Mafia in Sicilia: i "bravi" di toto' cuffaro
24/12/ 2004
Tra i quattro "bravi" anche Gerlando Calogero parente del don abbondio Toto' Cuffato.

Palermo - E' martedì pomeriggio. Come ogni giorno Francesco Forgione, capogruppo di Rifondazione Comunista all'Assemblea regionale siciliana, raccoglie le firme per il referendum abrogativo della legge-truffa sulla riforma elettorale e per la mozione di sfiducia al presidente della Regione. Fino a quando giungono quattro uomini, particolarmente esagitati: «Pezzo di merda, bastardo di un comunista, che ti ha fatto Cuffaro?», urlano. Poi lanciano nuovi insulti, sempre più brutali, fino alla minaccia più grave: «Ti ammazziamo». Tra le quattro persone c'è Gerlando Calogero Chiarelli, fratello della moglie del presidente della Regione, Totò Cuffaro.

«Una firma contro la mafia, una firma contro Totò Cuffaro, una firma per l’igiene politica della Sicilia e il ripristino della democrazia». E’ martedì pomeriggio. Come ogni giorno, sotto i portici di via Ruggiero Settimo, la via più trafficata della città, Francesco Forgione, capogruppo di Rifondazione comunista all’Assemblea regionale siciliana, ripete instancabilmente il suo slogan, passante dopo passante. Obiettivo: raccogliere le firme dei cittadini per il referendum abrogativo della legge-truffa sulla riforma elettorale appena approvata dal Parlamento dell’isola e per la mozione di sfiducia al presidente della Regione sotto processo per favoreggiamento a Cosa Nostra. All’improvviso, sul far della sera, una Croma verde si accosta al banchetto con i militanti del Prc. I due uomini a bordo iniziano ad urlare, dal finestrino abbassato, con atteggiamento tronfio: «Bastardo comunista di merda. Ti ammazziamo. Se non la smetti ti facciamo smettere noi. Non vivrai più tranquillo, sappiamo dove vai, dove stai, di giorno e di notte». Poi scendono dalla macchina, si avvicinano e, di fronte ad una folla attonita e spaventata, continuano a strepitare, con aria di sfida minacciosa: «Che ti ha fatto Cuffaro? Cuffaro è perbene, non Forgione». Uno dei due prova ad aggredire fisicamente l’esponente di Rifondazione, alla ricerca di una reazione. Il parlamentare non accetta la provocazione e i due si allontanano. Ma solo per pochi minuti. Quando tornano, sono in quattro. E ricominciano. Stavolta ancor più malintenzionati. Non si tratta di una ragazzata, di un semplice episodio di teppismo giovanile. Sono tutti uomini adulti, dimostrano tra i 40 e i 50 anni. Lanciano nuovi insulti, altre minacce. Sempre più brutali, fino ad un nuovo tentativo di violenza fisica. Uno della banda è talmente esagitato che perfino i suoi “compari”, per trattenerlo, gli sfilano la giacca. In difesa di Forgione intervengono i compagni presenti. Poi gli aggressori fuggono e la gente che ha assistito applaude. A questo punto, arriva una pattuglia della polizia che raccoglie la testimonianza della vittima dell’intimidazione e di chi ha assistito alla scena. Un’altra volante riceve la segnalazione dei colleghi e intercetta a poca distanza gli aggressori. Li blocca. I quattro vengono fermati e identificati. Ma i loro nomi restano avvolti nel mistero. Le generalità non vengono fornite né all’opinione pubblica né al legale di Forgione, per potere presentare una formale denuncia. Fino a quando, alla fine di una giornata convulsa, mentre da tutte le forze dei due schieramenti politici piovono attestati di solidarietà, la verità trapela. Dapprima non confermata, poi via via più dettagliata. Prima si viene a sapere che i loschi figuri sono di Aragona, un piccolo centro della provincia di Agrigento che si trova poco distante dal paese natio del presidente della Regione. Un caso, fino a quando non arriva un’ulteriore notizia. «Tra le quattro persone ci sarebbe Gerlando Calogero Chiarelli, fratello della moglie del presidente della Regione, Totò Cuffaro» denuncia Giusto Catania, segretario regionale di Rifondazione. «Ciò sarebbe di una gravità inaudita - continua - Non vorremmo che la presenza di un familiare del presidente fosse stata la causa del fatto che la Questura non ha voluto comunicarci i loro nomi. Tutta questa vicenda è inquietante e occorre fare chiarezza». Il segretario Prc stigmatizza «l’intimidazione non casuale», che comunque «non sortirà l’effetto di spaventare Rifondazione né quello di farla desistere». La raccolta di firme non si fermerà. «Questo episodio è il frutto di un clima politico avvelenato causato indirettamente da una gestione arrogante del potere», conclude Catania, «che fa diventare lecite anche le manifestazioni più ostentate e becere di intolleranza politica». Gli fa eco il segretario nazionale del Prc, Fausto Bertinotti, che in una telefonata di solidarietà rincara la dose: «Non è un atto di teppismo, ma un tentativo di inquinamento violento del confronto politico». Il capogruppo di Rifondazione nel Parlamento dell’isola, infatti, si espone da tempo in prima persona denunciando il malaffare che inquina la politica. E’ lui l’autore di “Amici come prima”, il libro uscito pochi mesi fa che ripercorre le tante inchieste della magistratura legate ad esponenti siciliani del Polo. E’ sempre lui il promotore di due mozioni di sfiducia contro Cuffaro, la prima proposta quando è stato indagato, l’altra rilanciata al momento del rinvio a giudizio. E’ lui che chiede incessantemente le dimissioni del presidente della Regione e un dibattito pubblico sulla questione morale. Al suo fianco si schiera immediatamente l’ex sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che chiede formalmente l’intervento del ministro degli Interni Pisanu, perché siano resi noti ufficialmente i nomi degli aggressori. «E’ evidente - dichiara - che c’è ormai un problema di tenuta democratica in Sicilia. Così si afferma che, in questa terra, conta solo la forza che garantisce l’impunità e che trasforma singoli atti di collusione e di clientela in un sistema generalizzato di collusioni e di clientelismo. Di fronte a questo, occorre dire che c’è una politica che è mandante di questo episodio. Crediamo che sia necessario che anche l’Ars si faccia carico di quanto è accaduto: chiediamo formalmente al presidente Lo Porto di costituirsi parte civile al processo per difendere le prerogative di un parlamentare, parte lesa nell’esercizio delle sue funzioni e della sua attività politica». In tarda serata il commento di Cuffaro costituisce una conferma: «Sono amareggiato del fatto che persone a me vicine affettivamente pensando di prendere le mie difese si siano in realtà lasciate prendere la mano con incaute reazioni». Surreale la successiva dichiarazione di suo cognato: «Mi accusano di un rapimento o tentativo di rapimento».