"Franco Faccia di Mostro"
I mafiosi lo chiamavano Faccia
da mostro o il bruciato. Per anni si è aggirato come un’ombra nella
Palermo delle stragi
e degli omicidi eccellenti.
Uno sbirro con la tessera dei servizi segreti che incontrava uomini di
mafia.
Uno 007 border-line troppo vicino
a molti fatti di sangue: dalla tentata strage della Addaura contro Giovanni
Falcone
nel giugno 1989, all’eccidio
di via D’Amelio, passando per l’omicidio di un poliziotto, Nino Agostino,
e della moglie.
Dopo anni di indagini, segreti
di Stato e depistaggi, “Faccia da mostro” è stato riconosciuto da
un pentito, Vito Lo Forte.
Se ne conosce il cognome, Aiello,
e la professione: è un dirigente di Polizia in pensione. La procura
di Caltanissetta
lo ha iscritto nel registro
degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ma chi si nasconde dietro quel
soprannome da spy-story?
Un killer di Stato, un uomo
di cerniera tra mafia e servizi segreti o uno 007 sotto copertura?
E quali sarebbero stati i suoi
compiti? La favola nera di “Faccia da mostro” è aleggiata per un
quindicennio sui misteri
e i segreti di Palermo, sempre
a cavallo tra mafia e antimafia, in quella terra di nessuno in cui i due
eserciti si parlano,
mediano e forse convergono.
In tanti credono di averlo visto: mafiosi e vittime di mafia, buoni e cattivi.
Fino all’estate del 2009 quando un collaboratore di giustizia, Vito Lo
Forte, ha dato un nome e un cognome all’uomo del mistero.
Trascinando con lui nel gorgo
anche un altro uomo di Stato, un prefetto in pensione, ex dirigente dell’Alto
commissariato
antimafia. Indagini delicate
partite d’impulso dalla Direzione nazionale antimafia e approdate alle
procure di Caltanissetta e Palermo. Indagini scivolose al punto che gli
stessi investigatori procedono tra molti dubbi e difficoltà.
Il bruciato e lo zoppo.
Vito Lo Forte ha identificato
Aiello e l’uomo con cui spesso si accompagnava nel corso di una ricognizione
fotografica
avvenuta nell’agosto 2009. Si
è scoperto così un altro soprannome di “Faccia da mostro”:
«Li chiamavamo il bruciato e lo zoppo. Uno aveva il viso deturpato,
l’altro camminava con un bastone». Lo Forte sostiene di aver visto
entrambi «incontrarsi
due o tre volte con Gaetano
Scotto, il mio capo famiglia». Incontri che sarebbero avvenuti -
sempre secondo Lo Forte - in esercizi pubblici, forse anche nel ristorante
di proprietà del boss. Èla prima delle pesanti accusa che
Lo Forte lancia contro i due uomini di Stato.
Dall’Addaura a Via D’Amelio.
Questa la “geografia” che Lo
Forte riporta ai magistrati: “Faccia da mostro” avrebbe avuto un ruolo
nella mancata strage contro Giovanni Falcone e anche nell’attentato contro
Paolo Borsellino. Su queste vicende - è bene ricordarlo -
il collaboratore riporta notizie
de relato. Lo Forte riscrive il film della tentata strage dell’Addaura.
Secondo il pentito - e siamo
alla seconda accusa - sul teatro della tentata strage contro il giudice
Falcone,
ma su sponde differenti, sarebbero
stati presenti Aiello e altri due esponenti delle forze dell’ordine:
il poliziotto Nino Agostino
e il collaboratore del Sisde Emanuele Piazza, entrambi uccisi in circostanze
misteriose
rispettivamente nell’agosto
1989 e nel marzo 1990. Piazza e Agostino - sembra suggerire Lo Forte -
avrebbero fatto fallire
il complotto contro il giudice
e sarebbero quindi stati eliminati per evitare che raccontassero il coinvolgimento
di apparati dello Stato nell’attentato. Ma non finisce qui. Lo Forte sostiene
anche che “Faccia da mostro” entrerebbe nella vicenda della strage del
giudice Borsellino.
Fin qui il racconto del pentito.
Sarà un caso ma è
la stessa “geografia” in cui è inserito proprio Scotto, condannato
per la strage del 19 luglio 1992 e
indagato per l’omicidio Agostino
e l’Addaura.
Ma come si è arrivati
all’identificazione?
Il file “Faccia da mostro” impegna
da anni la procura nazionale antimafia che si è avvalsa anche di
numerosi colloqui investigativi. Alla fine, l’identificazione di Lo Forte
ha fatto chiudere il cerchio su Aiello.
Il poliziotto di origine calabrese,
oggi in pensione, ha lavorato nel capoluogo siciliano dall’86 all’89. La
deformazione
al viso sarebbe dovuta a un
incidente, una fucilata gli avrebbe lasciato segni indelebili in faccia.
Dubbi e certezze.Una certezza
riguarda Gaetano Scotto. Per gli investigatori il boss del’Arenella ha
avuto sicuramente
rapporti con ambienti insospettabili.
Lo dicono i tabulati dei suoi telefoni e la sentenza che lo ha condannato
all’ergastolo
per Via D’Amelio. Lo conferma
anche Gaspare Spatuzza: «Mentre veniva imbottita di esplosivo la
Fiat 126 nel garage -
ha dichiarato il pentito ricostruendo
le fasi preparatorie della strage contro Paolo Borsellino - tra noi c’era
uno
elegante, biondino, mai visto
prima, parlava con Gaetano Scotto». Per Spatuzza, l’uomo vicino a
Scotto era uno
sbirro, uno dei servizi. Su
Lo Forte invece si procede con molta cautela. Le rivelazioni del pentito
vengono valutate attentamente dalla Procure di Palermo e Caltanissetta,
rispettivamente competenti per gli omicidi Piazza e Agostino e per
l’Addaura.Manon sono pochi i
dubbi sulla sua versione. Entrato nel programma a metà degli anni
90, Lo Forte racconta di droga e riciclaggio, coinvolgendo il suo boss
Gaetano Scotto e tace su tutto il resto. Nel 1999 il pentito uccide un
uomo.
«Me lo sono trovato dentro
casa, credevo fosse Scotto che mi voleva uccidere» dichiara agli
inquirenti. Rientra nel
programma di protezione, ma
si scopre che in passato mentre trafficava droga faceva anche il confidente.
Fino al 2009
quando rimonta i pezzi della
sua memoria.
Ma i dubbi degli investigatori
non si fermano qui.
La teoria di Lo Forte, che Agostino
e Piazza fossero presenti all’Addaura, non convince in pieno.
Non c’è alcuna prova
- sostengono gli investigatori - che Agostino e Piazza si conoscessero,
non c’è prova che fossero
sul luogo della tentata strage,
non si capisce, infine, perché uccidere Piazza dieci mesi dopo l’Addaura
con il rischio che in questo lasso di tempo potesse rivelare qualcosa.
Le morti dei due giovani agenti sono davvero legate alla mancata uccisione
di
Giovanni Falcone? Domande che
potrebbero trovare una risposta tra poche settimane quando i risultati
delle analisi sulla borsa con l’esplosivo e su altri reperti lasciati dagli
attentatori all’Addaura arriveranno sul tavolo degli inquirenti.
Una scia di morti esegreti
L’Addaura, le morti di Agostino
e Piazza, i depistaggi sulle indagini, gli uomini senza volto che compaiono
nella strage
di via D’Amelio. È una
lunga scia di morte quella che gli investigatori stanno provando a ricomporre.
Per farlo bisogna «ripulire i fatti» dai tanti luoghi comuni,
vere leggende metropolitane, fiorite nel corso degli anni. Come quella
che mette in bocca al giudice Falcone una frase precisa il giorno dei funerali
di Agostino e della moglie: «Devo la vita a questi ragazzi».
Legando così la morte
del poliziotto con la mancata strage. Esclamazione che secondo un testimone
al di sopra di ogni sospetto, non sarebbe mai stata pronunciata. Tutti
elementi che fanno emergere un terribile dubbio: le voci di mafia, anche
in buona fede, fatte filtrare fino ai giornali e finite in atti giudiziari
che legano Agostino e Piazza all’Addaura potrebbero essere
l’ennesimo depistaggio. Tirare
in ballo i morti, Agostino e Piazza, per lasciare in pace i vivi. Il tutto
per non fare emergere il vero movente.
La confessione del pentito Lo
Forte che trascina nel gorgo due uomini dello Stato e un pezzo da novanta
come Gaetano Scotto apre scenari
imprevedibili. Segreti non solo di mafia, visto che più volte i
Servizi hanno negato
ai magistrati documenti importanti
sugli omicidi dei due agenti...
E siamo ad oggi.
Le indagini diranno se Aiello
e il suo referente abbiano siano dentro questo puzzle in cui i confini
tra mafia e Stato si assottigliano fino a scomparire. Se dietro quelle
carriere insospettabili si nascondano davvero “Faccia da mostro” e “Lo
zoppo”, due 007 pronti a tutto.
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