E' in questo grave momento, nel quale il vostro Presidente, legittimamente eletto dalla maggioranza degli Italiani,
si trova sotto l'eversivo attacco di forze oscure, che mi trovo costretto a rivolgermi a voi.
E' da 1994, quando mi eleggeste, che forze eversive, che vogliono la guerra civile, mi attaccano, con un preciso disegno politico, aprendo procedimenti contro la mia persona, basati unicamente su ricostruzioni basate su mere risultanze documentali, su trasferimenti di fondi monerari, da mie imprese o da società collegate al gruppo fininvest, fondi arrivati a personaggi, come Previti o Mills, che poi hanno corrotto magistrati e pubblici ufficiali, per coprire illeciti, o per avvantaggiare interessi del gruppo.
Vogliono fare cadare il Governo, l'opposizione non riconosce il Capo della Nazione, il Leader, che cambiando, di fatto, la Costituzione Italiana, ha liberato da lacci e lacciuoli la Nazione, portandola da Repubblica parlamentare, ad essere una repubblica nella quale il Presidente del Consiglio è nominato direttamente dagli elettori.
Le forze eversive, certa magistratura, d'intesa con la sinistra, e con tutti quelli che scendono in piazza a manifestare contro la recessione, i licenzimenti, i tagli alle scuole, le leggi contro gli immigrati, ed altre inverosimili ragioni, oggi affermano, in nome della Costituzione, di difendere l'Italia, dall'unico uomo ch la poteva salvare.
Noi non cederemo alle minacce della magistratura, che ancora agisce in nome della legge.
Noi non soccomberemo sotto la mole immensa di documenti che ci accusano.
Noi in nome dell'Italia, vareremo leggi che rendono immuni da ogni indagine.
Scenderemo in ogni piazza televisiva, contro il pericolo rosso, di Magistrati che vogliono indagare, contro giornalisti che vogliono informare, prelati che non vogliono essere complici.
Noi impediremo con tutti gli strumenti a nostra disposizione, anche i piu' estremi, che il Popolo
sia espropriato della potere di eleggere il proprio capo.
Il Giornale 25 novembre 2009 Palermo - Se tutto va come certi pm siciliani sognano vada, per Silvio Berlusconi l’aggressione al «patrimonio» di famiglia avvenuto con la condanna al risarcimento da 750 milioni di euro per il Lodo Mondadori, rischia di rappresentare uno sgradevole antipasto. Perché l’obiettivo finale che taluni magistrati si sarebbero prefissati inseguendo le parole dei pentiti e taluni flussi finanziari ritenuti sporchi, punterebbe a indagare il premier per concorso esterno in associazione mafiosa e poi, in tale veste, chiedere al tribunale l’immediata applicazione delle misure di prevenzione, personali e patrimoniali. Con ciò arrivando al sequestro del suo intero patrimonio. L’abito criminale a cui si starebbe lavorando è lo stesso che anni fa si pensò di cucire su misura per il medesimo personaggio politico: quello della legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei patrimoni dei boss. All’indagato per 416 bis possono essere infatti sequestrati, e successivamente confiscati, i beni di proprietà, e ciò indipendentemente dall’esito del procedimento penale. Col risultato che se l’indagato per concorso esterno verrà assolto potrebbe vedersi comunque il patrimonio sequestrato nel caso in cui non riuscisse a dimostrare fino in fondo la provenienza lecita della stesso. Per legge oggi basta il «sospetto» che il capitale in oggetto sia di provenienza mafiosa. È necessario che sussistano meri «indizi» che il patrimonio s’è formato anche grazie all’apporto mafioso, indizi assemblabili con la chiamata in correità (non riscontrata) dei pentiti. Ma c’è di più. L’onere della prova non ricadrebbe sul pm bensì su Berlusconi: toccherebbe a lui dimostrare che ogni euro del suo capitale non s’è sporcato con Cosa nostra. In caso contrario, l’intero patrimonio risulterebbe aggredibile. Seguendo questo percorso scatterebbero, come presupposto, anche le misure di prevenzione personali per sottoporlo a situazioni di limitazioni della libertà, ivi compreso il divieto «autorizzativo» che lo potrebbe privare finanche della possibilità di ricoprire incarichi pubblici o di svolgere l’attività di imprenditore. E se per la «patrimoniale» occorrono indizi sulla riconducibilità mafiosa dei soldi, per la «personale» bastano indizi ancora più blandi o semplici chiamate in correità, di quelle che abbondano al processo Dell’Utri o nelle indagini sulle stragi dal ’92 al ’94 aperte a Caltanissetta, Palermo e Firenze, dove l’argomento del giorno è sempre il Cavaliere. I pentiti, da Spatuzza a Grigoli, fanno a gara a parlare di Berlusconi «grazie al quale avevamo ottenuto tutto» (dice il primo) e di Dell’Utri, «il politico in contatto con Cosa nostra» (ribatte il secondo). Proprio seguendo il filone finanziario, i pm di Firenze il 5 novembre scorso chiedono a Grigoli notizie sui «rapporti imprenditoriali» fra Dell’Utri e i boss Graviano trapiantati a Milano e ritenuti, dagli stessi collaboranti, i referenti diretti dell’attuale senatore del Pdl sotto processo a Palermo. Ossessivamente si stanno rileggendo atti già sconfessati, inerenti il «peccato originale». Cioè il presunto apporto «economico» della mafia alla nascente Forza Italia, atti disintegrati dai processi ma «riletti» sotto una nuova luce «finanziaria» che tiene conto di nuovi pentiti ma non dell’archiviazione a Caltanissetta dell’inchiesta per concorso in strage che vedeva indagati Berlusconi e Dell’Utri: ecco allora che si vanno a rispolverare verbali sui mai riscontrati rapporti «finanziari» di Berlusconi coi boss Bontade, Lo Iacono e Teresi, secondo le chiacchiere dei pentiti Cangemi, Di Carlo o Calderone. Si riesumano i legami di Berlusconi, cessati nel 1973, con la Banca Rasini di Milano considerata solo dieci anni più tardi una lavanderia di denaro sporco; si rielaborano le risultanze del procedimento 6031/94 trasmigrate nel processo Dell’Utri per dimostrare una mai dimostrata ipotesi di riciclaggio finalizzata a coinvolgere Berlusconi; si cercano spunti all’originario rapporto del Ros di Caltanissetta del febbraio ’99 sulle 401 società riconducibili alla Fininvest; si ri-studia la perizia depositata al processo Dell’Utri su operazioni fra il Banco Ambrosiano di Calvi e la Fininvest Limited Gran Cayman; si lavora d’archivio soprattutto per un raccordo con l’attualità scaturita dalle dichiarazioni su Dell’Utri (e quindi Berlusconi) fatte da Massimo Ciancimino, figliolo di quell’ex sindaco mafioso di Palermo, don Vito, legatissimo all’imprenditore Zummo accusato recentemente dalla Dda di Palermo d’aver fatto sparire alle Bahamas parte del tesoro di Ciancimino senior quantificabile in 13 milioni di euro. Riciclaggio, sospettano i pm, avvenuto con l’aiuto di Nicola Bravetti, socio fondatore della Banca Arner considerata dai pm l’istituto di credito della Fininvest, delle holding numerate dei figli del premier e del Cavaliere che vi ha personalmente depositato 60 milioni di euro. Per la cronaca, il pm che indaga sulla Arner è lo stesso che ha criticato il governo ad Annozero e che da mesi confessa il giovane Ciancimino dopo aver messo in croce il senatore Dell’Utri. |
È l'accusa per cui è processato Dell'Utri e che potrebbe essere rivolta allo stesso premier Il reato non esiste nel codice penale, ma che si è consolidato con le sentenze della Cassazione E Berlusconi prepara un'altra mossa: via il concorso esterno in reati di mafia 25 novembre 2009 LIANA MILELLA È l'inizio di una battaglia lunga. Che parte con l'immunità parlamentare, che passa attraverso una legge interpretativa per fissare in modo certo le date di un reato e quindi della prescrizione, e finisce con una sortita che per la prima volta, nella sequenza delle 19 leggi ad personam per Berlusconi, previene un'incriminazione e un processo, quello (futuribile) per mafia. Vogliono mettere mano al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Quello per cui è sotto processo a Palermo Marcello Dell'Utri. Quello che all'inizio fu contestato a Giulio Andreotti. Quello che colpì (ma finì in un'assoluzione) il famoso giudice "ammazza sentenze" Corrado Carnevale. Quello che ha portato alla sbarra tanti politici nelle zone di mafia, camorra, 'ndrangheta. Un reato che in realtà non esiste, perché nel codice penale non c'è, ma che "vive" per le pronunce convergenti della Cassazione. Quindi un delitto assodato, consolidato, fermo nella storia del diritto. Ma quel crimine adesso si avvia ad avere una macchia. Potrebbe essere utilizzato dalla procure di Caltanissetta, Palermo e Firenze per indagare il presidente del Consiglio. E questo è davvero troppo. Quindi i consiglieri giuridici del premier si stanno muovendo in anticipo per terremotarlo. Ragionano tra di loro, giusto in queste ore, su dove sia meglio aggredirlo, se incidere sui termini della prescrizione, oppure se "normare" ex novo il delitto, ma con paletti tali da renderne l'applicazione difficilissima. A questo si lavora dietro le quinte. Sulla scena invece resta il processo breve a cui ormai bisogna mettere la pezza giusta, "almeno per fargli passare la firma del capo dello Stato", come dicevano ieri sera alla consulta pdl. Per questo il Guardasigilli Angelino Alfano continua a svenarsi per negare i dati negativi dell'impatto e ad affermare la razionalità della legge che "è buona anche se serve in due casi a Berlusconi". I tecnici, ancora stasera e sempre alla consulta, cercheranno di rappezzarla per tagliare via le incostituzionalità più clamorose come l'anomala lista dei reati e la regola sull'entrata in vigore. Più reati inclusi, valida per tutti i processi. Ma l'impatto schizzerà ancora più in alto rispetto ai dati forniti dal Csm e, proprio per questo, Napolitano potrebbe bloccarla. |
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