Libia: un Clan internazionale: Gheddafi, Tarak Ben Ammar, Berlusconi si potrebbe aprire lo scrigno dei segreti
Caccia al tesoro del Colonnello,
intanto trema Unicredit, sparito il vicepresidente Farhat Bengara
Petrolio, ma non solo: tutti gli affari della "Gheddafi Spa":
due fondi di investimento della famiglia detengono un portafoglio da 70 miliardi
24 febbraio 2011 VALERIA FRASCHETTI

Dove sono spariti il Vicepresidente di Unicredit Farhat Bendara
dove è finito il 7,5 % libico della banca italiana?
Milano 28 febbraio 2011

Dove sono spariti il Vicepresidente di Unicredit Farhat Bendara, dove è finito il 7,5 % libico della banca italiana?
Fino a quando Silvio Berlusconi sarà socio di Gheddafi e Tarak Ben Ammar nella cinematografica Quinta Communication?
Che ne sarà del Trattato di amocizia ventennale da quattro miliardi di euro a spese dell'ENI?

Domande piene di futuro tra intrecci miliardari Italia/Libia, ma senza risposte, in uno scenario precipitato.
A Bengasi i ribelli varano un nuovo governo, L'ONU vara sanzioni contro la famiglia Gheddafi,
Svizzera, Gran Bretagna, America congelano i beni di tutta la famiglia, l'unione Europea prepara proprie misure.
Tutavia, come fu in altri casi storici, da Hitler a Mussolini a Ceaucescku, nel cupio disssolvi del dittatore è arduo
per i tecnici capire come procedere.

Alla banca Unicredit dichiara il portavoce: "seguiamo con attenzione la situazione, anche alla luce della
recente risoluzione della Nazioni Unite" Gli avvocati dell'Unicredit dovranno accertare se la natura del Fondo sovrano LIA che detiene il 2,5% della banca, sia privata privata o pubblica, e quindi se assimilarlo alla dotazione di  Gheddafi, per poter procedere servirebbe un intervento da Roma, da Palazzo Chigi.

Se le partecipazioni Libiche fossero congelate, assieme a quelle nell'ENI (1%), Finmeccanica (2%), e Juventus (7,5%) si aprirebbe, nell'azionariato Unicredit, una voragine in una situazione già destabilizzata 6 mesi fa proprio dall'ascesa libica, che costo' il posto aa Alessandro profumo.

Poi la vicenda Quinta Communication:
dal 2009 c'è la Libia nella socità francese di produzione, in cui erano soci ventennali
la lussemburghese Trefinance ed il finanziere franco-tunisino Tarak Ben  Ammar.

Il Guardian scrive che nel giugno 2009 «come riportato da una piccola agenzia di stampa italiana, Radiocor», una società libica chiamata Lafitrade ha acquisito il 10 per cento della Quinta Comunication, una compagnia di produzione cinematografica fondata da Tarak Ben Ammar, storico socio di Berlusconi. Lafitrade è controllata da Lafico, il braccio d’investimenti della famiglia Gheddafi. E l’altro partner di Ben Ammar nella Quinta Comunication è, «con circa il 22 per cento» del capitale scrive il Guardian, una società registrata in Lussemburgo di proprietà della Fininvest, la finanziaria di Berlusconi. Non solo: Quinta Comunication e Mediaset possiedono ciascuna il 25 per cento di una nuova televisione via satellite araba, la Nessma Tv, che opera anche in Libia, sulla quale Gheddafi potrebbe esercitare influenza attraverso la quota che ha rilevato nella Quinta Comunication. A Repubblica Ben Ammar puntualizza che Nessma Tv è di proprietà sua, al 25 per cento, di Mediaset per un altro 25, di due partner tunisini per il restante 50. L’ingresso di Gheddafi in Quinta Comunication, spiega, è avvenuto nell’ambito di un aumento di capitale ma solo perché interessato alla produzione di film sul mondo arabo.


E LA CACCIA AL TESORO SILENZIOSAMENTE E' GIA' PARTITA.
O che siano custodite in conti bancari segreti nel Golfo o in Europa, è certo che le opache fortune accumulate in 41 anni di regime dalla famiglia Gheddafi sono enormi. Non solo perché, sedendo sulle ottave riserve di oro nero del pianeta, la natura è stata generosa con il Colonnello. Ma anche perché il dittatore è stato un abile re Mida che, con l'aiuto dei figli, ha fatto fruttare i petrodollari in una ragnatela di lucrosi interessi che vanno ben al di là dell'energia: abbracciano una fetta considerevole dell'economia nazionale, e non solo.

Da cablogrammi inviati negli anni dall'ambasciata americana di Tripoli emerge il ritratto di un Paese gestito come feudo personale da Muhammar e parenti. In particolare, un dispaccio dall'eloquente titolo di "Gheddafi Inc.", del maggio del 2006, sostiene che la famiglia ha "diretto accesso a investimenti nel settore del gas e del petrolio, delle telecomunicazioni, dello sviluppo di infrastrutture, hotel, mass media e distribuzione di beni al consumo". Altro che solo petrolio, quindi, anche se "si ritiene che tutti i figli di Gheddafi e i suoi favoriti abbiano redditi derivanti dalla National Oil Company e dalle sussidiarie" del settore. E che una significativa parte del guadagni del greggio (il 95% dell'export) siano finiti nelle casse personali dei Gheddafi lo conferma anche Tim Niblock. Esperto di Paesi arabi all'Università di Exter, Niblock ha rilevato una discrepanza di parecchi miliardi tra i proventi del petrolio e le spese del governo. "Difficile però - sostiene - fare una stima della ricchezza di famiglia".

Un altro cablo della diplomazia Usa parla di 32 miliardi. Fatto sta che altri fiumi di soldi ai Gheddafi sono arrivati dalla creazione dei due fondi di investimento: la Lybian investment authority (Lia) e la Lybian arab foreign investment company (Lafic). Entrambi detengono un vasto portafoglio stimato in 70 miliardi: un capitale "torbido" secondo un'esperta della banca Nomura. Eppure la sua natura non ha spinto le società europee, tanto meno quelle italiane, a sbarragli la strada. Lia detiene, tra le altre cose, il 2,5% di Unicredit; l'altro fondo il 7,5% della Juventus. Gli asset sono del governo, ma a volte gli investimenti della Lia portano la sigla della Gheddafi Spa. È successo nel 2009, quando Saif, il figlio laureato a Londra, comprò per 11,8 milioni di euro una villa con otto camere e piscina a Hampstead. Oppure nel 2008, quando il Colonnello, in Italia per il G8, si infatuò del borgo reatino di Antrodoco e promise di investire 16 milioni in un complesso alberghiero. Sempre lui, secondo il professor Niblock, avrebbe finanziato il presidente dello Zimbabwe Mugabe e una tribù del Darfur negli anni '90. La ricchezza della Gheddafi Spa è sì sconfinata, ma anche contesa. Un cablo del marzo 2009 rivela una guerra intestina tra gli otto rampolli con dettagli sufficientemente "squallidi per una soap opera". Una delle battaglie fratricide fu per il controllo della produzione locale della Coca-Cola. A scannarsi furono Saif, con interessi nei media, Mohammed, il primogenito, e Saad, il calciatore mancato. Oggi su un punto saranno d'accordo: spedire gli ultimi proventi in segreti off-shore. Prima che arrivino le sanzioni di Europa e Onu.