Manaus, dagli indios la lotta per la biodiversità
22.01.2005di Beatrice Montini
 Da Manaus
Il nome scientifico è Paullinia Cupana Sorbilis ma quello che lo ha reso noto in tutto il mondo è guaranà. In occidente è conosciuto per le sue proprietà stimolanti ed eccitanti che lo rendono così utile per sopravvivere alla frenetica vita di tutti giorni. Ma in realtà questo frutto rosso e carnoso è uno dei simboli più eclatanti della lotta che si sta combattendo in Amazzonia per la conservazione della biodiversità. Una lotta che vede ancora una volta contrapporsi indios, multinazionali e governo brasiliano. I custodi della banca genetica mondiale del guaranà nativo sono i Sateré-Mawé, una popolazione indigena che vive a 400 kilometri ad est di Manaus, nella regione dell’ Andirà-Marau al confine con lo stato del Parà, in un territorio di 8.000 chilometri quadrati. Un’area che comprende circa 80 villaggi e che è definita dalle autorità locali “santuario ecologico e culturale del Guaranà”.

Anche i Sateré Mawé, sono in questi giorni al Forum Panamazzonico di Manaus per raccontare la loro importante esperienza. «Questa tribù è oggi l’unica organizzazione indigena dell’Amazzonia che è riuscita a fondare un’effettiva autonomia politica sulle gambe di un’autonomia economica», ci spiega Maurizio Fabroni della ong brasiliana Acopiama - «E quindi rappresentano un modello di riferimento per tutti gli altri indios». Il Guaranà dei Saterè Mawé viene infatti venduto sul mercato mondiale attraverso i canali del commercio equo e solidale (in Italia con il Ctm) garantendo loro non solo il sostentamento ma anche una visibilità che in qualche modo li rende più forti di fronte alle pressioni delle multinazionali. Per comprendere tutto questo è necessario però fare un piccolo passo indietro.

La leggenda racconta che in un tempo lontano, in una terra molto simile all’Eden, una fanciulla di nome Unai che conosceva i segreti delle piante e dei fiori, dopo essere stata morsa da un serpente, dette alla luce un bellissimo bimbo. Un bambino così sano e forte da destare la gelosia degli zii che lo decapitarono. Disperata per una morte così crudele Unai sparse i resti del piccolo nella foresta e dall’occhio destro del bimbo in breve germogliò una pianta dalle proprietà medicamentosi così potenti da far risorgere il bimbo. Questa pianta è il guaranà e i Saterè Mawé sono i discendenti di quel bimbo, per questo si definiscono “i figli del Guranà”. Benchè questa sia ovviamente una leggenda, la storia spiega il profondo legame di questo popolo con una pianta che considerano sacra, che è stata da loro “addomesticata” e che da secoli coltivano e selezionano secondo antichissime tradizioni.

Per questo quando, soprattutto negli ultimi anni si è andato sempre più affermando l’interesse per questo seme da parte di grosse aziende produttrici di bibite (in primis la Pepsi Cola), i Sateré Mawé hanno capito che non potevano restare inermi di fronte al pericolo che stavano correndo e hanno iniziato un cammino di lotta per difendere la loro tradizione e la loro terra. Oggi esiste così anche un organo politico che li rappresenta, il Consiglio generale della tribù, attraverso il quale hanno fatto crescere la consapevolezza e la visibilità di questa nazione indigena in tutto il mondo. Il nemico contro cui devono combattere è in questo caso la Ambev (recentemente acquisita dalla Pepsi Cola), maggiore produttrice di bibite del Brasile (la sesta nel mondo) che commercializza in tutto il paese una delle bevande gassate più consumate: il “Guaranà Antartica”. Rivolgendosi alla grande distribuzione, l’interesse della Ambev ovviamente è quello di controllare tutto il mercato del guaranà, abbassandone notevolmente i prezzi. «La Ambev sta facendo molte pressioni sui produttori locali, purtroppo anche attraverso il Ministero dello sviluppo agricolo, affinché coltivino un’unica varietà clonata della pianta», spiega ancora Fabroni , «che rischia di compromettere per sempre la naturale biodiversità del guaranà nativo».

La storia dei Sateré Mawé racconta insomma in maniera emblematica quello che negli ultimi decenni minaccia la ricchissima biodiversità di questa regione e le popolazioni che qui vivono da secoli. Ossia lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali da parte delle multinazionali, la difficoltà di una reazione unitaria da parte di questi popoli così diversi e numerosi (solo in Amazzonia ci sono infatti circa 300mila Indios), l’ambiguità delle relazioni con il governo brasiliano. Tanto che proprio ieri dal Forum Panamazzonico è stato divulgato un documento della Coiab (Organizzazione indigena dell’Amazzonia Brasiliana, guidata non casualmente da un Sateré-Mawé) che è un vero e proprio atto di “ripudio della politica indigenista del governo Lula” che, “preferisce sottostare alle pressioni dei gruppi politici ed economici interessati esclusivamente a sfruttare le nostre terre, le nostre risorse e la nostra cultura”.

Intanto il Forum si avvia alla sua conclusione. Oggi le assemblee finali divise in aree tematiche. Poi il viaggio riprende verso Porto Alegre.