Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi «ha ascoltato e ricevuto» il contenuto di intercettazioni telefoniche inerenti alcune inchieste giudiziarie ancora coperte da segreto. E’ successo il 24 dicembre 2005 nel salone di Arcore sotto un albero di Natale. Suo fratello Paolo, l’imprenditore dalle incerte fortune Fabrizio Favata e Roberto Raffaelli, amministratore delegato di Rcs società incaricata dalla procura di Milano di eseguire le intercettazioni, sono andati a trovarlo alla vigilia di Natale e gli hanno fatto ascoltare e poi consegnato la pen drive contenente la registrazione del “famoso” colloquio tra Fassino e Consorte sui destini di Unipol. Un colloquio neppure trascritto dalla polizia giudiziaria, senza valore probatorio, e la cui divulgazione ha segnato la storia delle elezioni dell’aprile 2006.
È scritto nero su bianco nell’ordinanza di 75 pagine firmata dal gip di Milano Bruno Giordano che ha eseguito l’arresto di Fabrizio Favata con l’accusa di estorsione. Un documento complesso per una storia complessa che comincia nel 2005.
Conviene cominciare dal punto 10 del capitolo dedicato ai “Gravi indizi di colpevolezza”, pagina 3 dell’ordinanza. Scrive il giudice Bruno Giordano nell’ordinanza che martedì ha portato in carcere l’imprenditore Fabrizio Favata con l’accusa di estorsione.: «Raffaelli Roberto - allora amministratore della Rcs srl che gestiva la parte tecnico-esecutiva delle intercettazioni - si presenta ad Arcore la sera della vigilia di Natale del 2005 - quando già da diversi mesi avvengono i movimenti di danaro Rcs-Petessi-Favata - e insieme a Favata offrono una pen drive con alcune intercettazioni ancora secretate riguardanti personaggi politici tra cui Piero Fassino a colloquio con Giovanni Consorte, a Paolo e Silvio Berlusconi che ascoltano il contenuto e ricevono tale intercettazione».
Il gip quindi, tra i gravi indizi di colpevolezza di questa faccenda che vede indagate da dicembre scorso cinque persone per ricettazione, abuso, rivelazione di segreto istruttorio e ora anche estorsione, dà per assodato che il Presidente del consiglio in carica ascolta e poi riceve una pen drive, una memoria digitale, in cui sono state copiate brani di intercettazioni telefoniche coperte dal segreto istruttorio. Frasi che per l’appunto riguardano gli avversari politici del premier, in questo caso Piero Fassino all’epoca leader del maggior partito di opposizione. Frasi che, sempre per l’appunto, pochi giorni dopo la consegna natalizia finiscono sulla prima pagina de Il Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi, dando il via a una campagna stampa che ha pesato molto sull’esito del voto politico. Paolo Berlusconi è indagato anche per millantato credito. Silvio Berlusconi non risulta invece iscritto al registro degli indagati. E neppure è stato finora invitato dalla procura di Milano a riferire la sua verità dei fatti. Il pm Meroni, gli ufficiali di polizia giudiziaria della polizia di Stato e della Guardia di Finanza, hanno lavorato in questi mesi sentendo una dozzina di persone, acquisendo documentazione bancaria e sono comunque arrivati a ricostruire tutta la faccenda. Il Presidente del Consiglio è il convitato di pietra.
Il Watergate italiano
La sensazione è che la Procura si muova a piccoli passi senza tentare falcate troppo lunghe. In questa fase si concentra sul ricatto e sull’estorsione e «non è rilevante» accertare se sia vero o meno che il premier si è reso protagonista del Watergate italiano. Di un grave illecito penale come l’ascolto e la diffusione di materiale istruttorio coperto da segreto e posseduto tra l’altro in maniera illecita. «In questa sede - scrive il gip - basta evidenziare come la stessa appaia verosimile». Ulteriori ed eventuali sviluppi che possono coinvolgere direttamente il premier - il fratello Paolo è già indagato - sono solo rinviati. Si vedrà nei prossimi giorni.
I fatti si snodano a partire dai primi mesi del 2005 intorno a quattro personaggi chiave. C’è Fabrizio Favata, 60 anni, un paio di fallimenti alle spalle, uno di quegli imprenditori che tentano l’impossibile. C’è Roberto Raffaelli, l’uomo alla cui società (Rcs) le procure di mezza Italia affidano il delicatissimo ruolo di registrare e custodire - ma non ascoltare - le intercettazioni. Paolo Berlusconi è socio con Favata fino a tutto il 2005 in una società di telefonia, Ip Italia che fallisce poco dopo. Eugenio Petessi è amico di Raffaelli, conosce anche Favata e Paolo Berlusconi, ed è l’uomo che conosce tutti e si occupa di procurare i contatti giusti.
L’ordinanza mette in fila i fatti incrociando dichiarazioni e risultanze bancarie. Raffaelli è custode delle intercettazioni delle inchieste sulle scalate bancarie e i furbetti del quartierino. Favata e anche Petessi ascoltano alcuni di questi file. Glieli fa sentire Raffaelli, «tanto non sono importanti». A un certo punti gli interessi dei quattro personaggi convergono: Raffaelli vuole aprire una centrale di ascolto in Romania e ha bisogno della sponsorizzazione di palazzo Chigi; Favata e Paolo Berlusconi si offrono di fare da tramite perchè hanno da giocare una carta strepitosa: l’intercettazione del 17 maggio 2005 tra Fassino e Consorte in cui l’ex ad di Unipol in trattativa per la scalata a Unipol dice all’allora segretario Ds: «Abbiamno una banca».
Nasce così l’idea dei saluti di Natale ad Arcore, circostanza confermata anche nei dettagli da tutti. Raffaelli e Paolo Berlusconi negano però che in quell’occasione sia stata fatta ascoltare un’intercettazione. La procura e il gip non ci credono. Non solo perchè lo dice e lo ripete Favata. Ma perchè lo stesso Favata, fallita Ip Italia e finito in disgrazia, cerca dal 2008 in poi di monetizzare «l’eterna riconoscenza» promessa dai fratelli Berlusconi. Favata si presta anche a fare da postino delle tangenti - più rate da 40 mila per un totale di 560 mila euro- che Raffaelli versa a Paolo Berlusconi per la centrale in Romania. Favata ha quella che il gip definisce «arma di ricatto»: denunciare tutto a giornali e magistrati. L’unico che subisce il ricatto è Raffaelli che, scrive il gip, «tra aprile 2008 e agosto 2009 paga a Favata una somma vicina a 300 mila euro». Un giro di false fatture in cui è stato coinvolto anche Petessi e da lui stesso confermate.
Così la procura circoscrive l’estorsione, ipotesi di reato per cui Favata è in carcere da martedì. All’inchiesta manca ancora il passagio successivo: perchè Raffaelli paga così a caro prezzo il silenzio di Favata? Un vuoto “logico” denunciato soprattutto da Antonio Nebuloni, il legale dell’imprenditore, che ha già presentato richiesta di scarcerazione. «Il mio cliente - dice - collabora e non può certo reiterare il reato».
Le fughe di Ghedini e la consulenza Raffaelli Inchiesta sul file audio Fassino-Consorte consegnato a Berlusconi. Nell'ordinanza del gip i rifiuti di Ghedini a testimoniare. di Claudia Fusanitutti In tutto l’affaire Favata-file audio con intercettazione Fassino-Consorte-Arcore e Presidente del Consiglio, un ruolo di primo piano se lo conquista l’onorevole avvocato mavalà Niccolò Ghedini. Che si scopre sempre di più ombra e quasi tutor di Silvio Berlusconi e della di lui famiglia. Nelle 75 pagine dell’ordinanza che ha portato in carcere l’imprenditore Fabrizio Favata per estorsione, il gip Bruno Giordano contesta a Ghedini comportamenti non congrui. E sottolinea che Ghedini aveva stretto un rapporto di consulenza con Roberto Raffaelli per avere consigli e suggerimenti sulla legge sulle intercettazioni oggi in discussione al Senato. Breve cronistoria. I colloqui consegnati al pm |
La vergogna senza legge di Giovanni Maria Bellu È una notizia sconcertante. Una di quelle notizie che, in un paese normale, occupano per giorni le prime pagine di tutti i quotidiani e i titoli di testa di tutti i telegiornali. E che restano lì, esposte al giudizio dell’opinione pubblica, finché il diretto interessato non dà una risposta convincente. O si dimette. Il diretto interessato è il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. La notizia è che, secondo un atto giudiziario articolato e motivato, l’attuale premier, in compagnia di suo fratello Paolo, la sera del 24 dicembre del 2005 entrò in possesso della registrazione, coperta da segreto istruttorio, della telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte. Quella della famosa frase “abbiamo una banca” che, pochi giorni dopo, Il Giornale pubblicò a tutta pagina avviando una campagna mediatica che ebbe un peso non piccolo nella rimonta del centrodestra e nel “quasi pareggio” delle politiche del 2006. È una vicenda che ricorda quel «caso Watergate» che portò alla dimissioni di Richard Nixon. Con una differenza fondamentale, che è la stessa differenza che passa tra un paese normale e l’Italia di Berlusconi: il presidente degli Stati Uniti fu obbligato a giustificarsi. Lo fece in modo goffo, mentì. E per questo fu costretto a dimettersi. Il presidente del Consiglio italiano non solo non ha detto una parola, ma hanno evitato di farlo anche i suoi parenti e amici coinvolti nella vicenda. Perché i sostenitori della legge bavaglio parlano di “tutela della privacy”, di vite devastate, etc etc. ma non menzionano mai il caso di intercettazioni coperte da segreto e di fatto rubate agli investigatori. Non ne parlano perché per punire questi comportamenti non c’è alcun bisogno di nuove leggi. Basta il vecchio codice penale. Siamo dunque a questo. Berlusconi – colpito da un sospetto da codice penale – può fare finta di niente. Tacere, non dare alcuna spiegazione. E, nello stesso tempo, può essere il primo fautore di una legge che rende penalmente rilevanti – nella stessa materia - comportamenti che in tutte le altre democrazie occidentali non lo sono. Qua siamo oltre le leggi ad personam, siamo anche oltre il concetto assolutista dell’imperatore che sta al di sopra delle leggi. |
Ecco dove sarebbero... Sei personaggi senza intercettazioni 22 maggio 2010 F.Fornario e S.Salistutti Il costruttore, l’imprenditore, il membro dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, il dirigente sportivo e il chirurgo. Tutti personaggi saliti agli onori della cronaca «in virtù» degli scandali seguiti alle recenti inchieste. Cinque nomi eccellenti caduti nella trappola. Sappiamo che cosa dicevano, che cosa pensavano e - soprattutto - che cosa facevano, grazie alle telefonate intercettate. Uno strumento fondamentale per ogni investigatore (Ingroia è uno di questi) che il decreto vorrebbe depotenziare. Abbiamo provato a immaginare dove sarebbero ora i nostri «eroi» se non ci fossero state quelle intercettazioni. Diego Anemone a un festino megagalattico Antonio Ingroia in Paradiso Luciano Moggi a Madrid Stefano Ricucci al telefono con Steve Jobs Giancarlo Innocenzi dall’otorino Francesco Paolo Pipitone in sala operatoria |
9 dicembre 2009 CONCITA DE GREGORIO http://concita.blog.unita.it Vi raccontiamo oggi, lo fa Claudia Fusani, la strana storia di un bizzarro regalo di Natale: un nastro, È la vigilia di Natale del 2005. In quel momento il nastro in un’unica copia è custodito dalla procura di Milano in un luogo segreto, un archivio sigillato. Un imprenditore di alterne fortune, tuttavia, entra in possesso del file grazie ad un dirigente della Rcs, la Research control system, società di cui la Procura si serve per effettuare tecnicamente le intercettazioni: il dirigente chiede all’amico, che sa essere in contatto con la famiglia Berlusconi, di stabilire un contatto per recapitare il dono. Il 24 dicembre si organizza l’incontro. Stando a quel che finora ha chiarito la Procura di Milano, che ha aperto a fine ottobre un’inchiesta sulla fuga di notizie, il file sarebbe stato portato ad Arcore. C’è una testimonianza, ci sono le celle telefoniche che confermano le chiamate dai telefoni dei protagonisti quel giorno a quell’ora in quel luogo. Un regalo di Natale, appunto. La procura ora indaga sul dirigente della Rcs che avrebbe materialmente messo a disposizione il file coperto da segreto. Da chiarire anche chi lo abbia preso in consegna, quella sera, dagli ospiti che si sono dati convegno ai cancelli della villa. Qualche giorno dopo, il 31 dicembre, il contenuto di quel file fu divulgato dal Giornale con enormi risonanza e conseguenze. Agli atti dell’indagine risultano anche alcune conversazioni tra l’imprenditore e un avvocato dello staff di Ghedini, conversazioni in cui si parla del «regalo». Proprio la scorsa settimana alcuni nastri sono stati sottratti da una cassaforte della Procura. Le «fughe» di materiali e di notizie, evidentemente, continuano. |