Migranti: Belgio, Mercinelle 8 agosto 1956
"300 minatori avvolti da lingue di fuoco a mille metri di profondità, 139 sono italiani"
il racconto in diretta di Rubens Tedeschi inviato speciale de l’Unità sul luogo della strage 


«Il Belgio apprenderà certamente con angoscia le notizie dell'incidente verificatosi nella miniera di Marcinelle.
Un incendio è scoppiato in un pozzo dei campi carboniferi di Amercoeur, bloccando trecento uomini alla profondità di 765 metri. Indescrivibile scene di dolore si stanno verificando nei pressi della miniera.
Questo incidente potrebbe risolversi nella peggiore catastrofe mineraria della storia del Belgio».

Con questo laconico «comunicato speciale», letto con voce spezzata dall'emozione da un anonimo annunciatore, la radio belga ha dato alla nazione la terribile notizia che, in pochi istanti, ha gettato nel lutto il Belgio e l'Italia, poiché, come subito dopo si è appreso la maggiora parte dei sepolti vivi è composta da minatori italiani. Ministri, giornalisti, belgi, francesi e italiani, radiocronisti e fotografi, reparti della gendarmeria e dell'esercito, squadre della Croce rossa e dei vigili del fuoco si sono precipitati sul luogo della sciagura, dove regnavano il terrore, l'angoscia e un'indescrivibile confusione.

Uno spettacolo pauroso si è presentato ai nostri occhi quando siamo giunti davanti ai cancelli della miniera. Il fumo - un fumo denso, nero, acro - oscurava il cielo e rendeva l'aria irrespirabile. Dal cielo buio cadeva una pioggia silenziosa di fuliggine. Di tratto in tratto, l'oscurità era lacerata da lingue di fuoco che guizzavano ruggendo dalle miniere della terra. Una folla composta in massima parte di donne e di bambini, a stento trattenuta da cordoni di gendarmi, faceva ressa per avere notizie, si accalcava intorno ai membri delle squadre di soccorso che, dopo ore e ore di durissimo lavoro, tornavano alla superficie. Le informazioni che costoro recavano non erano rassicuranti, e, nella loro inevitabile contraddittorietà contribuivano ad alimentare l'incertezza e la confusione. Dalla folla si levavano lamenti, invocazioni e invettive: invettive contro il destino, ma anche contro coloro che portavano la pesante responsabilità della sciagura. Erano frasi gridate in molte lingue: in francese, in fiammingo, in greco, ma soprattutto in italiano, perché italiani sono in massima parte, i sepolti vivi e italiani i loro figli e le loro mogli.

Secondo notizie di carattere ufficiale, 270 sono, esattamente, gli uomini rimasti bloccati nella miniera dall'incendio. Di essi, 139 sono italiani, 115 belgi, 16 di varie altre nazionalità. (…) Otto cadaveri sono già stati recuperati. (...) Un minatore rimasto intrappolato a 170 metri di profondità è stato portato alla superficie ancora in vita alle ore 23 ma è morto poco dopo. Egli si era mantenuto in vita aspirando aria da un piccolo tubo di areazione che aveva tenuto in bocca per oltre 12 ore. Sei uomini, tutti belgi, sono stati trovati ancora vivi. Essi giacciono ora in uno stato di semi-asfissia nell'ospedale di Charleroi. Si spera di poterli salvare ma le loro condizioni permangono gravissime. Altri venti uomini circa sono riusciti a mettersi in salvo solo pochi attimi dopo lo scoppio dell'incendio. Essi sono stati concordi nel riferire che il disastro si è verificato alle 8.30 circa del mattino, in seguito all'urto di un vagoncino contro un cavo elettrico, urto che ha lacerato l'involucro isolante del cavo, mettendo allo scoperto i fili di rame e provocando, di conseguenza, un corto circuito.

L'incidente è avvenuto quando il vagoncino carico di carbone è uscito dai binari andando ad urtare con violenza contro la parete del tunnel. Uno dei superstiti, tale Carlo Fontane, di nazionalità italiana ha sobriamente narrato ad un cronista i pochi fatti di cui è stato testimone. Si tratta, in verità, di un brevissimo brano della gigantesca tragedia. «Io e i miei compagni di squadra – ha detto il Fontane – stavamo caricando i vagoncini di carbone sul montacarichi, quando udimmo odor di fumo. Questo è stato l'ultimo viaggio del montacarichi. Erano le 8.30». Almeno quattro dei minatori postisi in salvo prima che l'incendio dilagasse sono italiani. I loro nomi, secondo notizie non confermate, sarebbero: Carlo Fontane (autore del breve racconto già riferito), Antonio Ganetta, Attilio Amin e Orazio Pasquarelli.

Fiamme furiose Le fiamme, sviluppatesi con estrema rapidità e con furia, eccezionale, hanno letteralmente fuso i cavi di acciaio di tutti i montacarichi, tranne uno, intrappolando i 270 minatori intenti al lavoro. L'unico montacarichi ancora in grado di funzionare è rimasto malauguratamente bloccato da un altro vagoncino pieno di carbone. Le informazioni fornite alla stampa dalle autorità sono state, durante tutta la giornata, molto scarne e tutt'altro che chiare. D'altra parte, gli stessi componenti la squadra di soccorso erano in grado soltanto di riferire notizie parziali e, come abbiamo detto, talvolta contraddittorie.

Solo a tarda sera, quando re Baldovino è giunto sul luogo della sciagura raggiungendo il Primo ministro, il ministro degli Interni e quello dei Lavori pubblici, è stato possibile raccogliere notizie tali da formare un quadro sintetico e sufficientemente chiaro della situazione. Nell'ufficio studi della miniera, il re dei belgi ha avuto un lungo colloquio con il direttore generale delle miniere, che si chiama Van Den Heurel, il quale ha spiegato, per quanto era possibile farlo, le cause del sinistro e l'andamento del'opera di soccorso.

Van Den Heurel ha precisato (correggendo le prime notizie e quindi smentendo in parte anche il primo comunicato della radio belga) che il deragliamento del vagoncino che ha causato il corto circuito è avvenuto a livello 975 (cioè a 975 metri di profondità) e non a livello 765, come era stato detto e ripetuto per tutta la giornata. Si ritiene - egli ha aggiunto - che la maggior parte dei minatori rimasti bloccati nella miniera debba trovarsi in gallerie situate a profondità maggiori, in particolare a livello 1033. La notizia è stata accolta con molto sconforto, poiché già si sapeva che i sepolti vivi si trovavano a quattro diversi livelli di profondità e precisamente a 765, 835, 873 e 1033 metri. Ciò significa che i minatori sono in parte bloccati dall'incendio che divampa sopra le loro teste, mentre in parte sono quasi interamente avvolti dal fumo, denso e ricco di ossido di carbonio, che sale dalle cavità situate sotto i loro piedi.

Gli uni e gli altri - è con un senso di angoscia che lo scriviamo - debbono quindi trovarsi in condizioni spaventose. La loro vita (ammesso che essi siano ancora in vita) è appesa a un filo. Gli altri dettagli forniti dal funzionario al re Baldovino contribuiscono a rendere il quadro ancora più nero. Nella galleria 975, luogo di origine del disastro - ha detto Van Den Heurel - tutte le opere in legno dei camini sono bruciati. (...) I punti in cui, ai diversi livelli, erano intenti al lavoro i minatori quando è accaduto il disastro, sono situati a una distanza di circa un chilometro e mezzo dall'ascensore del pozzo di evacuazione.
Le squadre si danno il cambio ogni due ore. La giornata si è chiusa dunque in un'atmosfera di accentuato pessimismo.
Purtroppo, però, le previsioni erano state catastrofiche fin dal primo momento.