Dino Boffo ha rassegnato le dimissioni dalla direzione di 'Avvenire'
"Un attacco capzioso e feroce, qualcuno dovrà spiegare"
Dino Boffo si è dimesso dalla direzione del quotidiano dei vescovi "Avvenire".
Ecco il testo integrale della sua lettera di dimissioni inviata
al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

ROMA 3 settembre 2009
"Da sette giorni la mia persona è al centro di una bufera di proporzioni gigantesche che ha invaso giornali, televisioni, radio, web, e che non accenna a smorzarsi, anzi. La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere. L'attacco smisurato, capzioso, irritualmente feroce che è stato sferrato contro di me dal quotidiano 'Il Giornale' guidato da Feltri e Sallusti, e subito spalleggiato da 'Libero' e dal 'Tempo', non ha alcuna plausibile, ragionevole, civile motivazione: un opaco blocco di potere laicista si è mosso contro chi il potere, come loro lo intendono, non ce l'ha oggi e non l'avrà domani".

"Qualcuno, un giorno, dovrà pur spiegare perchè ad un quotidiano, 'Avvenire', che ha fatto dell'autonomia culturale e politica la propria divisa, che ha sempre riservato alle istituzioni civili l'atteggiamento di dialogo e di attenta verifica che è loro dovuto, che ha doverosamente cercato di onorare i diritti di tutti e sempre rispettato il responso elettorale espresso dai cittadini, non mettendo in campo mai pregiudizi negativi, neppure nei confronti dei governi presieduti dall'onorevole Berlusconi, dovrà spiegare, dicevo, perchè a un libero cronista, è stato riservato questo inaudito trattamento.

"E domando: se si fa così con i giornalisti indipendenti, onesti, e per quanto possibile, nella dialettica del giudizio, collaborativi, quale futuro di libertà e di responsabilità ci potrà mai essere per la nostra informazione? Quando si andranno a rileggere i due editoriali firmati da due miei colleghi, il 'pro' e 'contro' di altri due di essi, e le mie tre risposte ad altrettante lettere che 'Avvenire' ha dedicato durante l'estate alle vicende personali di Silvio Berlusconi, apparirà ancora più chiaramente l'irragionevolezza e l'autolesionismo di questo attacco sconsiderato e barbarico".

"Grazie a Dio, nonostante le polemiche, e per l'onestà intellettuale prima del ministro Maroni e poi dei magistrati di Terni, si è chiarito che lo scandalo sessuale inizialmente sventagliato contro di me, e propagandato come fosse verità affermata, era una colossale montatura romanzata e diabolicamente congegnata. Fin dall'inizio si era trattato d'altro.

"Questa risultanza è ciò che mi dà più pace, il resto verrà, io non ho alcun dubbio. E tuttavia le scelte redazionali che da giorni taluno continua accanitamente a perseguire nei vari notiziari dicono a me, uomo di media, che la bufera è lungi dall'attenuarsi e che la pervicace volontà del sopraffattore è di darsi ragione anche contro la ragione. Un dirigente politico lunedì sera osava dichiarare che qualcuno vuole intimorire Feltri; era lo stesso che nei giorni precedenti aveva incredibilmente affermato che l'aggredito era proprio il direttore del 'Giornale', e tutto questo per chiamare a raccolta uomini e mezzi in una battaglia che evidentemente si vuole ad oltranza".

"E mentre sento sparare i colpi sopra la mia testa mi chiedo: io che c'entro con tutto questo? In una guerra tra gruppi editoriali, tra posizioni di potere cristallizzate e prepotenti ambizioni in incubazione, io, ancora, che c'entro? Perchè devo vedere disegnate geografie ecclesiastiche che si fronteggerebbero addirittura all'ombra di questa mia piccola vicenda? E perchè, per ricostruire fatti che si immaginano fatalmente miei, devo veder scomodata una girandola di nomi, di persone e di famiglie, forse anche ignare, che avrebbero invece il sacrosanto diritto di vedersi riconosciuto da tutti il rispetto fondamentale? Solo perchè sono incorso, io giornalista e direttore, in un episodio di sostanziale mancata vigilanza, ricondotto poi a semplice contravvenzione?

"Mi si vuole a tutti i costi far confessare qualcosa, e allora dirò che se uno sbaglio ho fatto, è stato non quello che si pretende con ogni mezzo di farmi ammettere, ma il non aver dato il giusto peso ad un reato 'bagatellare', travestito oggi con prodigioso trasformismo a emblema della più disinvolta immoralità.

"Feltri non si illuda, c'è già dietro di lui chi, fregandosi le mani, si sta preparando ad incamerare il risultato di questa insperata operazione: bisognava leggerli attentamente i giornali, in questi giorni, non si menavano solo fendenti micidiali, l'operazione è presto diventata qualcosa di più articolato. Ma a me questo, francamente, interessa oggi abbastanza poco. Devo dire invece che non potrò mai dimenticare, nella mia vita, la coralità con cui la Chiesa è scesa in campo per difendermi: mai - devo dire - ho sentito venir meno la fiducia dei miei Superiori, della Cei come della Santa Sede.

"Se qualche vanesio irresponsabile ha parlato a vanvera, questo non può gettare alcun dubbio sulle intenzioni dei Superiori, che mi si sono rivelate sempre esplicite e, dunque, indubitabili. Ma anche qui non posso mancare di interrogarmi: io sono, da una vita, abituato a servire, non certo a essere coccolato o ancor meno garantito. La Chiesa ha altro da fare che difendere a oltranza una persona per quanto gratuitamente bersagliata".

"Per questi motivi, Eminenza carissima, sono arrivato alla serena e lucida determinazione di dimettermi irrevocabilmente dalla direzione di 'Avvenire', 'Tv2000' e 'Radio Inblu', con effetto immediato. Non posso accettare che sul mio nome si sviluppi ancora, per giorni e giorni, una guerra di parole che sconvolge la mia famiglia e soprattutto trova sempre più attoniti gli italiani, quasi non ci fossero problemi più seri e più incombenti e più invasivi che le scaramucce di un giornale contro un altro.
"E poi ci lamentiamo che la gente si disaffeziona ai giornali: cos'altro dovrebbe fare, premiarci? So bene che qualcuno, più impudico di sempre, dirà che scappo, ma io in realtà resto dove idealmente e moralmente sono sempre stato. Nessuna ironia, nessuna calunnia, nessuno sfregamento di mani che da qui in poi si registrerà potrà turbarmi o sviare il senso di questa decisione presa con distacco da me e considerando anzitutto gli interessi della mia Chiesa e del mio amato Paese. In questo gesto, in sè mitissimo, delle dimissioni è compreso un grido alto, non importa quanto squassante, di ribellione: ora basta.

"In questi giorni ho sentito come mai la fraternità di tante persone, diventate ad una ad una a me care, e le ringrazio della solidarietà che mi hanno gratuitamente donato, e che mi è stata preziosa come l'ossigeno. Non so quanti possano vantare lettori che si preoccupano anche del benessere spirituale del 'loro' direttore, che inviano preghiere, suggeriscono invocazioni, mandano spunti di lettura: io li ho avuti questi lettori, e Le assicuro che sono l'eredità più preziosa che porto con me. Ringrazio sine fine le mie redazioni, in particolare quella di 'Avvenire' per il bene che mi ha voluto, per la sopportazione che ha esercitato verso il mio non sempre comodo carattere, per quanto di spontanea corale intensa magnifica solidarietà mi ha espresso costantemente e senza cedimenti in questi difficili giorni. Non li dimenticherò. La stessa gratitudine la devo al Presidente del CdA, al carissimo Direttore generale, ai singoli Consiglieri che si sono avvicendati, al personale tecnico amministrativo e poligrafico, alla mia segreteria, ai collaboratori, editorialisti, corrispondenti.

"Gli obiettivi che 'Avvenire' ha raggiunto li si deve ad una straordinaria sinergia che puntualmente, ogni mattina, è scattata tra tutti quelli impegnati a vario titolo nel giornale. So bene che molti di questi colleghi e collaboratori non condividono oggi la mia scelta estrema, ma sono certo che quando scopriranno che essa è la condizione perchè le ostilità si plachino, capiranno che era un sacrificio per cui valeva la pena.

"Eminenza, a me, umile uomo di provincia, è capitato di fare il direttore del quotidiano cattolico nazionale per ben 15 degli straordinari anni di pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI: è stata l'avventura intellettuale e spirituale più esaltante che mi potesse capitare. Un dono strepitoso, ineguagliabile. A Lei, Eminenza carissima, e al cardinale Camillo Ruini, ai segretari generali monsignor Betori e monsignor Crociata, a ciascun Vescovo e Cardinale, proprio a ciascuno la mia affezione sconfinata: mi è stato consentito di essere, anzi sono stato provocato a pormi quale laico secondo l'insegnamento del Concilio, esattamente come avevo studiato e sognato negli anni della mia formazione.

"La Chiesa mia madre potrà sempre in futuro contare sul mio umile, nascosto servizio. Il 3 agosto scorso, in occasione del cambio di direzione al quotidiano 'Il Giornale', scriveva Giampaolo Pansa: 'Dalla carta stampata colerà il sangue e anche qualcosa di più immondo. E mi chiedo se tutto questo servirà a migliorare la credibilità del giornalismo italiano. La mia risposta è netta: no. Servirà soltanto a rendere più infernale la bolgia che stiamo vivendo'.
Alla lettura di queste righe, Eminenza, ricordo che provai un certo qual brivido, ora semplicemente sorrido: bisognerebbe che noi giornalisti ci dessimo un po' meno arie e imparassimo ad essere un po' più veri secondo una misura meno meschina dell'umano. L'abbraccio, con l'ossequio più affettuoso".

Firmato,
Dino Boffo

Il delitto è compiuto
"Un giornalista è l'ultima vittima di Berlusconi"

4 settembre 2009 GIUSEPPE D'AVANZO

DINO BOFFO, direttore dell'Avvenire, si è dimesso e non tiene conto discutere del sicario. È stato pagato per fare il suo sporco lavoro, se l'è sbrigata in fretta. Ora se ne vanta e si stropiccia le mani, lo sciagurato. Appare oggi più rilevante ricordare come è stato compiuto il delitto; chi lo ha commissionato e perché; quali sono le conseguenze per noi tutti: per noi che viviamo in questa democrazia; per voi che leggete i giornali; per noi che li facciamo. 

Dino Boffo è stato ucciso sulla pubblica piazza con una menzogna che non ha nulla a che fare - né di diritto né di rovescio - con il giornalismo, ma con una tecnica sovietica di disinformazione che altera il giornalismo in calunnia. Il mondo anglosassone ha un'espressione per definire quel che è accaduto al direttore dell'Avvenire, character assassination, assassinio mediatico. Il potere che ci governa ha messo in mano a chi dirige il Giornale del capo del governo - una sorta di autoalimentazione dell'alambicco venefico a uso politico - un foglio anonimo, redatto nel retrobottega di qualche burocrazia della sicurezza da un infedele servitore dello Stato. C'era scritto di Boffo come di "un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato". L'assassino presenta quella diceria poliziesca come un fatto, addirittura come un documento giudiziario. 

È un imbroglio, è un inganno. Non c'è alcuna "nota informativa". È soltanto una ciancia utile al rito di degradazione. L'assassino la usa come un bastone chiodato e, nel silenzio degli osservatori, spacca la testa all'errante. L'errore di Boffo? Ha criticato, con i toni prudentissimi che gli sono propri e propri della Chiesa, lo stile di vita di Silvio Berlusconi. Ha lasciato che comparissero sulle pagine del quotidiano della Conferenza episcopale l'amarezza delle parrocchie e dei parroci, il disagio dei credenti e del mondo cattolico più popolare dinanzi all'esempio di vita di Quello-Che-Comanda-Tutto. 

Ora che c'è un morto, viene il freddo alle ossa pensare che anche una prudente critica, una sorvegliata disapprovazione può valere, nell'infelice Paese di Berlusconi, il prezzo più alto: la distruzione morale e professionale. Ma soltanto le prefiche e gli ipocriti se ne possono meravigliare. Da mesi, il presidente del Consiglio ha rinunciato ad affermare la legittimità del suo governo per mostrare, senza alcuna finzione ideologica, come la natura più nascosta del suo potere sia la violenza pura. Con l'assassinio di Dino Boffo, prima vittima della "campagna d'autunno" pianificata con lucidità da Berlusconi (ha lavorato a questo programma in agosto dimenticando la promessa di andare all'Aquila a controllare i cantieri della ricostruzione), questa tecnica di dominio politico si libera di ogni impaccio, di ogni decenza o scrupolo democratico. 

Berlusconi decide di muovere contro i suoi avversari, autentici e presunti, tutte intere le articolazioni del multiforme potere che si è assicurato con un maestoso conflitto d'interesse. Stila una lista di nemici. Vuole demolirli. Licenzia quelli tra i suoi che gli appaiono pirla, fessi, cacaminuzzoli. Vuole sicari pronti a sporcarsi le mani. È il padrone di quell'industria di notizie di carta e di immagini. Muove come vuole. È anche il presidente del Consiglio e governa le burocrazie della sicurezza (già abbiamo visto in un'altra stagione i suoi servizi segreti pianificare la demolizione dei "nemici in toga"). 

Il potere che ci governa chiede e raccoglie nelle sue mani le informazioni - vere, false, mezze vere, mezze false, sudicie, fresche o ammuffite - che possano tornare utili per il programma di vendetta e punizione che ha preparato. Quelle informazioni, opportunamente manipolate, sono rilanciate dai giornali del premier nel silenzio dei telegiornali del servizio pubblico che controlla, nell'acquiescenza di gruppi editoriali docili o intimiditi. È questo il palcoscenico che ha visto il sacrificio di Dino Boffo ordinato da Quello-Che-Comanda-Tutto. 

È la scena dove ora salmodiano il coro soi-disant neutrale, le anime fioche e prudenti in cerca di un alibi per la loro arrendevolezza, gli ipocriti in malafede che, riscoprendo fuori tempo e oltre ogni logica la teoria degli "opposti estremismi" mediatici, accomunano senza pudore le domande di Repubblica alle calunnie del Giornale; un'inchiesta giornalistica a un rito di degradazione sovietico; la vita privata di un libero cittadino alla vita di un capo di governo che liberamente ha deciso di rendere pubblica la sua; la ricerca della verità all'uso deliberato della menzogna. 

È questa la scena che dentro le istituzioni e nel Paese dovrebbe preoccupare chiunque. Per punirlo delle sue opinioni, un uomo è stato disseccato, nella sua stessa identità, da una mano micidiale che ha raccolto contro di lui il potere della politica, dello Stato, dell'informazione, dei giornali di proprietà del premier usati come arma politica impropria. Nei cromosomi della democrazia c'è la libertà di stampa e, come si legge nell'articolo 21 della Costituzione, "il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero". È questa libertà che è stata umiliata e schiacciata con l'assassinio di Dino Boffo. Lo si vede a occhio nudo, anche da lontano. "Un giornalista è l'ultima vittima di Berlusconi", scrive il New York Times. Chi, in Italia, non lo vuole vedere e preferisce chiudere gli occhi è un complice degli uccisori e di chi ha commissionato quel character assassination.