Rai News24 intervista Ali Shalal el Kaissi: l'uomo fotografato durante le torture
A condurre gli interrogatori contractors ingaggiati da ditte Usa"
"Ad Abu Ghraib, anche italiani": La denuncia.
Palazzo Chigi:"Non risulta la presenza di connazionali"

 Ali Shalal el Kaissi non perdona ai nostri connazionali di aver trafugato soldi e reperti archeologici. "Noi amiamo il popolo italiano, conosciamo
la differenza tra la popolazione civile e chi compie questi gesti, ma questo non ci impedisce di denunciare cosa facevano gli italiani.
Il messaggio che voglio dare al popolo italiano e’ che in Iraq la situazione non e’assolutamente migliorata, nulla e’ stato ricostruito".
ROMA -22 febbraio 2006 C'erano anche degli italiani a condurre gli interrogatori nel carcere della vergogna di Abu Ghraib. Lo rivela Ali Shalal al Kaisi, il detenuto incappucciato con gli elettrodi della foto che ha fatto il giro del mondo. Riferendo la confidenza raccolta da un ex diplomatico iracheno, Haitham Abu Ghaith, "l'incappucciato" parla ai microfoni di RaiNews24 e sostiene che a condurre i tremendi interrogatori nel carcere iracheno c'erano anche contractors italiani ingaggiati da ditte americane. Il servizio con l'intervista andrà in onda domani alle 7.40 su RaiNews24. Palazzo Chigi ha intanto diffuso una nota in cui si afferma che "al governo non risulta la presenza di cittadini italiani ad Abu Grahib. E comunque il governo esclude in maniera tassativa che possa trattarsi di militari o di pubblici funzionari".
Il prigioniero incappucciato, con le braccia aperte legate ai fili della corrente, una delle foto-simbolo delle violenze di Abu Ghraib, ha un nome e un volto. Si chiama Ali Shalal el Kaissi, ha 42 anni, ed è stato arrestato nell’ ottobre 2003 a Bagdhad con l'accusa di far parte della guerriglia. Ali, studioso e insegnante di religione era un "Mokhtar", un'autorità amministrativa e religiosa in uno dei distretti di Bagdhad. Dopo essere stato rilasciato aveva denunciato le torture subite alle autorità irachene, ma nessuno gli aveva creduto perchè le foto dell’ orrore dovevano essere ancora pubblicate. Doveva venire nel nostro paese a raccontare la sua storia ma il consolato italiano gli ha negato il visto.

Sigfrido Ranucci, inviato di Rainews24, l'ha intervistato ad Amman, in Giordania dove Ali Shalal stava seguendo un corso per ‘Non violent action for Iraqi’, organizzato da "Un Ponte Per" e altre Ong europee e dove ha fondato l’ Associazione delle vittime delle prigioni americane. Ad Abu Ghraib Ali veniva chiamato in gergo sprezzante, Clawman, l'uomo uncino, per una tremenda ferita alla mano. "Prima di essere arrestato avevo subito un’ operazione chirurgica alla mano. Ma quando sono entrato in prigione, gli americani hanno usato questa ferita come strumento di pressione. Mi dicevano: "Se collabori ti possiamo aiutare a far diventare la mano come prima con un intervento chirurgico". Invece la mia mano e’ stata schiacciata! 
"Dopo 15 giorni di prigionia mi hanno tolto dalla cella, mi hanno messo una coperta con dei buchi, come se fosse un vestito tradizionale arabo. Mi hanno legato con del filo elettrico e messo su una scatola di cartone. Poi mi hanno detto che mi avrebbero elettrizzato se non avessi collaborato. Per tre giorni mi hanno colpito con scosse elettriche. La persona che mi torturava parlava la lingua araba molto bene. Si e’presentato con una musica in sottofondo, “By the rivers of Babylon”, mi diceva che aveva gia’ lavorato a Gaza e che aveva fatto parlare molte persone. Ogni volta che usavano gli elettrodi sentivo gli occhi che fuoriuscivano dalle orbite. Una scossa e’stata talmente forte che mi sono morso la lingua e ho cominciato a sanguinare. Sono quasi svenuto. Hanno chiamato un dottore, che ha aperto la mia bocca con gli stivali, ha visto che il sangue non veniva dallo stomaco ma dalla lingua e ha detto “continuate pure".

Tutte le carceri in Iraq sono sotto il controllo degli americani. Due compagnie private La Caci international e la Titan Corp avevano contratti con mercenari di diverse nazionalità. Tra le testimonianze raccolte da Ali Shalal el Kaissi c'è anche quella di un ex diplomatico iracheno, Haitham Abu Ghaith, secondo il quale a condurre gli interrogatori dei prigionieri c' erano anche contractors italiani, ingaggiati da ditte americane, colpevoli, di aver commesso le stesse torture. Ma Ali Shalal el Kaissi non perdona ai nostri connazionali di aver trafugato soldi e reperti archeologici.

Ma Ali Shalal el Kaissi non perdona ai nostri connazionali di aver trafugato soldi e reperti archeologici. "Noi amiamo il popolo italiano, conosciamo la differenza tra la popolazione civile e chi compie questi gesti, ma questo non ci impedisce di denunciare cosa facevano gli italiani. Il messaggio che voglio dare al popolo italiano e’ che in Iraq la situazione non e’assolutamente migliorata, nulla e’ stato ricostruito".

La testimonianza. Ali Shalal al Kaisi ha 42 anni; fu arrestato nell'ottobre 2003 a Bagdad con l'accusa di far parte della guerriglia. Studioso e insegnante di religione era un mokhtar, un'autorità amministrativa e religiosa in uno dei distretti della capitale irachena.
"Dopo quindici giorni di prigionia - ricorda l'ex detenuto - mi hanno tolto dalla cella, mi hanno messo una coperta con dei buchi, come se fosse un vestito tradizionale arabo. Mi hanno legato con del filo elettrico e messo su una scatola di cartone. Poi mi hanno detto che mi avrebbero elettrizzato se non avessi collaborato. Per tre giorni mi hanno colpito con scosse elettriche". "Ogni volta che usavano gli elettrodi - prosegue - sentivo gli occhi che fuoriuscivano dalle orbite. Una scossa è stata talmente forte che mi sono morso la lingua e ho cominciato a sanguinare. Sono quasi svenuto. Hanno chiamato un dottore, che ha aperto la mia bocca con gli stivali, ha visto che il sangue non veniva dallo stomaco ma dalla lingua e ha detto: 'Continuate pure'".
"Mi chiamavano uomo uncino". Ad Abu Ghraib, Ali Shalal veniva chiamato in gergo sprezzante Clawman, uomo uncino, per una tremenda ferita alla mano. "Prima di essere arrestato avevo subito un'operazione chirurgica alla mano. Ma quando sono entrato in prigione, gli americani hanno usato questa ferita come strumento di pressione. Mi dicevano: Se collabori ti possiamo aiutare a far diventare la mano come prima con un intervento chirurgico". Invece "con gli stivali calpestavano continuamente la mia mano ferita".
Violenze sessuali in carcere.Ai microfoni di Sigfrido Ranucci inviato di Rai News24, Ali Shalal dice di aver assistito personalmente ad abusi sessuali su uomini e donne: "Una soldatessa ha interrogato un religioso e gli ha chiesto di fare sesso con lei. Lui si è opposto; allora la donna è tornata, indossava un fallo finto e lo ha violentato. Abbiamo pure sentito delle donne portate in prigione che venivano violentate, che strillavano e chiedevano il nostro aiuto ma l'unica cosa che potevamo fare è gridare: Dio è grande e vincerà".

Ali si è rifugiato ad Amman, in Giordania, e ha fondato l'Associazione delle vittime delle prigioni americane.
E' stato intervistato mentre seguiva un corso per Non violent action for Iraq tenuto da alcune Ong europee.
Era atteso in Italia Al Kaisi: sarebbe dovuto venire a Roma per raccontare la sua storia ma gli è stato negato il visto.


 
Una montatura dei soliti noti, Enzo Fragalà, deputato di An afferma:
"L'ignobile montatura dei soliti noti del giornalismo militante e 'politicamente corretto' sugli abusi perpetrati dal personale di custodia americano nel carcere di Abu Ghraib, tenta di gonfiare una speculazione attraverso l'intervista ad un detenuto iracheno già esaminato dalla Commissione d'inchiesta".
" La triste vicenda delle torture ai prigionieri iracheni è stata, infatti - dice Fragalà - già oggetto di un'inchiesta militare e di un processo della Corte marziale americana che ha condannato a severissime pene i soldati statunitensi che avevano violato così pesantemente le convenzini internazionli, le leggi militari americane e ogni norma di civile convivenza. Per questo è vergognoso che due giornalisti italiani, tra cui il noto Maurizio Torrealta, che è stato già protagonista negativo nell'inchiesta per la morte di Ilaria Alpi, tentino di resuscitare e strumentalizzare una vicenda già conclusa con processi e sanzioni assai severe, coinvolgendo, 'per sentito dire', i contractors italiani".
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La risposta del direttore di RaiNews24, Roberto Morrione alle dichiarazioni dell'on. Fragalà 
“Rai News 24 respinge con sdegno le offensive affermazioni dell’onorevole Fragalà, che ieri ha lanciato accuse di “montatura” e strumentalizzazione politica per l’intervista all’ex detenuto di Abu Ghraib”. Così dichiara il Direttore di Rai News 24, Roberto Morrione. 
L’on. Fragalà – precisa Morrione – insiste sul fatto che in merito alle torture a Abu Ghraib c’è stata un’inchiesta della Corte marziale americana, come se non fosse ancora aperta una vicenda che investe l’opinione pubblica negli Stati Uniti e in tutto il mondo, ponendo pesantissimi interrogativi d’ordine internazionale, giuridico, politico e morale.

Dove sarebbe la “montatura” per avere individuato e intervistato una vittima di quelle torture, che per la prima volta racconta davanti a una telecamera, dettagliatamente e senza intenti di vendetta, ciò che ha personalmente vissuto, visto e sentito?

E qual’è lo scandalo, se da una descrizione di un testimone così diretto sono emerse accuse che possono coinvolgere contractors italiani, ipotesi che – sia pure indirettamente – non è esclusa del tutto neppure dalle prese di posizione di Palazzo Chigi e del Pentagono?

Compito del giornalismo è cercare di ricostruire la verità, rivelandone anche i lati più oscuri e sgradevoli e a questo si sono rigorosamente attenuti i due inviati di Rai News 24, Ranucci e Torrealta, che non sono i “soliti noti” del giornalismo militante, come vengono vergognosamente definiti, ma seri, corretti e apprezzati professionisti, conosciuti solo per fondate inchieste da loro firmate.

Pervaso dal sacro fuoco della propaganda elettorale, l’on. Fragalà difende qualcosa che Rai News 24 non ha mai chiamato in causa, come la memoria di Fabrizio Quattrocchi, ma si fa curiosamente paladino d’ufficio dei contractors italiani in Iraq, dei quali vorremmo francamente sapere di più.

Questo è un preciso compito professionale, al quale non possiamo e non vogliamo venire meno, come dovrebbe essere dovere istituzionale di un parlamentare della Repubblica non abbandonarsi alla caccia alle streghe e cercare invece di fare chiarezza sugli aspetti oscuri e torbidi di vicende che per tanti aspetti coinvolgono il nostro Paese.