Il DIRITTO DI RESISTENZA NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
di Giorgio Giannini1)
IL DIRITTO DI RESISTENZA NELLA STORIA
Nell’era moderna, il problema dell’obbedienza o meno
all’Autorità ed al potere costituito si pone con il Cristianesimo,
per il quale l’obbedienza a Dio viene prima di quella alle leggi dello
Stato (Obedire oportet Deo, magis quam hominibus- Bisogna obbedire a Dio
prima che agli uomini-Atti 5,9-). In base a questo principio, i cristiani
dei primi due secoli disobbediscono alle leggi romane che essi considerano
contrarie ai comandamenti divini, in primo luogo la legge che impone di
prestare il servizio militare, perchè è contrario al comandamento
di “non uccidere”, ed affrontano serenamente le pene, compreso il martirio,
per rimanere fedeli alla propria religione ed alla propria coscienza (i
cristiani sono infatti i primi obiettori di coscienza al servizio militare).
Tutto cambia nel 313, quando l’imperatore Costantino
riconosce come Religione il Cristianesimo, che successivamente diventerà
addirittura l’unica e vera Religione dello Stato romano. Nel 380, con un
provvedimento dell’imperatore Teodosio, solo i cristiani saranno considerati
meritevoli di prestare il servizio militare nelle truppe imperiali.
Dal Medio Evo, vari filosofi e teologi elaborano dottrine
sul diritto di resistenza; ricordiamo S.Tommaso d’Aquino che afferma: “Chi
uccide il tiranno è lodato e merita un premio”.
Secondo autorevoli costituzionalisti, il riconoscimento
giuridico del diritto di resistenza risale alla Bolla d’oro di Andrè
II del 1222 ed al Capitolo 61 della Magna Charta inglese del 1225.
Il diritto –dovere di resistenza è riconosciuto
espressamente nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America
del 5 luglio 1776: “Noi riteniamo che …tutti gli uomini sono stati creati
uguali, che il Creatore ha fatto loro dono di determinati inalienabili
diritti….che ogni qualvolta una determinata forma di governo giunga a negare
tali fini, sia diritto del popolo il modificarla o l’abolirla, istituendo
un nuovo governo che ponga le basi su questi principi…Allorchè una
lunga serie di abusi e di torti…tradisce il disegno di ridurre l’umanità
ad uno stato di completa sottomissione, diviene allora suo dovere, oltre
che suo diritto, rovesciare un tale governo…”.
Il diritto –dovere di resistenza all’oppressione riceve
la legittimazione giuridica anche nella Rivoluzione Francese. Infatti la
Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 afferma all’art.2:
”Lo scopo di ogni società è la conservazione dei diritti
naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà
e la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”.
In modo più esplicito, la Costituzione francese
del 1793 ( che però non è mai entrata in vigore) afferma
all’art.33 : “La resistenza all’oppressione è la conseguenza degli
altri diritti dell’uomo” ed all’art.35 :” Quando il governo viola i diritti
del popolo, l’insurrezione è per il popolo il più sacro dei
diritti ed il più indispensabile dei doveri”.
Negli anni seguenti, con l’affermarsi degli Ordinamenti
democratico-liberali, si affievolisce l’interesse per il diritto-dovere
di resistenza all’oppressione, che diventa l’extrema ratio per la difesa
dell’Ordinamento democratico dello Stato.2)
Così, anche in Italia, dopo l’emanazione dello Statuto Albertino
del 1848, la resistenza, soprattutto quella collettiva, finisce con l’essere
legittimata solo entro i limiti del rispetto della Costituzione vigente.
Il problema del riconoscimento giuridico del diritto-dovere
di Resistenza si ripropone alla fine della Seconda Guerra mondiale, dopo
le tragiche vicende dello sterminio di milioni di esseri umani, soprattutto
ebrei, nei Lager nazisti. Così, nello Statuto del Tribunale di Norimberga,
definito nell’accordo di Londra dell’8.8.1945 da parte delle potenze alleate,
viene stabilito il principio della responsabilità penale personale
di coloro che hanno commesso “crimini di guerra” o “crimini contro l’umanità”,
anche se in esecuzione di ordini emanati da un’autorità superiore.
Questo principio è stato riconosciuto dall’Ordinamento
Internazionale ed il diritto di resistenza è stato inserito in numerose
Costituzioni del secondo dopoguerra, soprattutto nella Repubblica Federale
Tedesca, che aveva dato origine all’orrore nazista. Così, la Costituzione
del Lander dell’Assia del 1.12.1946, all’art.147 afferma: “La resistenza
contro l’esercizio contrario alla Costituzione del potere costituito è
diritto e dovere di ciascuno”. La Costituzione del Lander di Brema del
21.10.1947 ,all’art. 19 afferma:” Se i diritti dell’uomo stabiliti dalla
Costituzione sono violati dal potere pubblico in contrasto con la Costituzione,
la resistenza di ciascuno è diritto e dovere”. La Costituzione del
Lander di Brandeburgo del 31.1.1947, all’art. 6 afferma: ”Contro le leggi
in contrasto con la morale e l’umanità sussiste un diritto di resistenza”.
Anche la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca ,all’art.20, 4°
comma, afferma:” Tutti i tedeschi hanno diritto alla resistenza contro
chiunque intraprenda a rimuovere l’ordinamento vigente, se non sia possibile
alcun altro rimedio”.
Recentemente, una importante sentenza del Conseil
Constitutionnel francese (equivalente alla nostra Corte Costituzionale)
ha riaffermato la resistenza “come diritto positivo di valore costituzionale”
che “potrà servire da parametro di costituzionalità per la
valutazione di leggi repressive che tendano ad impedire al popolo sovrano
alcune forme di esercizio”.
Il DIRITTO DI RESISTENZA NEL DIBATTITO
PER L’APPROVAZIONE DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
Il 5.12.1946, la Sottocommissione, incaricata all’interno
della Commissione dei 75 ( cosiddetta dal numero dei componenti) di elaborare
la prima parte della Costituzione, inserisce nel Progetto di Costituzione,
al 2° comma dell’art.50, la seguente disposizione,
“Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti
garantiti dalla costituzione, la resistenza
all’oppressione è diritto
e dovere del cittadino”.
La norma è proposta dall’On. democristiano Giuseppe
Dossetti e dall’On. demo-laburista Cevolotto, che si sono ispirati ad altre
Carte Costituzionali, in particolare all’art.21 della Costituzione francese
del 1946, che stabilisce: ”Qualora il governo violi la libertà ed
i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza, sotto ogni forma,
è il più sacro dei diritti ed il più
imperioso dei doveri”.
Nel maggio 1947, quando il Progetto di Costituzione
è discusso nel plenum dell’Assemblea Costituente, alcuni Deputati,
appartenenti soprattutto al Partito Liberale e al Partito Repubblicano,
pur non dichiarandosi, in linea di principio, contrari al riconoscimento
costituzionale del diritto di resistenza, sollevano dei dubbi sull’opportunità
del suo inserimento nella Costituzione.3)
Nel dicembre 1947, quando si esamina l’art.50 del Progetto
di Costituzione, anche i democristiani si oppongono all’inserimento del
diritto di resistenza nel testo definitivo della Costituzione.4 Così,
quando si vota il testo dell’art.54, che ha sostituito l’art.50 del Progetto,
il diritto di resistenza è soppresso, nonostante il voto favorevole
dei comunisti, dei socialisti e degli autonomisti. Molto probabilmente
sull’esito del voto influirono motivazioni di opportunità politica
ed anche una certa confusione di interpretazione tra il concetto di resistenza
e quello di rivoluzione. Invece tra i due termini c’è una profonda
differenza : la rivoluzione tende al rovesciamento del regime politico;
invece, la resistenza mira alla conservazione del regime
politico (purchè sia, naturalmente, democratico)
e quindi è uno strumento di garanzia per la sua esistenza.
Nel dicembre 1947, quando si esamina l’art.50 del Progetto
di Costituzione, anche i democristiani si oppongono all’inserimento del
diritto di resistenza nel testo definitivo della Costituzione.4)
Così, quando si vota
il testo dell’art.54, che ha sostituito l’art.50 del Progetto, il diritto
di resistenza è soppresso, nonostante il voto favorevole dei comunisti,
dei socialisti e degli autonomisti. Molto probabilmente sull’esito del
voto influirono motivazioni di opportunità politica ed anche una
certa confusione di interpretazione tra il concetto di resistenza e quello
di
rivoluzione. Invece tra i due
termini c’è una profonda differenza: la rivoluzione tende al rovesciamento
del regime politico; invece, la resistenza mira alla conservazione del
regime politico (purchè sia, naturalmente, democratico) e quindi
è uno strumento di garanzia per la sua esistenza.
LA SOVRANITA’ POPOLARE FONTE
DEL DIRITTO DI RESISTENZA
Secondo autorevoli costituzionalisti,
anche se non è espressamente stabilito dalla nostra Carta Costituzionale,
il “diritto di resistenza all’oppressione” è implicitamente legittimato,
essendo una delle garanzie di difesa della Costituzione, in caso di violazione
dei principi fondamentali in essa stabiliti.5)
Infatti, il diritto di resistenza
trova la sua legittimazione nel principio della “sovranità popolare”
, sancito nell’art. 1 della nostra Costituzione6),
che quindi rappresenta la legittimazione all’intero Ordinamento giuridico.
La “sovranità”, peraltro,
è attribuita ad ogni singolo cittadino, come membro del popolo,
e non solo al popolo nel suo insieme.
Nel nostro Ordinamento giuridico,
comunque, ci sono varie norme che stabiliscono la legittimità della
resistenza individuale ( cioè del singolo individuo) di fronte al
provvedimento illegittimo (anche se apparentemente legittimo) dell’Autorità
e/ o al comportamento arbitrario di un pubblico funzionario. Ricordiamo,
l’art. 4 del DLL n. 288 del 1944 , che legittima la
resistenza attiva (non solo
passiva) ad un pubblico ufficiale o ad un corpo politico, amministrativo
o giudiziario, qualora queste funzioni pubbliche siano esercitate in modo
arbitrario. Ricordiamo anche l’art.51 del Codice penale che esclude la
punibilità dei fatti compiuti nello “esercizio di un dovere” o nello
“adempimento di un dovere, imposto da una norma giuridica o da un ordine
legittimo della pubblica Autorità” e l’art.650 del Codice Penale,
che legittima la disobbedienza contro provvedimenti non “legalmente dati”
dall’Autorità, cioè emanati arbitrariamente e quindi illegittimi.
Per i militari, inoltre, il
dovere di disobbedire all’ordine manifestamente illegittimo è previsto
dalla legge 11.7.1978 n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare),
che all’art. 4 stabilisce: ” Il militare al quale viene impartito un ordine
manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione
costituisce comunque manifestamente reato, ha il
dovere di non eseguire l’ordine
e di informare al più presto i superiori”. La norma è ribadita
nell’art.25 del Regolamento di disciplina delle Forze Armate, varato con
il DPR n. 545 del 1986.
Questa norma è una chiara
esecuzione dell’art. 52 , 2 comma della Costituzione, che stabilisce che
“l’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della
Repubblica”.
Allo stesso modo è perfettamente
legittima la resistenza collettiva contro ordini, decisioni o comportamenti,
in contrasto con i principi incostituzionali, adottati non solo da pubblici
funzionari o dalle Autorità, ma anche da Organi Costituzionali,
quali Governo e Parlamento, che rappresentano lo Stato-apparato.
La resistenza collettiva si esercita
attraverso l’esercizio dei diritti di libertà, previsti e tutelati
espressamente dalla nostra Costituzione, come il diritto di manifestazione
del pensiero (art. 21) ed il diritto di sciopero (art.40) , anche politico.7)
In verità, l’art. 54 della
Costituzione sancisce: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli
alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini,
cui sono affidate le funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle
con disciplina ed onore, prestando giuramento”.
Non si deve però confondere
il dovere di fedeltà con quello di obbedienza. Sono infatti due
concetti diversi: la fedeltà alla Repubblica precede , logicamente
e concettualmente, l’osservanza delle leggi dello Stato. Pertanto, il dovere
di fedeltà alla Repubblica, e quindi alla Costituzione ed in particolare
ai principi fondamentali in essa stabiliti, prevale sul dovere di obbedienza,
di cui peraltro costituisce il presupposto giuridico. Quindi, in caso di
contrasto delle leggi in vigore
con i principi fondamentali
dell’Ordinamento Costituzionale, è sempre l’obbedienza a questi
ultimi che prevale sull’obbedienza alle leggi. Peraltro, la semplice obbedienza
alle leggi non esaurisce l’obbligo di fedeltà alle Istituzioni,
che richiede un comportamento concreto in sintonia con i principi fondamentali
sanciti dalla Carta Costituzionale.
Non a caso il diritto di resistenza
è stato concepito nel 1946 (quando viene inserito nell’art.50 del
Progetto di Costituzione) come collegato al dovere di fedeltà, stabilito
dall’art. 54 ( già art. 50 del Progetto), anche se in un primo momento
era stato collegato al principio della sovranità popolare.
Naturalmente, la resistenza non
può essere esercitata in forma violenta, perché, per difendere
un diritto fondamentale, leso dall’esercizio arbitrario di pubbliche funzioni,
non si può ledere e sacrificare altri diritti fondamentali, di pari
o maggiore rilevanza, quale quello alla vita ed alla sicurezza delle persone.8)
LA “ PACE” PRINCIPIO FONDAMENTALE
DELLA COSTITUZIONE
L’art.11 della Costituzione
sancisce: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Da questa disposizione, inserita nei “principi fondamentali”, deriva una
chiara connotazione “pacifista” del nostro Paese e quindi l’illegittimità
non solo della guerra “offensiva”, ma anche
di quella decisa al di fuori
della decisione degli Organismi Internazionali di cui il nostro Paese fa
parte, quali l’ONU o la NATO.
La nostra Costituzione, inoltre,
all’art.2 “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, tra
i quali c’è sicuramente anche il “diritto alla pace” ( cioè
dei cittadini a vivere in pace). Però questo diritto inviolabile
non può essere tutelato con la violenza, sacrificando così
altri diritti inviolabili, come abbiamo già detto.
Inoltre, la Costituzione, all’art.10
stabilisce espressamente che il nostro Ordinamento giuridico “si conforma
alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, le quali
recepiscono i principi fondamentali del cosidetto “diritto delle genti”,
ed alle quali pertanto nessuno può sottrarsi.
La Corte Costituzionale, con
la sentenza n. 829 del 1988 ha chiarito che quando la Costituzione affida
l’adempimento dei “compiti fondamentali”, tra i quali rientra anche quello
della “convivenza pacifica tra i popoli” in base all’art.11, alla Repubblica
o all’Italia, si riferisce anche agli Enti Locali, nelle loro varie articolazioni
(Regioni, Provincie, Comuni), i quali pertanto sono corresponsabili nell’adempimento
di questi “compiti fondamentali”. Ne deriva che gli Enti Locali hanno non
solo il diritto, ma anche il dovere di ”impegnarsi per la pace”, ad esempio
attivandosi per promuovere e diffondere tra i cittadini la “cultura della
pace”. Inoltre, possono anche attuare “atti di non collaborazione” con
le iniziative belliche decise dal Governo in modo illegittimo, perché
in contrasto con i principi costituzionali.
CONCLUSIONI
Il diritto di resistenza è
sostanzialmente (ed implicitamente) accolto dalla nostra Costituzione,
in quanto rappresenta una estrinsecazione del principio della sovranità
popolare, sancita dall’art. 1 della Costituzione e che quindi informa tutto
il nostro Ordinamento giuridico.
La sovranità è
esercitata in modo diretto attraverso i fondamentali diritti di libertà,
garantiti espressamente dalla Costituzione, ed in modo indiretto attraverso
lo Stato- apparato (la Pubblica Amministrazione), la cui attività
non può comunque essere in contrasto con la sovranità popolare.
Pertanto, quando lo Stato non esprime una volontà contraria a quella
del popolo, spetta a questo ( e quindi ai cittadini, singolarmente o collettivamente)
riappropriarsi della sovranità per ripristinare la legalità
( ad esempio difendere le Istituzioni democratiche).
In pratica, quando il Governo,
pur instauratosi legalmente ( con le elezioni) agisce al di fuori della
propria legittimazione (che deriva dalla sovranità popolare espressa
con le elezioni), i cittadini, che sono gli effettivi titolari della sovranità
possono, anzi devono, attivarsi (appunto con la resistenza) per ripristinare
la legalità violata.
Se non fosse consentito ai cittadini
di ricorrere alla resistenza, quale estremo rimedio per ripristinare la
legalità violata, il principio della sovranità popolare sarebbe
di fatto privo di significato9).
Pertanto, la resistenza dei cittadini
è uno strumento fondamentale, seppure eccezionale, di garanzia dell’Ordinamento
Costituzionale, anche se non è espressamente stabilita.
Inoltre, il dovere di fedeltà
alla Costituzione, sancito dall’art.54, comporta il dovere di non obbedire
alle leggi che sono in contrasto con essa. Pertanto, quando si compiono,
da parte di qualunque Organo Costituzionale, anche il Governo o il Parlamento,
atti di eversione dell’ordine costituzionale, c’è non il diritto,
ma il dovere di resistenza ( individuale o collettiva ed anche “attiva”,
purchè attuata in modo nonviolento per non ledere i diritti fondamentali
di altri individui), al fine di salvaguardare le Istituzioni democratiche.
Così, quando lo Stato-apparato
realizza materialmente un’attività contraria ai principi fondamentali
della Costituzione, come ad esempio fare una guerra “offensiva” o illegittima,
quale è quella decisa al di fuori degli Organismi Internazionali,
nasce il dovere di resistenza, anche collettiva, quale “extrema ratio”
per il ripristino della legalità costituzionale, e che può
essere praticata anche nella forma della disobbedienza civile, nonviolenta.
1)
Ricercatore e storico è autore di numerose pubblicazioni sull’opposizione
popolare al fascismo, sulla Resistenza e sull’obiezione di coscienza, socio
fondatore del Centro Studi Difesa Civile.
2) Vedasi
al riguardo quando affermato dal giurista Romagnosi in La scienza della
Costituzione nel 1849.
3)
Al riguardo l’On. liberale Condorelli afferma: ”Bisogna riconoscere che
questo diritto di resistenza, che simanifesta attraverso insurrezioni,
colpi di Stato, rivoluzioni, non è un diritto, ma la stessa realtà
storica…Sono fatti logicamente anteriori al diritto”.
4) L’On. democristiano
Mortati, nella sua dichiarazione di voto afferma: “Non è al principio
che ci opponiamo, ma all’inserzione nella Costituzione di esso, e ciò
perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico
e mancano nel congegno costituzionale i mezzi e le possibilità di
accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto
e quando invece questa sia da ritenere illegittima”
5) Al riguardo,
il prof. Paolo Barile scrive: “Anche qualora il diritto positivo vietasse
espressamente al resistenza, essa sarebbe perfettamente legittima in quanto
la violazione della costituzione materiale compiuta da un soggetto legittimerebbe
la conseguente violazione delle norme che vietano la resistenza da parte
di un altro soggetto interessato al mantenimento delle basi dell’ordinamento
violato.” Infatti, dai lavori preparatori si ha la sensazione che l’Assemblea
Costituente non abbia voluto costituzionalizzare un tale principio, ma
che non abbia neppure voluto prendere la esplicita posizione di vietarlo”.
(Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Cedam, 1953).
6) Al riguardo,
l’On. Costantino Mortati, anche lui eminente costituzionalista, nella sua
dichiarazione di voto sul 2°comma dell’ art 50 del Progetto di Costituzione,
afferma: ”La resistenza trae titolo di legittimazione dal principio della
sovranità popolare perché questa, basata com’è sull’adesione
attiva dei cittadini ai valori consacrati nella Costituzione, non può
non abilitare quanti siano più sensibili a essi ad assumere la funzione
di una loro difesa e reintegrazione quando ciò si palesi necessario
per l’insufficienza e la carenza degli organi ad essa preposti”. Inoltre,
nel suo commento all’art.1 della Costituzione, nel Commentario
della Costituzione del 1975, afferma: ”Per contestare l’ammissibilità
del diritto di resistenza non vale richiamarsi alla decisione della Costituente
di eliminare la norma del progetto che lo prevedeva. In realtà dalla
discussione non emergono chiaramente i motivi del rigetto, molto contestato,
ma prevalente sembra essere stata l’opinione dell’inutilità di una
norma che disciplini i modi di esercizio di un diritto che, per sua stessa
natura, sfugge ad astratte predisposizioni”
7)
Riguardo alla resistenza collettiva, il Prof. Giuliano Amato, un costituzionalista
molto acuto (chiamato il “dottor sottile” ed in seguito diventato Presidente
del Consiglio dei Ministri), commentando le due sentenze di condanna emesse
dai tribunali penali di Palermo e di Catania in seguito ai gravi moti di
piazza del luglio 1960 contro il Governo dell’On. Tambroni, sostenuto dal
partito di destra Movimento Sociale Italiano (peraltro i moti popolari
portarono alla caduta del Governo), nel 1961 scriveva che i poteri che
sono esercitati dallo Stato-governo “ non
fanno capo originariamente ad esso, ma gli sono trasferiti, magari
in via permanente, dal popolo”. Pertanto, “l’esercizio di quei poteri deve
svolgersi, per chiaro dettato costituzionale, in guisa tale da realizzare
una permanete conformità dell’azione governativa agli interessi
in senso lato della collettività popolare: si che, quando tale conformità
non sia perseguita da quell’azione, è perfettamente conforme al
sistema, cioè legittimo, il comportamento del popolo sovrano che
ponga fine alla situazione costituzionalmente abnorme”. Sostiene inoltre
che
“ la resistenza collettiva può indirizzarsi anche contro
il Parlamento” qualora la sua azione sia illegittima. Pertanto, “potrebbe
il popolo, nel mancato funzionamento dei meccanismi di garanzia predisposti
all’interno dello Statogoverno, ripristinare con altri mezzi il rispetto
del suo sovrano volere, che nella Costituzione trova la sua massima espressione”.
Inoltre, Giuliano Amato scrive nel 1962, in La sovranità
popolare nell’ordinamento italiano, che in caso di non funzionamento degli
organi di controllo e di garanzia ,se cioè lo stesso Stato-apparato
fosse “partecipe dell’azione eversiva”, compiendo “atti difformi dai valori
e dalle finalità fatti propri dalla coscienza collettiva ed indicati
nella Costituzione", allora sarebbe legittimo il ricorso alla resistenza,
individuale o collettiva. Afferma inoltre:” ove circostanze particolari
lo impongano, come può disconoscersi al popolo, che della sovranità
è titolare e che ne controlla l’esercizio….da parte dello Stato-governo,
il potere di ricondurre alla legittimità, con mezzi anche non previsti,
questo esercizio, ove irrimediabilmente se ne discosti”.
8) Peraltro
il comportamento violento del singolo individuo è ammesso solo in
alcune ipotesi espressamente previste
dal Codice penale, quali la legittima difesa e lo stato di necessità,
che comunque sono valutati dal giudice con rigore
9)
Al riguardo il Prof. Vezio Crisafulli, eminente costituzionalista, scrive
che ,negli ordinamenti nei quali è accolto il principio della sovranità
popolare, il popolo ӏ sempre in grado di far valere la propria
volontà, a tutela dei propri interessi, nei confronti di quella,
eventualmente contrastante, manifestata dalla persona statale attraverso
i suoi organi”. |
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