Il luglio 1969

"basterebbe in questi giorni che in qualche manifestazione di piazza si ammazzasse qualche poliziotto e comparisse tra i dimostranti qualchearma da fuoco. La situazione potrebbe precipitare in poche ore. Toccherebbe al governo e al capo dello stato dichiarare lo stato di emergenza. In alcuni Stati americani non si e' fatto del resto lo stesso proprio in questi ultimi mesi? Questa dichiarazione rilasciata da un alto funzionario del Ministero degli Interni appare sul settimanale "Panorama" nel mese di luglio 1969. Pochi giorni prima alcuni giornali stranieri hanno pubblicato la notizia che ufficiali delle forze armate italiane sui sono riuniti clandestinamente in diverse sedi "per esaminare la situazione politica" "L'Unità" rende noto il testo di un documento approvato in una di queste riunioni che dice tra l'altro: "...si deve pensare all'eventualita' che le forze armate debbano entrare in azione per difenderele liberta' democratiche e la costituzione". Randolfo Pacciardi in un editoriale e' ancora piu' esplicito: "in circostanze cosi' gravi e eccezionali il capo dello stato ha il potere-dovere di "nominare" un governo presidenziale e d'inviare un messaggio alla Nazione la quale, stretta intorno al suo Capo certamente comprendera'. C'e' da prevedere una reazione comunista? Non c'e' che da affrontarla con fermezza.

In quelle settimane i fascisti riempiono Roma di scritte e manifesti che esaltano i generali al potere nell'imminenza del Colpo di Stato.

Il Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese, i Gruppi di Azione Nazionale di Mario Tedeschi, l'Ordine Nuovo di Pino Rauti, la Giovane Italia e altre quindici organizzazioni di estrema destra lanciano l'appello alla mobilitazione.

Il Partito Comunista e' costretto a far scattare l'operazione di sicurezza e vigilanza nelle sue 4.290 sezioni e 11.170 cellule.

Nel giro di una settimana, tra il 9 e il 15 luglio, la temperattura politica del Paese raggiunge punte elevatissime. Poi di colpo decresce, ritorna a stabilizzarsi. La stampa italiana, salvo rare eccezioni, rinuncia a esprimere un giudizio. Solo all'estero se ne parla pur tra pareri discordi: per alcuni giornali si e' trattato di un tentativo rientrato di Colpo di Sato, per altri, -la maggioranza- di voci diffuse ad arte per drammatizzarela situazione politica.

Su questa seconda interpretazione concorda "L'Espresso" che nei due mesi precedenti ha dedicato una serie di articoli alla crisi del centrosinistra. Nel primo di essi in data 18 maggio, il giornalista Livio Zanetti dava ampio risalto al messaggio di Saragat in cui il centrosinistra veniva definito "irreversibile" e si indicava apertamentela prospettiva delle elezioni anticipate.

Circa un mese prima un altro messaggio di Saragat era stato oggetto di una violenta polemica. In risposta un appello inviatogli dai giovani della Confederazione Studentesca (che raccoglie dai liberali ai neofascisti) il Presidente della Repubblica aveva condannato il "miracolismo della violenza" e ammonito che "i piu' ardui problemi si pongono su un piano umano dove tutto puo' essere risolto".

Mentre tutti i giornali, dal "Secolo d'Italia" all'"Avanti", avevano dato dato ampio risalto al messaggio, "L'Unità" aveva parlato di "sconcertante consenso a una iniziativa qualunquistica", sottolineando che "l'appello al quale Saragat ha risposto, accusala classe politica di impartire quotidianamente una lezione di vilta' e praticamente invita il Presidente della Repubblica sostituirsi ad essa".

Secondo il "Corriere dela Sera" invece "e' chiaro il richiamo del Presidente contro tutte le forme di contestazione nazi-maoiste, contro l'inquietante collusione tra opposti estremismi".

Dopo il 6 luglio, il nome di Giuseppe Saragat ritorna alla ribalta quando alcuni giornali stranieri lo indicano, piu' o meno esplicitamente, come l'ispitarore della scissione del PSI e della conseguente nascita del nuovo partito socialdemocratico PSU. I socialdemocratici replicano sdegnosamente definendo le rivelazioni "un'illazione offensiva e priva di fondamento" e lo stesso tono usano per contestare un settimanale della sinistra cattolica che in quei giorni afferma che la scissione e' stata finanziata coi dollari americani. Ma anche "L'Unità" e' molto esplicita: "risulta che uno dei "benefattori" del PSUsi chiama Vanni B. Montana ed e' il capo-sezione alle relazioni pubbliche dell'ufficio italoamericano del Lavoro presso il dipartimento di Stato USA. Egli era presente inoltre all'atto costitutivo del PSU"

Tutti questi fatti sono noti. Meno noto resta quanto e' successo dietro le quinte della manovra scissionistica. Il fatto che, per esempio, all'inizio dell'estate vi erano state numerose riunioni alle quali aveva preso parte, oltre avari esponenti socialdemocratici tra cui il Ministro Luigi Preti, il capo dell'ufficio stampa della presidenza della Repubblica dottor Belluscio e il petroliere-editore Attilio Monti.

Il cavalier Monti (63 anni figlio di un fabbro di Ravenna arricchitosi durante la guerra con il traffico del petrolio fatto in societa'con uno dei segretari del Partito Nazionale Fascista Ettore Muti) e' oggi propritario di diverse raffinerie due delle quali sono tra le piu' importanti d'Italia: la Mediterranea di Milazzoe la Sarom di Ravenna collegate col trust delle "Sette Sorelle", cioe' le grandi societa' americane e anglo-olandesi. La Sarom in particolare ha un accordo con la BP, rinnovato per altri 12 anni nel 1967, per la raffinazione di un fatturato annuo di circa 15 miliardi di petrolio greggio. Uno dei clienti principali del cavalier Monti e' oggi la VI Flotta USA di stanza nel mediterraneo.

Nel mese di giugno 1969, dopo la prima serie di riunioni, Attilio Monti si e' recato negli Stati Uniti dove si e' incontrato con finanzieri, industriali e esponenti dell'amministrazione Nixon. Nello stesso periodo, a Roma, il deputato socialdemocratico A.C. frequentava spesso un ufficio del SID in Via Aureliana, e un altro noto personaggio del futuro Partito Socialdemocratico Unificato era di casa nella sede dell'agenzia finanziaria Merril-Lynch Pierce, in Via Bissolatti 76, notoriamente legata ad ambienti del Diparimento di Stato Americano.

Sempre nelle settimane precedenti la scissione, alcuni dirigenti del PSI, tra i quali un ex ministro, sono stati "sollecitati" ad aderire alla corrente di Ferri e Tanassi dal rappresentante di una agenzia di stampa specializzata in ricatti a uomini politici. Il direttore, un ex repubblichino divenuto poi collaboratore del giornale del PSDI "La Giustizia", e' in ottimi rapporti d'amicizia col generale Giovanni De Lorenzo oltre che col redattore capo del missino "Secolo D'Italia" col direttore dello "Specchio", Nelson Page, col redattore capo del "Borghese" Gianna Preda e con dueufficiali del SID, tali Stella e De Bellis. L'agenzia stampa e' finanziata con due milioni al mese versati sotto forma di abbonamento dall'industriale Attilio Monti.

Il 13 luglio, riferendosi alla recente costituuzione del nuovo Partito Socialdemocratico e all'eventualita' di elezioni politiche anticipate, ventilata dai suoi esponenti piu' rappresentativi, "L'Espresso" scrive: "un 18 aprilecreato artificialmente, facendo leva sul risentimento diffuso tra gli operatori e la borghesia per gli scioperi e le disfunsioni amministrative, la contestazione studentesca: ecco il progetto il progetto che lega la destra DC ai seguaci di Tanassi".

E una settimana dopo in un articolo intitolato "La fabbrica della paura"il giornalista Carlo Gregoretti, fatto un bilancio degli avvenimenti dei mesi precedenti (le violente represioni poliziesche di cortei e manifestazioni culminate nell'eccidio di Battipaglia, le denuncie indiscriminate attuate associando ai nomi dei fermati quelli ricavati a caso dagli elenchi delle questure, la recrudescenza di azioni squadristica e di attentati fascisti), conclude scrivendo: "Sono soltanto alcuuni esempi (...) puo' apparire come un quadro allarmante di tensione e di panico, dietro il quale non e' lecito escludere il disegno di una provocazione interessata: la ricetta per realizzarla e' proprio questa".

Cinque mesi piu' tardi, il 14 dicembre 1969, nel commentare la situazione poitica italiana all'indomani degli attenati di Milano e Roma il settimanale inglese "The Observer" scrivera' "I motivi di Saragat nel creare la scissione erano evidentemente sottili. Egli cercava non tanto di influenzare i socialisti quanto di spingere a destra la Democrazia Cristiana. Il calcolo era che il governo Rumor fosse costretto alla resa dall'agitazione sul frote industriale, che le elezioni anticipate venissero tenute nell'anno nuovo e che la paura del comunismo cancellasse dalle urne la sinistra democristiana. Ma tale prronostico non si e' avverato (...) la reazione emotiva, la stanchezza e l'insofferenza del pubblico dettero a De Gaulle la sua vittoria eletorale dopo il Maggio '68 in Francia. Ma Saragat puo' sperare di ottenere lo stesso risultato? Per l'intiero schieramento di destra dai socialisti saragattiani ai neofascisti, l'inaspettata moderazionedell'autunno caldo minacciava di liquidare la paura della rivoluzione sulla quale essi avevano puntato. Quelli che hanno fatto esplodere le bombe in Italia hanno rinverdito questa paura. Dal terrorismo dell'estrema destra, anche la destra "moderata" puo trarre vantaggio".

Nel contesto di questo articolo dell"Observer" appare per la prima volta il termine "Strategia della tensione" a significare che quanto e' avvenuto in Italia in quei mesi, o almeno i fatti piu' rilevanti, e' il risultato di precise scelte politiche, coerentemente organizzate all'interno di un disegno preordinato.

Agli inizi del 1968 la situazione economica italiana e' caratterizzata, grosso modo, da un contrasto tra le idee di tendenza del capitale monopolistico (le cui accresciute esigenze di competitivita' internazionale impongono un'espansione dei consumi interni e la soluzione degli squilibri strutturali della societa' e dello Stato) e le linee di tendenza della media e piccola industria alla quale l'abolizione delle leggi protezionistiche e l'integrazione nell'area economica europeapongono pressanti problemi di ammodernamento tecnologico, prioritari rispetto all'auumento dei costi del lavoro operaio e delle riforme sociali.

Le elezioni del19 maggio 1968 che ratificano la crisi del centrosinistra e della politica del contenimento delle tensioni di classe, aprono, in prospettiva, una fase di alleanza obbiettiva tra le forze piu' avanzate del grande capitale e le organizzazioni tradizionali del movimento operaio, mentre a livello parlamentare viene a prefigurarsi la possibilita' di un nuovo schieramento tra la linea amendoliana della "nuova maggioranza" e quella del "nuovo patto costituzionale" della sinistra democristiana.

E' un processo pieno di contraddizioni che incontra, fin agli inizi, ostacoli e resistenze potenti. Da un lato vi si pongono i settori piu' avanzati della classe operaia, contrari all'istituzionalizzazione delle lotte all'interno della dinamica neocapitalistica, e le forze nascenti della contestazione studentesca che, attraverso la denuncia dell'interclassismo e del riformismo rifiutano sia l'inserimento nei ruoli della classe dirigente borghese sia i tradizionali strumenti della lotta politica; dall'altro gli ostacoli maggiori, a livello nazionale, provengono sopratutto dall'ala arretrata del capitalismo, strutturalmente legata al supersfruttamento operaio, dal capitalismo parassitario e da quelle forze dell'apparato statale(nei Ministeri negli Enti Pubblici, nelle Università, nella Magistratura, nella Polizia, nell'Esercito) contrtarie a qualsiasi tipo di riforma, anche soltanto efficientistica, che possa mettere in discussione il tradizionale assetto dei centri di potere burocratico.

Ma il disegno riformistico, con l'esigenza di un pur timido neutralismo che esso comporta, urta irrimediabilmentte contro le necessita' strategico-militari dell'imperialismo americano.

Il conflitto medio-orientale e la relativa prenetazione dell'Unione Sovietica in un'area che le era tradizionalmente preclusa, il progressivo affrancamento coloniale dei paesi costieri dell'Africa nord occidentale, costringono gli Stati Uniti a porre un'ipoteca sempre piu' rigida suu un punto chiave del controllo del Mediterraneo qual e' l'Italia.

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