"Le stragi mafiose del '93 volevano favorire un'entità politica"
Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: rivela: "Dietro gli attentati la ricerca di nuovi interlocutori"
27 maggio 2010 ALESSANDRA ZINITI

FIRENZE - "Nel '93, Cosa nostra ebbe in subappalto una vera e propria strategia della tensione che ebbe nelle bombe di Roma, Milano e Firenze soltanto il suo momento più drammatico. Ma ci sono tanti altri episodi da ritirare fuori e rileggere insieme". Nel giorno in cui il Csm lo conferma all'unanimità procuratore nazionale antimafia per altri quattro anni, Piero Grasso rilegge così, alla vigilia del diciassettesimo anniversario della strage dei Georogofili, quella tremenda stagione di sangue sulla quale oggi sembra timidamente alzarsi il velo che ha fino ad ora protetto gli uomini degli apparati istituzionali. Agenti che, tra il '92 e il '94, furono in qualche modo partecipi dei piani di terrore la cui strategia - hanno sempre affermato le Procure titolari dei vari fascicoli di indagine - non fu certamente solo di Cosa nostra.

Da segnalare, a questo proposito, che la polizia scientifica ha isolato il Dna di uno dei personaggi che partecipò al fallito attentato all'Addaura al giudice Giovanni Falcone. Il profilo genetico, che appartiene a un individuo di sesso maschile, è stato estratto dalla maschera da sub ritrovata nella borsa che conteneva l'esplosivo. Il 21 giugno si svolgerà un incidente probatorio per confrontare il Dna estratto con quello degli indagati.
Davanti ai rappresentanti dell'associazione dei familiari delle vittime dei Georgofili, Grasso ha affermato che le stragi del '93 furono fatte, sostanzialmente, per spianare la strada a "nuove entità politiche" nel momento in cui Tangentopoli aveva appena segnato la fine dei grandi partiti, dalla Dc al Psi. "L'attentato al patrimonio artistico e culturale dello Stato - ha spiegato il procuratore nazionale antimafia rispondendo alle domande degli studenti dei licei - assumeva una duplice finalità: orientare la situazione in atto in Sicilia verso una prospettiva indipendentista, sempre balzata fuori nei momenti critici della storia siciliana, e organizzare azioni criminose eclatanti che, sconvolgendo, avrebbero dato la possibilità ad un'entità esterna di proporsi come soluzione per poter riprendere in pugno l'intera situazione economica, politica, sociale, che veniva dalle macerie di Tangentopoli".

Ed ecco dunque, nel '94, venire fuori l'esperienza politica subito abortita di quella sorta di lega del sud, "Sicilia libera", pensata e voluta da un boss del calibro del corleonese di Leoluca Bagarella, e poi il debutto di Forza Italia che proprio in Sicilia vide nel suo primo club esponenti di Cosa nostra. Dal '92 era stata una lunga teoria di sangue, attentati eseguiti, annunciati, falliti: da Capaci a via D'Amelio, da via dei Georgofili al Velabro. "Certamente - ha detto ancora Grasso - Cosa nostra, attraverso queste azioni criminali ha inteso agevolare l'avvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste. D'altro canto occorre dimostrare l'esistenza di un'intesa criminale con un soggetto anche politico in via di formazione, intenzionato a promuovere e sfruttare una situazione di grave perturbamento dell'ordine pubblico per la sua affermazione. Rimangono molte domande a cui bisogna dare risposta".

Risposte che, grazie anche ai nuovi spunti forniti di recente dal collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza e da Massimo Ciancimino, proprio in queste settimane stanno provando a dare le inchieste di Firenze e Caltanissetta, entrambe intenzionate a dare un nome e un volto a quegli 007 che entrambi hanno riconosciuto negli album fotografici finalmente forniti dai servizi segreti e che in quegli anni sarebbero spesso stati a fianco di Vito Ciancimino e dei boss di Cosa nostra. Circostanze sulle quali proprio ieri il Copasir ha voluto sentire il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari.