Il Cavaliere contro Repubblica: "Mi diffama".
Berlusconi contro le 10 domande
fa causa: chiede un milione di risarcimento.
«Retoriche e palesemente diffamatorie».
«L'Italia è l'unico paese nel quale un giornale viene denunciato perchè fa le domande.»
Il segretario della Federazione nazionale della stampa italiana, Franco Siddi, interviene per ricordare come
in un Paese libero fare domande non sia una concessione, ma un diritto-dovere di chi fa informazione.
"Che tutte le radio, che tutti i siti, che tutti i blog, che tutti i giornali anche quelli più distanti da Repubblica decidano assieme
di ripubblicare le 10 domande perché quello che accade oggi a Repubblica potrà capitare a chiunque".
Appello lanciato dal portavoce, Beppe Giulietti, e dal presidente di Articolo 21, Federico Orlando

Le domande riguardano i rapporti tra il premier e Noemi Letizia, l'uso della parola "papi",
i voli di stato per gli invitati alle sue feste in Sardegna, le ambizioni presidenziali,
il possibile uso di intelligence contro magistrati, testimoni e giornalisti,
nonché lo stato di salute di Berlusconi.

ROMA 28 agosto 2009 LUCIANO NIGRO - Nuovo attacco di Silvio Berlusconi a Repubblica.
Il premier va dai giudici e chiede un risarcimento danni per un milione di euro al Gruppo L'Espresso. A suo giudizio le domande formulate il 26 giugno da Giuseppe D'Avanzo sono "diffamatorie". Per la prima volta nella storia dell'informazione italiana gli interrogativi di un giornale finiscono davanti a un tribunale civile.

La citazione in giudizio del presidente del Consiglio, firmata il 24 agosto, riguarda, oltre alle "dieci nuove domande" anche un articolo del 6 agosto dal titolo ""Berlusconi ormai ricattabile" media stranieri all'attacco: Nouvel Observateur teme infiltrazioni della mafia russa", un servizio che riportava i giudizi della stampa di tutto il mondo sul caso italiano. Invitati a comparire al Tribunale di Roma Giampiero Martinotti, autore del pezzo contestato, il direttore responsabile di Repubblica Ezio Mauro e il gruppo L'Espresso.

Al centro dell'iniziativa legale del presidente del Consiglio sono però le domande rivolte a Silvio Berlusconi, "ripetutamente pubblicate sul quotidiano La Repubblica" e "per più di sessanta giorni", come sottolineano i suoi avvocati. Si tratta, per il premier, di "domande retoriche" che "non mirano ad ottenere una risposta del destinatario, ma sono volte a insinuare nel lettore l'idea che la persona "interrogata" si rifiuti di rispondere". Domande alle quali il capo del governo non ha mai risposto, come noto. Per Berlusconi sono "palesemente diffamatorie" perché "il lettore è indotto a pensare che la proposizione formulata non sia interrogativa, bensì affermativa ed è spinto a recepire come circostanze vere, realtà di fatto inesistenti".

L'esposizione del "Dr. Silvio Berlusconi, nato a Milano il 29 settembre 1936", inizia dall'articolo di Martinotti che da Parigi riporta i servizi della stampa estera dedicati al caso Berlusconi. Servizi quel giorno numerosi e scandalizzati, come sottolinea l'attacco del pezzo: ""Sesso, potere e menzogne": il titolo del Nouvel Observateur, in edicola oggi riassume alla perfezione la valanga di commenti della stampa estera sul nostro presidente del Consiglio. I giornali di tutto il mondo, di destra e di sinistra, moderati o progressisti, non sanno più come qualificare le gesta berlusconiane: si passa dalla "libidine geriatrica" (The Independent) a un capo del governo "graffiato dalla figlia" (Le Figaro), che "gli dà lezioni" (The Daily Telegraph), "gli fa la morale" (Elle) e che lo biasima con un "vergogna, papà!" (l'australiano News)".

Di quella cronaca, basata solo su citazioni testuali, è in particolare un articolo del settimanale francese Nouvel Observateur quello che ha fatto scattare la reazione di Berlusconi. L'autore Serge Raffy scrive sull'Observateur che "con lo scorrere delle rivelazioni, l'ipotesi di un'infiltrazione della mafia russa al vertice dello Stato italiano prende consistenza". E parla poi "di una registrazione che rischia di alimentare ancor più lo scandalo" che coinvolgerebbe Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.

Secondo Berlusconi, Repubblica "con l'espediente di riportare il contenuto del settimanale francese ha pubblicato ancora una volta - nel quadro della ben nota polemica di questi ultimi mesi - notizie non veritiere, riportando circostanze che in alcun modo corrispondono alla situazione di fatto e di diritto realmente esistente". Conclusione: "Il danno arrecato al Dr. Berlusconi è pertanto enorme" sia per il "ruolo del protagonista", sia perché la notizia è stata diffusa da "un quotidiano con ampia tiratura e diffusione e destinato ad un elevato numero di lettori".

Da qui la richiesta di danni per un milione di euro oltre a una somma, da stabilire,
"a titolo di riparazione".
 

- L'APPELLO -
Libertà di stampa, l'appello di tre giuristi
"La citazione in giudizio di Repubblica è interpretabile solo come tentativo di ridurre al silenzio la stampa,
di anestetizzare l'opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni...".
 L’attacco a "Repubblica", di cui la citazione in giudizio per diffamazione è solo l’ultimo episodio, è interpretabile soltanto come un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare l’opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un’eccezione della democrazia. Le domande poste al Presidente del Consiglio sono domande vere, che hanno suscitato interesse non solo in Italia ma nella stampa di tutto il mondo. Se le si considera "retoriche", perché suggerirebbero risposte non gradite a colui al quale sono rivolte, c’è un solo, facile, modo per smontarle: non tacitare chi le fa, ma rispondere. 

Invece, si batte la strada dell’intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso.

Stupisce e preoccupa che queste iniziative non siano non solo stigmatizzate concordemente, ma nemmeno riferite, dagli organi d’informazione e che vi siano giuristi disposti a dare loro forma giuridica, senza considerare il danno che ne viene alla stessa serietà e credibilità del diritto.
 
- Firma -

Franco Cordero
Stefano Rodotà
Gustavo Zagrebelsky