Anche a Milano serve un 22 marzo

La versione del suicidio risulta tanto piu' incredibile se si considerano le ragioni che avrebbero dovuto spingere Giuseppe Pinelli a uccidersi. Non esistono ragioni soggettive (capo manovratore alle ferrovie, Pinelli era un uomo sano, a posto fisicamente e psicologicamente, con una vita familiare solida, ecc.),ne tantomeno ragioni obbiettive. Il suo alibi e' autentico e lui lo sa. Le minacce e i ricatti ai quali viene sottoposto per i primi due dei tre giorni che passa in questura, dal venerdi' delle bombe al lunedi' successivo, per Pinelli non sono una novita': e' da settembre, dai giorni dello sciopero della fame organizzato in solidarieta' degli anarchici imprigionati per gli attentati del 25 aprile a Milano che gli uomini della squadra politica lo perseguitano, cercano di intimidirlo con lo spettro del licenziamento dalle ferrovie, delle conseguenze che la militanza politica avrebbe provocato alla famiglia. E anche il tentativo finale, mezz'ora prima del "suicidio", di farlo sentire indirettamente coinvolto nella strage col dimostrargli che, come risulta dal suo libretto chilometrico di ferroviere, lui ha compiuto un viaggio a Roma nella notte tra l' 8 e il 9 agosto e che pertanto puo' essere ritenuto uno degli autori degli attentati ai treni, anche questo tentativo non da nessun risultato: Pinelli sa benissimo, come sa la polizia, come sanno tutti, che quelle bombe sono di marca fascista. Eppure il tentativo viene fatto egualmente, come ultimo ricatto per fargli confessare qualcosa., qualche nome, qualche circostanza che alla polizia, al commissario Luigi Calabresi preme molto; cioe' quanto sevirebbe a fare scattare il medesimo meccanismo che a Roma in qwuelle ore si e' gia' chiuso sul gruppo anarchico del 22 Marzo.

L'equivalente milanese del 22 Marzo (inteso come retroterra ambientale, politico e organizzativo nel quale sarebbe maturata la decisione di compiere gli attentati) nelle intenzioni degli inquirenti e' rappresentato da un obbiettivo molto piu' importante; qui non si tratta di quattro ragazzini anarchici, se il colpo riuscisse si arriverebbe a mettere le mani addosso a un personaggi e un'ambiente di primo piano. Il personaggio e' Giangiacomo Feltrinelli editore di sinistra: discutibile sotto molti aspetti agli occhi della intellighentzia marxista,tuttavia per gli avversari, per il sistema, rappresenta uno dei simboli piu' noti della contestazione e della rivolta, con le sue pericolose collane di libri e di opuscoli a buon mercato in cui predica la guerrigliaa e il "creare due, tre molti Vietnam", e si profetizza addirittura, nei giorni caldi del luglio 1969, "la minaccia incombente del colpo di stato all'italiana", ovverosia "le ragioni e modi in cui si tentera' di imporre un regime autoritario in Italia". Per gli avversari, per il sistema, poter dimostrare che Giancarlo Feltrinelli e' un estremista asssassino di fatto, oltre che sui libri, significa non solo spazzare via un pericoloso e incomodo editore di sinistra, ma anche vibrare un duro colpo ai seguaci, non di Feltrinelli, ma dei suoi libri.

Poi Feltrinelli e' un grosso pesce da far cadere nella rete per altri motivi. E' lui, infatti, che ha fornito un alibi ai suoi amici anarchici Giovanni e Eilan Corradini, incarcerati per gli attentati del 25 aprile. Quindi Feltrinelli porta ai Corradini, cosi' come i Corradini portano agli anarchici. E la soluzione dell'equazione a questo punto e' elementare: il "giro" Corradini-Feltrinelli-anarchici e' responsabile delle bombe di aprile come lo e' di quelle bombe di dicembre; o viceversa, come si preferisce.

Gia' il 18 dicembre, durante una conferenza stampa del questore di Milano, il nome di Feltrinelli viene indicato tra i "possibili responsabili". Il 19 viene perquisito il suo studio per ordine del giudice Antonio Amati (lo stesso che in aprile ha mandato in galera gli anarchici), e il motivo ufficiale e' la ricerca di un volantino simile a quello rinvenuto nei pressi della bomba esplosa il I° aprile e che dovrebe trovarsi adesso negli archivi della casa editrice di via Andegari.

Il "Corriere della Sera" riporta in prima pagina la notizia della perquisizione, scrive che il nome di Feltrinelli, sussurrato nei giorni precedenti, entra ora nell'orbita dell'inchiesta, e che la polizia, gia' poche ore dopo la strage di Piazza Fontana, aveva richiesto alla procura l'autorizzazione -negata- a perquisire il suo studio.

Da quel momento i giornali borghesi, con in testa "La Notte" di Pesenti, e quelli della catena del petroliere Monti, scatenano unas campagna di stampa che senza mezzi termini crea la figura dell'editore dinamitardo. Si parla esplicitamente di Feltrinelli come del finanziatore dei gruppi anarchici. Ma Feltrinelli non c'e': e' all'estero gia' da molti giorni, da prima che il Ministero degli Interni ordinasse il ritiro del suo passaporto.

Altri giornalisti, piu' o meno in buona fede, raccolgono e fanno circolare una nuova versione, pericolosa quanto sottile, che viene suggerita direttamente dalla polizia: non si puo dire che Feltrinelli sia il mandante: in realta' e' successo che lui, impulsivo e sprovveduto, aveva organizzato un traffico di esplosivo destinato alla Resistenza greca, esplosivo che che qualcuno e' riusciito invece, con un tranello, a far dirottare verso Piazza Fontana. Tuttavia questa ennesima provocazione, almeno questa, non riesce.

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