Quelle carte siciliane che stressano il premier
Le inchieste definite da Silvio Berlusconi «cospirazioni»
non poggiano solo su testimonianze ma anche e soprattutto su documenti.
10 settembre 2009 Nicola Biondo

Documenti molto imbarazzanti per il premier.
Dalla nascita della Fininvest a quella di Forza Italia. Una valanga di soldi che escono nei primi anni ‘70 dalle casse del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, il banchiere ucciso a Londra, e finiscono alla neonata Fininvest. E poi l’avventurosa nascita di Forza Italia. Tra le carte del processo d’appello a Marcello Dell’Utri (che riprende il 17 di questo mese) c’è anche una perizia che certifica «numerose operazioni del gruppo facente capo al Banco Ambrosiano» nei confronti di Fininvest Limited-Gran Cayman, società del gruppo Fininvest. Un finanziamento diretto del banchiere piduista Calvi all’allora meno noto fratello di loggia Silvio Berlusconi. Sono gli stessi anni in cui alla Fininvest (secondo la perizia svolta dal consulente Francesco Giuffrida) arrivano non si sa da dove circa 15 miliardi. La domanda è se fossero soldi usciti dalle casse dal Banco Ambrosiano che, come è noto, aveva riciclato grandi quantità di denaro di incerta e sospetta provenienza.

L’occasione di fare chiarezza sulla nascita delle holdings Fininvest il presidente del Consiglio l’ha avuta già. Nel 2002, quando i giudici di Palermo lo raggiunsero a palazzo Chigi. Ma quella volta preferì avvalersi della facoltà di non rispondere. A parlare del legame tra Ambrosiano e Fininvest è stato uno dei liquidatori delle sedi estere della banca, Robinson Geoffrey Wroughton. Ma lo stesso Carlo Calvi, il figlio del banchiere, ha fatto dei riferimenti a società del gruppo Fininvest come beneficiarie di finanziamenti provenienti dell’Ambrosiano. Quei soldi sarebbero passati attraverso una società gestita da due altri uomini della P2,la Capitalfin, nella quale, ha detto Calvi, «vi erano interessi vicini a Craxi ed al partito socialista». Sia Wroughton che Calvi sono testimoni al processo dell’Utri. Come Massimo Ciancimino che racconterà nelle prossime udienze la storia delle lettere minacciose che i vertici di Cosa nostra avrebbero inviato a Berlusconi tramite Dell’Utri e con la consulenza del padre, Vito Ciancimino, tra la fine degli anni ’80 e il 1994. Altri tasselli che compongono la storia della lunga trattativa tra Stato e mafia partita alla fine del 1991, proseguita con le stragi del ’92-’93 e sfociato nel patto con la mafia invisibile e affaristica di Binu Provenzano.

Secondo molte testimonianze la lunga trattativa incrociò la nascita di Forza Italia. La circostanza è emersa non solo con le dichiarazioni di Ciancimino jr, ma anche in un altro processo ancora in corso (riprenderà il 25 settembre): quello nei confronti del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu accusati di aver omesso la cattura di Bernardo Provenzano nell’ottobre del 1995. Fu un infiltrato dei Carabinieri in Cosa Nostra, il boss mafioso Luigi Ilardo, a raccontare che nel 1994, agli albori della nascita di Forza Italia, i vertici «palermitani» avevano stabilito un contatto con un esponente insospettabile di alto livello appartenente all’entourage di Berlusconi. Questi, in cambio del loro appoggio, aveva garantito leggi favorevoli agli inquisiti appartenenti alle varie famiglie mafiose, nonché future coperture per lo sviluppo dei loro interessi economici quali appalti, finanziamenti statali. Per Ilardo l’insospettabile era Marcello Dell’Utri, oggi senatore del Popolo delle libertà.