Dica professore.
"Aggiungo che se dovesse andare
in porto l'idea della Lega della secessione si darebbe ancora più
peso all''ndrangheta già molto forte in Lombardia. Qualcuno della
Lega ha riflettuto su questo fatto? Questo avverrebbe per il semplice fatto
che una regione ad alta densità criminale come la Lombardia diventerebbe
il centro di un piccolo Stato formato da quattro o cinque regioni nelle
quali sarebbe più semplice far prosperare gli affari. Una zona geografica
limitata nella quale il peso specifico delle cosche sarebbe molto più
ampio. Ma poi c'è un altro fatto da non trascurere".
Quale?
"La Lega ha sempre messo al
centro della sua lotta per la sicurezza gli stranieri, gli immigrati. Ha
cioè disarmato i suoi militanti nella lotta contro la 'ndrangheta,
cioè distolto l'attenzione dal crimine organizzato. E stiamo attenti
perché negli stessi territori dove c'è un controllo della
Lega c'è anche il controllo della 'ndrangheta. Cioè una coabitazione,
senza per questo commettere atti penali o fatti rilevanti per la magistratura,
che però meriterebbero condanna e questo non avviene".
Praticamente, lei sta dicendo,
che in questi territori la 'ndrangheta
svolge i suoi affari e lo fa
anche attraverso la politica.
"Certo, attraverso la politica,
ma anche con il silenzio e con la complicità. Comunque con il disinteresse
della politica".
Saviano ha fatto vedere le immagini
inquietanti del circolo "Giovanni Falcone"
di un paese vicino Milano, Paderno
Dugnano, dove si è tenuto un raduno
dell''ndrangheta lombarda per
l'elezione del nuovo capo, Pino Neri.
Qual è il legame tra
la 'ndrangheta del Nord e quella calabrese?
"E' un legame fortissimo ma
continua a comandare la 'ndrangheta di Reggio Calabria. Tanto è
vero che c'era un 'ndranghetista - citato anche da Saviano - che doveva
promuovere la secessione delle cosche del Nord da quelle del Sud e l'hanno
ammazzato. Dopodiché le cose che ho scritto su 'Ndrangheta padana
prendono in considerazione cose che io già scrissi dieci anni fa
in Estorsioni ed usura a Milano e in Lombardia (Edizioni Commercio, 2000).
Sono fatti antichi. E' importante capire cosa è cambiato dal '92
ad oggi: allora non c'erano molti rapporti con la politica e gli imprenditori
erano vittime. Oggi invece ci sono molti rapporti con questo mondo, anche
se gli uomini politici per adesso non hanno commesso reati. Ma favoriscono
e intrattengono rapporti con imprenditori padani del settore edile, che
sono collusi e fanno affari con la 'ndrangheta. Questa è la differenza
tra ieri ed oggi".
Saviano ha fatto un elenco lunghissimo
di appalti pubblici lombardi
nei quali i magistrati hanno
accertato infiltrazioni 'ndranghetiste.
"Esatto. Nel mio libro racconto
la storia, per fare un esempio, della Perego Strade, la più grande
azienda edile lombarda, ormai fallita, con più di 250 addetti, che
era penetrata dalla 'ndrangheta e con essa faceva affari. E storie ce ne
sono tante".
Come si interseca la politica
con la "'ndrangheta padana"?
"Il rapporto avviene intanto
attraverso i consiglieri. Ci sono sei consiglieri regionali, cinque del
Pdl e uno della Lega, coinvolti in rapporti con la 'ndrangheta. Alcuni
di questi, decine di consiglieri comunali e alcuni provinciali, hanno avuto
i voti delle cosche. Ripeto: gli uomini politici non sono colpevoli di
niente e non sono indagati, ma questi rapporti sono dimostrati. Il perché
di questi rapporti è semplice: con la politica si fanno affari sugli
appalti sulla trasformazione di aree verdi in aree edificabili e mettere
in piedi così traffici necessari per il riciclaggio. Pensano di
essere più forti grazie alla politica: questa è la logica
della 'ndrangheta. Ma non è una scoperta di oggi, è sempre
stato così. La differenza con il passato è che prima erano
fatti marginali, oggi sono fatti dirompenti".
Saviano ha letto una dichiarazione
di Gianfranco Miglio,
nella quale l'ideologo della
Lega diceva che
sarebbe stato giusto "costituzionalizzare"
la 'ndrangheta e la mafia.
"Sì è molto semplice:
Miglio non ha fatto altro che riproporre quanto era già stato fatto
dalle polizie in periodo fascista con mafia e 'ndrangheta. Il fascismo
si sa che faceva accordi con la mafia per tenerla buona e utilizzarla al
meglio. Miglio avanzava nello stesso modo la proposta di costituzionalizzarle
e quindi diceva alla Lega: se voi fate una cosa del genere non vi rendete
conto che quello che era un pericolo in divenire, oggi è diventato
realtà in Lombardia".
Il parallelo con quanto sta emergendo
dalle indagini della procura di Caltanissetta
sulla trattativa tra lo Stato
e la mafia vien da sé.
"Miglio diceva proprio questo:
rendere costituzionali mafia e 'ndrangheta. E lui questo lo diceva nel
1999, sette anni dopo le stragi. Una cosa vergognosa che io nel libro contesto
con forza. Ma voglio dire una cosa a Maroni che oggi attacca Saviano".
Prego.
"Maroni dovrebbe informarsi
attraverso qualche libro e magari anche il mio. Se si documentasse, si
renderebbe conto di qual è la vera situazione della sua 'Padania'".
| 'Ndrangheta, le mani delle cosche
calabresi nel Nord Italia
17/11/2010 Presentata la relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia al Parlamento Dal Piemonte al Veneto, dalla Liguria all’Emilia Romagna e anche la Toscana; la 'Ndrangheta ha ramificazioni in molte delle regioni settentrionali dove le cosche godono di una certa autonomia anche se, per le decisioni strategiche dipendono sempre dalla "casa madre" calabrese. Questo il quadro che emerge dalla relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia consegnata al Parlamento. Le cosche si sono infiltrate nelle regioni più produttive del paese, tra cui il Piemonte dove si registra, scrive la Dia, una «qualifica presenza di soggetti riconducibili alle 'ndrine del vibonese, della locride, dell’area ionica e tirrenica della provincia di Reggio Calabria». In Piemonte
Nella regione Liguria
Nel Veneto,
In Emilia Romagna,
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| Dal Quotidiano della Calabria
Il COMMENTO di ROMANO PITARO 17/11/2010 «Negli ultimi quindici anni la 'ndrangheta ha conteso alla Lega il controllo del territorio padano. Non è vero che al Nord c'è solo la Lega che controlla il territorio, c'è anche la 'ndrangheta che, esattamente nelle stesse località dove c'è un forte insediamento della Lega, gestisce potere, agisce economicamente, fa investimenti, interviene in vari campi anche sociali, ha una presenza in politica». In sostanza, spiega lo storico delle mafie «l'egemonia politico e territoriale della Lega non ha comportato la scomparsa della 'ndrangheta». E c'è di peggio: «A voler essere precisi, s'è realizzata una coabitazione tra Lega e 'ndrangheta esattamente negli stessi territori. L'equazione controllo del territorio da parte della Lega= scomparsa della 'ndrangheta non è affatto vera, anzi è falsa. La preponderanza politica della Lega non ha assicurato una minore incidenza mafiosa su quei territori, al contrario tale incidenza è aumentata» Nella Padania, gigante economico di un'Italia in declino, vince la 'ndrangheta? Sembra uno scherzo. L'informazione di mamma Rai e il grosso dei media che bombardano gli italiani non trasmettono messaggi così urtanti. A Milano e dintorni comandano le 'ndrine calabresi? Se aveva visto giusto Gaetano Salvemini nell'asserire che «da Milano si vede l'Italia», c'è da star freschi. Ma forse è colpa di titolazioni ardite, ancorché ossessionate dai fatti e dalla realtà. Iperboli di giornali ed opinionisti, che, dopo aver minimizzato per anni notizie, fatti e delitti siglati dalla criminalità organizzata, benché le inchieste sulla mafia a partire dagli Anni '90 non siano mancate (“La mafia all'ombra del Duomo”, “Duomo Connection”), ad intervalli regolari, come ha notato Francesco La Licata sulla “Stampa” del 1° ottobre 2009 a commento del “Rapporto Censis” sulla penetrazione della mafia nel Mezzogiorno, vanno in solluchero per “l'eterna riscoperta del male”. Cedendo così ad una sorta di conformismo che alla lunga produce incredulità piuttosto che maggior senso civico. Piano con le generalizzazioni, verrebbe da dire. Almeno a primo acchito. Altrimenti, a furia di messaggi generalisti, polarizzati tra l'assoluto o il nulla (nella fattispecie tutto è mafia o la mafia non c'è), finiremo col non distinguere il giorno dalla notte. Se la Padania fosse 'ndrangheta e mafie, inverando una di tardiva vendetta del Mezzogiorno considerato “buco nero di criminali e omertosi”. Se così fosse per davvero, a un passo dallo scompiglio politico nazionale e di ciò che Angelo Panebianco sul “Corriere della Sera” definisce “una crisi sistemica lunga, complessa ed imprevedibile”, altro che Milano “argine al degrado ch avanza”. Altro che Milano speranza degli italiani onesti, come chiosa in una bella conversazione con Giangiacomo Schiavi (Corriere dalla Sera del 31 ottobre) il giurista ed ex presidente della Consob Guido Rossi. Non Milano «laboratorio per chiedere alla politica un salto di qualità in direzione dell'impegno e della responsabilità contro le cricche e la piaga». Viceversa, Milano e hinterland fabbriche di segni che rivelano «un'osmosi tra attività istituzionali e interessi particolari che rappresentano - secondo Giuseppe Gennari, giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano - la via d'ingresso della criminalità organizzata (leggi 'ndrangheta) nel mondo economico e politico». Ed è su sentieri di ragnatele infide, impastate di business e sangue, condizionamenti e infiltrazioni nella pubblica amministrazione, che avviluppano politica (eloquenti i capitoli dedicati alle responsabilità degli imprenditori del Nord che hanno aiutato i mafiosi), criminalità organizzata, economia e società che getta lo scandaglio, il nuovo e denso lavoro di Enzo Ciconte ('Ndrangheta Padana”, edito da Rubbettino). L'intento è dimostrare, carte giudiziarie alla mano (anzitutto la maxi-inchiesta delle Dda di Reggio e Milano di luglio con centinaia di arresti, operazione “Crimine”) che la Lombardia è infestata dalla mafia, dai suoi traffici e dai suoi soldi. Ma si fanno spazio deduzioni sconfortanti per il futuro del Nord, del Sud e del Paese. Su cui le classi dirigenti nazionali, o quel che ne residua in termini di lungimiranza e senso delle istituzioni, farebbero bene ad aprire gli occhi. Perché lo scenario che delinea Ciconte, frutto della felice commistione di più elementi d'analisi, giudiziari, politici e sociologici, ha il colore di un cielo cupo. Un Paese senza futuro in mano a mafie, e politici senza alcuna missione che non sia quella di tenere il sacco a cricche e potentati occulti. Se ad incominciare dagli anni '80 si è proceduto mirando ad accumulare ricchezza infischiandosene di regole e controlli e con un'incredibile «indifferenza per le sorti dello Stato», perseverare vorrebbe dire consegnare il Paese alle mafie. Oggi Nord e Sud sono uniti da fenomeni predatori e dall'evanescenza di ogni etica pubblica. Scendere a patti con la 'ndrangheta e farla sedere al suo stesso tavolo come ha fatto il Nord, non è meno immorale delle coperture che essa ha avuto al Sud. Discutere di questione settentrionale o meridionale appare, in queste condizioni, un diversivo per non affrontare il cancro che uccide la democrazia italiana. In duecento pagine, Ciconte documenta attraverso quali canali gli 'ndranghetisti si sono infiltrati al Nord, «diventando interlocutori di primo piano di imprenditori e uomini politici». Sulla scorta di quanto - specie negli ultimi tre anni - asseriscono diversi magistrati calabresi e lombardi, e utilizzando i dati della più vasta operazione (luglio 2010) mai condotta nei confronti delle mafie, e della 'ndrangheta in particolare, nella storia del Paese (ivi incluso un filmato, cliccatissimo su Youtube, che viola i segreti e le ritualità delle riunioni di 'ndrangheta nella terra di Alberto da Giussano), il docente di Storia della criminalità organizzata all'Università di Roma Tre, ribadisce l'idea che la 'ndrangheta ha due capitali: Milano e Reggio Calabria. Una verità su cui la politica ha preferito, salvo lodevoli eccezioni, chiudere gli occhi. Al punto che, nonostante Bossi e l' orgoglio celtico, che a parole sembrano quanto di più distante dai riti criminali, la stessa Lega con il predominio mafioso ha convissuto. E non tanto perché ha accolto il consiglio dato a Palermo nel 2001 dal ministro Pietro Lunardi che auspicava una convivenza con la mafia, ma perché l'ideologo della Lega, Gianfranco Miglio, teorizzava, undici anni fa, “la costituzionalizzazione” della mafia. Fanno riflettere alcune affermazioni di Ciconte: «Negli ultimi quindici anni la 'ndrangheta ha conteso alla Lega il controllo del territorio padano. Non è vero che al Nord c'è solo la Lega che controlla il territorio, c'è anche la 'ndrangheta che, esattamente nelle stesse località dove c'è un forte insediamento della Lega, gestisce potere, agisce economicamente, fa investimenti, interviene in vari campi anche sociali, ha una presenza in politica». In sostanza, spiega lo storico delle mafie «l'egemonia politico e territoriale della Lega non ha comportato la scomparsa della 'ndrangheta». E c'è di peggio: «A voler essere precisi, s'è realizzata una coabitazione tra Lega e 'ndrangheta esattamente negli stessi territori. L'equazione controllo del territorio da parte della Lega= scomparsa della 'ndrangheta non è affatto vera, anzi è falsa. La preponderanza politica della Lega non ha assicurato una minore incidenza mafiosa su quei territori, al contrario tale incidenza è aumentata». Essendosi allocata (inizio anni '50) nella Padania ed avendo costruito un sistema di potere capillare ed efficiente, la 'ndrangheta (che agisce ossessionata dall'idea di clonare pezzi di territorio calabresi per riprodurli del tutto uguali in altre realtà), ha contagiato il panorama in ogni sua piega. Ha agito in combutta col peggio del Nord, sostenuta da importanti blocchi di interessi economici e finanziari, schiacciando la libera impresa e condizionando il mercato. Mette i brividi la domanda che Ciconte, a un certo punto, pone: nel caso la Lega realizzasse il suo obiettivo (la Padania indipendente), ci si rende conto che le istituzioni e la società del Sole delle Alpi sarebbero una preda nelle grinfie della più potente delle mafie? E' tutto buio. Forse no. A parte l'incessante lavoro di giudici e forze dell'ordine. Una presa di coscienza si avverte. La mafia nel Nord c'è. Ci si guarda bene, come s'è fatto per decenni, di dire che è un corpo estraneo, un'abitudine dei terroni. Il consiglio regionale della Lombardia ha tenuto di recente una seduta straordinaria sull'inquinamento mafioso e due commissioni, quella lombarda che sta redigendo un unico testo di legge per garantire la trasparenza negli appalti e quella antimafia della Calabria, iniziano a dialogare. Ma serve molto di più. La politica italiana è ben lontana dal trovare un equilibrio istituzionale che consenta alle Istituzioni di agire con fermezza in difesa della legalità. Franco Abruzzo, ex presidente dell'Ordine dei giornalisti lombardo e calabrese critico per come vanno le cose nel Mezzogiorno, asserisce che Milano «ha deciso nel bene e nel male, dal '700 ad oggi, tutte le svolte nazionali, dall'Illuminismo al Risorgimento, la grande guerra, il fascismo, la resistenza, il centrosinistra, tangentopoli, la Lega Nord e Forza Italia». In questo senso, ci si attenderebbe che arrivasse proprio dall'ex capitale morale un forte impulso culturale e politico per ridurre agli stremi “la politica barbarica”, le mafie e la corruzione. Ma se oggi, come spiega “'Ndrangheta Padana”, la 'ndrangheta e le mafie subiscono nel Sud un arretramento mentre gli agglomerati mafiosi diventano floridi e influenti nel Nord, che fare? Insistere sul nuovo modello di “democrazia dal basso”, cui hanno fatto riferimento alcuni autorevoli intellettuali durante le primarie del centrosinistra a Milano, in parte rivelatesi un flop, rischia di apparire alquanto grottesco. |
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