per conto del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” di Palermo. |
Riportiamo integralmente per diritto di replica:
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Affari di mafia nello Stretto Antonio Mazzeo Nota: I tre capitoli sono tratti dalla ricerca condotta dall’autore per conto del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” di Palermo. Pesenti e la Gazzetta del Ponte Sotto l’egida di Licio Gelli e della P2 furono sigillati accordi e contratti tra finanzieri ed industriali innamorati del progetto di collegamento stabile tra la Sicilia e il continente. Come ad esempio quello sottoscritto a Zurigo nel 1979 tra il banchiere Roberto Calvi e il re del cemento Carlo Pesenti. <<Quell’accordo – ha ammesso Calvi – è stato patrocinato proprio da Ortolani e Gelli, ed è stato presentato appunto come un’iniziativa assunta sotto l’egida della Gran Loggia Madre di Londra. Fu Ortolani a prospettarmi l’opportunità di questo accordo per aiutare Pesenti a definire talune sue posizioni nell’ambito del suo Gruppo. Proprio per questo alone di sacralità massonica l’accordo venne firmato per garanzia anche da Gelli e da Ortolani, e il documento venne poi trattenuto da Gelli con l’accordo tacito di tutte le parti>>. Presso il Banco Ambrosiano erano depositati da anni, a garanzia della sovraesposizione debitoria, i pacchetti di controllo delle maggiori società del gruppo Pesenti. Una parte di quei debiti erano stati contratti per salvare l’impero finanziario lombardo dal tentativo di scalata di Michele Sindona. Calvi assicurò il massimo di riguardo e qualche mese dopo l’incontro di Zurigo, Carlo Pesenti fu nominato membro del consiglio di amministrazione della Centrale, la finanziaria controllata dal Banco Ambrosiano. Per Pesenti prendeva avvio una seconda giovinezza e si riaccendevano gli entusiasmi per i tanti progetti sospesi. Affari su affari che sono continuati anche dopo la scomparsa dell’anziano industriale principalmente grazie a figlio e nipote. Oggi è Epifarind BV lo scrigno della famiglia Pesenti; ha sede ad Amsterdam ed esercita il controllo sul 62,4% di Italmobiliare di Milano, società leader della finanza in Italia e all’estero. Gli altri importanti soci di Italmobiliare sono Serfis Spa di Milano (10,3%), Mediobanca (9,5%) ed Hermes Focus Asset Management Europe Ltd. di Londra (2,9%). Presidente e consigliere delegato di Italmobiliare è il figlio di Carlo, Giampiero Pesenti; vicepresidente il noto industriale siderurgico Italo Lucchini. Fra le principali partecipazioni di Italmobiliare in società quotate in Borsa figurano Unicredito Italiano, Mediobanca, UBI Banca, Mittel, Intek, Capitalia e Banca Leonardo. Italmobiliare opera nel settore finanziario attraverso tre società internazionali, Italmobiliare International Finance Ltd., Fincomind e Société de Participation Financière Italmobiliare S.A.. Il gruppo Pesenti possiede inoltre rilevanti partecipazioni in importanti istituti bancari esteri come la Finter Bank di Zurigo, il Credit Mobilier de Monaco, la Compagnie Monegasque de Banque. L’ultima di queste banche è stata presieduta da Enrico Braggiotti, già amministratore della Banca Commerciale italiana, arrestato e condannato nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti Enimont. (*) Nonostante la sempre maggiore propensione all’investimento sui mercati finanziari, Italmobiliare mantiene uno zoccolo duro nel settore industriale grazie al controllo delle Cartiere Burgo, della Falck Spa e del gruppo elettromeccanico Franco Tosi. Più recentemente i Pesenti hanno diversificato il loro intervento al settore dell’imballaggio e dell’isolamento alimentare (Sirap Gema) e al ciclo integrale dell’acqua e della distribuzione gas (Crea). La principale partecipazione industriale di Italmobiliare (circa il 58,7% delle azioni) è tuttavia rappresentata da Italcementi Spa, vera e propria holding nella produzione e commercializzazione dei materiali da costruzione (cemento, calcestruzzo e inerti). Si tratta del quinto produttore a livello mondiale e del principale operatore nel bacino del Mediterraneo. Le aziende controllate da Italcementi hanno un fatturato annuale di quasi sei miliardi di euro, impiegano 23.500 dipendenti e hanno una capacità produttiva di oltre settanta milioni di tonnellate di cemento. Gli impianti sono presenti in ventidue paesi e contano su un dispositivo industriale di 62 cementerie, 15 centri di macinazione, 610 centrali di calcestruzzo e 139 cave di inerti. Italcementi, attraverso la controllata Italgen Spa, è pure un’importante produttrice e distributrice d’energia elettrica. Circa il 93% dell’energia prodotta (853 GWk) viene venduta ad altre controllate del gruppo Italcementi operanti in Italia e Marocco. Italcementi controlla infine Silos Granari della Sicilia (settore alimentare), Nuova Sacelit (materiali edili), Medcem Srl di Napoli (operante nel settore amatoriale). Come ogni grande gruppo industrial-finanziario che si rispetti, i Pesenti hanno costruito un vero e proprio impero editoriale. Italmobiliare è infatti uno dei maggiori azionisti di Rcs MediaGroup, gruppo leader nel settore dell’informazione, editore del Corriere della Sera. Nelle mani della famiglia lombarda c’è poi il 33% del pacchetto azionario della SES, la società editrice della Gazzetta del Sud, il maggiore organo d’informazione di Calabria e nel messinese, diretto da oltre quarant’anni da Nino Calarco, il presidente onorario della Stretto di Messina Spa. Alla SES fanno riferimento buona parte delle reti radiotelevisive locali che, con la Gazzetta del Sud e la “cugina” La Sicilia di Catania, fanno da vere e proprie portavoce della lobby del Ponte. Era successo, un giorno, che Carlo Pesenti si presentasse a Messina d’avanti al senatore missino Uberto Bonino, proprietario della società editrice siciliana, chiedendo di rilevare una quota di minoranza del quotidiano. <<Pesenti entrò nella SES, nel 1976, ed io gli ho dato una quota della Gazzetta, il 33%>>, ha raccontato Uberto Bonino. <<Lui era un industriale dell’acciaio e del cemento e si era illuso che la questione del ponte sullo Stretto fosse una cosa seria. Quindi credeva di avere degli interessi in questa zona. Ma una cosa seria il ponte non lo è mai stata>>. Bonino si equivocava. Era solo questione di pazientare qualche decennio ancora perché i Pesenti non perdessero l’appuntamento con la storia. La rete di relazioni e interessenze tessuta dai diretti discendenti del re del cemento lascia trasparire il core business dell’ecomostro dello Stretto. L’ingegnere Giampiero Pesenti, presidente Italmobiliare, è membro di Pirelli & C., la holding finanziaria di Marco Tronchetti Provera dove sono determinanti i controlli azionari delle famiglie Benetton e Ligresti, socie di IGLI-Impregilo. Pesenti è stato pure alla guida di Gemina (ex azionista di maggioranza d’Impregilo), da cui Italmobiliare ha acquisito la quota azionaria di RCS Media Group. L’ingegnere era ancora membro del Cda di Gemina quando il 21 marzo 2005 fu approvato l’accordo per l’ingresso del consorzio IGLI nella società di costruzioni di Sesto San Giovanni. Italmobiliare è poi importante azionista della finanziaria Mittel ancora una volta accanto a SAI-Fondiaria di Salvatore Ligresti; in Mittel è depositato uno dei maggiori pacchetti di Banca Intesa, capofila del pool bancario che garantisce lo sforzo finanziario del general contractor del Ponte. Nel consiglio d’amministrazione di Italmobiliare siede Giorgio Bonomi, autorevole rappresentante della famiglia che è pure azionista di Sirti Spa e dunque, sino a qualche tempo fa, del consorzio IGLI. Coincidenza vuole che le famiglie Pesenti e Bonomi, l’8 dicembre del 1989, abbiano sentito il dovere di sottoscrivere un necrologio per esprimere al finanziere messinese Filippo Battaglia, il loro cordoglio per la morte del padre. E Battaglia, si sa, oltre a destreggiarsi nel mercato delle armi, ha pure tentato, senza fortuna, di mettere le mani sui lavori del Ponte. Ci sono poi gli incroci di Italcementi, di cui un terzo del pacchetto è in mano all’“azionariato diffuso”, rappresentato principalmente da istituti bancari esteri e nazionali. Tra essi compare innanzitutto Goldman & Sachs Asset Management (3% dei titoli), altro importante azionista d’Impregilo che abbiamo vista operare accanto al Saudi Binladin Group del “ricercatissimo” Osama Bin Laden. Uno sguardo al consiglio d’amministrazione e al collegio sindacale d’Italcementi fornisce ulteriori tessere al mosaico: due membri del Cda, Alberto Bombassei e Alberto Clò, siedono contestualmente in Autostrade Spa di Luciano Benetton; altro membro del consiglio d’Italcementi è la nuova presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, azionista di Equinox Investment Company del finanziere messinese Salvatore Mancuso. Presidentessa del collegio sindacale Italcementi è invece Maria Martellini, membro del Cda di BPM-Banca Popolare di Milano, altra azionista di minoranza d’Impregilo. BPM, a sua volta, vede tra i propri azionisti il gestore di fondi pensione Hermes Focus Asset Management, azionista della stessa Italmobiliare. Claudio De Re, sindaco effettivo delle maggiori società del gruppo Pesenti è invece sindaco effettivo di Milano Assicurazioni (gruppo SAI-Fondiaria). La holding lombarda, ovviamente, punta direttamente alla fornitura delle materie prime per il grande manufatto. In Calabria e in Sicilia Italmobiliare ed Italcementi esercitano da tempi immemorabili il monopolio della produzione di cemento e calcestruzzo. Parecchi anni prima dell’ingresso nel quotidiano di Messina, Carlo Pesenti aveva ottenuto dall’allora assessore regionale Giuseppe La Loggia (padre dell’ex ministro forzista, Enrico), una legge per l’industrializzazione della Sicilia che estendeva alle grandi imprese del Nord onerose agevolazioni e congrue esenzioni fiscali. Gli istituti regionali elargirono finanziamenti per ventidue miliardi di lire con cui i Pesenti acquisirono gli stabilimenti di calcestruzzi di Villafranca Tirrena, Catania, Porto Empedocle e Isola delle Femmine. Il controllo del mercato nel Mezzogiorno si concretizzò tuttavia nel 1998 quando Italcementi acquisì dal gruppo Ferruzzi di Ravenna la Calcestruzzi Spa, il primo produttore italiano di calcestruzzo preconfezionato, con 250 impianti di betonaggio, 23 cave e 21 impianti di selezione inerti. Grazie a Calcestruzzi, i Pesenti entrarono in possesso degli stabilimenti di Caltanissetta, Gela, Borgetto e Brancaccio (Palermo), Termini Imerese, Priolo Gargallo, Marsala e Trapani. In Calabria ottennero invece gli impianti di Castrovillari, Catanzaro e Vibo Valentia Marina. Operazione certamente azzardata il rilevamento di una società che sino ad allora era stata diretta da chiacchierati manager che avevano sviluppato distorte dinamiche di mercato nel sud Italia, scegliendo di consociarsi con alcune tra le più agguerrite organizzazioni criminali. Nei primi anni ‘80, il gruppo Ferruzzi-Calcestruzzi aveva acquisito il controllo delle maggiori cave siciliane, alleandosi infatti con società nella titolarità delle famiglie di Cosa Nostra, come ad esempio quelle in mano ad Antonino Buscemi, fratello di don Salvatore Buscemi, capo mandamento di Passo di Rigano-Boccadifalco-Uditore. L’acquisizione da parte di Calcestruzzi di una cava d’inerti nella città di Riesi fu l’evento scatenante di una cruenta guerra di mafia che insanguinò parte della provincia di Caltanissetta a cavallo tra gli anni ‘80 e gli anni ’90. Il conflitto oppose i cosiddetti “dicristiniani” (i fratelli Salvatore e Calogero Riggio, poi divenuti collaboratori, e le differenti “stidde” dei centri vicini a Riesi) e gli alleati locali dei Corleonesi (Giuseppe Madonia e i fratelli Cammarata di Riesi). Sino ad allora i Riggio avevano gestito le forniture di materiali di costruzione ma Salvatore Riina e Bernardo Provenzano ordinarono la cessione degli impianti locali all’impresa ravennate, che fu pure esentata dal pagamento del pizzo. Fu creata la Generale Impianti Billiemi, società che vedeva contitolari Calcestruzzi e Antonino Buscemi. Riferendosi ai rapporti tra Calcestruzzi e Cosa Nostra, il collaboratore Angelo Siino ha dichiarato che <<il Gruppo Ferruzzi, facente capo a Raul Gardini e, dopo la sua morte, all’ingegnere Giovanni Bini e Lorenzo Panzavolta, si era avvalso della protezione mafiosa dei Buscemi, i quali, a loro volta, in cambio potevano avvalersi della copertura e del prestigio del potente gruppo finanziario ravennate che vantava anche importanti agganci politici>>. Aggiungeva Siino: <<Nella Generale Impianti, società di gestione della Calcestruzzi Spa, vi erano gli interessi di Nino Buscemi, di Salvatore Riina e di tutta la famiglia di Passo di Rigano. Ricordo che nel 1986 cominciai a ricevere molte lamentele da parte delle famiglie interessate alla presenza, sul territorio della provincia di Caltanissetta, di impianti di betonaggio della Calcestruzzi, per i quali non veniva corrisposto la “messa a posto”. Sia Leonardo Messina che Totò Ferraro mi vennero a chiedere se corrispondeva al vero che la Calcestruzzi non pagava in quanto di proprietà di Salvatore Riina>>. Siino chiese spiegazioni direttamente a Giuseppe Madonia: <<Egli mi raccomandò di lasciare le cose per come stavano, in quanto l’ingegnere Giovanni Bini, rappresentante del gruppo in Sicilia, era diretta emanazione di Nino Buscemi, che così era riuscito ad intrufolarsi nella compagine societaria della Generale Impianti e quindi della Calcestruzzi>>. In quegli stessi mesi il superlatitante Bernardo Provenzano inviava uno sgrammaticato pizzino a Luigi Ilardo. <<Carissimo, mi dicono persone interessati di Palermo nella cava di Riese che anno subito danni: chiedi se ne sa parlare Peppe Cammarata, e che ci dobbiamo dire ha quelli che sono interessati>>. I fondi neri di Calcestruzzi Quando Calcestruzzi cambia di proprietà il nuovo acquirente eredita con cave e stabilimenti anche le pericolose metastasi proliferate nell’azienda con la gestione Ferruzzi-Gardini. Bisognava attendere però il 2005 perché ci si rendesse conto del livello d’infiltrazione criminale raggiunto all’interno degli impianti dell’isola. Nell’ambito del procedimento Odessa relativo alla riorganizzazione della “famiglia” di Riesi facente capo ai fratelli Pino, Vincenzo, Giuseppe e Francesco Cammarata, il 15 novembre 2005 scaturiva l’arresto di circa quaranta persone, tra i quali spiccava la figura di Giuseppe Giovanni Laurino, capo zona della Calcestruzzi per la Sicilia orientale, ritenuto uomo d’onore affiliato alla cosca locale, per conto della quale avrebbe operato nell’impianto gestito a Riesi. Nel luglio 2006 l’operazione Doppio Colpo forniva ulteriori elementi sul sistema di penetrazione economico delle cosche nissene nella gestione degli appalti e della fornitura di materiali ai cantieri edili. A finire sotto inchiesta insieme ad alcuni boss locali c’erano altri due dipendenti di Calcestruzzi, Fausto Volante (direttore regionale per la Sicilia) e l’autotrasportatore Salvatore Paterna, ancora una volta il Laurino ed un fornitore d’inerti dell’azienda. Alla sede centrale di Bergamo veniva notificata un’informazione di garanzia: secondo la Procura della Repubblica di Caltanissetta la Calcestruzzi aveva <svolto attività di favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra>> e pertanto si disponeva la perquisizione e il sequestro della documentazione contabile. Contestualmente la procura emetteva un decreto di sequestro preventivo degli impianti di produzione di Riesi e Gela. Nel dicembre 2007 la stessa Calcestruzzi decideva di sospendere <<in via cautelativa>> tutte le attività in corso in Sicilia. A fine gennaio 2008 l’ultima mazzata dei magistrati nisseni. Stavolta non si tratta più solo dei quadri intermedi dell’azienda: travolto dall’inchiesta su mafia e cemento c’è pure l’amministratore delegato di Calcestruzzi. Truffa, frode in pubbliche forniture, intestazione fittizia di beni, con l’aggravante di aver agevolato l’attività di Cosa Nostra: queste le ipotesi di reato. Il Gip di Caltanissetta, Giovanbattista Tona, ha pure firmato un ordine di sequestro degli stabilimenti italiani dell’impresa, valore stimato seicento milioni di euro. Stando agli inquirenti, la gestione del comparto produttivo di Calcestruzzi, <<carente di adeguate direttive e di dovuti controlli, in questi anni sarebbe stata affidata a figure aziendali di dubbia lealtà ed alcune addirittura organiche a Cosa Nostra che avrebbero consentito di curare gli interessi della consorteria criminale e, contestualmente, avrebbero garantito adeguati introiti alla holding>>. Le posizioni più gravi appaiono quelle di Fausto Volante e Francesco Librizzi (già capo area per la Sicilia occidentale di Calcestruzzi), accusati di <<curare e gestire i rapporti con Cosa Nostra, impartendo - anche in cambio del mantenimento della posizione di preminenza nel settore della fornitura del calcestruzzo garantita dalla forza di intimidazione del sodalizio mafioso - le disposizioni necessarie per creare fondi di natura illecita destinati al sostentamento delle “famiglie”>>. Per ottenere i fondi neri che alimentavano il circuito criminale, il gruppo di Bergamo avrebbe prodotto e venduto materiale scadente falsificando documenti e contabilità. <<Spremere soldi a palate, truccando la qualità e la quantità del prodotto offerto ai committenti>>, scrivono i magistrati nell’ordinanza di custodia cautelare. Il tutto mediante <<sovrafatturazioni di prestazioni di servizio; sottofatturazioni del calcestruzzo, fornendo prodotto di qualità difforme dai capitolati di appalto per la costruzione di opere pubbliche e private>> e <<acquisendo la materiale gestione di aziende fittiziamente intestate a terzi>>. (…) A corroborare le tesi accusatorie hanno contribuito particolarmente le dichiarazioni dell’ex dipendente di Calcestruzzi, Salvatore Paterna, decisosi a collaborare dopo la sua incriminazione per associazione mafiosa nel 2006. Indicato dal collaboratore di giustizia Calogero Barberi quale <<referente di Cosa Nostra per la zona di Riesi a seguito dell’arresto del boss Francesco Cammarata>>, Salvatore Paterna ha condotto per anni le betoniere dell’impianto di Riesi. Anche se ha negato di essere stato affiliato alla mafia, Paterna ha descritto alcune delle modalità seguite dalla Calcestruzzi per alterare la qualità del prodotto e creare i fondi neri. <<Fausto Volante con il geometra Caponetto studiarono un sistema che consentiva di aumentare il volume di calcestruzzo con un additivo che veniva prodotto dalla stessa Italcementi>>, ha dichiarato l’ex dipendente. <<L’additivo faceva aumentare il volume del calcestruzzo nell’ordine di due metri cubi ogni betoniera della capacità di circa otto metri cubi>>. Il calcestruzzo “depotenziato” sarebbe stato utilizzato in alcune delle principali opere pubbliche che vedono fornitrice la società di Bergamo, con gravi effetti sulla loro resistenza statica e dinamica e sulla loro durabilità. Per questo sono stati avviati accertamenti un po’ in tutta Italia. In Sicilia le opere sottoposte a screening sono cinque: la strada a scorrimento veloce Licata-Torrente Braemi, lo svincolo di Castelbuono-Pollina sul tratto autostradale A20 Palermo-Messina, un innesto non ancora inaugurato sulla Caltanissetta-Gela, il nuovo palazzo di giustizia e il porto di Gela. Tra i cantieri “a rischio” fuori dall’isola, alcuni tratti della TAV, la nuova metropolitana e il museo d’arte contemporanea di Roma, il nuovo palazzo della Provincia di Milano, il ponte sul Po di San Rocco al Porto (Lodi), la chiesa di San Paolo Apostolo a Pescara. Stando al collaboratore Paterna, nel tragitto ferroviario in fase di realizzazione ad Anagni, la società del gruppo Pesenti avrebbe fornito un tipo di calcestruzzo che conteneva appena 150 Kg. di cemento per ogni metro cubo contro i 270 concordati. In questo modo Calcestruzzi si sarebbe assicurato un <<ingiusto profitto>> di circa due euro e quaranta centesimi per metro cubo di calcestruzzo venduto: con la sola fornitura per i lavori alla galleria autostradale di Castelbuono, l’azienda avrebbe costituito un “fondo” di 240 mila euro. Altri sessanta mila euro sarebbero stati ricavati attraverso la produzione “taroccata” negli impianti di Gela e Riesi. Ad agevolare l’accantonamento di fondi neri concorrevano gli artifici numerici sulle giacenze di magazzino delle cave che rifornivano la Calcestruzzi. Dalle indagini della Guardia di Finanza è emerso che <<la cava di Riesi era in grado di produrre inerti in misura superiore a quella dichiarata e ceduta alla Calcestruzzi e che quindi una parte della produzione veniva stornata per la vendita in nero con conseguente lucro di proventi non contabilizzati>>. C’era poi il sistema della sovrafatturazione sui trasporti effettuati da una ditta con sede nella zona industriale di Caltanissetta. Il metodo è stato descritto da un altro collaboratore di giustizia, Carlo Alberto Ferrauto, già affiliato alla “famiglia” nissena: <<Quest’ultima operazione fu direttamente applicata su uno specifico accordo che avvenne a Caltanissetta nel periodo 1996-97, tra Giovanna Santoro, moglie di Giuseppe Piddu Madonia, nell’occasione coadiuvata da Carmelo Barbieri e Totò Rizza, circostanza riferitami dallo stesso Carmelo Barbieri, presso il carcere di Caltanissetta, nel periodo 1999-2000 (…)>>. Per gli inquirenti nisseni l’illegale gestione negli stabilimenti siciliani era nota all’amministratore delegato di Calcestruzzi, Mario Colombini, al vertice della società sin da quando era riconducibile al gruppo Ferruzzi. Colombini è chiamato, in particolare, a rispondere dell’accusa di aver <<avallato>> l’intestazione fittizia della cava di contrada Palladio di Riesi (quella che era stata nella titolarità della famiglia Buscemi), a favore di un insospettabile imprenditore locale, Giuseppe Ferraro. La cava era stata confiscata a seguito del procedimento penale per mafia contro Antonino Buscemi; nel 2002 si era però fatto avanti il Ferraro ottenendo l’assegnazione dell’impianto. Secondo l’accusa, il supporto finanziario dell’operazione sarebbe stato fornito all’imprenditore da Fausto Volante per conto della Calcestruzzi, utilizzando in larga parte un congruo anticipo sulle forniture concordate con la società di Bergamo. Giuseppe Giovanni Laurino, direttore al tempo dell’impianto di Riesi, si sarebbe invece offerto ad individuare la persona disponibile ad assumere la titolarità fittizia della cava. Quando la cessione fu perfezionata il 16 maggio 2002, la Calcestruzzi trasferì a Giuseppe Ferraro un’azienda con contestuale cessione in comodato dei locali destinati ad uffici presso il proprio stabilimento di Riesi. Cave e cemento per l’affare del terzo millennio <<La Calcestruzzi Spa aprì un impianto a Messina in previsione della costruzione del Ponte sullo Stretto; del resto Impregilo, ex Girola, ha sempre lavorato con la Calcestruzzi>>. A parlare del piano più ambizioso del gruppo Pesenti è ancora l’ex dipendente Salvatore Paterna, il quale ha aggiunto che nell’azienda tutti erano certi di poter vendere il conglomerato all'impresa che si fosse aggiudicata il mega-appalto. Un impianto, quello del capoluogo peloritano, a cui sarebbero state particolarmente interessate le consorterie mafiose di mezza Sicilia. A seguirne l’evoluzione Francesco Librizzi, ex capo zona della Calcestruzzi, sospettato di collusione, in particolare, con il capo della “famiglia” mafiosa di Caltagirone, Francesco “Ciccio” La Rocca, storico alleato delle cosche dei Nebrodi e in particolar modo del clan Rampulla. Il 29 novembre 2002, a San Michele di Ganzaria, si tenne un incontro a cui parteciparono, tra gli altri, Francesco La Rocca, Francesco Librizzi e Giovanni Giuseppe Laurino. All’ordine del giorno la produzione di un nuovo impianto Calcestruzzi e un piano di urbanizzazione nel quartiere di Santa Lucia a Contesse (Messina). <<Dal tenore dei dialoghi – commentano gli inquirenti - appare chiaro il riferimento alla pianificazione di alcuni lavori ed alla relativa fornitura di conglomerato cementizio che sarà a cura di un impianto della Calcestruzzi. Gli elementi, naturalmente, convergono ad individuare l’impianto di Messina che “sono dei locali di Messina, ci dicono come soprannome l’arancino”>>. (…) A fornire ulteriori elementi sull’interesse generale suscitato dallo stabilimento creato in vista dei lavori del Ponte è stato un altro ex funzionario della Calcestruzzi, Francesco Staiti. Nel corso di una recente udienza del processo Odessa contro le cosce mafiose di Riesi, Staiti ha dichiarato di essere stato raggiunto nella città dello Stretto da Francesco Librizzi e Giovanni Giuseppe Laurino che gli proposero di curare la realizzazione di un impianto di calcestruzzi. <<La costruzione dello stabilimento di Messina iniziò nell'agosto 2002 e già due mesi dopo, ad ottobre, esso era operativo>>, ha spiegato l’ex dirigente. Francesco Staiti fu nominato responsabile dell’impianto, ma il suo rapporto fiduciario con Laurino e Librizzi si incrinò dopo gli arresti ordinati a fine 2005. L’agosto successivo Staiti fu sospeso dall’azienda su pressione dei due, subendo pure danneggiamenti e minacce telefoniche da parte di misteriosi terzi. Francesco Staiti ha rivelato agli inquirenti di avere avuto dei conflitti con Laurino perché quest’ultimo non condivideva il modo con il quale egli seguiva le regole di gestione, curava la riscossione dei crediti aziendali e controllava la qualità degli inerti forniti. A far precipitare le cose, l’intenzione del responsabile dell’impianto di mettere seriamente in discussione <<per la sua scarsa qualità>>, la fornitura alla Calcestruzzi del materiale da cava da parte dell’A.G.P. Srl di Messina, società che vedeva titolari gli autotrasportatori Michele Rotella (originario di Barcellona Pozzo di Gotto) e Giacomo Lucia. I nomi di questi due piccoli imprenditori sono stati fatti anche da Salvatore Paterna. <<Michele Rotella e Giacomo Lucia, in compagnia di Francesco Librizzi, si presentarono un giorno dal direttore Volante per discutere di questioni commerciali e ad un certo momento Rotella gli consegnò dodicimila euro avvolti in carta di giornale. Si trattava della sovrafatturazione destinata alle famiglie di Cosa Nostra locali…>>. A seguito dell’inchiesta su mafia e cemento, anche Fausto Volante fu sospeso dalla Calcestruzzi. Prima di lasciare l’incarico di responsabile di zona in Sicilia, Volante concesse senza esserne previamente autorizzato un fido di 258 mila euro ed una comoda dilazione di pagamento ad una società cooperativa a responsabilità limitata denominata “Giostra”, operante a Messina. L’operazione fu duramente commentata nel corso di una conversazione telefonica tra l’amministratore delegato Mario Colombini e Ioannis Karidis, la persona chiamata a sostituire Volante in Calcestruzzi. <<Ma chi sono i partecipanti alla SCARL?>>, chiede Colombini. <<Boh!>>, risponde Karidis con un’ironica risata. <<Ecco, cerchi di appurare chi sono questi, perché sa, queste SCARL sono una consuetudine abbastanza diffusa sul mercato e l’importante è vedere chi c’è dietro... Magari sono azionisti che conosciamo, affidabili, perché mi meraviglia che abbiamo dato 250 mila euro se dietro non ci sono aziende solvibili...>>. <<È una società consortile tra Demoter e AIA Spa>>, precisa alla fine il funzionario siciliano. I lavori erano quelli per gli svincoli autostradali di Giostra e Annunziata, progettati negli anni ’80 in vista della connessione dell’A-20 Messina-Palermo con il Ponte. Il 19 settembre 2006, il nuovo responsabile di zona Ioannis Karidis è stato pure intercettato mentre analizzava con l’ingegnere Filippo Zapparrata le strategie aziendali tra la società madre Italcementi e la controllata Calcestruzzi nei mesi in cui si faceva sempre più probabile l’avvio dei lavori per il Ponte. Argomento centrale l’apertura di nuovi impianti a Catania (Piano Tavola e Primo Sole) e nella provincia di Messina. In quest’ultima, Calcestruzzi sarebbe stata orientata ad abbandonare il presidio presso la cava di Messina gestita dall’A.G.P. Srl, alla luce dei problemi amministrativi riscontrati e delle pretese incalzanti della locatrice, per rilanciare il vecchio opificio in disuso di Villafranca Tirrena, sotto sequestro per violazioni di carattere ambientale. <<Ci sono grossi problemi di bonifica, proprio un casino - affermava uno degli interlocutori – ma così abbiamo modo di occupare tutto il mercato dal capoluogo sino a Milazzo>>. Soffermandosi sull’impianto di Messina, i due dirigenti rilevavano come la sua gestione registrasse perdite finanziarie stimate nell’ordine di 120 mila euro l’anno. Ciò, però, non sembrava preoccuparli per nulla, anche perché la cessione del cemento tra Italcementi e Calcestruzzi rendeva assai remunerativo lo stabilimento. Scrivono in merito gli inquirenti nisseni: <<I calcoli effettuati evidenziano che l’impianto di Messina attesterà nel 2006 una produzione di calcestruzzo pari a 16.000 metri cubi. Data la percentuale di stima di utilizzo delle polveri di cemento di circa il 30% per ogni metro cubo di calcestruzzo prodotto, gli interlocutori concordano su un quantitativo di cemento impiegato nella produzione pari a 4.800 tonnellate. La vendita di tale legante al prezzo di 80 euro la tonnellata permetterà di incamerare alla Italcementi una somma complessiva di 384.000 euro. Applicando la percentuale di margine operativo lordo determinata dalla citata società nel 30%, gli interlocutori ottengono un ricavo stimato a circa 115.000 euro>>. La perdita derivante dalla cessione di calcestruzzo veniva pertanto compensata con i relativi ricavi ottenuti da Italcementi con la cessione delle polveri di cemento alla Calcestruzzi. Considerato poi che per i lavori del Ponte è stata prevista la fornitura di oltre un milione e centomila tonnellate di cemento e 860 mila metri cubi di calcestruzzo, si può comprendere come mai l’impianto di Messina dovesse essere comunque mantenuto in vita. In casa Calcestruzzi le cose non sarebbero andate diversamente neanche negli stabilimenti dell’altra sponda dello Stretto. Nel luglio 2007 il Tribunale di Reggio Calabria ha notificato ad Italcementi il provvedimento di sospensione temporanea dell’amministrazione di tutti gli impianti ed i centri distribuzione operanti in Calabria. La grave decisione è stata assunta nell’ambito dell’indagine di Carabinieri e Guardia di Finanza sulle attività economiche della cosca di ‘ndrangheta del boss Giuseppe Mazzagatti di Oppido Mamertina (Reggio Calabria). Sarebbe stato verificato dagli inquirenti il <<condizionamento del gruppo criminale sullo stabilimento di calcestruzzi di Vibo Valentia>>. In particolare ad Italcementi sarebbe stata imposta per anni la vendita di cemento a prezzi agevolati ad aziende e ditte riconducibili alle famiglie locali. <<Di fronte al gruppo criminale dei Mazzagatti-Polimeni - scrivono gli inquirenti - la Italcementi mette da parte ogni regola di buona gestione economica, sopporta maggiori costi, si assume rischi indebiti e finisce consapevolmente con l’agevolare l’espansione economica del gruppo mafioso nel campo della commercializzazione del cemento>>. Contestualmente l’autorità giudiziaria ha pure ordinato il sequestro dei beni intestati al mafioso di Oppido Mamertina, per un valore di 120 milioni di euro. Oltre a diversi immobili e ad uno stabilimento per la lavorazione del cemento a Maida, sono finiti sotto sequestro quattro grosse società a responsabilità limitata, Tra.Co.Cem., CEM, Tra.Re.C. e CMG e la ditta individuale Misale Caterina. Queste imprese, secondo l’accusa, si erano inserite tra l’azienda produttrice di cemento e i numerosi imprenditori edili che operano nella zona d’influenza del clan. Dopo essere stato un modesto autotrasportatore di frutta, a partire degli anni ‘80 Giuseppe Mazzagatti, si è trasformato nel dominus locale della commercializzazione e del trasporto per conto terzi dei materiali di costruzione, giungendo ad esercitare queste attività in regime di monopolio in buona parte della piana di Gioia Tauro. Nel 1980 il patriarca era stato condannato insieme al fratello Carmelo Mazzagatti per avere sottoposto ad estorsione gli autotrasportatori che operavano presso la sede Italcementi di Vibo Valentia. In particolare i Mazzagatti avevano imposto agli autotrasportatori di astenersi dall’effettuare carichi di cemento destinati ai cantieri per i lavori della strada Rosarno-Gioiosa Jonica. In questa maniera lo stabilimento di cemento fu costretto a rivolgersi direttamente al clan per la fornitura del materiale. Dopo aver ricevuto la notifica di sospensione per i propri cantieri calabresi, l’azienda di Bergamo ha emesso un comunicato stampa in cui si è dichiarata del tutto <<estranea all’associazione mafiosa agevolata>>. <<Italcementi – recita il comunicato - è tra i pochi grandi gruppi industriali operanti a livello nazionale e internazionale presenti nella regione. Ha prodotto lo scorso anno in Calabria circa 1 milione e 350 mila tonnellate di cemento mentre le consegne alle società interessate dall’indagine ammontano, in base alle prime verifiche, a circa 70 mila tonnellate e rivestono carattere molto marginale rispetto al complesso delle attività locali>>. II gruppo Pesenti, cioè, ha ritenuto di scarso significato il trasferimento del 6% circa delle propria produzione locale ad una delle cosche più violente, protagonista di una faida che nel solo comune di Oppido Mamertina (quello da cui partì Giuseppe Zappia per il gran salto in Canada), ha prodotto nel periodo 1992-2000 ventitre morti ammazzati. (…) Un’altra strage efferata in un Sud dove le grandi imprese non provano vergogna a convivere con mafia, camorra e ‘ndrangheta. Il modus operandi delle due società è stato delineato dall’inchiesta condotta nel luglio 2007 dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di quindici persone, tra cui gli esponenti di spicco dei clan Piromalli di Gioia Tauro, Pesce di Rosarno, Condello di Reggio Calabria, Longo di Polistena e Mancuso di Vibo Valentia. Per i lavori autostradali nel tratto compreso tra gli svincoli di Rosarno e Gioia Tauro, le cosche avrebbero imposto ad Impregilo e Condotte l’assegnazione dei lavori e la fornitura di materiali e servizi ad imprese a loro vicine, più una tangente del 3% sul valore delle commesse. Aggiunge Confesercenti: <<La scelta da parte di entrambe le imprese di investire personaggi discussi della carica di capo aerea della Calabria, secondo gli investigatori non era casuale ed a testimoniarlo vi sarebbero delle conversazioni intercettate e le indagini pregresse che avevano già portato ad inquisire due professionisti. Nelle intercettazioni risalta la piena consapevolezza delle regole mafiose imposte dalle organizzazioni criminali e l’adeguamento ad esse da parte delle grosse imprese, le quali recuperavano il famoso 3% da destinare alle cosche mediante l’alterazione degli importi delle fatture>>. Ogni intervento sui cantieri era già stato attribuito a tavolino alle varie cosche, secondo rigide regole territoriali: ai Mancuso è toccata la competenza nel tratto Pizzo Calabro-Serra San Bruno, ai Pesce quello tra Serre e Rosarno, ai Piromalli l’area tra Rosarno e Gioia Tauro. <<Le procedure di subappalto erano state avviate ancor prima dell’autorizzazione dell’ente appaltante, il tutto a scapito delle imprese pulite estromesse dalle gare in quanto non gradite all’ambiente>>, conclude Confesercenti. La prefettura di Reggio Calabria aveva sempre negato la certificazione antimafia alle ditte sospette, ma puntualmente esse venivano riammesse ai subappalti grazie alle benevoli sentenze del Tar della Calabria.
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