Laura Betti, la garbata esuberanza
Renato Nicolini 31.07.2004 
Laura Betti ci ha lasciato, quasi in punta di piedi, a 70 anni, con quel garbo discreto che era l'altra faccia, nota agli amici, della sua esuberanza polemica. Era stata, da qualche tempo, sfrattata dalla sua casa romana di via di Montoro, dove invitava le volte (ricorrenti, ma non troppo frequenti) che aveva voglia di cucinare. Frequentata, tra gli altri, da Alberto Moravia e da Enzo Siciliano, la sua piccola terrazza era l'esatto opposto della Terrazza romana del film di Scola. Anziché di potere (reale) e di (esibite) utopie, vi regnava, per quanto era possibile, il gioioso materialismo del convito. Il Fondo Pasolini, sua ragione principale di vita per quasi trent'anni, si era anch'esso separato da lei, trovando nuova casa (dopo aspri contrasti che l'assessore romano Gianni Borgna ricorderà bene) a Bologna. Da qualche tempo era diventato difficile incontrarla, credo perché (lei così ricca di istintiva mitologia, tra il mondo familiare del dialetto - Teta Veleta si intitola il suo libro - ed il modello classico) voleva tenere per sé lo spettacolo dei fastidi dell'età.

Ricordo la prima volta che l'ho vista, quando fece letteralmente irruzione, senza che nessuno riuscisse a fermarla, nel mio ufficio d'assessore alla cultura di Roma, nel '77, protestando a voce spiegata perché non l'avevo ancora chiamata, nonostante stessi organizzando con Giuseppe Zigaina la mostra dei disegni di Pasolini a Palazzo Braschi. Nonostante non abbia allora acconsentito a nessuna delle sue tante richieste, è nata un'amicizia, frutto delle diversità e della curiosità. Anche l'ultima volta che l'ho incontrata è stato sotto il segno di Pasolini, quando il Fondo aveva trovato provvisorio riparo presso la Fondazione Di Vittorio di Sergio Cofferati.

Così come la perdurante attualità e fortuna critica di Pasolini si era troppo dilatata per essere contenuta nelle sole iniziative del Fondo (penso in primo luogo a Petrolio, la rassegna al centro della prima stagione del Mercadante Teatro Stabile di Napoli) - faremmo però torto a Laura Betti se limitassimo la sua importanza per la cultura europea al solo rapporto con Pasolini. Scrivo europea e non italiana, perché Laura Betti era Commendatore dell'Ordine delle Arti e delle Lettere della Repubblica Francese istituito da Jack Lang. La cultura francese ha saputo rendere piena giustizia, negli ultimi vent'anni, al valore di molti intellettuali irregolari di casa nostra.

L'esempio più significativo è quello di Carmelo Bene, in Francia considerato, prima ancora che un grandissimo attore, un uomo di pensiero - un esponente di spicco della forma oggi possibile, dopo il Ventesimo Secolo, di filosofia, intesa come desiderio e ricerca della verità anche attraverso l'arte e i poeti. Laura Betti era un'attrice di questo tipo - in modo ugualmente istintivo, dove il pensiero non è sovrapposto alla recitazione, ma è la sua essenza ed il suo risultato.

Il primo ricordo di lei attrice che ho è una canzone, che ascoltavo ancora studente di architettura, agli inizi degli Anni Sessanta, che parlava di «millecento ferme sulla via/ con i vetri appannati/ di bugie e di fiati/ dove si va, diciamo così, a fare all'amore./ No, non dico a scambiarsi qualche bacio…». La memoria mi tradisce, ma esprimeva con tenerezza indicibile l'orrore nascosto ed i desideri celati di quegli Anni Cinquanta. Oggi penso in primo luogo a come l'attrice Laura Betti sapeva dare pieno senso alla parola poetica di Pasolini, nel recital Una disperata vitalità - dove il suono della sua voce arricchiva i concetti di tutta la contraddittoria pienezza del corpo e della vita, di fronte alla quale bisogna essere in primo luogo sgomenti e perplessi. O alla sua folgorante presenza in America, uno straordinario film in bianco e nero tratto dal romanzo di Kafka. Naturalmente, non è possibile dimenticarla in Teorema, il film più filosofico di Pasolini. O nel Piccolo Archimede di Gianni Amelio. Ma forse la sua interpretazione più profonda, giocata su molteplici registri, esplicitamente dialettica rispetto al personaggio, l'ha data nel ritratto della diabolica erotomane sadica e fascista in Novecento di Bernardo Bertolucci - una sorta di versione femminile del Marlon Brando di Apocalypse Now.

Ma in lei l'attrice non è separabile dalle sue curiosità; dai circoli della prima avanguardia che si formava provenendo da tutt'Italia a Roma nei primi Anni Cinquanta, da Elsa Morante a Pasolini a Cobelli, fino al giovane Luca Ronconi (per cui Laura recitò nel primo Candelaio) ed al suo organizzatore, allora altrettanto giovane, Paolo Radaelli - nel segno del carisma e del fascino e non del potere; dal suo sperimentalismo, che l'ha portata a cantare Brecht e Kurt Weill con Vittorio De Sica, e a recitare in Francia in un film con Jerry Lewis. È difficile pensare che questa straordinaria vitalità oggi debba restare viva soltanto nella memoria.