Difesa spa, una nuova agenzia per il business delle spese militari
Una società controllata dal ministero per gestire gli acquisti delle Forze armate
1 febbraio 2010 GIAMPAOLO CADALANU

ROMA- Le polemiche si sono riaccese quando la Cavour ha levato le ancore per far rotta verso Haiti. Perché mai, si sono chiesti in molti nelle Forze armate, mandare una portaerei a portare aiuti? Non era meglio spedire i C-130 per operare subito sul campo e magari risparmiare qualcosa per evitare i tagli all'ordinaria amministrazione, dall'addestramento ai pezzi di ricambio? La prima spiegazione era quasi accettabile: la Cavour deve muoversi comunque. Meglio usarla per Haiti che farla girare invano nel Mediterraneo, anche pagando ricche indennità di missione all'equipaggio.
Però poi qualche alto graduato ammetteva: è un prodotto della tecnologia italiana, farlo vedere significa procurare affari.

Persino la tappa in Brasile sembra ideata solo per far vedere la portaerei ai rappresentanti di un governo molto interessato.
In altre parole, i clienti vengono prima dei terremotati. Il viaggio umanitario verso Haiti, insomma, sarebbe solo l'ultima
tappa di un progressivo allontanamento delle scelte militari dall'interesse nazionale diretto, per privilegiare piuttosto esigenze industriali.

Per gli esperti la tendenza è evidente. È passata per la pervicacia nel seguire i piani di produzione del costosissimo cacciabombardiere F-35, o Jsf, concepito per le esigenze della guerra fredda (può compiere missioni di bombardamento con obiettivi lontanissimi, ovvero era stato ideato per colpire Mosca) e oggi inutile: "In un momento di crisi quegli oltre 13 miliardi potevano andare in elicotteri, più utili per le missioni di pace, o magari anche per jet intercettori più utili, come gli Eurofighter", dice Massimo Paolicelli, coautore del libro "Il caro armato".

Ma il punto di non ritorno in un processo che ieri Eugenio Scalfari definiva "il disossamento dello Stato", è la nascita di Difesa Servizi Spa, "primo passo dello sgretolamento della Pubblica amministrazione", come l'ha chiamato il capogruppo pd alla Camera Gian Piero Scanu. Concepita con un disegno di legge e poi inserita con cinque commi nella legge finanziaria per superare le perplessità nella stessa maggioranza, dall'inizio dell'anno l'azienda a cui verrà affidata gran parte dell'attività della Difesa è una realtà, almeno sulla carta. Mancano i decreti di attuazione, che devono arrivare entro metà febbraio, ma il processo è avviato.

Alla Difesa spa andrà la responsabilità di ogni acquisto per le Forze armate, armamenti esclusi. Le decisioni saranno prese dal consiglio di amministrazione, otto membri di scelta ministeriale, che dovranno rendere conto solo al ministro, per un budget fra i tre e i cinque miliardi di euro. Il meccanismo spazza via ogni criterio di trasparenza: la Corte dei Conti potrà intervenire solo in caso di comportamenti penalmente rilevanti (in sostanza, di dolo conclamato), mentre non è ben chiaro che cosa succederà se la Difesa spa dovesse andare in perdita.

L'azienda ha il potere di inserire nelle strutture militari anche impianti energetici, senza limitazioni legate alle esigenze delle Forze armate: in parole povere, potrebbe far eseguire la costruzione delle centrali nucleari all'interno delle caserme, senza preoccuparsi di ottenere autorizzazioni dagli enti locali e scavalcando ogni discussione. La Difesa spa curerà anche non meglio definite "sponsorizzazioni": un termine che inevitabilmente propone immagini di blindati in missione sulle montagne dell'Afghanistan colorati come le monoposto di formula 1, o cacciatorpediniere colorati come le barche della Coppa America, idee molto lontane dalla tradizione delle Forze armate.

Ma il vero affare è quello del mattone: la Difesa spa gestirà anche le dismissioni immobiliari, con lo scopo dichiarato di recuperare danaro per le spese militari. Ad affiancarla, secondo i piani del governo, saranno società di gestione del risparmio, che dovranno valorizzare il patrimonio della Difesa creando dei fondi di investimento e vendendone i titoli, per poi rimborsare all'erario il valore di partenza degli impianti venduti e versare alla Difesa le plusvalenze.

Il meccanismo ha già trovato un intoppo: per garantire la creazione di queste plusvalenze, a fianco dell'inevitabile cambiamento di destinazione d'uso dei beni immobili era prevista la possibilità di un ampliamento della volumetria pari al 30 per cento, anche qui scavalcando ogni autorizzazione, compresa quella sull'impatto ambientale. Un nuovo scempio, bloccato però come incostituzionale dai giudici della Consulta.


Lo Stato disossato
Eugenio Scalfari 31 gennaio 2010

OGGI dovrei occuparmi delle elezioni regionali e infatti ne parlerò tra poco, ma prima c'è un tema che merita di esser posto come introduzione: si sta disossando lo Stato. Mentre si discute di riforme costituzionali, la struttura dello Stato sta infatti cambiando sotto i nostri occhi distratti: lo Stato si sta "esternalizzando" con conseguenze gravi sulla dislocazione del potere e sugli equilibri istituzionali.

Negli scorsi giorni, nella disattenzione generale, è stata approvata la creazione della "Difesa Spa" che centralizzerà gli acquisti e gli approvvigionamenti necessari al funzionamento di tutte le Forze armate in una società per azioni. Analoga operazione verrà discussa e probabilmente approvata in Senato mercoledì prossimo per la creazione della "Protezione Spa", responsabile di tutte le operazioni di qualsivoglia tipo effettuate dalla Protezione civile. Immaginiamo che altre società sorgeranno nei vari settori della Pubblica amministrazione. Le operazioni di queste nuove entità, la provvista dei fondi necessari, l'accensione di mutui bancari e tutto ciò che è necessario al loro funzionamento saranno disposti mediante ordinanze, veri e propri decreti legge che non approdano in Parlamento ma diventano immediatamente esecutivi. La loro firma spetta al ministro competente o addirittura al presidente del Consiglio e, oltre a scavalcare il Parlamento, scavalca anche il Capo dello Stato. La Corte dei conti interviene più come organo di consulenza che come organo di controllo.

Le somme in gioco sono enormi. Il capo della Protezione civile, che è al tempo stesso sottosegretario in attesa di esser elevato al rango di ministro, in un'intervista di qualche giorno fa al nostro giornale ha quantificato gli interessi che la Protezione civile paga annualmente sui debiti esistenti con le banche: 850 milioni. In termini di capitale si tratta di un debito tra i 20 e 25 miliardi di euro, una somma enorme decisa al di fuori della normale contabilità e dei normali controlli di forma e di merito. Per di più è scritta nel disegno di legge l'esenzione di ogni responsabilità penale del capo della Protezione civile il quale è esentato dal doversi sottoporre alle normali regole della Pubblica amministrazione per quanto riguarda appalti e commesse. 

È superfluo segnalare che queste società sono amministrate da propri consigli d'amministrazione; lo "spoil system" ne risulta ampliato senza alcun controllo parlamentare sulle nomine e sugli eventuali conflitti d'interesse.

C'è dunque un mutamento vistoso in questo modo di gestione: rapidità nel decidere, impressionante rafforzamento del potere esecutivo. Berlusconi anticipa il suo ideale: l'uscita dalla Repubblica parlamentare e l'ingresso nella democrazia autoritaria; una legge elettorale blindata, una maggioranza parlamentare di "replicanti", gli organi di controllo ridotti a puro simbolo senza poteri. Faceva effetto vederlo l'altro giorno a L'Aquila abbracciato a Guido Bertolaso reclinando la testa sulle spalle del "protettore". "Che faremmo senza Guido?" ha detto mentre annunciava la sua promozione a ministro senza neppure averne informato i membri del governo e tanto meno il Capo dello Stato.

Già, che farebbe senza Guido che allo stato dei fatti è il controllore-controllato per eccellenza? Bertolaso è la sua protesi e così saranno i capi delle future Spa pubbliche. La prova generale (auspice Tremonti) fu fatta qualche anno fa con la Cassa Depositi e Prestiti. Perché  -  bisogna ricordarlo  -  i flussi finanziari che alimentano il sistema "esternalizzato" sfuggono a tutti salvo che al superministro dell'Economia. Giulio e Guido, un'accoppiata perfetta, con la differenza che Guido è una protesi di B., mentre Giulio lavora per sé.
Lo Stato di diritto è a pezzi.

* * *

In questo contesto si preparano le elezioni regionali e quella per il comune di Bologna. Qui i protagonisti sono numerosi: Berlusconi ovviamente, Casini, D'Alema, Bersani, Vendola. Quella più interessante da esaminare è la situazione pugliese perché i suoi effetti hanno avuto ed avranno ripercussioni importanti sul quadro politico nazionale.

In Puglia andava infatti in scena uno dei punti essenziali del programma con il quale Bersani ha conquistato la guida del Partito democratico: l'alleanza tra le varie forze d'opposizione in vista di un'alternativa al centrodestra, ma in particolare l'alleanza con l'Udc, alla quale D'Alema attribuiva una importanza speciale.
Finora Casini ha sempre escluso un'alleanza nazionale del suo partito con altre forze. Il centro non può che stare al centro, così ha sempre detto. Però fare alleanze in elezioni regionali e locali quando vi siano convergenze sui programmi e sui candidati, è possibile in diverse direzioni affinché si bilancino reciprocamente.

Il ragionamento è chiaro. Parrebbe tuttavia che negli ultimi tempi questo schema di lavoro sia cambiato sotto l'urto dei fatti. Parrebbe cioè che Casini consideri possibile un'alleanza con il Pd in vista delle elezioni politiche del 2013. Giudica irrecuperabile Berlusconi, giudica sempre più necessaria una riforma della legge elettorale in senso proporzionale, senza di che l'Udc sarebbe condannata all'irrilevanza.

In vista di questi obiettivi ancora remoti, il leader dell'Udc ha interesse ad una sconfitta ai punti di Berlusconi nelle prossime regionali. Su 13 Regioni in palio, spera che almeno 7 vadano alle opposizioni e non più di 6 allo schieramento governativo. Di qui le alleanze con il Pd in parecchie situazioni.

Il caso pugliese era il più significativo di tutti: è una regione importante nel Mezzogiorno continentale, economicamente dinamica, stava a cuore a Massimo D'Alema che è il maggior fautore dell'alleanza con il centro. Perciò la Puglia, ma non con Vendola candidato. Troppo a sinistra. Qualunque altro, ma Vendola no.
E' andata male. Ora il candidato del Pd, dopo una serie di scossoni, marce avanti e marce indietro, primarie e non primarie, è proprio Vendola. Ma nonostante le profferte di Berlusconi, Casini non è passato dall'altra parte. Si presenterà da solo con un candidato forte che farà razzia di voti a destra. Indirettamente favorirà Vendola, sempre che Berlusconi non decida di confluire su Casini, ma sembra difficile che possa farlo.
Più di questo il leader del centro, in questa tornata elettorale, non poteva fare. Il dopo si vedrà dopo.

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Ci sono stati parecchi errori in Puglia, compiuti da Bersani e da D'Alema sull'altare dell'alleanza con l'Udc, da loro giudicata indispensabile per la vittoria elettorale. Una sottovalutazione di Vendola. L'accettazione del veto di Casini sul nome del governatore uscente. L'irre-orre sulle primarie. Ma l'errore principale e non scusabile è stato quello di schierarsi e fare campagna in favore di uno dei due candidati alle primarie impegnando così sulla sua vittoria o sconfitta la segreteria nazionale del partito.

Le primarie sono un metodo discutibile ma, una volta decise dagli organi regionali e accettate dalla direzione nazionale di un partito, è regola che il gruppo dirigente non si schieri con un candidato contro l'altro. Dovrebbe restare rigorosamente neutrale e poi appoggiare compattamente il vincitore che affronterà l'avversario del partito. Questa seconda mossa Bersani e D'Alema l'hanno fatta e sicuramente il loro appoggio a Vendola sarà pieno e  -  speriamo  -  efficace; ma la botta alla loro credibilità politica è stata tosta e ne porteranno i lividi per un bel po'. Anche perché quell'ondivago comportamento ha incoraggiato una sorta di ribellismo locale che non è sana autonomia e neppure dissenso politico rispetto alla linea che vinse il congresso del Pd, ma esplosione di ambizioni e vanità personali che sono esattamente il contrario della funzione di un partito politico.
Si potrebbe dire che nel centrodestra avvengono fatti analoghi, ma questa constatazione non è affatto consolatoria.

La questione nel Pd riguarda in particolare Bersani. Sembra un cacciatore con il falcone D'Alema sulla spalla. Non è questo il segretario di cui il partito (ogni partito) ha bisogno. Il falcone parte prima del cacciatore, anzi è lui stesso che snida la preda e poi torna ad appollaiarsi sulla spalla del padrone. In un partito democratico questo meccanismo non può funzionare e infatti non funziona.

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Ci sono nel Pd parecchi altri impacci elettorali ancora in corso. Altri altrettanto gravi ce ne sono nel Pdl. Berlusconi è nei guai in Puglia. Nel Lazio la partita è apertissima e il candidato risponde più a Fini che a lui. In Sicilia, anche se in questa regione non si vota, non ne parliamo. La competizione con la Lega è aspra in tutto il Nord.

Nonostante tutto, l'ipotesi di un risultato 7 a 6 in favore del centrosinistra è dunque ancora ipotizzabile. Ma poi bisognerà passare dalla tattica alla strategia.

Quella larga parte di italiani ai quali stanno a cuore le sorti del paese oltreché la propria, capiscono che non si può continuare così. Un capo di governo che in ogni luogo racconta barzellette e le comunica ai giornalisti affinché ne parlino sui loro giornali; un capo di governo che promuove un Bertolaso ministro dopo averlo pubblicamente censurato per le sue gaffe internazionali; un capo di governo che si occupa solo dei suoi guai giudiziari e degli affari delle sue società (private e pubbliche); un capo di governo che insulta ogni giorno i magistrati e prepara riforme a suo personale uso e consumo obbligando i magistrati ad una civilissima quanto gravissima manifestazione di protesta; un capo di governo che ogni mattina si fa dipingere i capelli in testa; un capo di governo che è una macchietta se non fosse una tragedia nazionale, ha l'aria d'essere arrivato alle ultime battute. Il suo declino potrà anche essere lungo ma è senz'altro cominciato.

Post Scriptum. Adriano Celentano in un articolo sul Corriere della Sera di giovedì scorso, dopo aver constatato che il governo non funziona e che i problemi dei cittadini restano da anni irrisolti, ha proposto che Berlusconi sia definitivamente liberato da tutti i suoi guai giudiziari ed abbia così il tempo di dedicarsi al bene comune.

Nei programmi di Berlusconi campeggia anche la costruzione di 25 centrali nucleari.
Il ragazzo della via Gluck avrebbe fatto un pandemonio per impedirlo.