I misteri del premier
  
(Berlusconi´s Shadow. Crime, Justice and the Pursuit of the Power)
16 mar 2005 di Claudio Rinaldi
 Nell´Italia di oggi il dibattito pubblico è povero, scarseggia di voci limpide. Quasi tutte suonano torbide, o perché sono inquinate da interessi particolari o semplicemente perché si accendono e si spengono a sproposito.

Se Romano Prodi osa denunciare il pericolo di una dittatura della maggioranza, non conta che quella nozione fosse familiare già ad Alexander Hamilton e ad Alexis de Tocqueville, né che l´espressione sia stata usata, più modestamente, pure da Silvio Berlusconi: molti gridano allo scandalo, e qualcuno addirittura dà al Professore del terrorista con passamontagna anziché entrare nel merito del problema da lui posto.

Se poi l´Unione di centrosinistra torna a pronunciarsi contro la spedizione di Nassiriya scatta immediata l´accusa di tradimento ai danni del popolo iracheno, benché tanti importanti paesi europei, dal Portogallo all´Olanda, dalla Polonia all´Ucraina, stiano già ritirando le loro truppe da Baghdad senza alcuna protesta da parte di George W. Bush. Da noi predomina un miscuglio diabolico di faziosità, ipocrisia e pigrizia mentale, se non di ordinaria cialtroneria.

Manca una discussione spregiudicata ma onesta. Nelle reti tv e nei giornali imperversano pseudoconcetti che spiegano poco o nulla, dall´antiamericanismo all´antiberlusconismo, mentre elementi cruciali della realtà vengono ignorati. In Graziella, un´opera del 1849, il poeta francese Alphonse de Lamartine scrisse che viste da lontano le luci notturne delle barche brillavano di più; ebbene, anche nell´Italia del 2005 certe verità risultano chiare soprattutto agli osservatori più distaccati.

I dati più attendibili sull´andamento fiacco dell´economia provengono dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca centrale europea, non dall´Istat né tanto meno da Palazzo Chigi. Quanto alle vicende politiche, è un giornalista dell´Economist, il corrispondente da Roma David Lane, a offrirne proprio in questi giorni la lettura e l´interpretazione più lucide. Lane è stato fra gli autori, nel 2001, della più celebre inchiesta su Berlusconi mai pubblicata da un giornale straniero.

Sulla copertina dell´Economist campeggiava una scritta lapidaria, "Perché Berlusconi è inadatto a guidare l´Italia". La forza di quel servizio, e la ragione delle polemiche furenti che scatenò, risiedevano nel candore, nella freschezza dello sguardo gettato sul Belpaese.

Il settimanale inglese non si perdeva in particolari insignificanti; riconduceva il discorso su Berlusconi ai momenti chiave della sua avventura, dalle origini misteriose dell´enorme ricchezza al coinvolgimento in qualche processo per corruzione, dal conflitto esploso fra gli interessi dell´imprenditore e del politico alla sfrenata campagna di denigrazione dei magistrati. Il risultato era il ritratto di un personaggio molto al di sotto dei livelli minimi di presentabilità che si richiedono a chiunque si candidi a governare una grande democrazia.

Adesso Lane torna alla carica con L´ombra del potere, un poderoso saggio edito da Laterza (pagg. 402, 19 euro) che è molto di più di una pur documentatissima biografia non autorizzata del presidente del Consiglio. Il punto di partenza è sempre il sano stupore del cronista davanti al fenomeno, unico al mondo, del maggiore capitalista di un paese evoluto (nonché monopolista della tv commerciale) che ha voluto dare la scalata al governo e ci è riuscito.

Stavolta però il racconto dell´incredibile ascesa di Berlusconi si snoda su un cupo sfondo storico-collettivo: quello di un´Italia che nel volgere di pochi anni prima ha cercato di liberarsi delle sue antiche vergogne, la mafia e la corruzione, e poi se ne è lasciata malamente riassorbire.

Le pagine dedicate ai magistrati di Palermo e di Milano, alle loro sconfitte sanguinose o incruente, sono fra le più avvincenti del libro. Ma Lane, nel suo disarmante sforzo di andare al sodo, non esita neppure a sollevare un tema che la pubblicistica italiana suole eludere, le imbarazzanti affinità fra il suo eroe negativo e Benito Mussolini. E non si tratta soltanto del fatto che Berlusconi «non perdeva quasi mai occasione per manifestare la sua viscerale avversione verso qualunque cosa non fosse saldamente ancorata alla destra».

Lo spunto, per Lane, è il servilismo incoraggiato sia dal Cavaliere sia dal Duce nei rispettivi seguaci: a entrambi è capitato, assurdamente, di sentirsi prospettare dai sostenitori più zelanti il premio Nobel per la pace. «Berlusconi si vantava di essere un uomo d´azione come Mussolini», aggiunge Lane. «Entrambi mostravano di non comprendere i limiti di ciò che potevano fare; entrambi affermavano di lavorare per molte ore consecutive e di fare grande attenzione alla precisione, ai dettagli; entrambi odiavano le critiche e ritenevano di esserne al di sopra; entrambi vedevano il mondo diviso in amici e nemici».

Altre somiglianze? Un´istintiva «avversione nei confronti della libertà di stampa», e un successo partito da quella culla di uomini forti che è stata Milano nello scorso secolo (anche Bettino Craxi veniva da lì). «Il paragone con Mussolini potrebbe essere esagerato», concede Lane; «ma quando gli storici riesamineranno la storia di un magnate dei media con seri problemi giudiziari che si lanciò in politica e conquistò il potere, difficilmente diranno che ha portato onore al suo paese».

Il corrispondente dell´Economist non pretende di fornire un´analisi completa di ciò che il secondo governo Berlusconi ha fatto o non ha fatto in quattro anni. Di alcune decisioni, anzi, minimizza deliberatamente la portata, fino a negare che la riforma delle pensioni abbia risolto alcunché. I comportamenti più controversi, invece, vengono ricostruiti con somma cura.

Anzitutto «la pessima gestione» del G8 di Genova, nel 2001, con una repressione poliziesca delle manifestazioni «degna di una dittatura fascista»; poi l´odissea di una politica estera «stravagante e incline alle gaffes», culminata nel grottesco fallimento del semestre italiano di presidenza dell´Unione europea; infine il micidiale susseguirsi delle leggi e leggine miranti soltanto a salvare Berlusconi dai procedimenti penali a suo carico, con l´aggravante di una serie ininterrotta di attacchi ai giudici che alla lunga hanno indotto la parte meno avvertita del paese a fare il tifo per i ladri contro le guardie.

Il vero protagonista del libro, tuttavia, non è il premier. È piuttosto il popolo italiano, come si capisce dal titolo volutamente spersonalizzato dell´edizione Laterza (l´originale inglese, Penguin Books 2004, reca: Berlusconi´s Shadow. Crime, Justice and the Pursuit of the Power).

«Gli italiani sono stati misericordiosi con Berlusconi», annota Lane, «non hanno usato lo stesso metro di giudizio degli elettori dei paesi nordeuropei». Nel 2001 gli hanno dato un sacco di voti, «per nulla turbati dalle gravi accuse pendenti sul suo capo», e in seguito hanno tacitamente accettato «che il suo governo emanasse leggi ad hoc per consentirgli di sottrarsi ai procedimenti».

Non basta, gli hanno permesso di essere un bugiardo: non importava che avesse mentito ai giudici di Verona (1988) sulla sua iscrizione alla loggia massonica segreta P2, che si fosse rifiutato di rispondere ai pubblici ministeri di Palermo «in merito alle sue precedenti attività economiche e all´assunzione di un mafioso» (2002), che perfino nella propria autobiografia romanzata (2001) fosse stato «evasivo per evitare di ammettere una relazione adulterina».

La gente si è rassegnata a una mancanza di trasparenza pressoché assoluta. Lane non crede quasi ai suoi occhi quando squarcia ogni velo sull´Italia di Berlusconi. Vede un paese con «una corruzione molto estesa», «una criminalità organizzata profondamente radicata», un governo che si preoccupa «più di aiutare il presidente del Consiglio che di sconfiggere i delinquenti», e si domanda come tanti cittadini possano tollerare un simile andazzo.

Secondo lui questa assuefazione collettiva affonda le radici addirittura nell´etica cattolica, meno esigente di quella protestante. Ma pesano anche altri più prosaici fattori. Uno, va da sé, è «la concentrazione del potere mediatico nelle mani di Berlusconi»: essa impedisce «il formarsi di opinioni equilibrate, fondate su dati concreti». Il secondo fattore, assai meno esplorato dalle riflessioni correnti, è la persistente inadeguatezza degli avversari del Cavaliere. Nel 1994 Forza Italia si affermò grazie a «un centrosinistra diviso, lacerato da vecchie rivalità e personalismi, incapace di presentarsi come una chiara rottura con il passato, che consentì all´ultimo arrivato di vincere le elezioni».

Il giudizio più severo però investe l´Ulivo al governo, dal 1996 al 2001: «Sembrava che facesse di tutto per perdere». Romano Prodi & C. non seppero trarre profitto dalla loro azione di risanamento delle finanze pubbliche, rinunciarono «inspiegabilmente» a una regolamentazione rigorosa del mercato televisivo e del conflitto di interessi, ma soprattutto si produssero in una manomissione del sistema penale di stampo berlusconiano.

Venne sparata una raffica di riforme, dal cosiddetto giusto processo in giù, che miravano più a realizzare un compromesso politico che a rendere più efficiente la giustizia. «La frenetica attività del centrosinistra nel settore risultò particolarmente dannosa», annota Lane.

Il suo libro non specifica se quella che ora si chiama Unione abbia o no imparato qualcosa dagli errori di allora. Ma è significativo che non accenni minimamente all´eventualità di un successo di Prodi nel 2006. Sembra che il perpetuarsi dell´egemonia di un Berlusconi sia stampato nel Dna degli italiani, che costituisca un perverso ma ineludibile stato di natura.

Ed è amaro, anche se molto suggestivo, constatare quanto una visione così sconsolata,

si sia fatta strada dentro la cultura liberal-conservatrice dell´Economist.
L' ombra del potere
"Il libro - sobrio, preciso e meticolosamente documentato - è ricco di fatti talmente straordinari e inquietanti che, se l'autore non avesse una conoscenza così approfondita dell'Italia, risulterebbero incredibili. L'ombra del potere è di piacevole lettura e di grande impatto." (Caroline Moorehead, "Spectator"). "Tutta l'Europa dovrebbe riflettere seriamente su quanto sta avvenendo alla democrazia nell'Italia di Berlusconi." (Joseph Farrel, "Sunday Herald"). David Lane è corrispondente dall'Italia dell'Economist dal 1994 ed è stato coautore degli speciali su Silvio Berlusconi che hanno suscitato vasto eco in Italia e in Europa. Vive in Italia da trent'anni.