle brigate nere"), il cui compito era fissato nell’art. 7 del decreto istitutivo 30 giugno 1944 n. 446 (della RSI) in quello del "combattimento per la difesa dell’ordine della Repubblica sociale italiana, per la lotta contro i banditi e i fuori legge e per la liquidazione degli eventuali nuclei di paracadutisti nemici"? o degli appartenenti alla Guardia nazionale repubblicana (istituita anch’essa – decreto legislativo del duce 24 dicembre 1943 n. 9 – con "compiti di polizia interna e militare") o a formazioni volontarie quali le "SS italiane" e altre, che svolsero soltanto funzioni di polizia e di formazione di plotoni di esecuzione o di impiccagione di partigiani?
Si profila qui un’ambiguità interna al disegno di legge in esame in quanto, non facendo esso riferimento nel testo, come invece nel titolo, a un esercito, apre la strada a interpretazioni estensive intollerabili oltre che illogiche."
Su questo tema si è svolta il 15 febbraio a Roma, nella Sala Gialla del Senato della Repubblica, una conferenza stampa indetta dai gruppi parlamentari del centro-sinistra alla quale hanno preso parte anche i dirigenti delle Associazioni combattentistiche e partigiane.
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